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PubblicatoPietro Negri Modificato 6 anni fa
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Il dialetto siciliano S. Caramagno S. Caramagno S. Caramagno
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Il più simile alla lingua latina
Il nostro dialetto racchiude in sé l’apporto dei vari popoli che hanno conquistato o attraversato la Sicilia, ma tra le lingue “romanze”, è sicuramente quello che rivela in modo più evidente la sua origine latina sotto vari aspetti: fonologico, morfologico, sintattico. Ecco alcuni esempi
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Molte terminazioni vocaliche in “u” sono di chiara derivazione latina
pilus/pilu = pelo con la caduta della “s” finale rimane la terminazione in “u” tipica di molte parole siciliane.
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Pilus pilu pelo
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Molte parole mantengono una forma molto simile a quelle latine da cui provengono, altre volte è addirittura identica Est/ esti = è
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est esti è
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L’ordine della frase, che nel latino è solitamente costituito da
soggetto/ complemento oggetto/ verbo/ e in italiano soggetto/ verbo/ complemento oggetto, nel siciliano segue spesso quello latino
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In latino solitamente il verbo si pone alla fine della frase così come in siciliano
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Fessus sum Stancu sugnu Sono stanco
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In siciliano il passato remoto prende quasi sempre posto del passato prossimo come nel latino
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Sono arrivato, ho visto, ho vinto
Veni, vidi, vici Vinni, vitti, vincì Sono arrivato, ho visto, ho vinto
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In italiano, invece, è rigoroso l’uso del condizionale nell’apodosi
Nel periodo ipotetico, le voci del condizionale sono dal popolo siciliano sostituite, alternate e confuse con quelle del congiuntivo, proprio alla maniera latina. In italiano, invece, è rigoroso l’uso del condizionale nell’apodosi
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Si id sciissem, tibi dixissem! Si l’avissi saputo, ti l’avissi rittu!
Se lo avessi saputo, te lo avrei detto!
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Il primo volgare della nostra letteratura
Il siciliano, tra i dialetti d’Italia, fu il primo volgare ad essere utilizzato per comporre opere poetiche, prima scritte esclusivamente in latino. I poeti (1) della Scuola poetica siciliana, nata alla corte di Federico II di Svevia (XIII sec.), infatti, pur non essendo tutti nativi siciliani (provenivano da molte regioni d’Italia), scrissero le loro poesie in volgare siciliano. (1) Tutti questi poeti erano innanzi tutto dei funzionari dello Stato, notai o giudici o magistrati, e per loro l’attività poetica rappresentava uno svago, un’evasione dalla realtà.
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Federico II di Svevia (1194-1250)
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Il Palazzo dei Normanni di Palermo ha ospitato i sovrani di Sicilia e fu sede imperiale con Federico II e Corrado IV.
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Fu un grande sperimentatore, e molto probabilmente inventò il sonetto.
Jacopo da Lentini “Jacobus de Lentino domini imperatoris notarius”: così si firma in un documento messinese del 1240 il funzionario della corte di Federico II Giacomo da Lentini, il Notaro (morto prima del 1250): per la maggior parte dei critici è il ‘caposcuola’ della Scuola poetica siciliana. Fu un grande sperimentatore, e molto probabilmente inventò il sonetto.
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Uno dei suoi sonetti più conosciuti è ”Amore è un desio che ven da’ core” in cui Jacopo da Lentini dà una sua personale interpretazione dell’amore. Il piacere della persona amata, egli sostiene, proviene dal cuore. Tuttavia, quel che per prima genera la passione è lo sguardo, il vedere la persona amata: "e li occhi in prima generan l'amore". In un secondo momento l'amore arriva al cuore: " e lo core li dà nutricamento”.
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Amore è un desio che ven da’ core
Amor è un desio che ven da core per abbondanza di gran piacimento; e li occhi in prima generan l'amore e lo core li dà nutricamento. … Jacopo da Lentini
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per abbondanza di grande piacere
L'amore è un desiderio che viene dal cuore, per abbondanza di grande piacere ( piacere ispirato dalla donna amata); e gli occhi in primo luogo generano l'amore e il cuore gli dà nutrimento. …
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