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MARGARET FULLER: L’UOMO E/È LA DONNA
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UN’EDUCAZIONE “MASCHILE”
Margaret Fuller nasce nel 1810 a Cambridge (la sede di Harvard). È la più grande dei nove figli di Timothy Fuller, influente avvocato e uomo politico che come primo discendente vuole un maschio, e che “alleva” la figlia come se lo fosse. Il rigore intellettuale che le viene imposto la rende unica tra le donne dell’epoca, e la spinge a rivedere i criteri di genere allora dominanti alla luce della sua conoscenza sia del mondo giuridico sia del mondo classico. Margaret si costruisce un’identità di genere “dualistica”, che comprende tratti usualmente considerati “femminili” con tratti “maschili”, e così riassunti da lei stessa, usando gli stereotipi in voga: “a man’s mind and a woman’s heart”.
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LA FASE TRASCENDENTALISTA
La morte del padre (1835) le impedisce di andare in Europa a studiare. Inizia a lavorare come insegnante con Bronson Alcott (il padre di Louisa May Alcott, l’autrice di Little Women), e poi a interessarsi al tema della creatività femminile. Fa amicizia con Ralph Waldo Emerson e partecipa al club dei trascendentalisti. Nel 1840 diventa co-editor di The Dial, “organo” ufficiale del Trascendentalismo, e organizza le “Conversations”, circoli di discussione che dibattono sulle questioni più varie. Nel 1843 pubblica “The Great Lawsuit” su The Dial, e nel 1845 lo estende fino a farlo diventare Woman in the Nineteenth Century. Il volume apre la strada alla nascita del movimento delle donne negli Stati Uniti, che nel 1848 si riunirà a Seneca Falls e proclamerà la Declaration of Sentiments.
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WOMAN IN THE NINETEENTH CENTURY
L’argomentazione principale è che se “all men are created equal”, anche le donne devono esserlo, perché per “men” si intende tutta l’umanità (schiavi compresi).Il riscatto delle donne deve esere ottenuto grazie al libero accesso all’istruzione e alla “sfera pubblica”. Contra Catherine Beecher, Fuller afferma che non vi sono differenze essenziali tra gli uomini e le donne, e che occorre promuovere la “self-reliance” (concetto emersoniano) tra entrambi i sessi. Le identità maschili e femminili sono mobili e “mescolate” – Fuller usa il termine “femality” – perché uomini e donne presentano, in modi e gradi diversi per ogni singolo individuo, caratteri di entrambe. La soluzione è la ceazione di una self-reliance androgina ed egualitaria.
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UNA GEREMIADE PROTOFEMMINISTA
“The Great Lawsuit” permette a Fuller di mettere in scena una performance che non le è permessa nella realtà sociale esterna al testo: può cioè articolare il suo discorso come causa legale e come sermone, assumendo le identità “maschili” dell’avvocato e del profeta/predicatore. Se il titolo originale (che Fuller spiegherà in dettaglio) rimanda al linguaggio giuridico, la retorica che predomina è quella della geremiade, della “lamentazione” sul tradimento degli ideali della democrazia e della libertà in America. Per smantellare l’ideologia patriarcale, Fuller chiama in causa tutto un pantheon di figure storiche femminili, e poi rimanda alle origini stesse della civiltà americana, per denunciare l’attuale stato della società americana come una wilderness di egoismo, che si esprime in istituzioni tiranniche e produce la riduzione allo stato infantile di uomini e donne.
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NATURA E/O/VS. CULTURA Fuller attacca soprattutto l’assunto aprioristico dell “sfere separate”, che l’ideologia dominante, con l’appoggio di teorie che presumono di essere “scientifiche”, presenta come “naturali”: i tentativi “of physiologists to bind great laws by the forms which flow from them” ignorano il fatto che queste “forme” sono il risultato non di leggi “naturali”, ma di imperativi culturali, leggi e modelli educativi – ciò che Judith Butler chiama “scripts”, e che consistono nella “fossilizzazione” di modelli di performance reificati fino ad apparire leggi immutabili la cui violazione sembra impossibile o comunque innaturale.
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