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La dittatura fascista Da Alberto Preti
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Il fascismo Il fascismo andò al potere in Italia nel 1922 sull’onda di una grave crisi politica ed economico-sociale conseguente alla Grande Guerra. La guerra era stata vinta, ma i costi per lo Stato e per i ceti popolari erano stati molto alti. Il Paese era uscito profondamente diviso dalla guerra, la vecchia classe dirigente liberale non era più in grado di guidarlo, di interpretarne le dinamiche nuove. Socialisti e cattolici, per diverse ragioni, non seppero farsi classe dirigente, sostituendosi ai liberali. In questo stato di crisi si fece strada una forza minoritaria, eversiva e nazionalista, capace di interpretare la volontà di quella parte di ex-combattenti che volevano sovvertire i vecchi schemi politici, sconfiggere con la violenza i socialisti, imporre un patriottismo aggressivo e autoritario. Molti moderati e seguaci dell’ordine, il ceto medio si accodarono al fascismo. L’alta borghesia, gli agrari lo sostennero. Il re Vittorio Emanuele III lo legittimò sul piano istituzionale.
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Mussolini e i «quadrumviri» Bianchi, De Bono, Balbo, De Vecchi
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Fra il 1922 e il 1924 il governo fascista è in realtà un governo di coalizione con un carattere fortemente autoritario. Le elezioni politiche del 1924, in cui il Pnf si presenta in un «Lista nazionale» insieme con gli alleati politici e con una legge elettorale modificata in senso fortemente maggioritario per garantire a quella lista una sicura maggioranza alla Camera dei deputati, sono un passaggio cruciale. Il deputato socialista riformista Giacomo Matteotti denuncia con coraggio le violenze commesse dai fascisti durante le elezioni, i brogli elettorali, l’affarismo personale che si intreccia con il potere politico. Viene ucciso. I mandanti sono nel ristretto gruppo di potere che ruota intorno a Mussolini.
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Giacomo Matteotti
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La crisi del 1924 e l’Aventino
Il testo tratta delle vicende politiche avvenute fra il 1924, dopo l’omicidio Matteotti, e il 1928: sono gli anni in cui viene costruita la dittatura fascista Dopo la scomparsa di Matteotti, si costituì in Parlamento un Comitato delle opposizioni (socialisti, comunisti, popolari, repubblicani, liberal-democratici), che decise di non prendere parte ai Lavori della Camera fino a che non fosse stata scoperta la verità e ripristinata la legalità. Quell’atto di forte protesta istituzionale, senza precedenti, fu chiamato «l’Aventino», dal nome del colle di Roma su cui, secondo la tradizione si ritiravano i plebei nei momenti di conflitto con i patrizi, all’epoca dell’antica Roma repubblicana.
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Alcuni deputati dell’Aventino
Alcuni deputati dell’Aventino. Al centro, con un foglio in mano, il liberal-democratico Giovanni Amendola
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La reazione fascista La protesta dell’Aventino si rivolgeva non al popolo italiano, ma al re. Ma Vittorio Emanuele non ritirò la propria fiducia a Mussolini e il valore di quella protesta si venne esaurendo, malgrado le accuse precise mosse al gruppo dirigente mussoliniano da giornali come «Il Popolo» e «la Voce repubblicana» Di fronte al carattere puramente morale e all’impotenza politica di quella opposizione, Mussolini reagì con durezza nel discorso del 3 gennaio Ridiede spazio ai fascisti intransigenti, alla Milizia fascista, tornarono le squadre per azioni di aperta violenza contro gli «aventiniani»
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La negazione dei diritti politici, sindacali, di libertà
Censure e azioni di violenza colpirono e costrinsero al silenzio i giornali di opposizione. I più importanti (Il Corriere della sera, La Stampa) passarono nelle mani di industriali vicini al fascismo (la Fiat, i Crespi, imprenditori tessili). Leggi del 1925/26 aumentarono i poteri del capo del governo e attribuirono al governo il potere di emanare norme giuridiche. Il Parlamento era sempre più indebolito e subordinato all’esecutivo. Un centralismo autoritario
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1925-1928: sono cancellate le autonomie locali
* : sono cancellate le autonomie locali. I cittadini non eleggono più le amministrazioni comunali. I sindaci sono sostituiti dai «podestà» nominati dal governo. 1926: un attentato subìto da Mussolini a Bologna è il pretesto per la messa fuori legge dei partiti antifascisti e l’invio di molti oppositori al confino nelle piccole isole del Tirreno o in villaggi dell’Italia meridionale. Un Tribunale speciale per la difesa dello Stato giudicherà i «reati politici»
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Fine della libertà sindacale
1925: La Confindustria (associazione degli industriali) e le corporazioni fasciste dei lavoratori si riconoscono come unici interlocutori nelle relazioni industriali: è la fine del sindacalismo libero (Patto di Palazzo Vidoni). 1926: lo sciopero è vietato. Lo stato fascista si definisce «stato corporativo», in cui gli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro sono armonizzati nell’interesse superiore della nazione e la collaborazione fra le classi sostituisce la lotta di classe. In realtà, l’alleanza fra regime fascista, agrari, industriali, mondo finanziario toglie ogni potere contrattuale ai lavoratori. I salari reali diminuiscono negli anni ‘30, anche per effetto della crisi economica.
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Le «leggi (anti)costituzionali» del 1928
Le elezioni politiche si terranno su una lista unica di 400 nomi di candidati alla Camera dei deputati, preparata dal Gran Consiglio del fascismo, massimo organo collegiale del regime. Gli elettori potranno solo dire sì o no (regime plebiscitario). Coloro che non aderiscono a un’organizzazione fascista non hanno il diritto di voto. Il Gran Consiglio dà il suo parere anche sulla successione al trono (ma non ne avrà l’occasione) e dà il suo parere sulle questioni di carattere costituzionale (il regime si impadronisce dello Stato: è totalitarismo, sia pure «imperfetto»). Ma il fascismo è innanzitutto una dittatura personale dichiarata. I Patti Lateranensi (1929) segnano il punto di arrivo della costruzione della dittatura. Ora il fascismo si avvale anche dell’appoggio della Chiesa. Ma è un’arma a doppio taglio, come abbiamo visto….
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Mussolini e il segretario di Stato vaticano card
Mussolini e il segretario di Stato vaticano card. Gasparri firmano i Patti Lateranensi (11 febbraio 1929)
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