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PubblicatoLia Valli Modificato 5 anni fa
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Tesi n°11 La Musica religiosa Lutero e il corale Roma – Palestrina
Venezia – i gabrieli
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La riforma protestante
L'inizio della riforma luterana viene tradizionalmente fatto coincidere con la pubblicazione, il 31 ottobre 1517, da parte di Lutero, delle 95 Tesi sulle indulgenze a Wittenberg in Sassonia, in cui si criticava l'abuso di questa usanza da parte dei predicatori a lui contemporanei, senza peraltro mettere in discussione la struttura tradizionale della Chiesa cattolica. Lo scalpore suscitato dalle Tesi e la denuncia da parte dell'arcivescovo Alberto di Hohenzollern, banditore dell'indulgenza, fece sì che Lutero venisse chiamato a Roma a discutere le Tesi
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La riforma protestante
Lutero, grazie alla protezione, dell'Elettore di Sassonia Federico, ottenne che le tesi venissero discusse in Germania. Ebbe quindi diverse discussioni con teologi, fra cui Johannes Eck nel 1518, che lo confermarono sempre più nelle sue opinioni, che nel frattempo diventavano più nette: la Bibbia era la sola autorità, e la salvezza era dovuta alla sola fede. La rottura definitiva con Roma avvenne nel 1519, quando Leone X emanò la bolla Exsurge Domine nella quale si richiedeva a Lutero di ritrattare le sue dottrine entro 60 giorni. Lutero reagì dando fuoco alla bolla e bruciando anche i libri di diritto canonico, simbolo dell'autorità romana. La sentenza definitiva da parte del papa fu la scomunica del 1520.
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L’attuazione della Riforma
Per prima cosa, Lutero, per favorire una più diretta partecipazione dei fedeli al culto divino, prescrisse che i canti e le preghiere si svolgessero in lingua tedesca anziché in latino come era ovviamente in uso presso tutte le Chiese aderenti al culto cattolico-romano. Per rendere immediatamente operativa questa prescrizione, egli stesso si impegnò a tradurre dal latino al tedesco le sacre scritture.
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L’attuazione della riforma
Come passo successivo Lutero stabilì: l'adozione di semplici, brevi melodie desunte dal patrimonio popolare tedesco, da cantarsi in Chiesa; anche in questo caso Lutero agì direttamente (con l'aiuto di Johannes Walter) forte della sua preparazione in campo musicale: del resto la musica, fin dall'infanzia, costituì il pane quotidiano di Lutero, ottimo cantore, suonatore di liuto. (esempio) La sua concezione della musica nasce sulla scorta di quella di S.Agostino che, sia al tempo del suo trattato (il De Musica) che al tempo in cui qui a Milano incontrò Ambrogio del quale stimava molto gli inni, aveva riservato ad essa un posto molto importante nella preghiera: la musica glorifica Dio.
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La concezione della musica nel pensiero di Lutero
"Io credo che ogni cristiano sappia che intonare canti spirituali è una buona cosa, gradita a Dio. La musica è un dono di Dio. Sono pienamente convinto che dal punto di vista teologico nessun'arte può stare alla pari della musica. Vorrei trovare parole per tessere le lodi di questo meraviglioso dono divino, la bella arte della musica... La musica è il balsamo efficace per calmare, rallegrare e vivificare il cuore di chi è triste. Ho sempre amato la musica.... E' assolutamente necessario conservare la musica nella scuola. Bisogna che il maestro di scuola sappia cantare, altrimenti lo considero una nullità... Bisogna abituare i giovani a quest'arte perché rende gli uomini buoni, delicati e pronti a tutto. Il canto è l'arte più bella e il migliore esercizio. Essa non ha nulla da spartire con il mondo; non la si ritrova né di fronte ai giudici, né nelle controversie. Chi sa cantare non si abbandona né ai dispiaceri né alla tristezza; è allegro e scaccia gli affanni con le canzoni."
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Le novità introdotte da Lutero
Pubblica dal 1526 una Deutsche Messe in tedesco (senza Gloria) con toni di recitazione adatti al tedesco Alcune parti del Proprio erano omesse o accorciate Introduce il Choral o Kirchen Lied (quattro raccolte pubblicate nel 1524) Inizialmente all’unisono da assemblea, poi accompagnati Melodie ex-novo o riprese da canti liturgici o extra-liturgici Grandi esempi in BACH, Passioni Ascolto CORALE dalla Mattäus Passion Erkenne mich mein Hütter (CD, La musica di Dio – La passione)
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La risposta della Chiesa Cattolica
Preso atto dell'inesorabile avanzata del Protestantesimo nei territori germanici, la Chiesa cattolica cercò di correre ai ripari convocando un concilio (cioè un'assemblea di vescovi). Questo si svolse principalmente a Trento, città di confine tra il mondo latino e quello tedesco, tra il 1545 e il 1563, pur con varie interruzioni. Una commissione di cardinali, tra cui il celebre Carlo Borromeo, futuro santo, operò nei due anni che seguirono la chiusura del Concilio di Trento per determinare l'applicazione pratica delle deliberazioni conciliari riguardanti la musica. Queste si orientarono in tre direzioni principali.
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Le disposizioni del Concilio (1545-1563)
La prima si volse ad una emendazione del canto gregoriano da tutte le incrostazioni che i secoli vi avevano deposto, cercando di riportarlo alla purezza originaria. Fu così deciso di abolire tutti i tropi e quasi tutte le sequenze e si affidò il compito di redigere una nuova edizione dei libri liturgici al più autorevole compositore che operasse a Roma, Giovanni Pierluigi da Palestrina, coadiuvato da un altro musicista, Annibale Zoilo (EDITIO MEDICEA, 1615) Rimangono: Dies Irae (Defunti), Stabat Mater (venerdì santo), Lauda Sion (Corpus Domini), Victimae Paschali Laudes (Pasqua), Veni Sancte Spiritus (Pentecoste)
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Le disposizioni del Concilio
Una seconda proposizione conciliare fu: l'abolizione di ogni elemento profano all'interno della liturgia: non solo, dunque, l'eliminazione di musiche dichiaratamente profane, ma anche di ogni cantus firmus non ricavato dal gregoriano (come, ad esempio, la celebre canzone L'homme armé su cui moltissimi compositori, da Dufay a Ockeghem, a Josquin, a Palestrina, avevano imperniato le loro messe);
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Le disposizioni del Concilio
Infine, ciò su cui soprattutto il Concilio di Trento insistette fu la comprensibilità delle parole: gli intrecci polifonici andavano semplificati, in modo da rispettare come priorità assoluta la corretta e chiara dizione del testo liturgico; in fondo, questa era la stessa esigenza che più di due secoli prima aveva indotto il papa Giovanni XXII ad emanare la sua bolla contro l’ars nova. Più volte, soprattutto nel Quattrocento, le richieste di riforma ecclesiastica avevano propugnato un ritorno alla semplicità del gregoriano, in opposizione alla lussureggiante artificiosità della polifonia; nel 1538, addirittura, il vescovo di Modena proibì l'esecuzione di musiche polifoniche nella sua cattedrale. La Controriforma non fu immune da questo atteggiamento, tanto che sorse a tal proposito perfino una leggenda, oggi destituita di ogni fondamento.
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Le disposizioni del Concilio
non erano consentite neppure le cosiddette messe parodia che fossero costruite su preesistenti composizioni polifoniche profane. I compositori si adeguarono a queste indicazioni; o, meglio, talvolta finsero di adeguarsi, poiché spesso omisero di segnalare nel titolo la provenienza profana dei loro materiali costruttivi, inanellando una serie di messe Sine Nomine ("Senza titolo").
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La leggenda Si narrava che il Concilio di Trento avesse l'intenzione di abolire del tutto la polifonia. Venuto a conoscenza di ciò, Giovanni Pierluigi da Palestrina avrebbe composto in tutta fretta una messa (la Missa Papae Marcelli), facendola ascoltare subito ai padri conciliari. La messa fu giudicata così bella e in essa il sacro testo trattato in maniera così rispettosa, che papa e vescovi non se la sentirono di proibirne la diffusione, recedendo così dal loro severo proposito. In effetti, la Missa Papae Marcelli, seppure quasi sicuramente non composta in occasione del concilio, è scritta in modo che si percepiscano agevolmente le parole.
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L’ambiente milanese Scrivere polifonia rispettando la comprensibilità del testo divenne in quel periodo uno dei modi di realizzare una messa, a fianco dello stile tradizionale. Risulta, ad esempio, che il cardinale Carlo Borromeo impartisse al maestro di cappella del duomo di Milano, Vincenzo Ruffo, l'esplicito ordine di comporre una messa di questo tipo; il musicista si adeguò a tali esigenze, in questa e in messe successive.
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Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525, ca –1594) il doppio cognome
Giovanni Pierluigi da Palestrina nacque nei dintorni di Roma (o forse a Roma) attorno al Il suo talento musicale si manifestò fin dall'infanzia, e venne perciò mandato a studiare musica nel 1537 come piccolo cantore presso la scuola della Basilica di Santa Maria Maggiore, rientrando nella sua città natale attorno al 1544 come organista. Nel 1550, il vescovo della sua città venne eletto papa con il nome di Giulio III. Questi lo invitò a seguirlo presso il Santo Soglio nel 1551, dove venne nominato maestro della Cappella Giulia e cantore della Cappella Sistina. Per sua sfortuna, un papa successivo, Paolo IV, costrinse alle dimissioni tutti i cantori sposati o che avessero composto opere di musica profana, e Palestrina rientrava in tutte e due le categorie.
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Rientrò a San Pietro nel 1571.
Palestrina Dovette dunque abbandonare il Vaticano, ma ottenne immediatamente la direzione musicale di San Giovanni in Laterano (dal 1555) e, successivamente, della Basilica di Santa Maria Maggiore (dal 1561). Rientrò a San Pietro nel 1571. Nel 1580, alla morte della amata moglie, Lucrezia Gori, ebbe un momento di crisi mistica, chiese e ottenne di prendere i voti. La sua vocazione sfumò comunque presto, perché poco dopo sposò una ricca vedova romana, Virginia Dormoli.
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Palestrina Palestrina fu uno dei pochi e fortunati musicisti della sua epoca a vantare una brillante carriera pubblica. La sua fama venne riconosciuta universalmente dai colleghi del tempo, ed i suoi servigi furono richiesti da diversi dei potenti d'Europa (Massimiliano d’Asburgo e Guglielmo Gonzaga), ma lui scelse di rimanere a Roma (forse perché le sue richieste economiche erano troppo ELEVATE). Alla sua morte, avvenuta nel 1594, Palestrina venne inumato nella Basilica di San Pietro durante una cerimonia funebre a cui partecipò una gran folla di musicisti e di persone comuni.
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La produzione Il corpus musicale palestriniano fu scritto prevalentemente a Roma e per Roma soltanto, ad uso principalmente liturgico: per la Messa e l'Ufficio. Una buona parte della sua produzione viene fatta risalire al periodo del suo ultimo incarico nella Basilica di San Pietro in Vaticano. L'organico vocale della cappella vaticana era al tempo più vasto di quello di altre chiese (nel 1594 era composto in tutto da 24 cantori), ma non si adottò l'uso di strumenti, fatta eccezione per l'organo.
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Lo stile Il linguaggio polifonico di Palestrina non si discosta tanto dalla maniera tradizionale dei maestri franco fiamminghi (nordici furono i suoi primi maestri a Roma). L'arte contrappuntistica di Palestrina si sviluppa soprattutto in direzione dell'intelligibilità delle parole e di una sonorità ordinata in maniera da evitare l'enunciazione simultanea di testi diversi. Per quanto riguarda l'andamento delle linee melodiche è evidente l'influsso del canto gregoriano di cui aveva approfondito lo studio curando la “famigerata” Editio Medicea, mediante la quale si doveva adeguare lo stile antico alla sensibilità del tempo.*
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L’Editio Medicea del 1614 – edizione del Graduale romano dopo il concilio di Trento
Fu un’operazione di recupero dell’immenso materiale sacro, ma venne condotta con spirito poco filologico perché i curatori cercarono di «adattare» le melodie alla sensibilità del loro tempo, senza rispettare la antica lectio dei manoscritti curatori: Palestrina, Annibale Zoilo e più tardi Felice Anerio e Francesco Soriano.
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La produzione di Palestrina (in sintesi)
104 messe (da 4 a 8 voci) 375 mottetti (da 4 a 8 voci), Magnificat (da 4 a 8 voci), Lamentazioni di Geremia (da 4 a 8 voci) 42 madrigali spirituali (a 5 voci) 91 madrigali profani (Chiare, fresche…del Petrarca) (a 5 voci) La produzione di Palestrina è a cappella e fa ricorso, per le voci acute, ai castrati che proprio allora venivano introdotti negli ambienti romani.
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Lo stile levigato - la Missa Papae Marcelli
Esempio n°1 Comprensibilità testo: (ogni voce canta sempre lo stesso testo) PARTE IN GIALLO Uso di fraseggio molto attento a rispettare le peculiarità delle voci (senza cromatismi e con pochi salti) Inserisce anche «arcaico» FALSOBORDONE (3° e 6° parallele) PARTE IN ROSSO PAGINA UNO che paradossalmente possiede sonorità meno dure dei classici rapporti di 4° e di 5° in voga all’inizio della polifonia Esempio n°2 Cadenze con andamenti melodici che creano “movimento” Senso della tonalità: quinte discendenti PARTE IN ROSSO PAGINA DUE
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La levigatezza dello stile – omogeneità e senso tonale
Ascolto Missa Papae Marcelli: Credo (9’) scaricato da internet
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Musiche su modelli pre-esistenti
Una parte considerevole della produzione musicale cinquecentesca si fonda sull'uso di modelli preesistenti. Questi potevano essere utilizzati nei modi più vari: si va dalla semplice trascrizione per strumenti del modello vocale, come nelle intavolature; alla citazione esplicita di una sezione del modello in una nuova composizione; alla semplice sostituzione del testo (sistema assai usato nei cosiddetti contrafacta) (ascolto LASCIATEMI MORIRE-PIANTO DELLA MADONNA all’interno della Selva Morale e Spirituale, Track n°9) Quanto alla messa, a quelle su cantus firmus e alle messe parafrasi (cantus firmus non più a valori lunghi), si affianca nello scorcio del Quattrocento la messa parodia.
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La tecnica della parafrasi
Nella messa parafrasi il cantus firmus non è più esposto a valori lunghi e quindi diventa indistinguibile dalle altre parti. La melodia preesistente (sacra o profana) si mimetizza nel tessuto polifonico e viene sottoposto ad una elaborazione melodica, ovvero ad una parafrasi.
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Il Kirie della Missa Pange lingua (melodia in basso) inizia parafrasando la melodia dell’inno Pange lingua (in alto)
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La tecnica della parafrasi
Le conseguenze dell’impiego di questa tecnica sono: Una affinità ritmico-melodica tra il tenor e le altre voci; Il cantus firmus non compare solo nel tenor, ma in tutte le altre voci; Un’imitazione sistematica tra le voci (durchimitation) Con l’impiego di questa tecnica si giunge alla conquista di un vero disegno unitario in tutta la messa, ovvero un’integrazione di tutte le sezioni vocali e di tutte le parti della messa
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L’imitazione sistematica tra le voci è contrassegnata dei segni rossi
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La tecnica della parodia
La tecnica che ne è a base consiste nel comporre le sezioni di una messa usando una composizione polifonica come modello. Si trattava di tessere la trama polifonica delle cinque sezioni dell’Ordinarium sulla falsariga di un mottetto, di una chanson o di un madrigale preesistente. Sappiamo dai trattati dell'epoca che la trascrizione e l'adattamento di composizioni polifoniche dei maestri allo scopo di inserirle all'interno di nuovi pezzi era parte integrante del tirocinio dei giovani compositori. Paradosso: pochi teorici, tuttavia, fanno riferimento alla tecnica compositiva della parodia o imitazione, che implicava l'assunzione non di alcuni frammenti, ma di un'intera composizione preesistente come modello da elaborare. Eppure questa tecnica, a partire dalla generazione dei più giovani contemporanei di Josquin fino all'epoca di Monteverdi, fu una delle più diffuse.
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Il trattato El Melopeo y maestro cantore
Il trattato El Melopeo y maestro del cantore, teorico e compositore bergamasco Domenico Pietro Cerone (inizio sec. XVII) è uno dei pochi a dare qualche indicazione sulla tecnica compositiva della messa parodia. La prassi voleva che nella parodia il modo e il numero delle voci rimanessero invariati rispetto al modello. Cerone aggiunge che ciascuna delle cinque sezioni dell'Ordinarium (Kyrie – Gloria – Credo – Sanctus – Agnus Dei) deve iniziare con materiale musicale tratto dall'incipit del modello e chiudersi con materiale tratto dalla chiusa di quello.
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Mottetto – la tecnica compositiva
Messa e mottetto condividono l'uso del cantus firmus, liturgico o d'invenzione, tecnica che, tuttavia, nel corso del XVI secolo tende a perdere terreno a vantaggio dell'unificazione del materiale tematico e dell'equiparazione di tutte le voci, tenor compreso, nel gioco polifonico-imitativo. Un mottetto in quest'epoca è sostanzialmente costituito da una serie di segmenti (sezioni) corrispondenti ciascuno a una frase del testo. Ogni segmento è caratterizzato da uno o più motivi melodici su cui è intonato il testo relativo, che vengono presentati in imitazione da tutte le voci (di solito quattro o cinque) oppure omoritmicamente.
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Il mottetto – caratteri generali nel ‘500
Nel Cinquecento si compongono mottetti su testi assai diversi: soprattutto su testi devozionali dell'epoca, ma anche su brani biblici, o su testi del Proprium; talvolta addirittura su testi profani in latino (come odi di Orazio o brani dall'Eneide);
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Mottetto – Come un giglio tra i cardi
Possiamo esemplificare questa tecnica sul mottetto a cinque voci di Giovanni Pierluigi da Palestrina Sicut lilium inter spinas (pubblicato nel 1569). Il testo del mottetto, tratto dal Cantico dei cantici (2, 2), recita (i numeri romani si riferiscono ai segmenti del mottetto) : I Sicut lilium inters spinas, II Sic amica mea III Inter filias Adae. IV Alleluja traduzione: «Come un giglio tra i cardi, così la mia amata tra le fanciulle».
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Mottetto – Come un giglio: la struttura
Ogni segmento - interamente composto su una sola frase del testo - si apre con un’esposizione in imitazione del motivo tematico che lo caratterizza e si chiude con una cadenza. I diversi segmenti, però, si incastrano l’un l’altro poiché sulla cadenza entra già il tema del segmento successivo Quando le parti non sono impegnate in una entrata tematica procedono in contrappunto libero.
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Mottetto – Come un giglio
Il tema del primo segmento del mottetto (motivo 1) è esposto dalla parte superiore, il cantus : La partitura riporta il primo segmento del mottetto. Come si vede, le cinque parti (cantus, altus, tenor I, tenor II e bassus) entrano in successione, proponendo in imitazione sistematica, talvolta parzialmente o con leggere modifiche, il motivo esposto dal cantus (le entrate tematiche sono evidenziate sul vostro libro). .
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Mottetto – Come un giglio con ascolto
Il tema del secondo segmento del mottetto (motivo 2) è esposto dall’altus: La partitura riporta il primo segmento del mottetto. Come si vede, le quattro parti (altus, cantus e bassus) entrano in successione, proponendo in imitazione sistematica, talvolta parzialmente o con leggere modifiche, il motivo esposto dal cantus (le entrate tematiche sono evidenziate sul vostro libro). ASCOLTO MOTTETTO SCARICATO DA INTERNET (4’ 30’’) .
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Missa “Sicut lilium inter spinas – il Kyrie
Il concetto di missa parodia lo possiamo verificare, ad esempio, nella Missa 'Sicut lilium inter spinas' di Palestrina, che utilizza come modello il mottetto che abbiamo appena esaminato. Abbiamo visto che in un mottetto a ciascuna frase del testo corrisponde un segmento dell'intonazione musicale.
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Missa “Sicut lilium” - Kyrie
Similmente, in una messa ad ogni frase del testo liturgico corrisponde un segmento musicale che fa parte di una sezione della messa. Il Kyrie, ad esempio, ha tre segmenti, uno per ognuna delle invocazioni Kyrie eleison, Christe eleison, Kyrie eleison. Secondo la prassi (codificata dal trattato di Cerone), il Kyrie I della Missa 'Sicut lilium', come tutte le altre sezioni delle messa, si apre col materiale melodico proveniente dall’incipit del mottetto.
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Confronto Mottetto - Messa
INIZIO MOTTETTO INIZIO MESSA
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Mottetto - Messa Fine primo segmento mottetto
fine primo segmento Messa fine secondo segmento Messa
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Mottetto - Messa Poiché il mottetto Sicut lilium ha quattro segmenti mentre il Kyrie ne ha solo tre (Kyrie I, Christe, Kyrie II), Palestrina scinde il Kyrie II in due, creando così all'interno di esso un quarto segmento fittizio in cui può utilizzare i motivi tematici del quarto segmento del mottetto-modello. La tabella seguente mostra la corrispondenza tra i segmenti del mottetto e quelli del Kyrie: ASCOLTO: KYRIE (SCARICATO DA INTERNET) (5’)
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VENEZIA ( ) Le composizioni policorali veneziane del XVI secolo furono il più importante fenomeno musicale in Europa ed influenzarono moltissimo la musica europea di quel periodo. Diversi fattori determinano la nascita della scuola veneziana. Il più importante fu l'esistenza della splendida Basilica di San Marco* con le due grandi cantorie contrapposte fornite di organo. In considerazione della spaziosità della basilica si rese necessario sviluppare uno stile musicale che mettesse a profitto il ritardo del suono provocato dalle grandi dimensioni della chiesa. In questo modo lo stile policorale veneziano veneziano si sviluppò nello stile antifonale in cui gruppi di cantori, accompagnati da strumenti musicali, cantavano in alcuni momenti in opposizione ed in altri all'unisono uniti dal suono dell'organo.
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Le origini della fastosità: la basilica dei Dogi
Per comprendere i tratti salienti dello stile veneziano va tenuto innanzi tutto presente che la Basilica di San Marco non era all'epoca il Duomo di Venezia, bensì la basilica dei dogi* sita a fianco del Palazzo Ducale; di conseguenza le funzioni sacre che vi si tenevano nelle occasioni più solenni erano improntate ad una fastosità di tipo celebrativo. Già la scelta dei testi dei mottetti e la scansione del cerimoniale liturgico erano fatte ad hoc perché fosse posta in massimo risalto la sacralità dell'autorità dogale;
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Le origini della fastosità
A ciò si aggiunga la presenza dei due organi con relativi maestri oltre al maestro di cappella che dirigeva il complesso musicale nel suo insieme. Da qui scaturisce una particolare predilezione per la policoralità e per la combinazione di voci e strumenti: questo garantiva un particolare fasto sonoro, che caratterizzava le funzioni sacre nelle occasioni più solenni. Le celebrazioni poi, dalla basilica si spostavano sulla piazza antistante, e sulle rive, attraversate da corte processionali risonanti di musiche vocali e strumentali, di cui ci sono rimaste celebri raffigurazioni pittoriche.
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Adrian Willaert (c. 7 dicembre 1490 - 1562)
Il primo compositore a rendere famoso questo effetto fu il fiammingo Adrian Willaert, che divenne maestro di cappella a San Marco nel 1527 rimanendovi ininterrottamente fino alla sua morte nel 1562. L'influenza di Willaert era profonda non soltanto per la sua maestria di compositore, ma anche per la sua eccezionale bravura come didatta tanto che molti veneziani studiarono con lui.
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Progressisti e conservatori
Negli anni dal 1560 al 1570 vi si svilupparono due correnti musicali: a) una conservatrice – che seguiva lo stile FIAMMINGO - con a capo Gioseffo Zarlino, che diverrà poi maestro di cappella a San Marco. Oltre a lui ricordiamo: Cipriano de Rore e Claudio Merulo. b) una progressista capeggiata da Baldassare Donato I membri della corrente progressista includevano Donato, Giovanni Croce, Andrea e Giovanni Gabrieli.
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Autarchia a Venezia Si discusse molto anche sulla opportunità o meno di nominare maestro di cappella anche compositori stranieri. Alla fine prevalse il gruppo che favoriva i talenti italiani ponendo fine così alla dominazione dei musicisti stranieri a Venezia. Nel 1603 fu nominato Giovanni Croce seguito da Giulio Cesare Martinengo nel 1609 e da Claudio Monteverdi nel 1613.
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Ascolto: Magnificat (scaricato da internet)
Lo stile concertato Oltre allo stile policorale, Venezia sviluppò anche il genere del "Concerto" (dal latino con-certare "lottare insieme", "gareggiare insieme"; ma nell'uso volgare significa "concordare", "mettere d'accordo") che fin dal secolo XVI sta ad indicare una aggregazione armoniosa, un gruppo numeroso e ben accordato di cantori e strumentisti (voci e strumenti). Sia Andrea, sia Giovanni Gabrieli (zio e nipote) eccelsero in questo stile. Ascolto: Magnificat (scaricato da internet)
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così l’effetto dei “cori battenti”.
Magnificat (1615) Il Magnificat di Giovanni Gabrieli vede l’organico vocale suddividersi in tre cori di 4 voci ognuno. La possente policoralità di Gabrieli affida ad ogni gruppo un colore nettamente diverso: il primo chiaro e acuto, il secondo intermedio il terzo scuro e grave. Tutto ciò fu concepito per far cantare questi gruppi dalle balconate della Basilica di San Marco a Venezia, creando così l’effetto dei “cori battenti”.
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I Concerti dei Gabrieli
Nel 1587 Giovanni pubblicò un volume di Concerti (contenente in prevalenza composizioni dello zio Andrea), e nel 1597 un libro di Sacrae Symphoniae nel quale alle opere propriamente liturgiche sono accostate anche delle composizioni strumentali e 2 sonate (sonata indica un brano appunto da suonare in contrapposizione a cantar o cantata che implica l'uso delle voci); Fra queste sonate spicca la Sonata pian e forte (ASCOLTO) divenuta celebre per essere la prima a comprendere delle indicazioni di dinamica. Questa Sonata è inoltre l’applicazione dello stile policorale (a cori spezzati) all’ambito strumentale. Fu anche un eccellente didatta: presso di lui si formarono i più importanti compositori barocchi del nord come Schütz e Hassler.
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Venezia e Roma Con Giovanni Gabrieli lo stile musicale sacro veneziano mantiene ed enfatizza i suoi tratti più spettacolari: oltre ai due cori, che potevano essere rinforzati dalla voce dei due organi sistemati ciascuno nelle cantorie contrapposte, era previsto l’impiego di un organico strumentale comprendente archi e ottoni in numero variabile a seconda delle circostanze. Sul finire del Cinquecento, insomma, Venezia ribadisce la propria indipendenza da Roma anche sul piano delle scelte musicali. Un fatto tanto più significativo quanto più si pensa che proprio attorno alla natura della musica sacra, si era concentrata l’ultima fase del Concilio di Trento, conclusasi con l’esaltazione dello stile palestriniano a cappella.
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