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PubblicatoFlavio Serafini Modificato 5 anni fa
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BOCCACCIO “Mentre i contadini generalmente assegnano un gallo a dieci galline, dieci uomini sono a malapena sufficienti per soddisfare una donna.”
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LA VITA E LA FORMAZIONE NEGLI ANNI NAPOLETANI
Giovanni Boccaccio nacque nel 1313 probabilmente a Certaldo o forse a Firenze, figlio illegittimo del mercante Boccaccino. Nel 1327 Boccaccino si recò a Napoli in quanto socio della potente banca fiorentina dei Bardi. A Napoli Boccaccio ebbe un’importanza fondamentale nella sua crescita infatti nella sua pratica al banco veniva quotidianamente a contatto con una varietà di persone che confluivano nella grande città. In questi anni napoletani si afferma in Boccaccio anche la vocazione letteraria. Alla letteratura Boccaccio si accosta con l’avidità che è propria dell’autodidatta. In primo luogo subisce il fascino della tradizione cortese e dei romanzi cavallereschi. Ma sotto lo stimolo di alcuni dotti personaggi della corte angioina comincia ad affermarsi in lui anche la devozione per i classici latini.
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IL RITORNO A FIRENZE Nel 1340 a causa della crisi della banca dei Bardi, Boccaccio è costretto a tornare a Firenze. Alla festosa vita cortese napoletana subentra il grigiore opprimente di una vita borghese, segnata dalle ristrettezze economiche. Nel 1348 vive l’esperienza della peste che dopo aver colpito tutta l’Europa arriva a flagellare anche Firenze, e ne trae spunto per la cornice narrativa in cui inserirà le cento novelle del suo capolavoro, il Decameron. Negli ultimi anni un’importante evoluzione spirituale si verifica in Boccaccio. E’ determinante per lui l’amicizia con Petrarca. Sotto l’influenza di Petrarca che egli considera suo maestro, Boccaccio e spinto a concepire una devozione entusiastica per i classici coltivando una tipo di letteratura più solenne e moralmente impegnata. Nel 1362 Boccaccio si ritira a Certaldo dove conduce una vita appartata, dedita allo studio e alla meditazione. La morte lo coglie il 21 dicembre 1375.
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LE OPERE DEL PERIODO NAPOLETANO
LA CACCIA DI DIANA E IL FILOSTRATO La prima opera è la caccia di Diana, un poemetto in terzine risalente al Le ninfe seguaci di Diana, casta dea della caccia, si ribellano alla dea e offrono le loro prede a Venere, che trasforma gli animali in bellissimi uomini. Alla base del poemetto vi è dunque il basilare principio cortese secondo cui l’amore è fonte di ingentilimento e di elevazione. La prima opera d’impegno è composta dal Filostrato. Si tratta di un poemetto scritto in ottave, il metro tipico dei cantari popolari. Boccaccio ricava il suo argomento dalla narrativa medievale in lingua d’oil e più esattamente da un romanzo del ciclo classico, il Roman De Troie. Boccaccio presenta le vicende di personaggi del mito omerico con vesti e psicologie feudali e cavalleresche.
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IL FILOCO Diverso è il carattere del Filoco, risalente forse al Il titolo vorrebbe significare «pena» o «fatica d’amore». Si tratta ancora di un opera narrativa ma in prosa. Riprende anch’essa cara al romanzo medievale francese, la storia delle peripezie di due giovani amanti già narrata in un poemetto in lingua d’oil che aveva goduto di grande successo e diffusione ed era stato ripreso da uno dei primi cantari toscani. Come lo scrittore afferma nell’introduzione all’opera, era sua intenzione dar forma letterariamente degna ai «fabulosi parlari degli ignoranti», cioè ai rozzi cantari che avevano tramandato questa materia.
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IL TESEIDA L’opera successiva è il Teseida delle nozze d’Emilia, scritto tra il e il E’ un poema in ottave ed è così intitolato perché narra le guerre del mitico re Teseo contro le Amazzoni e contro Tebe. E’ quindi nuovamente una materia medievale di armi e di amori ad essere assunta da Boccaccio, ma le ambizioni culturali sono ancora più alte che nel Filoco: il poeta si propone di dare per primo alla letteratura italiana un poema epico all’altezza dell’Eneide virgiliana. Al centro della storia ci sono le vicende di Arcita e Palemone, legati da profonda amicizia, che si innamorano ambedue di Emilia, regina delle Amazzoni e cognata di Teseo. Interessante è anche la presenza di prove di magnanimità, splendore, cortesia, rivelatore di un gusto che sarà sempre una componente centrale dell’arte di Boccaccio, soprattutto nel Decameron.
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LE OPERE DEL PERIODO FIORENTINO
LA COMEDIA DELLE NINFE FIORENTINE La comedia è una narrazione in prosa, inframmezzata da componimenti in terzine, cantati dai vari personaggi, e riprende schemi della poesia pastorale antica, popolata da stilizzati pastori e leggiadre ninfe. Il pastore Ameto incontra le ninfe dei colli fiorentini, che rappresentano allegoricamente le virtù, e grazie all’amore si trasforma da essere rozzo ed animalescho in uomo: Si vede così tornare il principio cortese secondo cui l’amore ingentilisce e raffina l’animo. L’allegoria del componimento ha un significato esclusivamente mondano. L’opera è un omaggio alla bellezza delle donne fiorentine, che traspaiono chiaramente dietro le figure delle ninfe. I racconti delle ninfe, d’altro lato, hanno già le caratteristiche di vere e proprie novelle, a volte persino comiche ed erotiche, e fanno presentire il Decameron.
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L’ELEGIA DI MADONNA FIAMMETTA
L’AMOROSA VISIONE L’Amorosa visione è invece un poema in terzine di cinquanta canti, composto nel Sotto la guida di una donna gentile, il poeta visita in sogno un castello, dove vede dipinti i trionfi della Sapienza, della Gloria, dell’Avarizia, dell’Amore e della Fortuna. La visita al castello è il pretesto per aride esposizioni erudite ed enciclopediche. L’ELEGIA DI MADONNA FIAMMETTA Al mondo dell’esperienza giovanile Boccaccio torna con un altro romanzo in prosa, l’Elegia di Madonna Fiammetta. Egli infatti narra non dal proprio punto di vista, bensì da quello di una dama napoletana abbandonata dall’amante, il giovane fiorentino Panfilo, che è tornato nella sua città e l’ha dimenticata. Fiammetta attende invano il suo ritorno, ricordando i tempi dell’amore felice, mentre si strugge per la sua passione impossibile e per la gelosia. Il tormento è accresciuto dal fatto che Fiammetta è sposata e deve nascondere al marito il vero motivo della sua infelicità. Il marito, per confortarla, la conduce proprio in quei luoghi della riviera napoletana che le ricordano la passata felicità, esaltandone la disperazione. L’opera ha la forma di una lunga lettera, rivolta alle donne innamorate ed è scritta in prosa. La donna diviene soggetto amoroso e confessa la propria passione, che è sentimentale ma anche carnale e sensuale. Agisce infatti qui una concezione naturalistica dell’amore, che è considerato non più peccato ma istinto naturale.
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IL NINFALE FIESOLANO La simpatia per la tradizione fiorentina si esprime nella sua forma più compiuta nel Ninfale fiesolano. Si tratta di un poemetto in ottave, di ambiente idillico-pastorale, che rievoca le leggendarie origini di Fiesole e di Firenze. Al centro vi è essenzialmente l’amore di due giovani, il pastore Africo e la ninfa Mensola, contrastato dalle ferree leggi imposte dalla dea Diana, che costringe le ninfe alla castità. Il poemetto risente di numerosi modelli classici. Vi è la rappresentazione di un mondo popolare, nei suoi costumi semplici e nei suoi sentimenti elementari. Anche il linguaggio e il metro hanno il ritmo facile. Quello dell’innocenza dell’amore giovanile è un tema che avrà poi molto peso nel Decameron.
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IL DECAMERON LA STRUTTURA DELL’OPERA
Il Decameron è una raccolta di cento novelle, inquadrate entro una cornice narrativa. Fu scritto probabilmente tra il 1348 e il L’autore racconta come, durante la peste una brigata di sette fanciulle e tre giovani di elevata condizione sociale decida di cercare scampo dal contagio ritirandosi in campagna. Qui i dieci giovani trascorrono il tempo tra banchetti, canti, balli e giochi e per occupare piacevolmente le ore più calde del pomeriggio decidono di raccontare ogni giorno una novella ciascuno. Tra novella e novella si inseriscono ancora i commenti degli uditori su ciò che hanno ascoltato, e ogni giornata è chiusa da una «conclusione», in cui è inserita una ballata, cantata a turno da uno dei giovani. L’esercizio del raccontare occupa dieci giorni di qui proviene il titolo dell’opera.
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IL PROEMIO E IL PUBBLICO
Il libro si apre con un Proemio che è di fondamentale importanza perché vi si delineano i motivi che domineranno nell’opera intera. Lo scrittore si preoccupa di giustificare il proprio libro e afferma il proposito di voler con esso giovare a coloro che sono afflitti da pene d’amore, dilettandoli con piacevoli racconti e dando loro utili consigli. Dal proemio si delinea così chiaramente il pubblico a cui l’opera è rivolta: le donne. Ciò individua il livello letterario a cui vuol collocarsi il Decameron: una letteratura intensa al piacevole intrattenimento di un pubblico non composto di letterati di professione anche se raffinato ed elegante.
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LA PESTE E LA CORNICE La narrazione, nell’introduzione alla I giornata, ha inizio con una lunga descrizione della peste che devasta Firenze, per trovare scampo alla quale i dieci giovani si rifugiano in campagna.
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LA FORTUNA La vita dei mercanti è sottoposta continuamente all’imprevisto, che può favorire un’iniziativa o portarla al fallimento. Propria del nuovo mondo dei traffici e degli scambi è dunque l’idea che la realtà è dominata da una forza capricciosa e imprevedibile, la Fortuna. Nella visione della società mercantile di Boccaccio, la Fortuna diviene solo un complesso accidentale di forze, non più regolato da alcuna volontà superiore: quello che noi diremmo il caso. La Fortuna è la risultante oggettiva di una serie multiforme e complessa di forze e di agenti, naturali e sociali: essa può manifestarsi attraverso i fenomeni naturali oppure attraverso il combinarsi imprevisto di azioni umane. La Fortuna può essere avversa o favorevole, può contrastare o assecondare l’agire dell’uomo.
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IL GENERE DELLA NOVELLA
Con il Decameron raggiunge la sua forma più compiuta il genere della novella, il racconto breve in prosa; anche il termine si afferma definitivamente solo nel Trecento. La novella ha le sue radici in una lunga e multiforme serie di esperienze narrative. E’ un genere che ha per fine l’intrattenimento, l’evasione, il piacere che nasce dal seguire casi avventurosi. E’ indirizzato essenzialmente ad un pubblico di non letterati, che nella lettura ricerca un’occupazione dilettevole.
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FINE ANTONIO COTONE 3L
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