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PubblicatoAlessandro Casali Modificato 6 anni fa
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PROMESSI SPOSI F. Gonin, Renzo dall'Azzecca-Garbugli CAPITOLO III
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Personaggi: Luoghi: Tempo: Temi: Trama:
Renzo, Lucia, Agnese, don Rodrigo, il conte Attilio, l'Azzecca-garbugli, la sua serva, fra Galdino Il paese di Renzo e Lucia, Lecco 8 novembre 1628, pomeriggio-sera La giustizia, La carestia, La cultura del Seicento, Nobiltà e potere Lucia racconta a Renzo e Agnese le molestie di don Rodrigo e la scommessa di questi con Attilio. Agnese consiglia a Renzo di rivolgersi all'avvocato Azzecca-garbugli. Renzo si reca nel suo studio, a Lecco, ma dopo un equivoco viene cacciato in malo modo quando fa il nome del signorotto. Intanto Lucia e Agnese ricevono fra Galdino, che racconta il "miracolo delle noci". Lucia chiede al frate di avvertire padre Cristoforo. Renzo torna a casa sconsolato.
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Il racconto di Lucia: la "scommessa" di don Rodrigo
F. Gonin, Lucia affretta il passo Lucia torna da Renzo e Agnese e, incalzata dalle loro richieste, racconta tra i singhiozzi cosa è accaduto pochi giorni prima: mentre tornava dalla filanda, era rimasta indietro dalle compagne e aveva incontrato per caso don Rodrigo, in compagnia di un altro nobile (il conte Attilio); il signorotto l'aveva importunata con parole volgari, quindi lei aveva affrettato il passo per raggiungere le compagne, sentendo don Rodrigo che diceva all'altro signore "scommettiamo". Il giorno seguente c'era stato un nuovo incontro, ma stavolta la giovane aveva tenuto gli occhi bassi ed era rimasta in mezzo alle altre ragazze; in seguito Lucia aveva raccontato tutto al padre Cristoforo, in confessione, e giustifica il suo silenzio con la madre dicendo di non aver voluto rattristarla, anche se un'altra ragione era il timore che la donna, alquanto pettegola, rivelasse la cosa in paese. Il padre Cristoforo le aveva consigliato di non uscire e di affrettare le nozze, motivo per cui lei aveva pregato Renzo di accelerare le pratiche (nel dire questo non può evitare di arrossire). Lucia scoppia in lacrime e Renzo inveisce contro don Rodrigo, manifestando propositi bellicosi che però la giovane sopisce subito invitando il giovane a confidare in Dio. Lucia propone addirittura di lasciare il paese, ma Renzo le ricorda che non sono sposati e ciò creerebbe infiniti problemi; quanto a don Abbondio, non c'è da sperare che celebri il matrimonio o li agevoli in questa decisione.
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Renzo va dall'Azzecca-garbugli
F. Gonin, Renzo e i capponi I tre restano in silenzio, finché Agnese ha un'idea e consiglia a Renzo di andare a Lecco, per rivolgersi a un dottore in legge che tutti chiamano Azzecca-garbugli e che la donna descrive come un uomo alto, magro, pelato, col naso rosso e una voglia di lampone sulla guancia. Agnese raccomanda a Renzo di non chiamarlo col suo soprannome e gli suggerisce di portargli come offerta i quattro capponi che avrebbe dovuto cucinare per il banchetto nuziale della domenica. Il giovane accetta di buon grado e, presi i capponi, si reca subito nella vicina cittadina di Lecco, camminando di buon passo e dimenando le povere bestie che tiene per le zampe, le quali si beccano tra loro come di solito fanno i compagni di sventura. Giunto a Lecco, Renzo si fa indicare la casa dell'avvocato e qui viene accolto dalla serva in cucina, alla quale consegna i capponi non senza qualche esitazione (il giovane vorrebbe addirittura darli al dottore in persona). Compare poi l'Azzecca- garbugli, che accoglie Renzo nel suo studio dopo che il giovane si è prodotto in un profondo inchino.
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Colloquio tra Renzo e l'avvocato: l'equivoco
F. Gonin, Renzo e l'avvocato Lo studio dell'avvocato è una grande stanza, che su tre pareti mostra i ritratti dei dodici Cesari mentre la quarta è occupata da uno scaffale pieno di libri impolverati; in mezzo c'è un tavolo con sopra gride e documenti accatastati alla rinfusa, circondato da qualche sedia e dalla poltrona dell'avvocato, alquanto consunta dall'uso e dal tempo. Il dottore indossa una toga anch'essa sgualcita dal tempo, che contribuisce a dare all'ambiente un carattere di trascuratezza e disordine. L'Azzecca-garbugli chiede a Renzo quale sia il suo caso e il giovane gli domanda, con qualche esitazione, se chi minaccia un curato perché non celebri un matrimonio può incorrere in una pena. L'avvocato cade in un equivoco e pensa che Renzo sia un bravo, quindi gli dice di aver fatto bene a rivolgersi a lui e si alza, cercando qualcosa tra i documenti sul tavolo. Dopo un po' trova una grida, datata 15 ottobre 1627, e inizia a leggerla invitando Renzo a seguirlo (il giovane dice di saper leggere "un pochino"): la grida commina pene assai severe a coloro che minacciano un curato per non celebrare un matrimonio, al che Renzo si mostra soddisfatto e felice che la legge preveda il caso che lo riguarda. Il dottore, che lo crede un malfattore, è stupito della sua calma e gli dice che ha fatto bene a tagliarsi il ciuffo, cosa che ovviamente Renzo smentisce affermando di non averlo mai portato in vita sua, cioè di non essere un bravo. A questo punto l'Azzecca- garbugli si irrita e, credendo che Renzo voglia farsi beffe di lui, lo invita a dire tutta la verità perché solo in questo modo l'avvocato potrà tirarlo fuori dai guai: gli prospetta poi il modo in cui lo assisterà, ovvero invocando la protezione del signore che lo ha incaricato di eseguire le minacce, comprando testimoni, minacciando a sua volta lo sposo offeso e il curato, facendo cioè capire a Renzo che un abile leguleio è in grado di manipolare la giustizia e farsi beffe della legge, assicurando l'impunità ai colpevoli e negando alle vittime il riconoscimento dei propri diritti.
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Renzo viene cacciato dall'Azzecca-Garbugli
L'avvocato caccia Renzo (ediz. 1840) Renzo continua ad ascoltare l'avvocato come inebetito, poi comprende l'equivoco in cui è caduto l'Azzecca-garbugli e svela finalmente la verità, affermando di non essere un colpevole ma la vittima, e di non aver minacciato nessuno in quanto è lui la parte lesa nel mancato matrimonio. Il dottore lo rimprovera per la poca chiarezza, quindi il giovane racconta per sommi capi la sua vicenda (il fidanzamento con Lucia, le nozze rimandate, il modo in cui ha fatto confessare il curato...), ma quando fa il nome di don Rodrigol'avvocato lo interrompe e inizia a storcere la bocca. L'Azzecca-garbugli non vuole sentire altro da Renzo e lo accusa di raccontar fandonie, invitandolo ad andarsene subito dalla sua casa: lo caccia via senza sentir ragioni, ordinando addirittura alla serva di restituirgli i capponi, cosa che la domestica fa guardando il giovane come se avesse combinato qualche grosso guaio. Renzo tenta ancora di difendere le sue ragioni, ma l'avvocato è irremovibile e al giovane non resta che andarsene sconsolato, per tornare al paese dalle due donne.
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Fra Galdino va a casa di Agnese e Lucia
F. Gonin, Fra Galdino Nel frattempo Agnese e Lucia, dopo essersi tolto l'abito della festa e aver indossato quello da lavoro, stanno pensando al da farsi e Lucia vorrebbe avvertire il padre Cristoforodell'accaduto per avere da lui consiglio e aiuto, ma nessuna delle due sa come contattarlo (il convento di Pescarenico dove il cappuccino si trova è lontano e loro non hanno certo il coraggio di andarci). In quel momento si sente bussare alla porta e si sente qualcuno dire "Deo gratias", per cui Lucia corre ad aprire e compare fra Galdino, un cercatore laico cappuccino che porta al collo la sua bisaccia per la cerca delle noci. Dopo i saluti, Agnese ordina alla figlia di andare a prendere le noci per il convento e la ragazza ubbidisce, non prima però di aver fatto cenno alla madre, senza farsi vedere dal frate, di non dire una sola parola circa quello che è accaduto quel giorno.
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Fra Galdino racconta il "miracolo delle noci
Fra Galdino chiede spiegazioni ad Agnese circa il matrimonio rimandato e la donna, memore dell'ammonimento della figlia, dice che è stato a causa di una malattia del curato. Il cercatore lamenta poi della scarsità della sua raccolta e dichiara che come rimedio per la carestia c'è solo l'elemosina, come dimostra il "miracolo delle noci" che avvenne molti anni prima in un convento di cappuccini in Romagna: il frate narra che in quel convento c'era un padre santo di nome Macario, che un giorno vide in un campo il proprietario di un noce che ordinava ai suoi contadini di abbattere la pianta; l'uomo disse al padre che il noce non faceva frutti, al che il cappuccino rispose che quell'anno avrebbe dato un raccolto straordinario. L'uomo accettò di risparmiare l'albero e promise che la metà delle noci sarebbe andata al convento. A primavera, in effetti, il noce produsse una quantità incredibile di frutti, ma il proprietario era morto prima di raccoglierle e suo figlio, giovane molto diverso dal padre, si era poi rifiutato di onorare la promessa e di consegnare le noci al convento. Un giorno, però, il giovinastro stava gozzovigliando con amici suoi pari, ridendo dei frati, e li aveva condotti in granaio a vedere le noci: al posto dei frutti trovarono solo i fiori secchi della pianta, per cui la voce del miracolo si sparse in un baleno e il convento ne guadagnò, perché in seguito ricevette tante elemosine da poterle poi ridistribuire tra i poveri, come normalmente avviene.
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Lucia chiede al frate di chiamare padre Cristoforo. Ritorno di Renzo
F. Gonin, Renzo torna a casa) Poco dopo ritorna Lucia, che porta nel grembiule tante di quelle noci che la madre le lancia un'occhiata di rimprovero: fra Galdino riempie la sua bisaccia e ringrazia di cuore, quindi la giovane lo prega di riferire al padre Cristoforo che lei e la madre hanno bisogno di parlargli e che lo faccia venire alla loro casa quanto prima. Il frate promette di riportare il messaggio e se ne va, mentre Lucia è certa che il padre, un frate di grande autorità e di molto prestigio in quelle contrade, non tarderà a farsi vedere (i frati cappuccini, del resto, godevano a quei tempi di profondo rispetto come di disprezzo, essendo votati all'umiltà, alla carità, al servizio del prossimo). In seguito Agnese rimprovera la figlia della sua generosa elemosina, specie in quell'anno di carestia, ma Lucia si giustifica adducendo il fatto che in tal modo fra Galdino tornerà subito al convento e compirà senz'altro l'ambasciata, mentre se dovesse proseguire la cerca delle noci se ne scorderebbe di certo. Agnese approva la sua decisione, quindi sopraggiunge Renzo che getta i capponi sulla tavola e riferisce l'infelice esito del suo incontro con l'Azzecca-garbugli, lasciando nella costernazione le due donne (Agnese tenta di dire che il giovane non ha saputo spiegarsi con l'avvocato). Renzo torna a manifestare oscuri propositi di vendetta, al che le due donne cercano di calmarlo e Lucia dichiara di sperare molto nell'aiuto del padre Cristoforo, che il giorno dopo verrà certamente a visitarle. È ormai il tramonto e Renzo, sconsolato, lascia la casa della sua promessa continuando a ripetere "a questo mondo c'è giustizia, finalmente".
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Temi principali e collegamenti
All'inizio del capitolo Lucia racconta l'antefatto del suo incontro con don Rodrigo, che l'autore sintetizza in un breve discorso indiretto: apprendiamo che all'origine di tutto è una scommessa fatta per gioco con un altro nobile (ci verrà detto nel cap. Vche si tratta del cugino, il conte Attilio), dunque una prepotenza usata da un aristocratico contro una povera contadina, che non nasce certo da una torbida passione o da un'ossessione di natura amorosa. In seguito scopriremo che il termine per la scommessa è il giorno di San Martino, l'11 novembre (cap. VII), e che don Rodrigo vorrà vincerla a tutti i costi soprattutto per una questione di puntiglio cavalleresco, per non sfigurare di fronte ad Attilio e agli altri amici nobili. L'avvocato Azzecca-garbugli è il vero protagonista dell'episodio: personaggio farsesco e degno di una commedia, cade in un grossolano equivoco scambiando Renzo per un bravo venuto a cercare assistenza legale e mostra al povero giovane che le gride e le leggi non assicurano minimamente la giustizia alle vittime, poiché esse si prestano ad essere aggirate da chi ha denaro, agganci politici e amici influenti. Attraverso di lui l'autore rivolge una dura polemica contro le storture dei sistemi giudiziari, più accentuate negli Stati politicamente decadenti (è il caso della Lombardia del '600, ma la critica di Manzoni non risparmia neppure le istituzioni giudiziarie dell'800, ben lontane dall'assicurare la giustizia ai più deboli). All'inizio del capitolo viene citato il padre Cristoforo e il cappuccino è poi direttamente chiamato in causa alla fine, attraverso la figura di fra Galdino: questi rappresenta l'uomo semplice che nutre una fiducia cieca e un po' ingenua nel potere della carità, esemplificata attraverso l'apologo del "miracolo delle noci". Il racconto è un intermezzo narrativo edificante che fa da diversivo nella trama del romanzo, ma serve anche a introdurre le figure dei cappuccini che della carità e del servizio al prossimo facevano la loro ragion d'essere; val la pena, inoltre, di osservare come la storia del figlio degenere del proprietario del noce ricordi vagamente quella di don Rodrigo, il cui padre era stato di tempra ben diversa (cap. VI) mentre lui, ora che gli è succeduto, si dà ai bagordi e alle soperchierie non diversamente dal protagonista del racconto. La morale dell'apologo, naturalmente, è che la carità vince sulla malvagità umana e questo si rivelerà vero per lo stesso don Rodrigo. Sono divenuti proverbiali i "capponi di Renzo", a indicare l'atteggiamento dei compagni di sventura i quali, anziché aiutarsi a vicenda, spesso disputano tra loro come le povere bestie che si beccano l'una con l'altra.
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