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Le vicende del vincolo contrattuale
La nullità del contratto: funzioni e cause
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Art. 1418 c.c. Cause di nullità del contratto
Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente (nullità virtuale). Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art c.c., l’illiceità della causa, l’illiceità del motivo comune determinante e la mancanza nell’oggetto dei requisiti della possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità (nullità strutturale). Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge (nullità testuale).
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La nullità virtuale del contratto contrario a norme imperative
L’interprete è chiamato ad un’indagine che attiene alla natura imperativa della norma violata dal contratto (primo livello di giudizio). Se, spesso, è la stessa disposizione che chiarisce la propria natura imperativa o derogabile (ad esempio con la locuzione: salvo patto contrario), altrettanto frequentemente, specialmente nelle discipline speciali, manca tale supporto e occorrerà ricostruire la valenza della prescrizione o del divieto, cioè accertare se la stessa sia funzionale all’affermazione di valori di interesse pubblico e di principi fondamentali dell’ordinamento. Il secondo livello di giudizio riguarda la riserva di esclusione legale della nullità dell’art , co. 1, c.c. («salvo che la legge disponga diversamente»). La nullità può escludersi in base ad un criterio testuale: ad es. l’art c.c. in tema di divieti di comprare a carico di determinati soggetti (co. 1, lett. c) e lett. d)) è norma certamente imperativa che dichiara annullabile e non nullo il contratto che li violi (co. 2). La nullità può escludersi anche in base a criteri extratestuali, legati alla ratio della norma imperativa violata, e più precisamente al modo in cui il contratto incide sugli interessi protetti dalla norma; oppure in ragione della disponibilità di altro rimedio, capace di fronteggiare il contrasto con la norma imperativa in modo più adeguato di quanto farebbe la nullità. Ad es. è imperativa la norma (penale) che vieta gli atti fraudolenti compiuti dal debitore per sottrarsi all’adempimento (art. 388, co. 1, c.p.), ma ai sensi dell’art c.c. questi atti sono colpiti da inefficacia relativa e non da nullità.
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La nullità virtuale del contratto contrario a norme imperative
Negli ultimi anni la giurisprudenza ha affrontato più volte il tema delle conseguenze derivanti dalla violazione degli obblighi di trasparenza e informazione gravanti sugli intermediari finanziari ai sensi dell’art. 21 TUF. Un primo orientamento tende ad elevare le regole informative (imperative) prescritte agli operatori finanziari a regole di validità del contratto. Regole che, se violate, coerentemente con il disposto dell’art. 1418, co. 1, c.c., non possono che comportare la nullità del contratto di intermediazione. Secondo un diverso orientamento, la violazione degli obblighi informativi non configura un vizio genetico relativo alla conclusione del contratto, ma un vizio funzionale che inerisce ad un contratto perfezionato, con conseguente applicazione dei principi generali in materia di inadempimento. Sulla questione si sono pronunciate le Sezioni Unite della S.C. (sent. n /2007) escludendo la possibilità di invocare la nullità del contratto per violazione di norme di comportamento gravanti sull’intermediario nella fase prenegoziale e nella fase esecutiva.
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Cass. civ., Sez. un., n /2007 «La violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione di servizi di investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto (…); può invece dar luogo a responsabilità contrattuale ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto ove si tratti di violazioni riguardanti operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto di intermediazione finanziaria. In nessun caso (…) la violazione dei doveri di comportamento può determinare la nullità del contratto a norma dell’art. 1418, co. 1, c.c.». La norma imperativa la cui violazione può dare luogo a nullità del contratto deve avere riguardo agli elementi (o al contenuto) del contratto; e non invece, come nel caso dell’art. 21 TUF, a comportamenti della parte contraente, la cui violazione rimanda al regime di responsabilità (precontrattuale o contrattuale) ma non coinvolge quello di validità dell’atto.
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La nullità strutturale
Ai sensi dell’art. 1418, co. 2, c.c. producono nullità del contratto la mancanza degli elementi essenziali ex art c.c. (per es. il problema della rintracciabilità di un valido accordo assume rilievo nel caso del cd. dissenso occulto e soprattutto nel caso di oggettiva divergenza tra proposta ed accettazione: «battaglia dei formulari»). La nullità per illiceità della causa o dell’oggetto o del motivo comune determinante è più vicina alla nullità «politica» di cui al comma 1 della norma. La dottrina suole così distinguere il contratto illegale cioè contrario a norme imperative ex art. 1418, co. 1, c.c. e il contratto illecito, cioè con causa o oggetto o motivo comune illecito, perché contrari a norme imperative, ordine pubblico, buon costume. La distinzione non ha conseguenze applicative; la legge assegna rilievo solo alla illiceità del contratto per contrarietà al buon costume escludendo gli effetti restitutori conseguenti alla dichiarazione di nullità (art c.c.).
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La nullità testuale Il contratto è nullo «negli altri casi stabiliti dalla legge» (art. 1418, co. 3, c.c., disposizione di chiusura). Talvolta l’espressa qualificazione legislativa può apparire superflua, alla luce dei criteri di nullità posti dai primi due commi dell’art. 1418: ciò accade tutte le volte che, se pure nessuna norma lo eplicitasse, la nullità del contratto o della clausola risulterebbe dal difetto di un elemento essenziale o dalla contrarietà ad una norma imperativa. Es. art.1895 c.c. nullità dell’assicurazione per inesistenza del rischio assicurato; art. 2 della legge antitrust del 1990 che vieta le intese restrittive della concorrenza. La previsione testuale della nullità assume un reale valore operativo in casi in cui la previsione di legge determina una qualificazione e un trattamento della fattispecie che, in sua mancanza, non vi sarebbero (o non vi sarebbero con pari certezza).
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La nullità testuale In un primo senso, la previsione testuale serve a rendere nulli contratti o regole contrattuali che, in sua assenza, verosimilmente non lo sarebbero: perché lega la nullità a contenuti contrattuali molto specifici e circostanziati che riflettono precise scelte «politiche» del legislatore, non agevolmente surrogabili per via interpretativa (es. art. 30 TUF che sancisce la nullità del contratto d’investimento, offerto fuori sede al risparmiatore, che non menzioni il diritto di recesso; art. 2, co. 1, d.lgs. 122/2005 che prevede la nullità della vendita di immobile da costruire quando il contratto non menzioni la consegna all’acquirente della polizza fideiussoria a garanzia degli acconti versati). In un secondo senso, la previsione testuale serve a rendere certa una nullità che diversamente sarebbe dubbia e controversa (es. art c.c., divieto di patto commissorio).
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Il regime generale della nullità
Art c.c.: Salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. L’art c.c. – nella parte in cui fa salva l’ipotesi che la legge disponga diversamente e non esclude la possibilità che vi siano ipotesi di nullità che possano essere fatte valere soltanto da una parte – costituisce il fondamento normativo della categoria della nullità relativa. La domanda diretta a far dichiarare la nullità di un atto non è soggetta a prescrizione (art c.c.). L’imprescrittibilità dell’azione di nullità non pregiudica gli effetti dell’usucapione e non influisce sulla prescrizione delle azioni di ripetizione. Il negozio nullo non può essere convalidato (art c.c.). Il negozio nullo non può produrre gli effetti tipici per i quali è stato concluso. La legge tuttavia ammette che possa produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale abbia i requisiti di forma e sostanza se, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, deve ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità (art c.c., Conversione del contratto nullo).
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La rilevabilità d’ufficio della nullità Cass. civ. , Sez. un
La rilevabilità d’ufficio della nullità Cass. civ., Sez. un., 4 settembre 2012, n Risolvendo un’annosa questione giurisprudenziale, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno preso posizione sulla questione della rilevabilità d’ufficio della nullità nell’ambito del giudizio azionato con domanda di risoluzione del contratto. L’iter argomentativo della sentenza è scandito da tre passaggi essenziali: La domanda di risoluzione comporta l’esistenza di un atto valido di cui mira ad eliminare gli effetti. Se questo è vero, domanda di adempimento e domanda di risoluzione implicano entrambe l’esistenza e la validità del contratto di cui la parte chiede esecuzione. La nullità esprime il disvalore dell’atto di autonomia privata che l’ordinamento considera in contrasto con un interesse generale e superiore sottratto alla disponibilità delle parti. Il compito di far valere la nullità spetta a chiunque ne abbia interesse, nonché al giudice al quale si chiede di giudicare secundum ius e, conseguentemente, di evidenziare la mancanza di fondamento della domanda che si fondi su un contratto affetto da un vizio genetico e insanabile.
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La nullità di protezione: il paradigma dell’art. 36 cod. cons.
Le clausole considerate vessatorie per legge e quelle che risultino tali all’esito di un apposito giudizio «sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto» (art. 36 cod. cons.). La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. L’art. 36 cod. cons. delinea una nullità speciale o comunque lontana dal modello codicistico sotto diversi profili. In deroga a quanto previsto dall’art. 1419, co. 1, c.c., la nullità di protezione riguarda solo la clausola censurata e non travolge l’intero contratto (nullità parziale). Tratto qualificante essenziale è che si tratta di una nullità a legittimazione relativa ma anche rilevabile d’ufficio dal giudice. Il carattere relativo della legittimazione, riservata al consumatore, non esclude la rilevabilità d’ufficio da parte del giudice.
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…e le sue varianti Dal suo terreno di elezione, quello della disciplina delle clausole vessatorie, la nullità di protezione si è diffusa nell’ordinamento interno non solo nell’ambito dei processi di implementazione delle direttive europee in materia di contratti tra operatori economici professionali e consumatori o utenti, ma altresì per scelta autonoma del legislatore che ne fa uso anche fuori dall’ambito dell’intervento di armonizzazione, eleggendolo a naturale supporto di regole imperative a vantaggio della parte contraente «debole». Ciò che accomuna il rimedio, nelle fonti normative sparse, è sempre questa significativa distanza della nullità dal terreno della invalidità radicale, necessaria e irrecuperabile, a legittimazione generale, e l’essere sempre posta a presidio dell’interesse di una parte, in contratti caratterizzati da un diverso potere contrattuale tra i partners (vendita di immobili da costruire, contratto di subfornitura, etc.) (Alessi, 2015, 461).
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