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ESERCIZIO PROVVISORIO – ART. 104 L.F.
Definizione: L’esercizio provvisorio dell’impresa del fallito è la continuazione, da parte dell’amministrazione fallimentare, rappresentata dal curatore, dell’attività d’impresa già svolta dal debitore, e può avere ad oggetto sia tal attività nella sua interezza, che specifici rami di azienda. 1
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Esso costituisce uno strumento conservativo del patrimonio fallimentare, preparatorio della liquidazione e di carattere temporaneo,con la differenza rispetto all’affitto, che la gestione provvisoria spetta direttamente al curatore e non ad un terzo. Il legislatore, con la riforma del diritto fallimentare, ha collegato tale fattispecie, espressamente alla fase liquidatoria, rendendola, unitamente all’affitto di azienda, uno strumento importante nella massimizzazione dell’attivo, quale alternativa preferibile alla vendita dei singoli beni come disposto dall’art. 105 L.F. 2
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L’art. 105 L.F. impone al curatore di analizzare i presumibili vantaggi derivanti dalla vendita dell’intero complesso aziendale, rispetto alla vendita delle singole componenti prevista soltanto se ci si attenda una maggiore soddisfazione dei creditori. Il criterio che deve guidare la scelta tra le differenti soluzioni, è quello della convenienza economica, da apprezzare avendo riguardo alla presumibile entità del realizzo al netto delle spese di conservazione e di vendita. 3
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Attraverso l’esercizio provvisorio, il fallimento assume tutti i rischi dell’esercizio dell’impresa ed è responsabile per tutte le obbligazioni contrattuali assunte dal curatore nella gestione, con l’aggiunta che i crediti, essendo sorti in costanza di procedura, sono in prededuzione (art. 104 L.F. ultimo comma). 4
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A seguito della riforma, l’esercizio provvisorio, può essere disposto in momenti diversi della procedura: - in via autonoma, dal Tribunale che può disporre l’esercizio provvisorio solo con la sentenza dichiarativa di fallimento, mentre prima questo potere poteva essere esercitato sino all’esecutività dello stato passivo. 5
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In questa fase il Tribunale può disporre l’esercizio “se dall’interruzione può derivare un danno grave, purchè non arrechi pregiudizio ai creditori”. Da ciò si evince che debbano contemporaneamente soddisfare due fattori: il primo è costituito dall’opportunità di evitare un danno grave, non necessariamente ai creditori ma all’impresa. 6
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Il danno per qualificarsi grave, deve essere effettivo e rilevante in termini quantitativi e qualitativi, ma non più irreparabile. Tale presupposto è necessario, ma non sufficiente, in quanto il danno va contemperato con l‘interesse dei creditori, i quali non devono essere pregiudicati. La continuazione non deve procurare un vantaggio. Semplicemente deve essere indifferente per i creditori. 7
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Parte della dottrina ritiene che la continuazione dell’esercizio dell’impresa possa essere anticipato nella fase di istruttoria pre-fallimentare, rientrando la stessa tra i provvedimenti cautelari che il Tribunale può disporre a norma dell’art. 15 L.F. (“Il Tribunale, ad istanza di parte, può emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa oggetto del provvedimento, che hanno efficacia limitata alla durata del procedimento vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l’istanza”). . 8
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- successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento. In tal caso lo stesso deve essere autorizzato – su proposta del curatore – dal giudice delegato con decreto motivato che ne stabilisce la durata previo parere favorevole del comitato dei creditori. . 9
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Non è più necessario attendere l’esecutività dello stato passivo e l’esercizio può essere disposto, anche prima della presentazione del programma di liquidazione (o inserire la proposta nel programma di liquidazione), anche perché ormai il comitato dei creditori deve essere costituito prima possibile, sulla base delle risultanze contabili. . 10
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La proposta del curatore deve contenere una serie di elementi che permettano al comitato dei creditori prima ed al giudice delegato poi, la possibilità di esprimere le loro valutazioni. . . 11
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La proposta deve contenere un piano dettagliato delle risorse finanziarie necessarie per la prosecuzione dell’attività, ovvero un piano finanziario in senso proprio in cui le entrate e le uscite vengono stimate in modo prospettico. E’ necessario un vero e proprio rendiconto finanziario. La proposta del curatore deve specificare anche le modalità attraverso le quali si intende dar corso all’esercizio provvisorio. . 12
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Il giudice delegato può disporre l’esercizio provvisorio dopo aver acquisito il parere favorevole del comitato dei creditori. Potrebbe tuttavia, accadere, che il comitato non si sia ancora costituito e non si possa attendere la sua nomina. In tale ipotesi, la dottrina ritiene sufficiente l’intervento del giudice delegato che eserciterebbe, in questa sede, anche i provvedimenti necessari alla conservazione dell’attivo e nella specie, alla conservazione dell’azienda. . 13
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Laddove il comitato esprima parere negativo, il giudice delegato non può disporre l’esercizio provvisorio, né si ritiene che il curatore possa portare all’attenzione dell’organo giurisdizionale la proposta. 14
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La norma precisa che la continuazione dell’impresa deve essere disposta con decreto motivato, nell’ambito del quale il giudice delegato deve indicare i motivi che lo spingono a ritenere che l’esercizio provvisorio sia effettivamente strumento di massimizzazione nell’interesse dei creditori nonché esplicitare le modalità, i termini e l’ambito di prosecuzione dell’attività di impresa, specificando entro quale ambito debba svolgersi l’attività del curatore, nonché fissando opportunamente la data. . 15
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Durante l’esercizio provvisorio, l’art. 104 L.F. comma 3, riserva al comitato dei creditori pregnanti poteri di controllo. Quale informazione minima periodica, viene previsto che il comitato dei creditori debba essere convocato dal curatore almeno ogni tre mesi per essere informato sull’andamento della gestione e per pronunciarsi sull’opportunità di continuare l’esercizio. . 16
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Altra tematica rilevante, riguarda i poteri del curatore durante l’esercizio provvisorio, ossia se lo stesso abbia bisogno di autorizzazioni particolari per il compimento di atti di gestione. 17
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In dottrina si è affermata la seguente regola: Se si tratta di vicende che rientrano nella pianificazione iniziale che il curatore ha dovuto presentare al comitato dei creditori ed al giudice delegato, poi non avrà bisogno di ulteriori autorizzazioni per operare; 18
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Se invece si tratta di vicende che esulano dalla pianificazione iniziale, modificandola, allora sarà necessario che il GD modifichi il proprio decreto, previo parere favorevole dei creditori; 19
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Laddove l’esercizio provvisorio sia stato deciso in seno al programma di liquidazione, sarà necessario apportare le modifiche al piano stesso. 20
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Una precisazione importante: La continuazione può avere finalità conservative dell’azienda, ma giammai essere utilizzato in funzione del risanamento dell’impresa appartenente al debitore fallito, obiettivo assolutamente estraneo alla procedura fallimentare. 21
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La continuazione dell’attività d’impresa ha ragion d’essere fino a che non sia stata realizzata la liquidazione dell’azienda, ovvero questa diventi irrealizzabile ovvero realizzabile con migliori risultati a prescindere dalla continuazione dell’attività economica. 22
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Il penultimo comma dell’art. 104 L.F. è dedicato alla disciplina dei contratti pendenti. Il legislatore della riforma, ha accolto la regola secondo la quale i contratti pendenti alla data del fallimento proseguono durante l’esercizio provvisorio, salva la facoltà del curatore di chiederne lo scioglimento secondo le norme dettate in materia di effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti. 23
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L’esercizio provvisorio cessa in tre casi: 1. Su iniziativa del comitato dei creditori, come previsto dal quarto comma dell’art. 104 L.F. “se il comitato dei creditori non ravvisa l’opportunità di continuare l’esercizio provvisorio il GD ne ordina la cessazione; 24
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2. Quando lo sancisce il Tribunale, che può ordinare la cessazione in qualsiasi momento, con decreto in camera di consiglio non soggetto a reclamo, sentiti il curatore ed il comitato dei creditori, anche contro il loro parere; 3. Con l’alienazione dell’azienda. 25
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