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Il problema dell’oltretomba
In Foscolo, Manzoni e Leopardi
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Foscolo Reagisce al gelido ateismo del suo secolo con il mito della sopravvivenza delle memorie umane attraverso la parola eternatrice (perennità ideale degli estinti attraverso la poesia) . Questa sorta di immortalità non è dispensata uniformemente a tutti “ab aeterno”, ma è frutto esclusivo di “egregie imprese” compiute in vita e dunque compete solo alle ‘grandi’ anime. Il problema dell’oltretomba per F. (ateo) si risolve nella ‘fede’ nelle illusioni (prima fra tutte quella della poesia immortalatrice); ad esse F. conferisce lo stesso compito di organizzazione degli eventi umani in un disegno finalistico che Manzoni attribuisce alla Provvidenza.
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Manzoni Aderisce alla concezione cristiana della vita, la quale, mentre giustifica nel mondo la coesistenza del bene e del male, dà modo agli uomini buoni di salvarsi mediante la redenzione dai peccati. È necessario che gli uomini rivivano in se stessi il dramma della Croce per salvarsi dalla fatale perdizione cui sono stati condannati dal peccato originale. L’uomo può trovare la propria salvezza nella misericordia di Dio. Così M. risolve cristianamente il problema dell’oltretomba: l’uomo può raggiungere la salvezza eterna attraverso una serena accettazione dei mali e l’espiazione dei propri errori.
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Leopardi In L. il problema dell’oltretomba non si pone proprio, o meglio: viene trattato non più come una questione riguardante l’umanità nel suo complesso, ma come un problema personale. Il suo profondo pessimismo lo porta ad una continua attesa di una morte che porrà fine a una vita fatta solo di dolori e sofferenze (nel corpo e nell’anima). Per lui, che come Foscolo non ha fede e che dunque crede che dopo la morte non ci sia una vita eterna, l’oltretomba non è altro che “il nulla che segue alla vita, la pace, la dimenticanza…, il deserto conforto che, finita la vita, sarà come se questa non fosse mai stata”.
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