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Gianni Capuzzi Luiss - Guido Carli
V LEZIONE TUTELA DEL MARCHIO DI FORMA I “NUOVI” MARCHI …la nuova frontiera dei marchi In questa lezione affronteremo due temi piuttosto articolati, particolarmente importanti nel diritto dei marchi e da tempo al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale: la tutela del marchio di forma e le problematiche connesse ai “nuovi” marchi.
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…ci proponiamo di.. comprendere la ratio antimonopolistica dei limiti alla registrabilità dei marchi di forma esaminare la disciplina e la giurisprudenza comunitaria sul marchio di forma esaminare alcuni profili problematici in relazione ai cd “nuovi” marchi
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Indice 1. Il marchio di forma 2. I “nuovi” marchi le disposizioni
la ratio generale antimonopolistica i ”filtri” antimonopolistici 2. I “nuovi” marchi
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Mappa concettuale
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1. IL MARCHIO DI FORMA: le disposizioni
1) ammissibilità dei marchi tridimensionali (secondo la disciplina e i requisiti generali) Art. 7. Oggetto della registrazione 1. Possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalita' cromatiche, purche' siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese. 2) limiti specifici Art. 9. Marchi di forma 1. Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, o dalla forma che da' un valore sostanziale al prodotto. La possibilità che un marchio sia costituito dalla forma o dalla confezione del prodotto prevista espressamente, come si è visto, dall’ art.7 c.p.i. Va precisato che marchio di forma e marchio tridimensionale, anche se spesso usati come sinonimi, non coincidono(cfr Sena, Il diritto dei marchi):vi possono essere marchi bidimensionali intrinsecamente connessi al prodotto come forme tridimensionali totalmente estrinseche ad esso: SENA, Il diritto dei marchi. p ). Il c.p.i. prevede poi un’ altra disposizione, l’ art. 9 (che ha un suo corrispondente nell’ art.3.1 e) Dir.), specificamente dedicata al marchio di forma, che esclude in modo assoluto talune forme dalla registrabilità come marchio. Quindi, anzitutto, nel rispetto dei requisiti di validità validi per qualsiasi segno, i marchi di forma sono ammissibili. Talune forme, però, sono escluse a priori dalla registrabilità.
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la ratio antimonopolistica e le esigenze di tutela
A) PREOCCUPAZIONE CONCORRENZIALE limiti e cautele nella protezione del marchio di forma ritardo nella tutelabilità espressa principio di estraneità del marchio al prodotto (alterità del segno) durata potenzialmente perpetua del diritto rischio di monopolizzazione del prodotto B) NECESSITA’ DI SPAZIO EFFETTIVO solo marchi “deformi”?(Cartella) evitare interpretatio abrogans della norma sul marchio di forma importanza dell’aspetto estetico nel mercato attuale (“società dell’immagine”) forma come indispensabile strumento di marketing e comunicazione La chiave di lettura per comprendere la disciplina del marchio di forma è ancora una volta quella concorrenziale. La preoccupazione antimonopolistica è da sempre avvertita in modo particolarmente acuto con riguardo ai amrchi tridimensionali.Come è stato notato(Ricolfi) l’affermazione di principio che, dopo la riforma del 1992, il legislatore fa circa la tutelabilità del marchio di forma, vale in realtà solo ad aprire il problema dei limiti entro cui i marchi di forma sono tutelabili, e tali limiti sono essenzialmente limiti in funzione antimonopolistica. Lo stesso ritardo nella espressa tutelabiltà del marchio tridimensionale rispetto alle altre tipologie di segni ha una sua spiegazione nel timore che il monopolio su un segno costituito dalla forma o confezione stesse del prodotto- in combinazione con la durata potenzialmente illimitata dell’esclusiva- si tramuti in un monopolio sul prodotto. A ciò si aggiungeva la difficoltà – già evidenziata dal Vanzetti – della compatibilità con il principio di estraneità del marchio al prodotto, principio derivante dalla stessa funzione distintiva del marchio, di essere “segno” di distinzione di un prodotto o servizio, quindi simbolo di altro da sè. Se ricordiamo per un attimo l’etimologia (già vista) del termine “simbolo” - che deriva da “sun-ballein”, collegare, mettere insieme, rimandare ad una realtà altra, differente da sé - e proprio per questo evocata ed evocabile- il marchio di forma è il “meno simbolico” tra i segni, è il segno “meno segno” tra tutti. D’altra parte, se si vuole evitare una interpretatio abrogans o che- come è stato detto dal Cartella - gli unici marchi di forma rimangano quelli “deformi”, l’esigenza antimonopolistica non può arrivare al punto di erodere ogni spazio per il marchio di forma. Anche perché, se si guarda alla odierna realtà di mercato, alle strategie pubblicitarie e di marketing, all’ impostazione “iconica”- basata sull’immagine, sull’estetica- della nostra società e di quella particolare società che è il mercato, non si possono privare gli operatori di un indispensabile strumento di comunicazione e promozione qual è il marchio di forma. Anche questo sarebbe contrario alla libertà di concorrenza. Dunque, il marchio di forma è da sempre pressato da due esigenze: quella che vuole tutelare, oltre all’interesse degli altri concorrenti, anche la fisionomia concorrenziale del mercato e la sua “voglia di vivere”, di farsi spazio negli interstizi lasciati liberi dalle altre normative del diritto industriale (tutela contro l’imitazione servile, diritto d’autore, invenzioni, modelli di utilità, disegni e modelli). Come afferma Ricolfi (Diritto industriale, p.86) tra le forme banali, non distintive e le forme innovative, proteggibili altrimenti,fra il minimo cioè e il massimo di originalità c’è un vasto campo intermedio ed è proprio “da questo vasto territorio di confine che possono essere tratte forme idonee ad indicare la provenienza imprenditoriale del bene alla cui registrazione come marchi non si oppongono gli impedimenti posti dalla legge”.
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i “filtri” antimonopolistici nella tutela del marchio di forma
1) un segno 2) no forme ex art.9 c.p.i (3.1.e) Dir) 3) non descrittività ex art.3.1.c) (13 c.p.i) 4) carattere distintivo ex art.3.1.b) e riproducibilità grafica (parità di trattamento vs. percezione del pubblico/funzione di origine) diversa intensità dei limiti diversa applicabilità del secondary meaning Rimane il fatto che, come emerge anche dalla recente giurisprudenza comunitaria, le preoccupazioni filoconcorrenziali sono alla base delle cautele con cui il legislatore comunitario e interno circondano la registrabilità come marchio. Queste “cautele” costituiscono- a seconda della faccia della medaglia che si vuole guardare- altrettanti filtri antimonopolistici, barriere che garantiscono la libera concorrenza oppure ostacoli (talora forse eccessivi) alla tutelabilità della forma come marchio. Per usare un’immagine, la salita (faticosa come ogni salita) verso la tutela del marchio di forma (o la discesa, verso la sua non tutelabilità o scarsa tutelabilità) è una scala con vari gradini, vari profili in cui rilevano le esigenze antimonopolistiche, in modo diversificato. (Un’avvertenza: in questo caso si prende in considerazione in particolare la formulazione comunitaria dell’art. 3 Dir, sia perchè essa presenta una maggiore puntualità, con la divisone in lettere, e una più precisa suddivisione delle ipotesi, sia perché ad essa si riferisce ovviamente la giurisprudenza comunitaria). 1) anzitutto occorre che la forma di cui si chiede la tutela come marchio sia un segno 2) occorre poi che non si tratti di forme ex art.9 c.p.i (3.1. e) Dir.) 3) vanno poi verificate la non descrittività ai sensi dell’art.3.1 c) Dir. 4)e la presenza di carattere distintivo ex art.3.1. b), nonché la riproducibilità grafica (art.7 e 13 c.p.i).Si confrontano qui due profili:quello della parità di trattamento e la centralità anche in funzione antimonopolistica della percezione del pubblico interessato. Questi “gradini” sembrano andare dal più solidamente antimonopolistico al meno granitico, “dalle fondamenta alle tegole”. Il profilo differenziale tra le varie ipotesi sta -nella diversa intensità della istanza filoconcorrenziale, del suo diverso atteggiarsi -nell’ applicabilità o no dell’istituto del secondary meaning.Importanza della concezione dinamica del concetto di capacità distintiva. Molti concetti utili all’indagine sul marchio di forma, come si vede, sono già stati acquisiti analizzando funzioni del marchio e requisito della capacità distintiva. Ci si soffermerà pertanto solo su alcuni ulteriori profili relativi al marchio di forma.
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i “filtri” antimonopolistici nella tutela del marchio di forma
1) la forma-marchio deve essere un segno, non un concetto (CGCE, 25 gennaio 2007, caso Dyson) -no al marchio di forma indeterminata (monopolizzazione di tutte le forme) -oggetto della registrazione sarebbe un concetto, non un segno - l’ esame dell’acquisto di secondary meaning diviene superfluo (inapplicabilità) Quanto al primo “gradino”- (anche) il marchio di forma deve essere un segno-nella sentenza del 25 gennaio 2007 (caso Dyson) la Corte di Giustizia interpreta in funzione antimonopolistica l’ art.2 Dir, cioè afferma che, prima ancora che idoneo a distinguere e riproducibile graficamente, la forma deve costituire un segno e non vertere su un concetto, -nel caso specifico, quello di contenitore di raccolta trasparente di un aspirapolvere- qualunque forma esso assuma. Tale requisito serve, in particolare, ad impedire che il diritto dei marchi sia usato per uno scopo ad esso estraneo, al fine di ottenere un indebito vantaggio concorrenziale. L’oggetto della domanda di marchio non può essere indeterminato proprio perché si attribuirebbe un vantaggio concorrenziale indebito, si monopolizzerebbero tutte le forme immaginabili. Da notare che il non essere segno rende superflua qualsiasi analisi circa il secondary meaning, su cui verteva il quesito di partenza.
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i “filtri” antimonopolistici nella tutela del marchio di forma
2) art. 9 c.p.i. Art. 9. Marchi di forma 1. Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, o dalla forma che da' un valore sostanziale al prodotto. Il secondo “gradino” è davvero il nucleo duro dei limiti antimonopolistici del marchio di forma: l’ art.3.1 e) Dir.(art.9 c.p.i)contiene i limiti specifici propri del marchio di forma. Esso vieta la registrazione dei segni composti ESCLUSIVAMENTE dalla -forma imposta dalla natura stessa del prodotto -forma necessaria per ottenere un risultato tecnico -forma che dia valore sostanziale al prodotto
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i “filtri” antimonopolistici nella tutela del marchio di forma
art.3 Dir.89/104 «Impedimenti alla registrazione o motivi di nullità», «1. Sono esclusi dalla registrazione, o, se registrati, possono essere dichiarati nulli: a) i segni che non possono costituire un marchio di impresa; b) i marchi di impresa privi di carattere distintivo; c) i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio; (...) e) i segni costituiti esclusivamente: – dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto; – dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico; – dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto; (…). 3. Un marchio di impresa non è escluso dalla registrazione o, se registrato, non può essere dichiarato nullo ai sensi del paragrafo 1, lettere b), c) o d), se prima della domanda di registrazione o a seguito dell’uso che ne è stato fatto esso ha acquisito un carattere distintivo. Gli Stati membri
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art.9 c.p.i. ratio limiti specifici alla registrabilità del marchio di forma “nucleo duro” dei limiti antimonopolistici impedimenti assoluti (nullità insanabile):non superabili attraverso l’acquisto di secondary meaning esigenza di evitare al monopolizzazione del prodotto limiti alternativi natura di “ostacolo preliminare” Ratio di tali disposizioni è evitare che la tutela conferita al titolare del marchio possa tradursi nell’attribuzione dei vantaggi derivanti da un monopolio sulle soluzioni tecniche o sulle caratteristiche utilitarie del prodotto, a) privando così -sia i concorrenti -sia la collettività della libertà di utilizzo di tali forme necessarie b) bloccando in alcuni casi l’evoluzione corretta dell’attività economica Anche la sentenza Philips, 2002, punti 78-80, nonché Linde, p. 72, 2003, sottolineano tali motivazioni. Come è stato notato, l’art. 9 esprime per i marchi di forma la stessa preoccupazione che il legislatore esprime, per i marchi denominativi o figurativi, quando sancisce l’ inappropriabiltà come marchio delle denominazioni generiche, delle indicazioni descrittive o dei segni divenuti di uso comune. Il pericolo monopolistico si ripresenta però per il marchio di forma in termini molto aggravati: se una ed una sola impresa potesse registrare come marchio la forma comune di un qualsiasi prodotto, in alcuni casi essa finirebbe con il monopolizzare non solo un segno-e quindi una realtà linguistica-ma direttamente la stessa attività produttrice di quel bene-La protezione come marchio avrebbe in effetti come oggetto immediato non un dato semantico ma una realtà produttiva. Le esigenze antimonopolistiche sono ad un tempo comuni a tutte e tre le ipotesi dell’art.9, ma si articolano in modo differente, come si vedrà. Comune alle tre ipotesi è la non applicabilità del secondary meaning (caso Linde), al contrario che nel caso di segni descrittivi o altrimenti privi di capacità distintiva. Sembra che ci si trovi di fronte ad una nullità insanabile, come era considerata prima qualsiasi ipotesi di mancanza di distintività del marchio di forma, da chi non riteneva applicabile l’istituto del secondary meaning al marchio di forma.
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vs difetto di capacità distintiva?
art.9 c.p.i. FORMA IMPOSTA DALLA NATURA STESSA DEL PRODOTTO - “forma necessaria” no monopolizzazione del tipo merceologico vs difetto di capacità distintiva? caso Mag instrument Quanto all’ipotesi della FORMA IMPOSTA DALLA NATURA STESSA DEL PRODOTTO, che alcuni chiamano “forma necessaria”, lo scopo è impedire la monopolizzazione del tipo merceologico L’intento è evitare che “un diritto rinnovabile senza limiti di tempo, come quello conferito dalla tutela dei marchi registrati” possa tramutarsi “in un monopolio di attività per un intero genere merceologico” (Ricolfi, Diritto industriale, p.85). Secondo Vanzetti “Sembra qui che il legislatore abbia voluto riferirsi al genere, al tipo di prodotto, ed alla forma essenziale che lo caratterizza, impedendo con il divieto di registrazione in esame la monopolizzazione appunto di un tipo di prodotto”(Manuale 2003,p.136). Si veda ad es. il caso Mag instrument (TPG 7 febbraio 2002), secondo cui la forma cilindrica delle lampade tascabili è appunto forma imposta dal prodotto e non distintiva. Per altri Autori (come Floridia) l’esclusione è giustificata dal difetto di capacità distintiva, in quanto si tratta di forme standardizzate (il riferimento però non è convincente: sicuramente una forma necessaria è anche priva di distintività, ma qui siamo di fronte ad un requisito autonomo, specifico).
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Coordinamento con la disciplina brevettuale
art.9 c.p.i. FORMA NECESSARIA PER OTTENERE UN RISULTATO TECNICO - “forma utile” Coordinamento con la disciplina brevettuale (invenzioni/modelli di utilità) Interesse alla caduta in pubblico dominio Circa la FORMA NECESSARIA PER OTTENERE UN RISULTATO TECNICO (c.d. “forma utile”) l’interesse che il legislatore vuole tutelare è l’interesse concorrenziale alla caduta in pubblico dominio, che si ha con la scadenza della tutela brevettuale. La ratio sta nella preoccupazione di coordinare la protezione conferita dal diritto dei marchi con quella delle altre privative industrialistiche. Quanto alla forma necessaria per ottenere un risultato tecnico, appare chiaro il principio dell’alternatività tra protezione delle innovazioni industriali e tutela di marchio (Philips):una forma funzionale che sia proteggibile come invenzione o come modello non può accedere alla tutela come marchio. E’ la c.d delimitazione verso il basso, la cui ragione filoconcorrenziale è così spiegata dal Vanzetti: “questo problema di compatibilità è poi il problema di evitare che mediante la registrazione come marchi le forme che arricchiscono un prodotto dal punto di vista tecnico (forme funzionali) sfuggano a quella caduta in pubblico dominio che il legislatore ha per ragioni di interesse collettivo (che si sostanziano nell’ obiettivo del sistema brevettuale di stimolare la ricerca, con acquisizione al patrimonio collettivo delle innovazioni scaduto il brevetto per esse previsto con il limite temporale della tutela brevettuale) Questo problema non può essere razionalmente risolto se non escludendo la registrabilità come marchi di tutte le forme brevettabili (come invenzioni o come modello” (Manuale 2003, p.133) C’è da dire che il rapporto tra le varie tutele della forma nel diritto industriale è un problema molto controverso, su cui ancora si discute in dottrina e giurisprudenza, sia con riguardo alle invenzioni brevettabili, che ai dsegni e modelli, che ai modelli di utilità.Non si può approfondire la questione.Sul tema rimando, oltre che ai principali Manuali della materia, ai fondamentali contributi di Bosshard e Sarti negli Studi in onore di A.Vanzetti, Milano,2004.
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Coordinamento con la disciplina dei disegni e modelli
art.9 c.p.i. FORMA CHE DA’ UN VALORE SOSTANZIALE AL PRODOTTO - “forma ornamentale” Coordinamento con la disciplina dei disegni e modelli impatto della riforma della legge modelli. - dallo “speciale ornamento” al “carattere individuale” Circa la FORMA CHE DA’ UN VALORE SOSTANZIALE AL PRODOTTO (forma “ornamentale”) secondo molti Autori il riferimento è alla forma del prodotto tutelabile come disegno-modello e si sancisce anche qui un principio di alternatività.Un ripensamento della materia è stato sollecitato dalla riforma della legge modelli: l’abrogazione del requisito dello “speciale ornamento” – con la relativa eliminazione del giudizio sulla soglia di gradevolezza estetica, e l’introduzione della nozione di “carattere individuale” comportano la non necessità di un valore di mercato della forma per l’accesso all’esclusiva. Anche tale innovazione trova in realtà il suo fondamento in una ragione concorrenziale, o meglio nella mutata concezione della funzione concorrenziale del design adottata dal legislatore della riforma: ciò che si vuole stimolare non è più lo sviluppo di opere di design gradevoli esteticamente (in termini qualitativi, dunque), ma di “nuovi” prodotti, tutelandosi l’interesse del mercato “all’aumento quantitativo dell’offerta estetica” (così Bosshard) In questo contesto, sono rimessi in discussione anche i criteri del coordinamento con la tutela del marchio di forma. Sicuramente anche ora - rimanendo invariata nell’art. 9 c.p.i. l’esclusione della registrabilità come marchio della forma che dà valore sostanziale al prodotto – si vuole scongiurare un monopolio temporalmente indefinito su di essa, ma, al contrario che nel vigore della legge modelli, non si può più far coincidere il requisito di esclusione dalla tutela della funzione distintiva con il requisito di accesso alla tutela per modello. In tale mutato quadro normativo, è stata dunque sostenuta la possibilità del cumulo delle tutele, come condizione stessa di sopravvivenza del marchio di forma che altrimenti non troverebbe un suo spazio effettivo. Il problema cruciale rimane il contenuto della formula del “valore sostanziale” ex art. 9 c.p.i, che rappresenta, per i trovati dotati di valenza estetica, l’ unico limite alla registrazione come marchio. Con tale requisito, che ora va verificato caso per caso ed ex ante, il legislatore ha voluto porre “un criterio normativo per individuare i casi in cui la portata anticompetitiva dell’esclusiva di marchio sulla forma esteticamente gradevole diviene rilevante ai sensi della legge marchi”. Secondo parte della dottrina tale criterio può essere “collocato piuttosto in basso, potendosi così identificare anche solo nella semplice possibilità che la gradevolezza estetica del prodotto sia tale da far preferire quel prodotto rispetto ad altri del medesimo genere” (Bosshard)
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i “filtri” antimonopolistici nella tutela del marchio di forma
3) non esclusiva genericità/ descrittività (art.3.1.c) Dir.- art.13 c.p.i) limite applicabile anche al marchio di forma superabile attraverso il secondary meaning Quanto all’ulteriore limite della non genericità/descrittività del segno, il caso Linde ha chiarito anzitutto che esso è applicabile anche al marchio di forma. Si tratta però di un limite meno stringente dei precedenti perché vi è la possibilità di applicazione del secondary meaning. Nella sentenza del TPG Eurocermex (29 aprile 2004) e poi CGCE (30 giugno 2005) si valorizza il s.m. e si afferma che è necessario che almeno una frazione significativa del pubblico destinatario identifichi grazie al marchio i prodotti o servizi di cui trattasi come provenienti da un’impresa determinata,in relazione ad elementi concreti,dando così importanza preponderante, ancora una volta, all’ uso effettivo del marchio, alla pubblicità, alla notorietà, e si premia chi investe nella promozione.
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i “filtri” antimonopolistici nella tutela del marchio di forma
4) “carattere distintivo” (art.3.1.b)Dir.- art. 13 c.p.i.) parità di trattamento/percezione del pubblico applicabilità del secondary meaning Nell’analisi dell’ultimo limite, quello del carattere distintivo, basta richiamare quanto già detto in precedenza. La giurisprudenza comunitaria da una parte afferma il principio di parità di trattamento, secondo cui i criteri di valutazione della distintività non variano secondo la tipologia del segno:non ci sono quindi criteri più severi per il marchio di forma, ma è necessario e sufficiente che sia assolta la funzione di indicatore di origine (Linde, Philips); dall’altra si dà grande importanza alla percezione del pubblico:in questo modo,l’applicabilità dell’istituto del secondary meaning e l’ambivalenza degli esiti della percezione (fortemente influenzata da pubblicità/uso) rendono più semplice l’appropriazione della forma come marchio, ed è dunque meno forte il limite antimonopolistico. Va ricordato che la percezione nel caso del marchio tridimensionale è peculiare:mentre il pubblico abitualmente percepisce subito i marchi denominativi o figurativi come segni identificativi dei prodotti, non così per il segno che si confonde con l’aspetto stesso dei prodotti (Deutsche SiSi, Unilever, Storck, Libertel per i marchi di colore) Nel punto 48 della sentenza Philips e nel caso Linde (p.49) la Corte ha rilevato che i criteri di valutazione del carattere distintivo dei marchi tridimensionali costituiti dalla forma del prodotto non sono diversi da quelli applicabili alle altre categorie di marchi, perché l'art. 3, n. 1, lett. b) (i marchi di impresa privi di carattere distintivo ), della direttiva non opera alcuna distinzione tra le varie categorie di marchi per quanto attiene alla valutazione del loro carattere distintivo e quindi non occorre applicare criteri più severi rispetto a quelli utilizzati per altri tipi di marchi. E’ evidente anche in una recente sentenza del Tribunale di primo grado (23 maggio 2007, Procter Gamble). Il principio della parità di trattamento è spesso però meramente enunciato in astratto perché trova poi di fronte e sé la preoccupazione antimonopolistica per cui nell’iter logico subito si oppone la precisazione che tuttavia la percezione che il consumatore ha in relazione al marchio di forma è diversa, e ciò porta a un trattamento più severo, ad un approccio restrittivo nell’accordare tutela al marchio di forma. Quindi la centralità della percezione del consumatore –attualmente chiave di volta di ogni questione inerente alla capacità distintiva (Sironi) -ha una funzione squisitamente antimonopolistica (si potrà poi ritenere ciò negativo, perché eccessivamente limitante lo spazio per i marchi di forma, che sono comunicatori efficaci di messaggi, potenti collettori di clientela) o positivo (perché ulteriore filtro antimonopolistico e quindi proconcorrenziale, per chi intende tutelare soprattutto la funzione distintiva “classica”).
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2. I “NUOVI” MARCHI Marchi “atipici”
Marchi non convenzionali o non tradizionali Art.7 c.p.i. elenco non tassativo ma esemplificativo comunicazione concorrenziale usando ogni segno utile vs .libera disponibilità dei segni del linguaggio limiti del carattere distintivo e della riproducibilità grafica parità di trattamento/percezione del pubblico Oltre al marchio di forma, particolare importanza stanno assumendo, come si è già evidenziato, i c.d. “nuovi” marchi, o marchi “non convenzionali”, cioè quei marchi che non siano denominativi o figurativi: marchi di colore, marchi sonori, marchi olfattivi, marchi di lettere o di cifre. Tali marchi sono ammessi dall’ art.7 c.p.i., che presenta un elenco non tassativo ma esemplificativo di segni suscettibili di costituire valido marchio. L’esigenza di permettere l’utilizzo di ogni tipo di segno come marchio, a vantaggio della gara concorrenziale, va temperata dall’esigenza, pure concorrenziale, di lasciare nella libera disponibilità i vari elementi del linguaggio (in senso ampio). Il problema con i nuovi marchi(e il “filtro” pro-concorrenziale) sarà perciò a seconda dei casi la riproducibilità grafica o il carattere distintivo. Per i nuovi marchi, come per il marchio di forma, vale il principio della parità di trattamento nella valutazione della capacità distintiva e la particolare attenzione alla percezione del pubblico, come criterio per stabilire l’idoneità a svolgere la funzione di indicazione di origine.
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marchi di lettere o di cifre marchi sonori o musicali marchi di colore
i “nuovi” marchi marchi di lettere o di cifre marchi sonori o musicali marchi di colore marchi olfattivi Facendo qualche esempio per le varie categorie di “nuovi” marchi (che non sono i marchi “tradizionali” cioè quelli denominativi(parole) , figurativi (disegni) o tridimensionali(di cui si è appena parlato), abbiamo: a) marchi di lettere o di cifre si ritiene che non siano appropriabili singole lettere dell’alfabeto e cifre basse (infradecimali), ma è pur vero che con particolari grafie/stilizzazioni può esserci carattere distintivo -si supera l’impostazione tradizionale:non necessariamente i segni devono essere “percepibili alla vista” -ha grande importanza la condizione della rappresentabilità grafica (sicuramente, le sequenze musicali sono rappresentabili sul pentagramma (es jingles), qualche difficoltà per i rumori, ma vi sono moderne tecniche che possono consentire una riproducibilità grafica (oscillogramma,spettrogramma) la distinzione è dunque tra -marchi musicali o di melodia (formati da brani musicali, rappresentabili con note) -marchi sonori non musicali c) marchi di colore (combinazioni e tonalità cromatiche) -hanno particolare importanza nella comunicazione aziendale(si potrebbe parlare di una concorrenza “cromatica”, pari all’importanza delle forme nella corporate image)(colori e forme sono tipici della “società dell’immagine”). -nel caso Libertel (2003),la Corte di giustizia si è posta il problema antimonopolistico con riguardo ai marchi di colore: il colore puro non va monopolizzato e difficilmente è percepito come distintivo dal consumatore -più facilmente le combinazioni e tonalità cromatiche possono svolgere al funzione distintiva d) marchi olfattivi (non sono espressamente previsti, ma ammissibili perché l’elenco è esemplificativo) il problema è duplice: -per i profumi, la flagranza è una qualità del prodotto, quindi non distintivo e non estraneo al prodotto ;potrebbe valere come segno per prodotti diversi dai profumi ma vi sono difficoltà con la rappresentazione grafica perché -il profumo può non essere rappresentabile graficamente in modo chiaro e intellegibile (caso Siekmann, 2002)
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marchi semplici vs. marchi complessi marchi d’insieme
combinazioni di segni marchi semplici vs. marchi complessi marchi d’insieme Occorre aggiungere che i segni possono anche essere combinati tra loro.Si avranno pertanto: Marchi complessi Sono marchi composti da più elementi, dotati ciascuno di autonoma capacità distintiva Marchi d’insieme I singoli elementi sono privi di capacità distintiva, ma nell’insieme la combinazione degli elementi ha capacità distintiva
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Domande di verifica Quali sono le principali verifiche da operare per ritenere una forma validamente registrabile come marchio? Perché il legislatore pone alla registrazione del marchio di forma i limiti dell’art.9 c.p.i.? Quali tipologie di forme sono escluse dalla registrazione? Quali sono le principali difficoltà che si incontrano nella registrazione dei “nuovi” marchi?
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V LEZIONE RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Della immensa letteratura sul marchio di forma, si vedano, oltre ai manuali indicati nella I lezione, VANZETTI A., Il problema dei marchi di forma, in Riv.dir.comm., 1964, I, p.413 ss; Id., I diversi livelli di tutela delle forme ornamentali e funzionali, in Riv.dir.ind., 1994, I, p.319 ss; CARTELLA M., Marchi di forma o marchi “deformi”?, in Riv.dir.ind. 1977, II, p.39 ss; BOSSHARD M., Divieto di imitazione servile confusoria, marchio di forma e “nuova”privativa sul design, in Studi di diritto industriale in onore di A.Vanzetti, I,p.255 ss.; SARTI D., I marchi di forma fra secondary meaning e funzionalità, in Studi di diritto industriale in onore di A.Vanzetti, II,p.1411 ss; FRASSI P., L’acquisto della capacità distintiva delle forme industriali, in Segni e forme distintive. La nuova disciplina, Milano, 2001,p.275;Id., Forma del prodotto, secondary meaning e standardizzazione, in Riv.dir.ind., I, 1999, p.142 ss. Sui “nuovi” marchi si vedano DELL’ARTE S., I marchi d’impresa nella Comunità europea, Forlì, 2005; MORRI F., La rappresentazione grafica del marchio nelle decisioni dell’UAMI e degli organi giurisdizionali comunitari, in Riv.dir.ind., I, 2006, p.252 ss; SANDRI S., La giurisprudenza comunitaria in tema di marchi non convenzionali, in Riv.dir.ind., I, 2004, p. 212;VANZETTI A., Marchi di numeri e di lettere dell’alfabeto,in Riv.dir.ind., I, 2002, p.897 ss. Sui marchi composti, cfr FRASSI P., Considerazioni sul giudizio di confondibilità fra segni composti da più elementi:esame sintetico o prospettiva analitica?, in Riv.dir.ind.,I, 2004, p.241 ss.
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Giurisprudenza comunitaria
CGCE, caso “Dyson”, C‑321/03, 25/1/2007 CGCE, caso “Sieckmann”, C-273/00, 12/12/2002 CGCE, caso “Philips”, C-299/99, 18/6/2002 CGCE, caso “Linde”, C-53/01, C-54/01 e C-55/01, 8/4/2003 TPG, caso “Deutsche SiSi-Werke”, T-146/02,T-153/02, 28/1/2004 TPG, caso “Unilever”, T-194/01, 5/3/2003 TPG, caso “Storck” T-396/02, 10/11/2004 CGCE, caso “Libertel”,C-104/01, 6/5/2003 TPG, caso “Procter and gamble”, (Cause riunite T-241/05, da T-262/05 a T-264/05, T-346/05, T-347/05, da T-29/06 a T-31/06) 23/5/ 2007 CGCE, caso “Mag Instrument”. C-136/02, 7/10/2004 CGCE, caso “Eurocermex”, C-286/04 P, 30/6/2005
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Grazie dell’attenzione
Fine della V lezione Grazie dell’attenzione
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