L’agricoltura dal 1700 all’Unità d’Italia

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Presentazione sul tema: "L’agricoltura dal 1700 all’Unità d’Italia"— Transcript della presentazione:

1 L’agricoltura dal 1700 all’Unità d’Italia

2 Effetti della rivoluzione agricola del 1700: la trasformazione della società contadina
Le enclosures modificano progressivamente e profondamente il paesaggio agrario inglese. Da una distesa di campi lunghi e stretti, non recintati, contigui, ma di proprietà individuale, sui quali dopo il raccolto tutti potevano spigolare o portare a pascolare gli animali (open fields), si si passa a un sistema di campi chiusi, recintati con muretti, siepi o alberi. Questo processo riguarda anche le terre comuni (common lands) di proprietà collettiva e adibite al pascolo, alla raccolta di legna, alla caccia, alla pesca. Iniziato nel XVI secolo, nel XVII interessa già oltre la metà delle campagne inglesi e agli inizi dell'Ottocento tutte le terre coltivate.

3 Effetti della rivoluzione agricola del 1700: la trasformazione della società contadina
Le recinzioni portano all'accorpamento delle proprietà frammentate e alla privatizzazione delle terre comuni. Queste smantellano il sistema comunitario ereditato dall'età medioevale e affermano il diritto di proprietà e l'individualismo agrario, libero da vincoli e consuetudini, interessato a una gestione della terra razionale e redditizia. Portano anche a un drastico peggioramento delle condizioni di vita dei contadini poveri, privati dei diritti di pascolo, di spigolatura, di caccia da secoli alla base della loro stentata sopravvivenza. Espulsi dalle campagne, forniranno molte braccia alla nascente industria.

4 Effetti della rivoluzione agricola del 1700: Le proprietà
La proprietà agraria si trasforma e si delineano le figure dell'agricoltore professionista e del bracciante. Infatti Diminuisce il numero dei piccoli proprietari gran parte dei quali, privi dei capitali necessari all'ammodernamento, costretti a vendere, si trasformano in braccianti. Il possesso delle terre si concentra nelle mani di grandi e medi proprietari che adottano criteri imprenditoriali I nuovi imprenditori applicano la scienza e la tecnica per migliorare la produzione (ad esempio, per selezionare sementi e animali o per un allevamento intensivo e non più brado), utilizzano il lavoro di salariati agricoli, esportano eccedenze, reinvestono i profitti e accumulano capitali.

5 Effetti della rivoluzione agricola del 1700: La coltivazione
Oltre che dalle recinzioni, la produzione agricola viene incrementata da un nuovo e più complesso sistema di rotazione delle coltivazioni. non vi sono più campi incolti e improduttivi e si avvia una sorta di circolo virtuoso fra agricoltura e allevamento Aumentando, infatti, le disponibilità alimentari sia per gli uomini sia per il bestiame, è possibile sviluppare l'allevamento con il conseguente aumento di produzione del concime naturale per i campi e di carne, latte e pelli per il mercato.

6 Effetti della rivoluzione agricola del 1700: il capitalismo agrario
I mutamenti riscontrabili nelle campagne inglesi trasformano i regimi agrari d'impronta feudale e collettivistica in regimi agrari d’impronta capitalistica e individualistica. Aumenta La produzione (il rendimento del grano, ad esempio, passa da 7,4 quintali per ettaro nel 1650 a 13,5 quintali nel 1800) e, contemporaneamente, diminuisce la percentuale di popolazione attiva in agricoltura. Aumenta la popolazione, in particolare quella urbana. Si sviluppano le attività legate ai prodotti agricoli (lana, latte, ecc.), ma anche ai beni strumentali per l'agricoltura. Gli imprenditori agricoli iniziano ad accumulare capitali, in parte reinvestiti nell'agricoltura. diminuisce la manodopera necessaria all'agricoltura, che diventa così disponibile per lo sviluppo di altri settori economici e, specialmente, della nascente industria.

7 Effetti della rivoluzione agricola del 1700: la popolazione agricola
Questi sviluppi si collocano nell'arco temporale di più di un secolo, avanzano lentamente, ma sono profondi. Ciò risulta considerando solo pochi dati: nel 1650 l'Inghilterra ha una popolazione intorno ai 5 milioni di abitanti, l'80% dei quali addetti all'agricoltura; nel 1870, quando la popolazione inglese sarà ormai aumentata di sei volte, solo il 14% sarà addetto all'agricoltura. In realtà, se facciamo due conti l’80% di 5 milioni è pari a 4 milioni di addetti in agricoltura nel 1650; il 14% di 30 milioni di abitanti è pari a 4,2 milioni di addetti in agricoltura, perciò il numero di addetti, in assoluto, aumenta, ma si capisce che un numero consistente di figli di braccianti agricoli e agricoltori cambia mestiere

8 Effetti della rivoluzione agricola del 1700: la diffusione dell’agricoltura capitalistica
Un'agricoltura integrata con l'allevamento, che utilizza rotazioni complesse, produce per il mercato, investe capitali sulla terra, è presente fra XVII e XVIII secolo anche in altre, limitate, aree Europee. questa agricoltura rimane comunque marginale, specie nel sud europa ed è lenta la sua espansione. Per molto tempo Le innovazioni continueranno a convivere con l'agricoltura tradizionale incontrando molti ostacoli (sociali, culturali, politici) alla loro diffusione. sarà lenta e difficile anche l’affermazione, nonostante la resa superiore a quella dei tradizionali cereali europei, di due piante di origine americana, la patata e il mais, destinate a diventare il cibo quotidiano di molti contadini, non solo irlandesi o veneti. In ogni caso nelle diverse aree d'Europa, pur con tendenze, ritmi e tempi diversi, gli sviluppi dell'agricoltura saranno essenziali per passare da un'economia di sussistenza a un'economia moderna legata all'industrializzazione.

9 L’agricoltura dal Settecento al Novecento : Dalla società agricola a quella industriale
Le trasformazioni economiche che segnano l’Europa e il mondo in età contemporanea sono dominate dall’espandersi e dall’affermarsi, del modello produttivo industriale e da una straordinaria crescita dell’industria manifatturiera e dei servizi. secondo alcuni calcoli, la produzione industriale mondiale sarebbe cresciuta di quasi 90 volte in poco più di due secoli, dai decenni successivi alla metà del Settecento al

10 L’agricoltura dal Settecento al Novecento : Dalla società agricola a quella industriale
Il nuovo protagonismo del settore industriale si accompagna, nel corso dei secoli dell’età contemporanea, alla progressiva riduzione del ruolo dell’agricoltura nell’economia. Fino al Settecento, l’agricoltura è la fonte principale di ricchezza, di potere e di occupazione. Se si esclude l’Inghilterra, in quasi tutta l’Europa (ma anche nel resto del mondo) almeno l’80% della popolazione lavora la terra e vive di agricoltura in campagna, in villaggi o fattorie isolate. Ciò significa che, su 100 persone che lavorano, almeno 80 sono contadini che col loro lavoro mantengono se stessi e una ventina di persone dedite ad altre attività (clero, governanti, mercanti, artigiani, professionisti, ecc.).

11 L’agricoltura dal Settecento al Novecento : Dalla società agricola a quella industriale
Nel corso dell’Ottocento, e ancor più nel Novecento, con il procedere dell’industrializzazione, si assiste a un ridimensionamento dell’agricoltura, che progressivamente cessa di essere l’attività economica predominante in un numero crescente di paesi industrializzati. Progressivo è, infatti, il declino della quota della popolazione attiva impiegata nell’agricoltura e della quota percentuale del settore agricolo nel reddito nazionale, che oggi in molti paesi rappresenta meno del 5% del reddito e degli occupati (in Italia il 3,8% circa). Il processo è lento, avviene sul lungo periodo e in tempi diversi nei diversi Stati: l’agricoltura conserva un ruolo centrale in molti paesi europei ben oltre l’Ottocento (in Italia, ancora nel secondo dopoguerra, l’agricoltura fornisce un quarto della ricchezza nazionale).

12 L’agricoltura dal Settecento al Novecento : Dalla società agricola a quella industriale
Il calo della popolazione agricola sotto il 50% della popolazione attiva poi non si verifica prima del XX secolo nella maggior parte dei paesi europei e ha luogo solo nel secondo dopoguerra in gran parte dell’Europa orientale e meridionale. In Italia, ad esempio, il numero di addetti all’agricoltura scende dal 61% del , al 55% del , al 42,2% del 1951, all’attuale 3,8%. Oggi, solo nei paesi più arretrati tale percentuale si aggira intorno al %.

13 Effetti dell’industrializzazione tra Ottocento e Novecento : L’industria come traino per l’agricoltura Molti storici sostengono che l’industrializzazione non avrebbe potuto realizzarsi senza l’essenziale contributo dell’agricoltura; senza quella rivoluzione agricola che, integrando coltivazione e allevamento, fra XVIII e XIX secolo, innanzitutto in Inghilterra e poi lentamente in altre aree dell’Europa occidentale, porta al superamento dell’agricoltura tradizionale, a un incremento della produzione e della produttività e fornisce cibo, manodopera, materie prime e capitali all’industria nascente.

14 Effetti dell’industrializzazione tra Ottocento e Novecento : L’industria come traino per l’agricoltura

15 Effetti dell’industrializzazione tra Ottocento e Novecento : L’industria come traino per l’agricoltura Il ruolo dell’agricoltura nello sviluppo economico agli albori dell’industrializzazione è di difficile interpretazione e resta controverso. C’è accordo, comunque, nell’affermare che, dalla metà del XIX secolo e ancor più dagli ultimi decenni dell’Ottocento, è l’agricoltura a essere trainata dall’industria, i cui sviluppi contagiano il settore primario e lo trasformano profondamente.

16 Effetti dell’industrializzazione tra Ottocento e Novecento : L’industria come traino per l’agricoltura Gli effetti dell’industrializzazione sull’agricoltura sono vari. Innanzitutto, dal XIX secolo cresce la domanda di prodotti agricoli, poiché una parte sempre maggiore della popolazione (che continua a crescere) vive in città, non lavora la terra e deve acquistare i propri alimenti. L’attrazione esercitata dalla prospettiva di un lavoro urbano, ma anche l’espulsione di manodopera dalle campagne per effetto della modernizzazione dell’agricoltura determinano, infatti, un esodo crescente della popolazione rurale verso le città e anche oltreoceano.

17 Effetti dell’industrializzazione tra Ottocento e Novecento : L’industria come traino per l’agricoltura Alla fine del XIX secolo poi, per effetto del graduale aumento dei redditi di una parte della popolazione dei paesi industrializzati, la domanda di prodotti agricoli si fa più ricca e al pane e alle patate si aggiungono prodotti più costosi quali carne, latte, frutta e verdure. nelle società industrializzate gli agricoltori gradualmente acquistano una quota crescente dei prodotti necessari alle loro attività (attrezzi agricoli, MACCHINE, fertilizzanti, sementi, mangimi per l’allevamento, ecc.) al di fuori dell’azienda, dal settore industriale, che produce sempre di più e a costi sempre più bassi

18 Effetti dell’industrializzazione tra Ottocento e Novecento : L’industria come traino per l’agricoltura

19 Effetti dell’industrializzazione tra Ottocento e Novecento : L’evoluzione dell’agricoltura europea
L’agricoltura europea, diventa sempre più specializzata e sempre più collegata a una domanda che continua a crescere e a un mercato che continua ad allargarsi. A partire dalla metà del XIX secolo, i progressi nei sistemi di trasporto (l’estendersi della rete ferroviaria, l’apertura di canali navigabili, gli sviluppi delle grandi navi oceaniche) abbassano fortemente i costi di trasporto, sia interno che internazionale (tra il 1870 e il 1900 le spese per il trasporto del grano da Chicago a Liverpool diminuiscono di circa il 75%). I progressi nella tecnologia del freddo, rendono possibile il trasporto di carne e latticini su lunghe distanze. la dimensione del mercato agroalimentare si allarga a livello mondiale con la conseguenza, fra le altre, di esporre l’agricoltura europea alla concorrenza internazionale. Negli ultimi decenni del XIX secolo, la grave crisi che colpisce l’agricoltura europea è causata principalmente dai prodotti provenienti d’oltreoceano, in primo luogo dai cereali.

20 Effetti dell’industrializzazione tra Ottocento e Novecento : Il lavoro
La produttività del lavoro cresce per il miglioramento degli attrezzi agricoli (ad esempio, grazie ai progressi della metallurgia si diffondono aratri interamente in metallo); dagli ultimi decenni del XIX secolo CRESCE soprattutto per la meccanizzazione (che fa risparmiare lavoro e consente il crollo del numero degli addetti al settore agricolo, specializza le colture e pone fine alla policoltura tradizionale), per l’utilizzo di nuove fonti di energia (quali il vapore, il gasolio e il petrolio, in progressiva sostituzione di quella umana e animale), per il progresso tecnico-scientifico portato e alimentato dalla rivoluzione industriale: nuovi mezzi per il lavoro dei campi, la conservazione e trasformazione dei prodotti, fertilizzanti, pesticidi ma anche metodi scientifici di allevamento, irrigazione, coltivazione, selezione di animali e piante.

21 Effetti dell’industrializzazione tra Ottocento e Novecento : Le macchine 1
Le prime macchine agricole compaiono in Inghilterra alla fine del Settecento, ma ancora tutto l’Ottocento può essere considerato la fase pionieristica della meccanizzazione che si diffonde solo nel XX secolo. Già nella prima metà dell’Ottocento è disponibile un’ampia varietà di macchine, spesso ancora trainate da cavalli o buoi per le difficoltà di utilizzo del vapore nelle campagne. Queste mietitrici, trebbiatrici, mietitrebbiatrici però, per quasi tutto il secolo XIX, trovano scarso impiego tranne che nelle grandi aziende agricole dell’Inghilterra orientale e della Francia settentrionale. Le prime macchine sono ancora troppo poco efficienti e troppo costose, soprattutto per proprietà agricole di piccole dimensioni (mentre vi è grande disponibilità di manodopera a basso costo) e sono contrastate dai braccianti agricoli perché creano disoccupazione.

22 Effetti dell’industrializzazione tra Ottocento e Novecento : Le macchine 2
la meccanizzazione si afferma inizialmente e assai rapidamente negli Stati Uniti, dove le proprietà sono molto vaste e la manodopera scarsa, soprattutto se rapportata all’immensa disponibilità di terre e di risorse naturali. In Europa invece, ancora alla fine del secolo, le trebbiatrici azionate a vapore sono poche e gli aratri a vapore ancor meno e solo nel XX secolo, con l’introduzione del motore a scoppio, il lavoro delle macchine comincia a sostituire sempre più quello dell’uomo e degli animali da tiro. In Italia la meccanizzazione procede molto lentamente per tutta la prima metà del Novecento e si diffonde a livello di massa solo dagli anni Cinquanta.

23 Effetti dell’industrializzazione tra Ottocento e Novecento : Il passo lento della trasformazione
Il processo di trasformazione dell’agricoltura è lento e avviene in tempi differenti nelle diverse realtà. alla fine dell’Ottocento l’Europa è ancora un continente a prevalenza rurale: la maggior parte della sua popolazione resta contadina, vive in campagna e lavora la terra. La modernizzazione dell’agricoltura non è neppure lineare e indolore. Cresce la produzione e la produttività, ma non scompaiono dalle campagne né la fame né la miseria che alimentano l’esodo verso le città e al di là dell’oceano. Scompaiono le grandi carestie, ma le malattie da carenze alimentari (ad esempio, il rachitismo) continuano a essere diffuse anche nell’Europa occidentale sino agli anni Trenta.

24 Effetti dell’industrializzazione tra Ottocento e Novecento : Il passo lento della trasformazione
La meccanizzazione poi, ma in generale le nuove tecnologie, fanno crescere il divario fra i sistemi agricoli sviluppati e quelli tradizionali. Dopo la Seconda guerra mondiale, la diffusione massificata della meccanizzazione e dei prodotti chimici, nonché le più recenti innovazioni che derivano dall’applicazione di scoperte in campo genetico e biochimico, apriranno scenari e problemi nuovi coi quali dalla seconda metà del Novecento si debbono fare i conti: inquinamento delle falde acquifere, crisi idrica, desertificazione, degrado del paesaggio, distruzione della flora spontanea e degli habitat di molti uccelli e piccoli mammiferi, diminuzione delle specie, riduzione della biodiversità, inquinamento della catena alimentare, modificazioni genetiche.

25 L'Italia prima dell'unità

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Gli stati italiani Regno di Sardegna: comprendeva il Piemonte, la Liguria, la Savoia, Nizza, il Principato di Monaco e la Sardegna. Era l’unico stato italiano ad avere una costituzione. Era retto dai savoia. Regno Lombardo-Veneto: comprendeva la Lombardia, il veneto e il Friuli Venezia giulia. Era uno stato satellite dell’Austria-ungheria, retto da due governatori. Ducato di Parma: comprendeva le provincie di parma e piacenza era retto da maria luiisa di borbone.

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Ducato di Parma: comprendeva le provincie di parma e piacenza era retto da maria luiisa di borbone. Ducato di Modena: comprendeva le provincie di Modena, Reggio Emilia e massa carrara. Era retto dal duca Francesco v d’austria-este. Granducato di Toscana: comprendeva la toscana esclusa la provincia di massa-carrara, era retto dal granduca leopoldo ii di lorena. Stato Pontificio: Comprendeva le regioni del Lazio, Umbria, Marche, le Romagne e una parte dell'Emilia, era retta dal papa pio ix. Regno delle Due Sicilie: comprendeva tutte le regioni meridionali compresa la Sicilia, era retto dal re francesco ii di borbone.

28 l’agricoltura negli stati italiani prima dell'unità
Regno di sardegna Le rese produttive in Piemonte, dove tra i seminativi ( ha irrigui) c’erano anche ha di risaie, non erano particolarmente alte (2, 3 q/ha per il frumento), le maggiori produzioni nei terreni irrigui (dove si praticava ancora il maggese). Le rese raddoppiarono nella seconda metà del secolo con la “Riforma agraria di Carlo Alberto” la produzione di vino quadruplicò dopo il 1850 rispetto alla metà del secolo precedente. La viticoltura era diffusa un po’ dappertutto ma in forma promiscua, in questo periodo grazie alla “Cinzano” si diffuse il “vermouth” Importante per l’epoca anche l’allevamento del gelso per i bachi da seta. Le unità animali erano di 0,27/ha (1864).

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Lombardo veneto: lombardia Già nel 1700 i terreni in rotazione occupano l’80% della superficie agraria e forestale. Nei primi dell’800 aumentano le superfici coltivate a mais e riso, rimane stabile il grano, si estende la vite. Incrementa molto l’allevamento della vacca da latte alimentata con le foraggere prodotte dalle marcite (sud di Milano). La produzione di grano arriva anche a q/ha e il mais a q/ha. In collina prevalgono l’allevamento del gelso e della vite. Le unità animali vengono quantificate in 0,23/ha

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Lombardo veneto: veneto Molti terreni hanno scarsa fertilità perché soggetti ad aridità sistematica, la bonifica interessa solo pochi territori (quelli a sgrondo naturale), i terreni irrigui sono scarsi e dovuti soprattutto alla vicinanza a risorgive. La collina è destinata a seminativi arborati con la presenza della vite (anche in aree non vocate) e del gelso come sostegno o come coltura autonoma. L’agricoltura veneta è complessivamente più arretrata di quella lombarda, si applica ancora il maggese e dove non si fa i terreni sono sottoposti ad un eccessivo sfruttamento, tra i seminativi si impone il mais. Scarse complessivamente sono invece le foraggere in rotazione. Le produzioni di grano sono attorno a 9 – 10 q/ha mente per il mais si arriva a 10 (nelle aree più fertili e in annata buone si raggiungono anche i 35 q/ha) Le unità animali vengono quantificate in 0,25/ha (dove si conteggiano anche le superfici e gli animali della provincia di Udine)

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Ducati di Parma e Piacenza e stati Estensi La pianura è costituita prevalentemente da terreni di medio impasto molto fertili. Si coltivano frumento, mais e canapa, oltre a farro, spelta, gelso e vite, molti gli allevamenti di bovini. Nella bassa collina si producono soprattutto ottimi vini, nelle aree non vitate ci sono boschi. Nell’alta collina e nella montagna prevalgono i pascoli per ovini e caprini e boschi cedui. Complessivamente il 54% è seminativo e solo il 28% è bosco. (negli stati Estensi i seminativi raggiungono addirittura il 72,5%) Le unità animali vengono quantificate in 0,38/ha che sono tra le più elevate in Italia.

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Stato pontificio è uno stato arretrato (e così si presenterà al 1861) anche se ci sono delle distinzioni tra Marche ed Umbria dove c'è un sistema mezzadrile ed il Lazio dove invece c'è il latifondo. Il sistema mezzadrile è legato alle rendite, non c'è innovazione ma è produttivo. Le Marche erano il granaio di Roma. Grazie al patto mezzadrile l'agricoltura era così produttiva da essere esportata. Riguardo il latifondo, come al sud i proprietari terrieri sono nobili che vivono a Roma, lontani dalle loro proprietà, vivono di rendita, sono disinteressati (una agricoltura detta “di rapina”).

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Regno delle due Sicilie L'agricoltura è basata sul latifondo, con immense proprietà terriere in mano a pochi aristocratici, baroni che le gestiscono con mentalità feudale. I latifondi si configurano come stati nello Stato, al di là delle leggi generali. I nobili avevano prerogative di amministrare la giustizia. Nei latifondi era usato il lavoro salariato, i braccianti (invece al centro Italia c'era la mezzadria ed al nord l'affittanza). Con i braccianti aumenta il divario tra ricchi e poveri e le vittime di ingiustizie. I baroni vivevano a Napoli, lontani dalle terre e si disinteressavano, volevano solo vivere di rendita.

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Regno delle due Sicilie Il grano veniva esportato ma il denaro era usato per lo stile di vita aristocratico e non per investire. Quindi l'agricoltura diventa improduttiva perché non investiva. L'agricoltura era secca ed aveva bisogno di canali per l'irrigazione che non vennero fatti. Mancavano le infrastrutture, strade, collegamenti, sistemi di comunicazione.

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Regno delle due Sicilie Nel 1843, il 76% degli abitanti del Regno svolgeva attività legate a vario titolo alla campagna e all’agricoltura. Il Paese, tuttavia, era profondamente diviso in due aree: Le zone dell’interno, soprattutto se montagnose, erano più arretrate e condizionate dall’ambiente, Le regioni costiere erano invece maggiormente inserite nel grande circuito del commercio internazionale.

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Regno delle due Sicilie Italia meridionale e Sicilia esportavano in Francia e in Inghilterra grandi quantità di vino, di olio e di agrumi. La produzione di cereali era concentrata soprattutto nelle province pugliesi, A causa degli elevati costi di produzione, il grano veniva collocato male sul mercato internazionale (solo il 3-4% della produzione globale); la maggior parte dei raccolti di cereali serviva ad alimentare Napoli e le altre grandi città meridionali Per quanto riguarda gli allevamenti nettamente prevalenti erano quello degli ovini, poi cavalli e maiali.


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