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GUGLIELMO DI OCKHAM
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La Via moderna La base filosofica dell’origine della modernità secolarizzata. Semplificazioni aprioristiche da rifiutare: i nominalisti negano l’esistenza di una natura umana comune, ergo negano la legge naturale. Ma tutti i grandi maestri nominalisti riconoscono, affermano e utilizzano il concetto di diritto naturale Evoluzione del diritto naturale che prosegue quella iniziata dal volontarismo realista. Non è un sistema, ma piuttosto una mentalità che ha prodotto sfiducia nei sistemi e nelle grandi sintesi. “Monografie” ed analisi dettagliate di problemi circostanziati; casistica; i “trattati” come collezioni di dicta spesso non molto coerenti tra loro. La morale rinuncia a complesse visioni sulla natura, il bene, la legge, la coscienza, per diventare una macchina di precisione, destinata a fornire la risposta a tutte le questione formulate talvolta senza ordine e senza alcuna introduzione o conclusione d’insieme.
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Guglielmo di Ockham Fino al 1324: studio accademico dei problemi teologici e filosofici; dal 1328 in poi: lotta politico-religiosa. Sviluppa una teoria del diritto naturale soltanto nelle opere politiche e non usa quest’espressione nelle opere teologiche. Un pensiero all’origine della modernità, in cui però rivivono i fermenti dell’anti-naturalismo bonaventuriano e della de-naturalizzazione del diritto naturale scotista. De Lagarde, Villey, Bastit: frattura nella storia del pensiero giuridico, con l’abbandono della prospettiva classica della legge naturale e la sua sostituzione con il giusnaturalismo moderno, fondato sul riconoscimento dei diritti individuali. Boehner, Clark, Tierney, Kilcullen, Ghisalberti: la teoria giuridico-politica di Ockham non è individualistica; il volontarismo è controbilanciato da un potente razionalismo; non è possibile dedurre le sue posizioni etico-giuridiche dalla sua metafisica o dalla sua epistemologia. Tuck, McGrade, non ci sarebbe rapporto tra la metafisica e la dottrina etico-giuridica: questa sarebbe una mera riedizione di concetti già elaborati nel XII e XIII secolo, in funzione della congiuntura polemica in cui si trovava ad operare.
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Opere teologiche: un mondo di singoli
Le idee divine all’origine della lex aeterna (da Agostino); la natura come essenza dinamica che si incarna nei molteplici individui pur rimanendo unica in se stessa all’origine della lex naturalis (da Aristotele). Il Dio di Ockham è invece assolutamente semplice; la realtà degli universali è cancellata dalla sua essenza, che è completa e impenetrabile autonomia. Le idee divine non ci sono d’aiuto: non le conosciamo. Conosciamo gli individui concretamente esistenti e non una qualche essenza super-individuale. Questo mondo di singoli è un mondo di unici: ciascuno si trova in una situazione che non è mai esistita prima né mai sarà possibile ripetere: è un assoluto. Non c’è possibilità di affermare un legame tra le cose, all’infuori della loro relazione spaziale; il principio di causalità viene pertanto reso assai difficilmente spiegabile. L’ordine dell’universo è puramente fattuale, un caleidoscopio senza lex aterna (qua iustum est ut omnia sint ordinatissima).
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Opere teologiche: senza finalismo
Dal punto di vista filosofico, gli agenti naturali operano in modo deterministico, mentre gli uomini agiscono in modo libero e spontaneo; tutto questo sarebbe impedito dal finalismo. La fede afferma che c’è un finalismo nel mondo, ma questo dipende dall’assoluta libertà divina, che in ogni istante potrebbe modificare l’ordine e il dinamismo dell’universo. Per san Tommaso l’ordine dei precetti della legge naturale si fonda sull’ordine delle inclinazioni naturali, ciò appare posto completamente fuori gioco nella prospettiva di Ockham, che porta alle estreme conseguenze la ribellione francescana al naturalismo aristotelico e al determinismo averroista. La libertà è potere di causare o non causare indifferentemente un effetto, senza che alcun cambiamento avvenga nel potere stesso. Dio de potentia absoluta, avrebbe potuto creare un altro ordine ed in ogni momento potrebbe cambiare l’ordine esistente. Non si può tuttavia parlare di arbitrio divino, perché Dio agisce sempre secondo la sua perfetta sapienza perfetta ed in modo assolutamente razionale.
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Opere teologiche: il bene
Bene è ciò che Dio vuole, per il semplice fatto che Dio lo vuole. La morale è una dimensione dell’uomo, anch’essa dunque contingente. L’uomo è dotato di determinate inclinazioni naturali, ma possiede anche le inclinazioni opposte e, d’altra parte, è caratterizzato dalla libertà, che lo pone al di sopra delle determinazioni naturali. Tra la libertà divina e la libertà umana, nell’orizzonte della contingenza, non può esistere alcun ponte all’infuori dell’obbligazione che Dio impone. Ciò che Dio comanda, è perfettamente razionale, ma l’uomo non può comprenderne razionalmente la motivazione. Il primo precetto di Dio afferma che dobbiamo obbedire alla retta ragione e il primo precetto della retta ragione dice che dobbiamo obbedire a Dio: tra questi due criteri non ci può essere conflitto di sorta. La recta ratio, dunque, guida l’azione perché indica alla volontà ciò che è bene, ossia ciò che è comandato da Dio: rappresenta la voce di Dio in noi.
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Opere teologiche: la scienza morale
La ragione conosce i comandi divini anzitutto tramite la Rivelazione, fondamento della morale positiva. Ma percepisce anche i principii autoevidenti dell’ordine pratico. Dunque oltre alla scienza morale positiva, vi è posto per una scienza morale dimostrativa, basata sui principii primi, l’esperienza e la deduzione di conclusioni tramite ragionamento. In forza di essi, un pagano sarà consapevole di non dover uccidere o commettere adulterio e un filosofo, potrà anche addurne le ragioni Tuttavia atti come l’adulterio o il furto hanno valore negativo in forza di un comando divino, di cui la recta ratio umana riporta l’eco, ma avrebbero valore differente – e la recta ratio lo attesterebbe – se Dio avesse stabilito il contrario. Dunque i principii della morale dimostrativa non hanno la loro ultima radice nella natura umana (non è una morale naturale), ma solo nel comando divino, fedelmente trasmesso dalla recta ratio (è una morale razionale). De potentia absoluta, Dio potrebbe mutare il valore morale di un’azione, con un comando di segno opposto; però non potrebbe mai cambiare i principii auto-evidenti sulla base dei quali gli stessi comandi divini vengono conosciuti, né le condizioni necessarie dell’atto virtuoso.
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Opere politiche La morale dimostrativa si richiama esplicitamente al diritto naturale. Opus nonaginta dierum (controversia avignonese sulla povertà): distingue tra ius fori (diritto positivo, esplicitamente promulgato dall’autorità umana o da Dio stesso) e ius poli (l’equità naturale che è conforme alla retta ragione). Questo diritto è chiamato talvolta ius naturale, giacché ogni ius naturale attiene allo ius poli. Talvolta è chiamato ius divinum giacché molte cose sono conformi alla retta ragione assunta a partire da cose rivelateci da Dio. Breviloquium de potestate papae: “equità naturale” può significare ciò che è conforme alla recta ratio – che, in quanto recta, non può mai essere falsa (ed in questo senso corrisponde al diritto naturale) ciò che deve essere osservato da tutti coloro che hanno uso di ragione, a meno che non sopravvenga una circostanza particolare che ne renda impossibile l’osservanza. Stretta connessione tra equità naturale, diritti e retta ragione, al punto da affermare – con la migliore tradizione – che ogni legge positiva che contrasti l’equità naturale è nulla e vuota. Il diritto naturale come fondamento dell’attività legislatrice umana.
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Il diritto naturale nel Dialogus
Ciò che è conforme alla retta ragione: in nullo caso fallit: Es. i 10 comandamenti: non si danno eccezioni e solo Dio può dispensarne. Ciò che è conforme all’equità naturale e corrisponde allo stato di natura: poiché gli uomini non vivono secondo ragione, può essere modificato in base a motivazioni razionali appropriate. Es. la comunanza dei beni e la condizione libera di ciascuno (non nel 1° modo – perché la proprietà sarebbe illecita – ma nel 2° perché conseguenza del peccato). Ciò che viene stabilito dal diritto delle genti o dal diritto positivo in modo consensuale. Es. la restituzione delle cose prestate o la legittima difesa sono invece diritto naturale ex suppositione, giacché si suppone la volontà di stabilire questi principii da parte di tutti gli interessati. “Contrattualismo” ante litteram nel ‘3’, ma è sempre la recta ratio a fungere da criterio per il diritto. E’ però sempre il comando divino a far sussistere il diritto naturale in tutte le sue dimensioni. Ogni diritto naturale è un diritto divino e – come insegnavano già i Decretisti dei secoli precedenti – è contenuto, esplicitamente o implicitamente, nelle sacre Scritture. Scoto aveva a tal punto de-naturalizzato la concezione del diritto, da renderne in concetto disponibile anche in un quadro nominalista.
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