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PubblicatoDorothée Brunet Modificato 6 anni fa
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Il Neorealismo daniela contrada –
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Il Neorealismo Dopo il soggettivismo e l’intimismo prevalenti negli anni Trenta, intorno agli anni Quaranta, si manifesta in alcuni scrittori un atteggiamento critico rispetto alla chiusura nei confronti della società: gli intellettuali devono uscire dalla posizione di isolamento dalla realtà e proporre nuove tematiche sociali con un linguaggio accessibile a tutti. Questa spinta degli scrittori italiani a farsi interpreti dei problemi del popolo sfocia nel movimento del Neorealismo, che, tra il 1945 e il 1950, dà luogo a una vasta produzione letteraria che intende rappresentare la realtà in tutti i suoi aspetti, positivi e negativi, attraverso un linguaggio semplice e popolare, che si avvicina al parlato delle singole regioni. Nell’immediato dopoguerra, scrittori, registi e artisti sentono di dover contribuire con il loro impegno politico e sociale e le loro opere alla ricostruzione materiale e spirituale del Paese. I temi più trattati sono infatti: la guerra, la lotta partigiana e le misere condizioni di vita di operai e contadini. Tra gli scrittori più significativi, molti dei quali partecipano attivamente alla lotta partigiana, ci sono: Renata Viganò, Beppe Fenoglio, Elio Vittorini, Ignazio Silone, Primo Levi, Cesare Pavese, Albero Moravia e il primo Italo Calvino. Tra i registi ricordiamo: De Sica, Rossellini e Visconti.
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sulle caratteristiche principali
Facciamo il punto sulle caratteristiche principali Coinvolgimento di tutte le arti. Centralità dell’impegno sociale e civile dell’intellettuale. Temi trattati: guerra, lotta partigiana, povertà, lotta operaia, emigrazione, emarginazione ecc. Critica dell’arte della forma pura (Ermetismo e Decadentismo). Prosa sintetica, asciutta, sull’esempio di autori americani quali Faulkner, Steinbeck ed Hemingway. Linguaggio non letterario, vicino al parlato, e uso del dialetto. Adozione di generi letterari nuovi, come cronaca, documento, poesia corale anti ermetica (es. Rocco Scotellaro).
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I temi: la guerra e i suoi orrori
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Alberto Moravia Alberto Moràvia, pseudonimo di Alberto Pincherle, nasce nel 1907 a Roma dove muore nel Esordisce nel 1929 con il romanzo Gli indifferenti, che, con un realismo provocatorio, illustra, attraverso la storia di una famiglia, la decadenza morale della borghesia sotto il fascismo. Il romanzo, osteggiato dal regime fascista, è oggi considerato un’opera capitale della letteratura italiana, alla quale ha impresso una svolta in senso realista, in anticipo rispetto all’affermazione del Neorealismo. Il rapporto tra purezza e corruzione e l’osservazione delle trasformazioni sociali tornano in molte opere. In alcune, come La ciociara del1957, la purezza tradita si incarna in personaggi socialmente deboli, estranei alla logica del compromesso o del cinismo. L’efficacia della rappresentazione aumenta quando Moravia non rappresenta la deprivazione morale e culturale dell’individuo, ma quella di un'intera società, come in Racconti romani del Collaboratore del «Corriere della sera» e di altri periodici, nel 1953, fonda e dirige, fino alla morte, la rivista «Nuovi argomenti». Deputato al Parlamento europeo, mostra un costante bisogno di confrontarsi con i problemi della società contemporanea che trova esito anche nel teatro e nelle prose giornalistiche e saggistiche raccolte in volumi di successo.
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«La ciociara»: dal libro al film
La protagonista Cesira, donna del popolo, narra in prima persona, il suo linguaggio è aderente alla sua esperienza. La voce dell’autore non si sovrappone mai alla sua, considerazioni e giudizi appartengono solo a lei. Cesira è una contadina originaria della Ciociaria (basso Lazio), trasferitasi a Roma dopo il matrimonio con un salumiere più anziano di lei, anche se fortemente attaccata alla «roba», nel fondo è onesta. Ormai vedova, segue con amore la figlia Rosetta, un’adolescente timida e riservata. Nel 1943, madre e figlia sono costrette, a causa della guerra, ad abbandonare Roma e a trascorrere un anno a Sant’Eufemia, vicino al fronte del Garigliano. Dopo l’arrivo degli Alleati, le due donne si separano dal gruppo di sfollati e un soldato inglese le accompagna in macchina al paese di Cesira. Il paese è deserto e le due donne decidono di riposarsi nella chiesa abbandonata, dove vengono sorprese e aggredite da alcuni soldati marocchini, in Italia al seguito degli alleati francesi. Più tardi Cesira rinviene e teme che Rosetta sia morta, avvicinandosi, si accorge che è viva e l'aiuta a rialzarsi, ma Rosetta quasi non reagisce. Le due donne si allontanano dal paese, ma Rosetta si mostra sempre più silenziosa, apatica e indifferente: il suo carattere è cambiato radicalmente. L’opera descrive due atti di violenza: uno collettivo, la guerra e l'altro individuale, lo stupro. Eventi traumatici in seguito ai quali si verificano profondi cambiamenti: la violenza determina il passaggio da uno stato di innocenza ad un altro di nuova e amara consapevolezza.
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«La ciociara» Il film di Vittorio De Sica
Descrivi il personaggio di Cesira. Perché Cesira è molto protettiva nei confronti della figlia? Perché abbandona Roma? Com’è la vita in Ciociaria? Come mai decide di fare ritorno a Roma? Descrivi il personaggio di Rosetta. Quali sono le scene in cui manifesta la sua timidezza? Descrivi il personaggio di Michele. Come si comportano i soldati americani a cui Cesira racconta lo stupro? Come è descritto l’ambiente in cui si svolge il film.
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Temi: la Resistenza Approfondimento: donne e lotta partigiana.
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Renata Viganò Nasce a Bologna il 17 giugno 1900, sogna di fare il medico e ama la letteratura, scrittrice precoce, ad appena tredici anni, pubblica la prima raccolta di poesie: “Ginestra in fiore”. A causa di ristrettezze economiche, è costretta ad interrompere il liceo e a lavorare come infermiera, continua però a coltivare la passione per la letteratura e a scrivere su molti giornali. Dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943 avviene una svolta importante nella sua vita: partecipa, con il marito e il figlio, alla lotta partigiana nelle valli di Comacchio e in Romagna, come infermiera e staffetta garibaldina, nonché collaborando con la stampa clandestina. Di questa esperienza sono permeate le sue opere, in particolare, il romanzo “L’Agnese va a morire”, edito nel 1949 da Einaudi, con il quale vince il premio Viareggio e dal quale il regista Giuliano Montaldo trae poi l’omonimo film. Sempre sul tema della Guerra di liberazione, ricordiamo la raccolta di racconti “Donne della Resistenza” del 1955, ventotto ritratti di antifasciste bolognesi cadute e “Matrimonio in brigata”, del 1976, anno in cui la scrittrice scompare. Due mesi prima della morte le viene assegnato il premio giornalistico "Bolognese del mese", per il suo stretto rapporto con la realtà popolare della città.
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«L’Agnese va a morire» Trama:
La lavandaia Agnese vive con il marito Palita, un uomo indebolito da una malattia cronica, costretto in casa senza fare sforzi fisici: il suo unico lavoro è intrecciare ceste di vimini. Palita è tuttavia un uomo politicamente impegnato, un comunista, in contatto con i partigiani. Un giorno viene catturato dai nazisti, forse a causa di una soffiata dei vicini di casa, perché la sera prima aveva ospitato un disertore italiano. Qualche giorno dopo la cattura, un amico di Palita, riuscito a fuggire dalla camionetta tedesca, annuncia ad Agnese la morte del marito. Agnese resta sola con la gatta di Palita ed un odio profondo nei confronti dei nazisti. Inoltre, la vicina di casa e le figlie, che amoreggiano coi soldati tedeschi, non l’aiutano. Una sera, uno di questi soldati tedeschi, Kurt, dopo aver bevuto, spara per divertimento alla gatta. Agnese allora lo colpisce in testa col fucile e, credendolo morto, fugge nascondendosi presso una famiglia di partigiani, diventa così l'organizzatrice delle staffette. Ma proprio quando gli inglesi stanno per sconfiggere i nazisti, Agnese viene trattenuta dai tedeschi e, riconosciuta da Kurt, viene uccisa.
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La pioggia e la nebbia si cambiarono in neve, il rumore dell’acqua morì in un grande silenzio. La neve veniva giù dal cielo bianco, si fermava sugli alberi, sui tetti, si scioglieva nei canali, cancellava le Cavedagne, era una cosa pesante, monotona, infingarda, una scusa offerta a chi non aveva voglia di muoversi. I tedeschi stavano intorno ai fuochi delle cucine, scherzavano con le ragazze, si ubriacavano e dormivano. Un ordine li faceva balzare in piedi, infilavano i lunghi cappotti di panno, quando erano fuori in quel bagliore bianco e gelido diventavano più cattivi, avevano desiderio di ammazzare per scaldarsi. Ma per le strade non c’era quasi nessuno. Qualche donna con la testa fasciata dallo scialle, degli uomini rari, con l’aspetto affaticato ed innocuo. I tedeschi non sapevano che fra quegli uomini e quelle donne, in giro fra la neve, molti, quasi tutti, erano partigiani. Staffette inviate con un ordine nascosto nelle scarpe, dirigenti che andavano alle riunioni nelle stalle dei contadini, capi che preparavano l’azione dove nessuno l’aspettava. La forza della resistenza era questa: essere dappertutto, camminare in mezzo ai nemici, nascondersi nelle figure più scialbe e pacifiche. Un fuoco senza fiamma né fumo: un fuoco senza segno. I tedeschi e i fascisti ci mettevano i piedi sopra, se ne accorgevano quando si bruciavano.
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Analisi: Agnese è una persona reale, Renata Viganò la conosce quando il marito viene catturato dalle SS; diventano compagne di lotta e, finita la guerra, la Viganò trasforma l’esperienza vissuta in un romanzo. Le due donne sono diverse in tutto, giovane intellettuale l'una, anziana contadina l'altra, ma accomunate dalla guerra e dal fatto di combattere dalla stessa parte. Il romanzo è un importante esempio di letteratura della testimonianza. Scritto a breve distanza dagli avvenimenti, narra i fatti con crudele realismo. Il significato della Resistenza trova voce nel percorso psicologico della protagonista, Agnese, che da una vita tranquilla accanto al marito passa a una vita piena di rischi come collaboratrice dei partigiani. L'ambiente descritto è quello cupo, freddo e nebbioso delle valli di Comacchio in inverno. I personaggi sono caratterizzati semplicemente dalle loro azioni; la narrazione si sviluppa attraverso la descrizione dei problemi che i partigiani devono affrontare quotidianamente. I partigiani rappresentano “i buoni”, si riuniscono da amici, hanno l’appoggio della gente comune, sfuggono con furbizia al controllo e raggiungono i loro obiettivi. Di contro i nemici tedeschi si ubriacano, si addormentano e balzano in piedi per un ordine ricevuto e non per un reale credo, sono “i cattivi” che ammazzano per scaldarsi, nel romanzo la ferocia della guerra è un tratto che appartiene solo ai nemici. «L'Agnese va a morire» nasce dall'esigenza di un popolo di raccontare immediatamente le atrocità commesse da un nemico invasore, perciò i fatti narrati rappresentano un documento più che una critica storica. Il vero protagonista del romanzo è il popolo, la forza collettiva, di cui Agnese è simbolo, una forza istintiva, destinata a resistere oltre il sacrificio dei singoli individui. Nel romanzo viene celebrato il mondo popolare, visto come depositario di un’originaria integrità morale.
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Quale dei tre lavori svolge Agnese?
Sarta Lavandaia Contadina Dopo la morte del marito, Agnese resta sola con … un nipote un cane un gatto
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Il romanzo "L’Agnese va a morire" è fortemente autobiografico.
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Agnese è un personaggio di pura invenzione.
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Valli di Comacchio Emilia Romagna
La partigiana Renata Viganò partecipa alla Resistenza con il ruolo di tenente. Dove? Valli di Comacchio Emilia Romagna
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Si tratta di una analisi dei fatti oggettiva?
Chi sono “i buoni” e “i cattivi” nel romanzo? I partigiani sono “i buoni” i soldati tedeschi sono “i cattivi” Si tratta di una analisi dei fatti oggettiva? no
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Chi è la vera forza della Resistenza?
Il popolo
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Quale delle affermazioni di seguito riportate è corretta?
Nel romanzo c’è una rappresentazione celebrativa delle donne. Nel romanzo c’è una rappresentazione celebrativa della guerra. Nel romanzo c’è una rappresentazione celebrativa del popolo. Nel romanzo non c’è una rappresentazione di luoghi reali. Nel romanzo non c’è una rappresentazione di fatti reali.
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Elio Vittorini Nasce nel 1908 a Siracusa e trascorre l’infanzia in giro per la Sicilia, al seguito del padre ferroviere, sebbene appassionato di letteratura, compie studi tecnici. Giovanissimo si trasferisce in Venezia Giulia, svolge diversi lavori e pubblica le prime opere e vari articoli. Nel 1930 si stabilisce a Firenze, diventa redattore di «Solaria» e collabora con altre riviste letterarie, frequenta gli ambienti del fascismo “di sinistra”, dove si rimproverava al fascismo ufficiale l’abbandono delle sue radici antiborghesi e rivoluzionarie. Nel 1936, allo scoppio della guerra civile spagnola, deluso per il sostegno di Mussolini a Franco, si schiera con i repubblicani, avvicinandosi ai gruppi comunisti clandestini. Nel 1938 si trasferisce a Milano, dove lavora per diversi editori, alternando all’attività di narratore quella di traduttore di autori inglesi e americani. Con Pavese cura l’antologia «Americana», pubblicata da Bompiani nel 1941.
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Elio Vittorini Durante la guerra collabora con il partito comunista e viene arrestato, dopo l’8 settembre partecipa alla Resistenza e lavora per la stampa clandestina. Dopo la Liberazione scrive romanzi di impronta neorealista e dirige l’edizione milanese del quotidiano «L’Unità». Nel 1945 fonda per Einaudi «Il Politecnico», una rivista aperta a tutte le forme di letteratura, anche di ispirazione irrazionalista, per questa apertura, Vittorini, che non vuole subordinare la letteratura alle esigenze della politica, si scontra con i dirigenti comunisti. La pubblicazione viene chiusa e Vittorini esce dal Partito comunista. Negli anni Cinquanta, dirige per Einaudi la collana «I Gettoni», che fa conoscere nuovi narratori, tra cui Beppe Fenoglio, e, nel 1959, fonda e dirige con Calvino la rivista «Il Menabò», con la quale avvia il dibattito sullo sperimentalismo degli anni Sessanta. Negli ultimi anni continua la sua attività editoriale per Einaudi e per Mondadori. Muore a Milano nel 1966.
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«Uomini e no» 1945 Trama: Ispirato alle esperienze personali dello scrittore, il romanzo tratta il tema della lotta partigiana. Dopo la fuga da Roma del re e del governo, i tedeschi hanno occupato l’Italia settentrionale. Milano vive sotto l’incubo dei rastrellamenti guidati da Cane Nero, crudele capo fascista sempre armato di scudiscio. Il protagonista, indicato con il nome di battaglia Enne 2, travagliato da un amore impossibile per Berta, una donna sposata, appartiene ad un gruppo di partigiani, i Gap (Gruppi di Azione Patriottica), che agiva nella città occupata, compiendo azioni di guerriglia contro i nazifascisti e colpendo obiettivi strategico-militari. Enne 2 è ricercato perché con un gruppo di uomini ha organizzato diverse azioni. Sorpreso e circondato nel suo nascondiglio, non fugge ma uccide Cane Nero e poi cade sotto il fuoco nemico. La sua scelta lascia agli altri sopravvissuti la speranza della Liberazione.
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«Uomini e no» 1945 Analisi: Il romanzo, ambientato a Milano nell’inverno del 1944, si colloca nel clima del Neorealismo, ma è lontano dai toni celebrativi: scritto quasi contemporaneamente ai fatti narrati, riflette i dubbi sugli esiti della lotta partigiana. Per Vittorini la cultura deve farsi azione politica, deve contribuire al progresso dell’umanità, ma in modo diverso dalla politica, dalla quale deve restare indipendente. Il titolo «Uomini e no» indica che nell’uomo ci sono molte dimensioni e non che l’umanità si divide in due, tra umana e inumana. La narrazione si articola su due piani: l’uso della terza persona, che dà agli eventi un tono più realistico, riguarda la narrazione delle azioni dei partigiani, delle rappresaglie tedesche, la lotta di Enne 2 e il suo impegno per il bene comune. Gli interventi del narratore in prima persona e il dialogo diretto con il protagonista (riportati graficamente in corsivo) contrappongono invece l’esperienza della guerra all’amore per Berta. Lo stile incisivo e secco ricalca quello degli scrittori americani, e in particolare di Ernest Hemingway.
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Altre opere «Il garofano rosso», uscito a puntate su «Solaria» tra il 1933 e il 1936, è ambientato negli anni dell’ascesa del fascismo e riflette la crisi ideologica dello scrittore, che di lì a qualche anno passerà all’opposizione. Nel romanzo si narra della formazione di un giovane studente della borghesia siciliana, delle sue esperienze amorose, del suo rifiuto del conformismo borghese. Siamo nel 1924, anno in cui il deputato socialista Matteotti, dopo un discorso alla Camera di denuncia delle violenze e dei brogli elettorali del regime, viene rapito e assassinato. L’episodio provoca indignazione nella borghesia moderata e nel movimento operaio, che si mobilita con gli scioperi. Il protagonista, schierato con la “rivoluzione” fascista, si oppone al moderatismo borghese ma si rende conto, nel contempo, che esiste una umanità lavoratrice offesa e sogna un mondo migliore. «Erica e i suoi fratelli», del 1936, è la storia di un’adolescente costretta dalla povertà alla prostituzione, che vede i suoi ideali infrangersi contro il male del mondo e la cattiveria degli uomini.
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Beppe Fenoglio Beppe Fenoglio nasce ad Alba nel 1922, vive quasi tutta la sua vita sulle colline piemontesi delle Langhe. Le sue opere sono ispirate al mondo contadino delle Langhe e alla lotta partigiana. La sua adesione al Neorealismo è evidente sia nei temi trattati, sia nelle sue scelte linguistiche, efficacemente adattate all’ambiente, di cui adotta molte espressioni popolari, che sembrano quasi una trascrizione del parlato. Tra le sue opere più significative ricordiamo: “I ventitré giorni della città di Alba”, “Il partigiano Johnny”, “Una questione privata” e “La malora”.
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«I ventitré giorni della città di Alba»
È il racconto che ha intitolato l’omonima raccolta di Beppe Fenoglio ed è considerato uno dei testi più significativi tra quelli ispirati alla Resistenza antifascista durante la Seconda guerra mondiale, in esso viene rievocato un episodio drammatico legato alla lotta combattuta dai partigiani nelle Langhe piemontesi: I ventitré è giorni che intercorsero tra la liberazione di Alba, la piccola città “capitale” delle Langhe, ad opera dei partigiani, e la sua perdita a causa del ritorno dei fascisti (10 ottobre - 2 novembre 1944). Tra quei partigiani c’era anche lo scrittore, che è dunque testimone dei fatti narrati.
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Metti in relazione gli autori e le opere:
Alberto Moravia Il sentiero dei nidi di ragno Renata Viganò Uomini e no Elio Vittorini Racconti romani Beppe Fenoglio Matrimonio di brigata Italo Calvino Il partigiano Jonny
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CINEMA
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Metti in relazione i registi e i film:
Roberto Rossellini Ladri di biciclette Carlo Lizzani Rocco e suoi fratelli Luchino Visconti Roma città aperta Giuseppe De Santis Achtung! Banditi! Vittorio De Sica Riso amaro
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ARTE NEOREALISTA RENATO GUTTUSO
“Got mit Uns” è un’intensa e tragica testimonianza artistica della lotta partigiana, si tratta di una serie di disegni e acquerelli pubblicati da Guttuso in un libro nel “Got mit Uns” (Dio è con noi) era la scritta incisa sulla fibbia delle cinture dei soldati nazisti e moltissimi combattenti per la libertà la lessero pochi istanti prima di morire. I disegni del ciclo celebrano la lotta partigiana e allo stesso tempo rappresentano anche l’impegno politico dell’artista, che intese la Resistenza come strenua opposizione a tutto ciò che ostacola la libertà d’espressione. ARTE NEOREALISTA RENATO GUTTUSO
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