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LA DEVIANZA: UN CONCETTO DIFFICILE DA DEFINIRE
La devianza è un fenomeno sociale difficile da definire. Tra le sue caratteristiche vi sono: la relatività: un dato comportamento è definibile (o meno) come deviante, a seconda delle norme e delle aspettative con cui lo si valuta. Tali regole e aspettative variano non solo nello spazio, ma anche nel tempo; l’ambiguità. Sono spesso difficili da definire, o poco chiare, le aspettative dalle cui si parte per giudicare un dato comportamento; la mancanza di consenso. Anche là dove aspettative e norme siano ben definite, esse possono non essere condivise. Anche se vi sono comportamenti (es. l’incesto o il rapimento) che sono universalmente riconosciuti come devianti, di norma è impossibile arrivare a definire un tipo di comportamento come sempre e comunque deviante.
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DEFINIZIONE DELLA DEVIANZA
“un comportamento che si discosta dalle norme di un gruppo e a causa del quale l’individuo che lo mette in atto può essere isolato o sottoposto a trattamenti correttivi, curativi o punitivi.” Sulla base di questa definizione sono individuabili tre componenti della devianza: l’individuo che si comporta in modo deviante; la norma che viene usata a termine di paragone; un gruppo che reagisce al comportamento in questione. Le diverse teorie, che hanno provato a spiegare la devianza, si sono concentrate sull’uno o sull’altro dei fattori succitati: l’individuo, la norma, il gruppo.
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SPIEGAZIONI BIOLOGICHE DELLA DEVIANZA
Le teorie biologiche, popolari per buona parte del XX secolo, furono avviate da Cesare Lombroso (1899). Lombroso mise in relazione il comportamento criminale con i tratti fisici della persona. Gli individui sarebbero predisposti a determinati tipi di comportamento dalla propria configurazione biologica. Le teorie di Lombroso vennero riprese dall’americano Sheldon (1940), che sottolineò, in particolare, l’importanza della struttura fisica rispetto ai comportamenti. Le ricerche successive hanno però fortemente messo in discussione la validità delle spiegazioni biologiche.
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SPIEGAZIONI PSICOLOGICHE DELLA DEVIANZA
I primi studiosi che cercarono spiegazioni psicologiche per la devianza si rifacevano a caratteristiche generali come la “debolezza di mente”, la “deficienza”, la “psicopatologia”. Gli psicoanalisti hanno messo in relazione la devianza con conflitti di personalità non risolti. Le ricerche successive hanno tuttavia messo in luce come sia impossibile spiegare la devianza basandosi esclusivamente su fattori psicologici. È infatti più probabile che la devianza risulti da una combinazione di fattori psicologici e sociali.
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SPIEGAZIONI SOCIOLOGICHE DELLA DEVIANZA
La prima spiegazione sociologica del comportamento deviante è offerta da Durkheim (1897) con la Teoria dell’anomia. Studiando il fenomeno del suicidio, Durkheim mostra come i comportamenti devianti tendano a essere più frequenti nelle situazioni di forte cambiamento sociale. Al venir meno delle norme sociali consolidate (in quelle che Durkheim chiama situazioni di anomia) gli individui sono più disorientati e tendono a comportarsi in modo anomalo. La scuola di Chicago riprende le ipotesi durkheimiane col concetto di disorganizzazione sociale. La disorganizzazione sociale identifica le situazioni in cui, per effetto della mescolanza tra gruppi (religiosi, etnici e razziali) che portano valori e norme differenti, i rapporti sociali tendono a essere più fragili e conflittuali, fino a scomparire.
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Hirschi (1969) riprende la teoria dell’anomia sostenendo che la devianza diviene tanto più probabile, quanto più labili sono i legami tra il singolo individuo e la collettività entro cui quello si colloca (teoria del legame sociale). Merton ridefinisce il concetto durkheimiano di anomia. Secondo lo studioso americano, l’anomia è il risultato del contrasto tra obiettivi culturali e mezzi istituzionalizzati previsti per raggiungere le mete (teoria della tensione). In questo senso, l’anomia non dipende (come sostenuto da Durkheim) dalla debolezza delle norme, ma al contrario dal loro essere forti, così forti da entrare in tensione con la struttura sociale.
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Mentre le teorie dell’anomia e della disorganizzazione sociale si concentrano sulle forze che “spingono” alla devianza, le teorie culturali insistono sulle forze che “attirano” alla devianza. Sellin (1938) e Miller (1958) riconducono la devianza al conflitto di culture: gli esponenti di subculture portatrici di valori e norme diverse dal mainstream non hanno interesse a conformarsi e si comportano di proposito in modo difforme dalla norma generalmente condivisa. Sutherland (1939) parla in questo senso di associazione differenziale: gli individui finiscono per adottare norme devianti frequentando coloro che già condividono tali norme.
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Secondo Becker (1963) la devianza è il risultato della capacità di determinati attori “forti” (legislatori, giudici, operatori sociali) di imporre alla collettività le proprie regole sociali. Si parla in questo senso di teoria dell’etichettamento: gli attori forti appongono l’etichetta di “deviante” ai comportamenti dei gruppi più deboli. La teoria dell’etichettamento, a differenza di precedenti teorie che cercavano i fattori alla base dei comportamenti devianti, descrive il processo attraverso cui le persone vengono definite devianti. Becker e gli altri teorici che condividevano come lui la teoria dell’etichettamento sono stati criticati, tra le altre cose, per il fatto di dipingere gli individui come passivi, completamente in balia delle classi dominanti.
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Le teorie del conflitto e la correlata criminologia radicale spostano l’attenzione dalla violazione della legge alla natura del sistema legale. Secondo le teorie del conflitto (Turk, 1969; Quinney, 1977) devianza e criminalità sono solo il risultato fenomenico del conflitto, ineliminabile, tra i gruppi sociali. Entro tale quadro di conflitto, i gruppi forti definiscono regole (leggi e loro applicazione), il cui non rispetto è sanzionato, appunto, come deviante. Quinney esplicita in senso marxista tale posizione, sostenendo che le leggi e loro applicazione non sono altro che strumenti in mano delle classi dominanti. Queste usano tali strumenti per sottomettere le classi subordinate.
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TIPI DI DEVIANZA La classificazione delle varie forme di devianza è difficile da operarsi, perché un medesimo comportamento può essere visto come deviante - o non deviante - a seconda dei criteri di valutazione impiegati. Lo schema di classificazione più autorevole è quello proposto da Merton (teoria della tensione), che classifica i modi di adattamento individuale combinando le forme di accettazione e rifiuto delle mete culturali, dei mezzi istituzionalizzati per raggiungerli, o di entrambi: la conformità comporta l’accettazione sia delle mete culturali, che dei mezzi istituzionalizzati per raggiungerle; l’innovazione comporta l’accettazione delle mete, ma rifiuta i mezzi istituzionalizzati e promuove strumenti nuovi per il raggiungimento delle mete; il ritualismo comporta il rifiuto delle mete, unito all’accettazione dei metodi istituzionalizzati per raggiungerle; la rinuncia prevede il rifiuto sia delle mete, che dei mezzi atti a raggiungerle; la ribellione prevede anch’essa il rifiuto di mete e mezzi, ma porta alla concomitante promozione di mezzi e mete nuovi.
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LE QUESTIONI LEGATE ALLA DEVIANZA
Per cercare di mettere ordine tra le teorie esposte si possono prendere in esame le varie fasi dei sviluppo della devianza e considerarla come una sorta di carriera. Ci sono sei questioni relative alla carriera di deviante formazione delle norme: la formazione delle norme dipende spesso da movimenti sociali che istituiscono come problema una data questione e promuovono la creazione di leggi e istituzioni preposte al controllo del fenomeno. natura delle norme: non tutte le norme sono ugualmente rigorose e non tutte comportano uguali punizioni. Alcune norme vengono fatte rispettare dai gruppi di appartenenza, altre dalle istituzioni. Alcune norme sono specifiche, altre più generiche. Alcune norme inibiscono date forme di comportamento, altre richiedono un dato tipo di comportamento.
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estensione della devianza: la devianza tende a essere molto più estesa di quanto risulta dalle norme ufficiali. Etichettamento: Il fatto che una persona o un comportamento siano identificati come devianti è il risultato di un processo di elaborazione svolto da un apparato burocratico ad hoc. Stigma: Uno stigma è una caratteristica di una persona o di un gruppo, che viene considerata un difetto e suscita tentativi di punire, isolare o in qualche modo degradare i portatori dello stigma stesso. dimensione collettiva della devianza: i singoli comportamenti devianti tendono a integrarsi in un modello di comportamento adottato da più persone. Il fatto che la devianza assuma forma collettiva può anche portare a una revisione dell’atteggiamento sociale nei confronti di essa.
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Parsons descrive tre metodi di controllo sociale:
IL CONTROLLO SOCIALE Insieme degli sforzi posti in essere per prevenire, punire o riportare alla norma i comportamenti devianti. Parsons descrive tre metodi di controllo sociale: l’isolamento. E’ la situazione in cui il deviante viene tenuto lontano dagli altri e non si tenta di riabilitarlo; l’allontanamento. E’ la situazione in cui vengono limitati per un tempo circoscritto i contatti del deviante con la collettività. Alla fine del tempo di allontanamento, il deviante viene riammesso entro il contesto sociale; la riabilitazione. E’ il processo attraverso cui il deviante viene aiutato a riassumere il proprio ruolo all’interno della collettività. Il controllo sociale può essere esercitato in modo formale o informale.
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IL CONTROLLO sociale FORMALE
Il controllo sociale formale viene esercitato da organizzazioni la cui funzione è quella di far rispettare la conformità. La polizia, i tribunali e gli ospedali psichiatrici sono tutte organizzazioni di questo tipo. Il primo passo nel processo di controllo formale consiste di solito in un incontro tra il deviante e la forza di polizia. I poliziotti sviluppano una specifica mentalità professionale e una precipua forma di senso della giustizia. Lo stadio successivo è l’immissione del deviante nel sistema processuale. All’interno di questo, d’altra parte, molti casi vengono risolti con procedure extragiudiziali, diverse quindi dal processo vero e proprio. Normalmente la pena per aver commesso un crimine consiste in un periodo di detenzione. Chi è condannato alla prigione viene privato di “libertà, beni e servizi, relazioni eterosessuali, autonomia e sicurezza” (Olson, 1975).
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IL CONTROLLO sociale INFORMALE
Ci sono situazioni in cui il controllo viene esercitato in modo informale. Sono esempi di controllo informale la critica, la derisione, l’ostracismo. Crosbie (1975) ha identificato quattro tipi fondamentali di controllo informale: le ricompense sociali (sorrisi, cenni di approvazione, sanzioni professionali positive), che mirano a incoraggiare il conformismo; le censure (cenni di disapprovazione, critiche, sanzioni fisiche), che mirano a scoraggiare i comportamenti devianti; la persuasione, che attraverso argomenti razionali punta a riportare alla norma i devianti; la ridefinizione della norma, attraverso cui quanto era considerato deviante in precedenza smette di essere reputato tale.
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