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Disturbi del sonno- veglia

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Presentazione sul tema: "Disturbi del sonno- veglia"— Transcript della presentazione:

1 Disturbi del sonno- veglia
Vengono riportati in questo capitolo alcuni dei più comuni disturbi del sonno, che possono e dovrebbero essere riconosciuti dal medico di medicina generale al fine di inviare il soggetto a uno specialista. La classificazione ICD10 raggruppa i disturbi del sonno in 7 categorie: Insonnie; disturbi del sonno correlati alla respirazione; disturbi da ipersonnolenza correlati al sistema nervoso centrale; disturbi del ritmo sonno-veglia circadiano; Parasonnie; disturbi del movimento correlati al sonno; altri disturbi del sonno.

2 Disturbi del sonno- veglia
Nel DSM-5 i disturbi del sonno, chiamati disturbi del sonno-veglia, sono raggruppati in 10 gruppi secondo l’eziologia presunta: Insonnie; disturbi da ipersonnolenza; Narcolessia; disturbi del sonno correlati alla respirazione; disturbi del ritmo circadiano del sonno; parasonnie correlate al sonno REM; parasonnie non-correlate al sonno REM; disturbo da incubi; disturbo delle gambe senza riposo; disturbi del sonno indotti da sostanze.

3 Disturbi del sonno- veglia
Un terzo circa della nostra vita viene passato a dormire, e un sonno di qualità e quantità inadeguate influisce in modo molto negativo sullo stato di salute generale e di benessere dei soggetti. Il problema del sonno di qualità e quantità inadeguata si presenta molto frequentemente: la prevalenza dell’insonnia varia nei differenti studi dall’8 al 40% e questa variabilità può essere spiegata con i differenti criteri diagnostici utilizzati.

4 Disturbi del sonno- veglia
Per esempio, recenti dati di prevalenza, mostrano che negli Stati Uniti circa I’8-10% della popolazione soffre di insonnia cronica, e che il 20-30% ha presentato il sintomo insonnia nel corso della propria vita. In Europa la prevalenza dell’insonnia come sintomo varia, secondo gli studi, dal 30 al 40%. Dai primi anni del secolo scorso, il sonno è stato oggetto di studi clinici e sperimentali, ma solo dal 1970 è stato indagato in modo sistematico in campo scientifico. La medicina del sonno è la specialità clinica che si occupa della diagnosi e della terapia dei pazienti che lamentano sonno notturno disturbato, eccessiva sonnolenza diurna o altri problemi legati al sonno.

5 Disturbi del sonno- veglia
Lo spettro dei disturbi del sonno è estremamente ampio: rientrano in questi disturbi sia problemi minori come un jet-lag della durata di uno o due giorni, sia patologie gravissime come l’insonnia fatale familiare, o gli incidenti automobilistici causati da individui con apnee del sonno che si sono addormentati al volante. Le disfunzioni possono essere primarie, legate a meccanismi nervosi che sono alla base del sonno e del risveglio, oppure secondarie, conseguenti a malattie neurologiche, psichiatriche, internistiche. Quando si valuta per la prima volta un soggetto che riferisce di dormire male è opportuno ricordare che l’anamnesi accurata e l’esame obiettivo sono fondamentali e irrinunciabili. Gli eventuali test ed esami strumentali confermeranno la diagnosi clinica. La presenza e l’intensità dei sintomi vanno valutate nell’arco delle 24 ore.

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Uno schema di raccolta delle notizie deve: definire il problema specifico, valutare il decorso clinico, distinguere tra loro i disturbi del sonno, interrogare il partner (non dimenticare di farlo), valutare l’impatto del disturbo sul paziente, le condizioni mediche generali, le terapie farmacologiche in atto o sospese da poco, l’eventuale uso/abuso di sostanze o farmaci psicoattivi (chiederlo sempre anche a soggetti apparentemente "insospettabili”), la presenza di disturbi psichiatrici. L’insonnia nel DSM-5 viene definita come l’insoddisfazione per la qualità del sonno associata a difficoltà nell’addormento e/o nel mantenimento e/o risveglio precoce. Questa condizione causa disagio significativo o deficit nelle attività della vita quotidiana, ha una durata di almeno 3 mesi per almeno 3 notti a settimana, ed è presente anche quando il soggetto ha la possibilità di dormire tranquillamente.

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L’insonnia può essere presente in condizioni quali una inadeguata igiene del sonno, in condizioni particolari (per esempio, studenti, giovani, madri di bambini piccoli), oppure essere associata a un disturbo psichiatrico o medico generale. Un esempio di inadeguata igiene del sonno sono abitudini di vita che incidono negativamente sul sonno, come la pratica serale di attività fisiche o mentali che aumentano la quota di arousal. Una delle cause più frequenti della sindrome da sonno insufficiente è la riduzione forzata delle ore di sonno per periodi prolungati, come per esempio accade agli studenti (frequenti i casi di addormentamento in classe durante le lezioni) o a madri che sono costrette a rimanere sveglie di notte per periodi prolungati e/o soggette a risvegli ripetuti.

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I disturbi legati al ritmo circadiano comprendono: la jet-lag syndrome, tanto più evidente quanto maggiore è il divario tra l’orario del paese di partenza e quello di arrivo; i shift work sleep disorders (che affliggono i lavoratori "turnisti”) che, nei casi più gravi, possono costringere il soggetto a cambiare lavoro; il disturbo della fase di sonno ritardata e della fase di sonno anticipata, che nei casi più gravi porta il soggetto a cambiare abitudini di vita (per esempio, scegliendo un lavoro che viene svolto durante le ore notturne). Altri disturbi del sonno che richiedono una particolare attenzione medica, sono la sindrome delle apnee ostruttive del sonno (obstructiue sleep apnea, OSA; vedi oltre), la sindrome delle apnee centrali del sonno, la narcolessia, la sindrome delle gambe senza riposo.

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La narcolessia consiste in crisi di sonno improvvise e tipiche che si manifestano solitamente nella seconda o terza decade di vita. La classica crisi esordisce con un desiderio irrefrenabile di dormire durante il giorno. Il periodo di sonno dura da pochi a minuti. Le crisi sono spesso accompagnate da cataplessia con perdita del tono muscolare e possono essere scatenate da uno stimolo emotivo. Altri sintomi come le allucinazioni ipnagogiche, la paralisi del sonno e il sonno notturno disturbato completano il quadro della narcolessia, la terapia deve essere gestita dallo specialista. La sindrome delle gambe senza riposo (restless legs syndrome, RLS) è caratterizzata da una sensazione interna intensa e fastidiosa agli arti inferiori, da irrequietezza motoria, con II peggioramento dei sintomi durante la notte (le prime ore) e con il sollievo durante il movimento. La terapia deve essere gestita dallo specialista e può includere: pregabalin, ropirinolo, pramipexolo, rotigotina, gabapentin, levodopa.

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La forma più nota di ipersonnolenza è la sindrome di Kleine-Levin. È caratterizzata da episodi ricorrenti di ipersonnia e di assunzione rapida di grandi quantità di cibo; esordisce nell’adolescenza nei maschi, a volte più tardi nelle femmine. Può essere associata a ipersessualità durante gli episodi. Gli episodi si presentano con frequenza maggiore di 1 all’anno e ciascun episodio dura da 2 giorni fino a molte settimane. Il soggetto dorme fino a 20 ore al giorno, svegliandosi solo per mangiare e per le funzioni fisiologiche. È comune un incremento di peso nel corso di ciscun episodio. Durante i periodi di veglia possono essere presenti confusione mentale, smemoratezza, depressione, depersonalizzazione, irritabilità, aggressività, impulsività. Il funzionamento tra gli episodi di ipersonnia è normale.

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DISTURBI DEL SONNO LEGATI ALLA RESPIRAZIONE ■ Apnea ostruttiva del sonno L’apnea ostruttiva del sonno (obstructive sleep apnea, OSA) è il più frequente tra i disturbi del sonno correlati alla respirazione (colpisce oltre il 20% della popolazione anziana). È molto più comune negli uomini che nelle donne e dopo i 40 anni di età. I sintomi possono essere presenti sia durante il sonno che durante la veglia. Durante il sonno possono presentarsi i seguenti sintomi: forte russamento, interruzione della respirazione, sensazione di soffocamento, movimenti corporei anomali, sonno frammentato; è molto frequentemente associata a obesità e ad altre comorbilità (ipertensione arteriosa, cardiopatie ischemiche, fibrillazione atriale, reflusso gastroesofageo).

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Durante la veglia il soggetto affetto da OSA presenta sonnolenza marcata con addormentamento soprattutto da seduto, perdita di memoria, irritabilità, modificazioni della personalità, cefalea. Il soggetto può riferire eccessiva sonnolenza diurna e/o insonnia, cefalea mattutina, bocca secca al risveglio e può essere inconsapevole delle caratteristiche cliniche osservate da altri (come il russamento sonoro). 11 monotoraggio polisonnografico documenta più di 5 apnee ostruttive di durata maggiore di 10 s per ora di sonno associate a frequenti arousal (microrisvegli), riscontro di desaturazione di 02 arteriosa durante l’episodio apneico, braditachicardia. Questo disturbo è nettamente peggiorato da assunzione di alcol e benzodiazepine, che non vanno pertanto prescritte a questi soggetti e, se la terapia è in corso, devono essere ridotte e poi sospese completa mente.

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Apnea centrale del sonno Questo disturbo è caratterizzato dalla cessazione o riduzione della ventilazione durante il sonno ed è associato a desaturazione di 02. Il soggetto di solito riferisce insonnia con difficoltà a mantenere il sonno, e può svegliarsi di notte con sensazione di soffocamento. Spesso riferisce eccessiva sonnolenza diurna e non consapevolezza del disturbo (il consulto medico avviene di solito su sollecitazione del partner). Le complicanze portano a ipertensione arteriosa, aritmie cardiache, ipertensione polmonare, insufficienza cardiaca. La polisonnografia mostra apnee di s, seguite dalla ripresa della respirazione. A volte una iperventilazione di s segue l'episodio. Il disturbo è nettamente peggiorato da assunzione di alcol e benzodiazepine che non vanno pertanto prescritte a questi soggetti e, se le stanno assumendo, devono essere ridotte e poi sospese completamente.

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PARASONNIE E ALTRI DISTURBI DEL SONNO Le parasonnie sono disturbi clinici non associabili ad alterazioni dei processi responsabili dogli stati di sonno o veglia "per se”, ma piuttosto sono fenomeni indesiderabili che si verificano prevalentemente mentre il soggetto dorme, e sono caratterizzate da comportamenti anomali o da eventi fisiopatologici che si verificano durante il sonno, o durante specifici stadi del sonno o nei passaggi sonno-veglia. Vengono differenziate in parasonnie correlate e non correlate al sonno REM. Fanno parte delle parasonnie non correlate al sonno REM: sonnambulismo, terrore notturno, risveglio in stato confusionale, iperfagia notturna. Sono invece parasonnie correlate al sonno REM i RBD (REM sleep behauior disorder) associati a sogni terrifici, sogni agiti dal paziente (è possibile anche un comportamento violento), e le paralisi del sonno.

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Il sonnambulismo, più comune nei bambini (5-8 anni), è un’improvvisa attività motoria nel sonno di fase 3-4 durante il primo terzo della notte; dura circa 10 minuti. Sono fattori scatenanti: deprivazione di sonno, stanchezza, assunzione di sedativi-ipnotici, malattie. Non c’è ricordo degli episodi. Può essere associato al parlare nel sonno. Gli episodi possono variare dal semplice sedersi nel letto, al camminare per la casa, fino a tentativi di "fuga” da casa. Il soggetto può alzarsi, camminare, e poi tornare al letto senza rendersi conto di nulla. Il comportamento può essere inappropriato, specialmente nei bambini. Il sonnambulo può cadere o riportare traumatismi se cammina in condizioni di pericolo (se esce di casa e cammina per strada o cerca di uscire da una finestra); cercare di fermarlo può essere pericoloso perché può reagire in modo aggressivo. L’utilizzo di alcuni farmaci può peggiorare il sonnambulismo (per esempio, litio, perfenazina, desipramina).

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La deprivazione di sonno peggiora il disturbo. L’incidenza è tra l’I e il 15% della popolazione generale. Il terrore notturno (pavor nocturnus, incubo) è caratterizzato da un arousal improvviso dal sonno in stadio 3-4, associato a urlo o pianto e manifestazioni del sistema autonomo di intensa paura (tachicardia, tachipnea, sudorazione, midriasi, aumento del tono muscolare ecc.). Il paziente di solito è seduto sul letto, non risponde agli stimoli esterni e se svegliato è disorientato e confuso e generalmente non serba ricordo dell’episodio. È comune nei bambini (M>F, 4-12 anni) e non è associato a incremento di psicopatologia. I sogni terrifici sono sogni vividi a contenuto terrificante, seguiti da risveglio e ricordo dell’accaduto, che avvengono durante la fase REM. Sono comuni dopo la sospensione di alcuni farmaci o in terapia con antiparkinsoniani, anticolinergici, (β-bloccanti). Tra gli altri disturbi del sonno vanno ricordati: il bruxismo, l’enuresi notturna e la sindrom della morte improvvisa del neonato.

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L’incidenza di insonnia è elevata sia nel corso dei disturbi mentali che nel periodo che precede la loro insorgenza o riacutizzazione. Il 35% dei soggetti che lamentano insonnia e che vengono valutati presso un centro per i disturbi del sonno ricevono una diagnosi principale di disturbo psichiatrico. Tuttavia, l’insonnia e più raramente l’ipersonnia, si possono riscontrare in numerosi disturbi psichiatrici e pertanto sono sintomi aspecifici.

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Disturbi d'ansia L’insonnia presente nei disturbi d’ansia è, secondo la definizione del DSM-5, un disturbo di inizio e mantenimento del sonno, mentre, se definita secondo una terminologia più tradizionale, è considerata un’insonnia iniziale e intermedia. In termini clinici ciò significa che il paziente fa molta fatica ad addormentarsi, ha un tempo di addormentamento lungo e presenta un numero elevato di risvegli nel corso della notte e di conseguenza un tempo di veglia aumentato e un’efficienza di sonno ridotta (tempo di sonno/tempo di letto). Malgrado questo profilo di sonno alterato, i pazienti non presentano normalmente un’alterazione del ritmo sonno-veglia complessiva né la comparsa di sonnolenza diurna. Questo è stato dimostrato anche da dati sperimentali che hanno dimostrato una propensione alla sonnolenza diurna non diversa da quella dei soggetti di controllo.

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La teoria che ipotizza per questi disturbi una regolazione tonica verso l’alto (up-regulation), dei livelli di arousal, è in accordo con le osservazioni cliniche. Il trattamento farmacologico di questi disturbi prevede come prima scelta l’approccio con tecniche comportamentali; solo se strettamente necessario e per periodi estremamente limitati, può essere indicato l’uso delle benzodiazepine, farmaci caratterizzati strutturalmente da azione ansiolitica, ipnoinducente, miorilassante e anticon­vulsivante. Tutte le benzodiazepine presentano queste azioni, la cui effettiva comparsa a livello clinico dipende esclusivamente dal dosaggio. Tenendo presente questo principio, una terapia combinata con due o più benzodiazepine spesso non ha giustificazione clinica. In linea di principio, la scelta di una benzodiazepina a emivita breve è preferibile quando si intenda ottenere un effetto principalmente ipnoinducente senza interferire con le prestazioni psichiche del giorno successivo.

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La scelta dell’utilizzo in terapia di una benzodiazepina tradizionale ha un razionale esclusivamente clinico e prescinde da ipotesi neurobiologiche che vedono in sistemi neurochimici diversi dai circuiti GABAergici (per esempio, in quelli noradrenergici o serotoninergici) il momento patogenetico dei disturbi d’ansia. La scelta è quindi giustificata quando non siano presenti sintomi clinici di tipo affettivo, anche solo del genere demoralizzazione secondaria, oppure evidenze di tipo neurobiologico che facciano pensare a una modificazione dei ritmi circadiani (per esempio, un risveglio precoce mattutino). In questi casi è preferibile un intervento più specifico, vuoi sul sistema serotoninergico, vuoi sul sistema noradrenergico, anche se in questo caso le evidenze sono meno robuste. Se è presente insonnia, questa va trattata secondo

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I canoni standardizzati delle terapie combinate tra un serotoninergico e un ipnoinducente, ovvero: associare i due farmaci scegliendo un ipnoinducente a breve emivita per le prime Ire settimane; al termine, sospendere progressivamente l’ipnoinducente secondo i criteri standardizzati per la sospensione delle benzodiazepine (indicativamente 1/3 di dose alla settimana). Un altro motivo che giustifica la cautela nella scelta di un trattamento esclusivamente benzodiazepinico riguarda il rischio di comparsa di "fenomeni di tolerance" o di una sindrome da dipendenza da benzodiazepine. La maggior parte dei soggetti ai quali viene prescritta una benzodiazepina a scopo ipnoinducente, ne proseguiranno l’assunzione molto oltre i tempi consigliabili e spesso per molti anni. La struttura di personalità del singolo paziente e un’anamnesi positiva per abuso di sostanze sono elementi importanti per un possibile sviluppo di dipendenza da benzodiazepine.

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Disturbi dell'umore L'insonnia è uno dei sintomi maggiormente riportato dai pazienti affetti da disturbi dell’umore. Di fronte a un paziente con insonnia una delle prime ipotesi diagnostiche da prendere in considerazione deve essere un disturbo depressivo. I sintomi più frequentemente riscontrabili sono: un disturbo della continuità di sonno (risvegli notturni frequenti, risveglio precoce mattutino); superficializzazione del sonno; sonno non ristoratore. Ciascuna di queste caratteristiche tende a essere più evidente con il passare degli anni, per il sommarsi degli effetti della patologia a quelli dell’invecchiamento fisiologico.

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È molto importante sottolineare come, in questo caso, il disturbo del sonno sia solo un sintomo della malattia depressiva e quindi, come sia inutile, se non addirittura dannoso, tentare di risolverlo singolarmente. Il paziente spesso lamenta come primario il sintomo insonnia e ne chiede l’eliminazione, mentre solo la risoluzione dell’episodio depressivo può portare al ristabilimento di un sonno regolato. In questo tipo particolare di pazienti, il sintomo caratteristico consiste in un risveglio anticipato rispetto al normale, che viene definito come insonnia terminale. Negli stati di eccitamento maniacale, si può arrivare a una insonnia totale e persistente.

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Nel caso dei disturbi depressivi, il problema è complicato dai tempi di latenza che la terapia con antidepressivi ha rispetto alla risoluzione della sintomatologia e che può arrivare anche alle tre settimane. In questi casi, nelle fasi iniziali del trattamento è possibile associare alla terapia con antidepressivo un ipnoinducente a scopo puramente sintomatico e in attesa che l’antidepressivo abbia effetto. A questo scopo hanno un’efficacia ottimale le benzodiazepine a breve emivita, che hanno il vantaggio, rispetto alle altre, di non presentare effetti sedativi il giorno successivo all’assunzione né, almeno da un punto di vista teorico, fenomeni di accumulo. Quando inizia la risposta clinica all’antidepressivo, si potrà iniziare a ridurre progressivamente, secondo schemi standardizzati, le benzodiazepine, fino alla sospensione completa.

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Procedendo in questo modo, si evitano sintomi da sospensione come ansia o insonnia re- bound. In letteratura vengono riportati problemi di insonnia rebound anche con le benzodiazepine a emivita breve. Questi riscontri sono riconducibili ai protocolli sperimentali utilizzari che sono propri della sperimentazione e non della pratica clinica. Ogni volta che il medico prescrive una benzodiazepina è davvero importante che ricordi che, salvo alcuni casi molto particolari, questo farmaco dovrà essere ridotto e sospeso per evitare fenomeni di tolleranza e dipendenza.

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Disturbi psicotici Alterazioni del sonno in corso di schizofrenia sono frequenti. Più spesso si tratta di insonnia con difficoltà di addormentamento, riduzione degli stadi di sonno lento, accorciamento della latenza di REM. Spesso i disturbi sono solamente dati da un’inversione dei ritmi giorno/notte, più che da caratteristiche ipniche specifiche. Sono stati condotti vari studi su un’ipotesi affascinante che vuole il delirio come una sorta di sogno a occhi aperti. Per avallare questa teoria, si è pensato che la riduzione di sonno REM (a volte presente nei pazienti affetti da schizofrenia) potesse essere compensata dall’ideazione delirante, interpretata come un "sogno a occhi aperti”. Vi è infatti una certa analogia tra la modalità di pensiero utilizzata nel sogno e la disorganizzazione del pensiero presente nel disturbo psicotico. Nei disturbi psicotici un’alterazione del ritmo sonno-veglia non ha dignità di sintomo qualificante il disturbo.

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È tuttavia noto che nelle fasi di esacerbazione della sintomatologia psicotica, quando la componente delirante e quella allucinatoria sono rilevanti, il paziente può presentare insonnia. Questa non ha caratteristiche peculiari, nel senso che può manifestarsi come insonnia iniziale (la più frequente), ma anche come una grossolana frammentazione del sonno, fino all’insonnia totale. La terapia antipsicotica prevista in queste circostanze è in grado di influenzare favorevolmente il ritmo sonno-veglia, specie se vengono somministrati antipsicotici a forte componente sedativa e se la somministrazione è effettuata prevalentemente la sera al momento di coricarsi. Spesso, nella pratica clinica, si osserva l’abitudine di associare al neurolettico la benzodiazepina, specie se le somministrazioni sono frazionate nella giornata. Questo è probabilmente il motivo principale per l’alta frequenza di disturbi del sonno in corso di terapia con neurolettici.

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È possibile che l’insonnia che molti pazienti psicotici presentano sia iatrogena e legata alla perdita di efficacia sul ritmo sonno-veglia delle benzodiazepine cronicamente somministrate. In questa prospettiva, se si ritiene necessario, associare per l’insonnia una benzodiazepina al carico serale di antipsicotico, o per esempio se compare un’insonnia transitoria in un paziente in trattamento con antipsicotici depot, è ragionevole usare per breve tempo una benzodiazepina a emivita breve, secondo le indicazioni standardizzate per l’insonnia transitoria di inizio e mantenimento del sonno. Inoltre, è necessario ricordare che i pazienti affetti da schizofrenia hanno un maggior rischio di disturbi del sonno correlati alla respirazione (in particolare OSA) rispetto a soggetti senza patologie psichiatriche, per la presenza in molti di loro di obesità e di sindromi metaboliche.

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Demenze, disturbi amnestici e altri disturbi da deficit cognitivo Il ragionamento clinico che deve portare a un corretto trattamento dell’insonnia nelle demenze, nei disturbi amnestici e in altri disturbi da deficit cognitivo è, per definizione, molto complesso. Da una parte, infatti, bisogna tenere conto dell’età del soggetto, fattore, questo, critico nel decidere una strategia di trattamento. Infatti, fisiologicamente, il bisogno di sonno decresce con l’avanzare degli anni: un primo rischio è, quindi, quello di prendere per disturbo ciò che invece è soltanto espressione di assestamento fisiologico. Dall’altra, nel caso clhe esista l’indicazione clinica al trattamento transitorio combinato (per esempio, terapia antidepressiva o ansiolitica più ipnoinducente) bisogna tenere conto dell’allungamento legato all'età, dei tempi di eliminazione.

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Nel primo caso, alcuni corretti suggerimenti in termini di Igiene delle abitudini di vita (regolarità degli orari, riduzione o astensione dall’uso di stimolanti quali caffè, tè, sigarette) sono in genere sufficienti a regolarizzare la situazione. Nel secondo, è consigliabile, vista la transitorietà della terapia, associare alla terapia principale benzodiazepine a breve emivita, per le quali, pur se presente, è ridotto il rischio di accumulo. Diverso è il discorso quando il sintomo insonnia è secondario a malattie di tipo neurologico o internistico. In questa evenienza è scontato che la massima attenzione debba essere rivolta alla risoluzione del problema medico principale. Tuttavia, in alcuni casi di completo sovvertimento del ritmo sonno-veglia, è necessario un trattamento sintomatico dell’insonnia, con attenzione ad alcuni fattori limitanti assai importanti. Il primo, in ordine di importanza, è il livello di confusione. Una delle condizioni più frequenti nelle quali a insonnia si associano confusione e agitazione psicomotoria è il delirium.

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La terapia prevede, in questo caso, l’utilizzo di antipsicotici atipici iniziando con un basso dosaggio; l’aloperidolo, che per molti anni è stato considerato uno dei farmaci di prima scelta per il trattamento sintomatico dei quadri di delirium, ha delle limitazioni molto nette di utilizzo, quali ipopotassiemia non corretta, patologie cardiache (in particolare patologie della conduzione) sia del paziente che in anamnesi familiare. Quando è necessaria, per poter essere somministrata la terapia con aloperidolo deve essere preceduta dagli indispensabili accertamenti (elettroliti plasmatici, ECG e anamnesi personale e familiare per patologie cardiache). Il miglioramento del disturbo del ritmo sonno-veglia di solito si raggiunge con il miglioramento del quadro confusionale e con la tranquillizzazione del paziente. È di solito superflua l’aggiunta di un ipnoinducente che potrebbe peggiorare il quadro confusionale.

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Quando il delirium è dovuto alla brusca interruzione dell’assunzione di alcol (delirium tremens), è indicata la terapia con benzodiazepine a dosaggi anche assai elevati. In questo caso la monoterapia è indicata, stante il sicuro effetto ipnoinducente legato agli alti dosaggi. Nei casi di delirium non da sospensione da alcol, deve essere identificata la/le cause per poter impostare rapidamente le terapie del caso.

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Disturbi del sonno da abuso di sostanze Una valutazione più approfondita viene richiesta quando il problema dell’insonnia è legato a una storia di abuso cronico di farmaci, in particolare di ansiolitici. In questo caso le difficoltà diagnostiche riguardano la relazione tra la diagnosi, che in genere appartiene all’ambito dei disturbi d’ansia o disturbi dell’umore, e quella di disturbo di personalità, così frequente fra i pazienti che abusano di farmaci. Questa categoria di pazienti presenta, usualmente, una storia clinica caratterizzata da un trattamento sintomatico dell’insonnia, che prescinde dalla diagnosi, ma che fa dell’insonnia stessa una categoria diagnostica.

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Tutti i farmaci comunemente usati per migliorare questo sintomo procurano fenomeni di assuefazione e questi portano il paziente ad aumentare progressivamente il dosaggio, con perdita progressiva dell’efficacia. Alternativamente, una buona percentuale di pazienti si autoregola la quantità di farmaco da assumere, con la motivazione di non volersi assuefare: per esempio, di tanto in tanto, il paziente interrompe l’assunzione del farmaco. Ciò può pori n. a fenomeni di astinenza, con riacutizzazione dell’insonnia e comparsa di attività onirica molto intensa e fastidiosa. A questo punto, il paziente si vede costretto a continuare la terapia, come nel primo caso, per evitare l’insorgenza di fenomeni di astinenza. In entrambi i casi, appare chiaro che la terapia non ha più nulla a che vedere con il motivo originale per iI quale era stata instaurata, cioè l’insonnia.

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Da quanto detto, è evidente quanto un corretto approccio diagnostico sia importante per definire una buona strategia terapeutica. Per questa, innanzitutto, vale il principio di trattare il disturbo fondamentale e quindi di considerare l’insonnia alla stregua degli altri sintomi, risolvibile cioè con la terapia per il disturbo principale. L’insonnia è un sintomo costantemente presente nell’alcolismo cronico. L’alcol ha iniziai mente un effetto facilitante il sonno, con aumento degli stadi 3 e 4, tanto da essere addirittura utilizzato per questo scopo da solo o associato agli ipnoinduttori. Con il passare del tempo provoca però una grave alterazione dell’architettura del sonno: il REM viene frammentato da frequenti risvegli e diminuisce in quantità, e tale frammentazione si estende poi a tutte le fasi. Diminuisce il sonno delta e si allungano i tempi di addormentamento.

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La sospensione brusca di alcol provoca un rebound di sonno REM, presente soprattutto nei casi più gravi e più a rischio di sviluppare un delirium tremens e un ulteriore calo del sonno lento. Le sostanze ipnoinducenti utilizzate negli anni passati, barbiturici, bromuri, ma anche le stesse benzodiazepine ipnoinducenti, perdono con il tempo la loro efficacia. Inoltre, vengono facilmente autogestite dal paziente, con grave danno del sonno. Particolarmente evidente è l’effetto dato dalla brusca sospensione di tali componenti, che determina un’insonnia marcata e la comparsa di incubi. Altrettanto dannose possono risultare le sostanze stimolanti del SNC quali la caffeina, le amfetamine, i simpaticomimetici.

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Disturbi del sonno dovuti a condizioni mediche generali Questo paragrafo riguarda prevalentemente i problemi del sonno nell’ambito della medicina palliativa. Si è voluto trattarli separatamente poiché con il miglioramento degli interventi terapeutici si è allungata l’aspettativa di vita di quadri clinici fino a poco tempo fa a evoluzione assai rapida, con conseguente aumento della popolazione da assistere. Le principali categorie di pazienti sono quelle dei pazienti in fase terminale per neoplasie o per altre gravi patologie sistemiche. In entrambi i casi, nelle ultime fasi della malattia, la compromissione dello psichismo è imponente e spesso è necessario un intervento, appunto palliativo, su svariati sintomi, insonnia compresa. In questi casi, la strategia che guida il trattamento deve essere quella di ottenere il massimo dei risultati utilizzando la minore dose possibile di principio attivo, con la minore quantità possibile di effetti collaterali.

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È quindi ragionevole utilizzare ipnoinducenti a breve emivita, poiché non si ha necessità, nella mag­gioranza dei casi, di ottenere anche la sedazione diurna. Quando il paziente terminale presenta quadri psicopatologici che necessitano di interventi terapeutici multipli, bisogna tenere conto, per quanto possibile, di tutti i fattori che influenzano le interazioni. Tra questi i più importanti sono: l’età del paziente, la compromissione degli apparati deputati all’assorbimento e al metabolismo dei farmaci, la gravità della condi­zione organica del SNC. Il principio guida dovrebbe essere quello di usare la minore quantità di principio attivo che dimostri avere un’efficacia terapeutica, reso ancora più cauto dalla considerazione delle caratteristiche di additività che alcune interazioni hanno, per esempio, ulti livello di sedazione. Farmaci a rapida eliminazione o breve emivita dovrebbero essere comunque preferiti.

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Data la prevedibile brevità del trattamento, inoltre, non sono da temere problemi quali la dipendenza o il rebound. I vantaggi sono peraltro importanti e vanno dal non accumulo al minimo rischio di comparsa o di peggioramento del quadro confusionale.

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Farmaci e sonno Diverse categorie di farmaci hanno azione indiretta sul sonno, sia con azione facilitante sia con azione destrutturante o inibente. Le benzodiazepine, che sono una delle categorie di farmaci maggiormente vendute, modificano la struttura del sonno con una riduzione delle fasi 3 e 4 del sonno REM. Il loro utilizzo è estremamente diffuso sia su prescrizione medica che con modalità di automedicazione o di abuso. Quando il medico decide di prescrivere una benzodiazepina per l’insonnia, deve tener presente e specificarlo chiaramente al paziente, che la terapia sarà di breve durata (al massimo 3 settimane) per il rischio che si instaurino dipendenza e tolleranza con conseguente difficoltà nella sospensione del farmaco. È necessario effettuare una riduzione progressiva del farmaco, tenendo conto della posologia iniziale e della durata della terapia.

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La sindrome da sospensione da benzodiazepine può essere grave (insonnia rebound, agitazione, ansia, convulsioni) e in alcuni casi può indurre gli utilizzatori a rinunciare alla loro sospensione. Farmaci molto usati quali l’aspirina o gli antistaminici facilitano il sonno. È possibile che in alcune malattie infiammatorie croniche, l’aspirina migliori il sonno del paziente alleviando il dolore muscolare o scheletrico. Anche gli antistaminici hanno come effetto collaterale la sonnolenza; questa proprietà fa sì che vengano usati a volte per indurre il sonno, in particolare in soggetti anziani o in casi in cui sia più rischioso usare sostanze più specifiche. Non ci sono molti dati oggettivi circa l’efficacia e la sicurezza di tale trattamento a lungo termine.

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Interferiscono con i normali ritmi sonno-veglia tutti i farmaci psicostimolanti, le am fetamine, la caffeina, alcuni farmaci usati nel trattamento dell’asma come la teofillina e l’aminofillina, i corticosteroidi. L’etanolo è conosciuto per il suo effetto sulla vigilanza, al punto che spesso viene utilizzato dal paziente per favorire l’addormentamento. L’etanolo ha azione sedativa a breve termine, mentre provoca frammentazione del sonno a distanza dall’assunzione. In soggetti che non ne fanno un uso regolare, l’alcol provoca un rapido addormentamento, riduce il sonno REM nella prima parte della notte e il numero di movimenti oculari rapidi durante il sonno REM, aumenta le fasi lente di sonno nella prima metà della notte, mentre aumenta il numero di risvegli e di stato nella seconda metà.

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In soggetti affetti da etilismo sono presenti le stesse modificazioni di disturbo del sonno REM e del sonno lento, perdurano nel tempo e si presentano anche dopo la sospensione dell’alcol. Inoltre, l’alcol aumenta la re­sistenza delle alte vie respiratorie durante il sonno, probabilmente mediante inibizione se­lettiva sull’attività motoria in quel distretto. Oltre ai già citati antistaminici, provocano sonnolenza anche i farmaci β-bloccanti. Gli antidepressivi triciclici sono causa di importanti modificazioni del ciclo sonno-veglia. Amitriptilina e imipramina sono farmaci con elevate proprietà sedative, tanto da essere usate, in qualche caso, nel trattamento di insonnie croniche. Tale uso è però sconsigliabile sia per i problemi legati a una terapia cronica con triciclici, anche a basso dosaggio, sia per la possibilità che insorgano alterazioni del sonno quali per esempio mioclono notturno.

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Inoltre i farmaci antidepressivi allungano il tempo tra l’inizio del sonno e l’insorgenza del primo po riodo REM e riducono la quantità totale di sonno REM. Gli effetti sul sonno NREM sono variabili: l’amitriptilina aumenta la quantità di sonno lento nei soggetti normali, mentre la clorimipramina la riduce e l’imipramina ha la stessa azione riducente il delta nei pazienti depressi, Sia imipramina che clorimipramina aumentano la veglia e i movimenti corporei normali. I sali di litio a dosaggio terapeutico sopprimono il sonno REM e la percentuale di REM e aumentano la latenza del primo periodo di REM e la quantità di sonno lento. Non determinano rebound di sonno REM una volta sospesi. I farmaci antipsicotici modificano in piccola misura la struttura del sonno. La clorpromazina incrementa la percentuale di REM e di sonno delta, oltre alla quantità di sonno totale. Spesso le fenotiazine vengono utilizzate per il loro effetto ipnoinducente anche in pazienti che non presentano sintomi psicotici: tale uso è assolutamente da sconsigliare in considerazione degli effetti anticolinergici e di blocco dei recettori adrenergici prodotti da questi farmaci e dell’elevato rischio di comparsa di effetti collaterali extrapiramidali e, in particolare, della discinesia tardiva.


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