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Giovanni episcopo: L’ASSASSINIO DELLA MASCOLINITà
Di Giacomo Di Muccio
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Dedica a matilde serao Informazioni fondamentali per comprendere il testo: È stato scritto a Roma nel Gennaio 1891 dopo due anni di inattività Nasce da una revisione di alcuni vecchi documenti. Nonostante il tempo, l’idea sul soggetto non aveva accennato a decadere, e da questo D’Annunzio aveva compreso che valeva la pena svilupparlo. (Stesso concetto che si ritroverà in molti scrittori e scrittrici successivi, ad esempio in Natalia Ginzburg, Le piccole virtù) Matilde Serao è descritta come una Signora dall’operosità virile Tema fondamentale di tutta l’opera Compresi allora come sia profonda e inevitabile su noi l'azione pur degli estranei da cui tante diversità ci separano, e come sia più difficile preservare la nostra persona morale che il nostro corpo dai rudi contatti delle moltitudini per mezzo a cui viviamo o passiamo. Nulla, mia cara amica, nulla di quanto crediamo nostro ci appartiene.
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Genere e Struttura Definire il genere letterario di questo testo è questione piuttosto spinosa: racconto lungo, romanzo breve, memoir, semplice confessione? Chiarire questo punto è impossibile La struttura del testo è ad anello: si comincia con il protagonista che confessa al giudice di aver commesso un omicidio, e poi prosegue raccontando tutti i fatti che lo hanno portato a quel gesto utilizzando l’espediente dell’analessi. La struttura circolare fa sì che il dolore che prova Giovanni Episcopo per quanto accaduto sia interminato: non c’è nel testo nemmeno un momento in cui il protagonista sfugga alla sofferenza. Questo fa sì che il racconto assuma un carattere elegiaco.
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I personaggi e i loro nomi
Giovanni Episcopo: il protagonista della vicenda, è un uomo totalmente incapace di disporre della propria vita. Non è in grado di scegliere per sé ed è vittima di tutti gli altri personaggi. In particolar modo, svilupperà un atteggiamento di sottomissione completa nei confronti del suo aguzzino Giulio Wanzer. Visti i numerosi rimandi biblici all’interno del testo, il suo nome non può essere casuale: Giovanni è il nome del discepolo prediletto da Gesù Ginevra: moglie di Giovanni anche se in realtà è «la moglie di tutti», il suo nome rimanda alla tradizione arturiana, per la quale Ginevra era la donna amata da tutti i cavalieri della tavola rotonda, l’oggetto del desiderio di tutti e, secondo una tradizione molto corposa, la donna che aveva tradito suo marito divenendo così l’amante di Lancillotto. Giulio Wanzer: l’aguzzino di Giovanni, è come se fosse il suo padrone. Lo stesso protagonista si definisce «il suo cane». Al termine del racconto verrà ucciso da Giovanni durante la sua aggressione a Ciro. Il suo cognome non può che far pensare a Wagner, e quindi al superomismo. Wanzer infatti rappresenta nel romanzo la mascolinità stereotipica, quella del maschio alfa, il superuomo violento, dominatore, padrone dell’ambiente e delle persone che lo abitano.
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Battista: suocero di Giovanni, è un uomo ridotto alla miseria
Battista: suocero di Giovanni, è un uomo ridotto alla miseria. È alcolizzato, cieco, maltrattato da tutte le donne della sua famiglia: viene lasciato digiuno, fuori dalla sua casa al freddo, senza un soldo per mangiare. È caratterizzato da una perenne sete e per procurarsi da bere ruba continuamente. È la proiezione futura del personaggio di Giovanni, quello che è destinato a diventare. Il suo nome, Battista, è collegato proprio a questa sua funzione profetica. Ciro: il figlio di Giovanni e Ginevra, è un bambino minuto, molto debole e dolcissimo. L’unico motivo di vita per Giovanni. Il suo nome rimanda all’ambiente napoletano che aveva profondamente influenzato D’Annunzio in quel periodo. Il gruppo di amici di Giovanni: tutti i proseliti di Giulio che fanno di Giovanni il bersaglio perfetto per le loro derisioni. Sono caratterizzati dalla funzione della risata.
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Eserghi Ego autem sum vermis, et non homo; opprobrium hominum, et abjecto plebis. Omnes videntes me, derisunt me... [Io dunque sono un verme, e non un uomo; obbrobrio degli uomini, rifiuto del popolo. Tutti mi vedono, tutti ridono di me…] PSALM, XXI, 7,8. Judica me secundum justitiam tuam. [Giudicami secondo la tua Giustizia] PSALM, XXXIV, 24
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Campi semantici della risata e della vista
Sono i due campi semantici preminenti all’interno della narrazione Il primo si rifà ad una tradizione letteraria classica, quella che risale per esempio ad Orazio. La risata è carattere inquietante in questo testo, non è divertita, ma è simbolo di qualcosa di più profondo. Battista non fa altro che ridere in modo convulso, tutti ridono di Giovanni rendendo quel riso arma di violenza verso il più debole. Il secondo è particolarmente significativo. Il verbo vedere all’interno del testo occorre numerose volte, spesso è anche videnziato con il corsivo. L’importanza di questo aspetto deriva dall’incapacità di Giovanni di creare una reciprocità di sguardi con qualcuno e quindi di creare anche la sua identità in quanto soggetto visto. Il suo sguardo è sempre ostacolato da qualcosa di fisico ma non solo, dal fatto che guarda persone rivolte altrove, dal suo avere spesso gli occhi bassi. È interessante notare come il racconto inizi con Episcopo che fissa Giulio Wanzer, l’unico con il quale avrà un vero e proprio rapporto fisico, fatto sì di percosse, ma anche della compresenza di terrore e attrazione. Sembra particolarmente significativo a questa altezza temporale avere un personaggio maschile che è attratto da un altro uomo, e che quindi lo guarda.
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Battista è il personaggio cieco, che non vede Giovanni nonostante sia l’unico che sembra volergli bene. La sua cecità fa sì che anche la sua identità, come quella del protagonista, non sia formata. Tale caratteristica può rimandare anche alla grande tradizione di profeti ciechi che nella tradizione letteraria, soprattutto quella della tragedia classica, ha avuto grande fortuna. Ginevra viene vista da tutti, tranne che da suo marito. È caratterizzata da una quasi totale incorporeità per tutta la prima parte del testo, tanto che la sua prima apparizione avviene con un’assenza: non è dove dovrebbe perché è malata e tutti gli altri ne parlano. Ciro non fa altro che guardare suo padre, ma è uno sguardo languido, pietoso, che non crea reciprocità, ma evoca la pietà che anche suo figlio prova verso di lui che non riesce ad attenere ai suoi doveri di padre. Per approfondire l’argomento della vista nelle narrazioni si vedano «Tu che mi guardi, tu che mi racconti» di Adriana Cavarero «L’occhio vivente» di Jean Starobinski
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Declinazione di genere
Molti elementi del testo portano a riflettere su che funzione abbia il genere al suo interno. Come sono declinati il maschile e il femminile? Giovanni è descritto con i caratteri dello stereotipo femminile. È: Debole Sottoposto ai voleri di un uomo da cui non sa come scappare Vittima di un gruppo di uomini che fanno di lui l’oggetto centrale delle loro attenzioni Materno: nel momento in cui scopre che Ginevra è incinta la descrive come un’incubatrice «Lei aveva dentro di sé un’altra vita», mentre lui è «un uomo che aspetta una creatura del suo sangue». Tipico del materno è la sua funzione di cura nei confronti di Ciro. Tradito Incapace di prendere decisioni per sé senza che gli altri intervengano
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Giulio Wanzer è invece il tipico maschio alfa
Giulio Wanzer è invece il tipico maschio alfa. Rappresenta la maschilità stereotipica i cui caratteri sono: Arroganza Violenza, verbale, fisica e psicologica, nei confronti di tutti gli altri uomini e delle donne Possibilità di dominare l’ambiente che lo circonda Incapacità totale di empatia Ginevra è un personaggio molto complesso: è rappresentata come una femme fatale, ma di questo tipo le manca la preminenza di ruolo. Non ha alcuna funzione attiva nella storia, non ha libertà sessuale perché degli uomini è preda e non predatrice e non ha alcuna capacità di manipolazione nei confronti dell’altro maschile. È in definitiva una figura troppo sfumata perché possa essere definita femme fatale. Una caratteristica che va notata è la sua funzione riproduttrice: è il mezzo attraverso cui Episcopo può avere suo figlio, quella che lo contiene. Non a caso infatti il materno non è incarnato da lei ma da suo marito. Altro carattere curioso è la sua capacità di fuga nei confronti del pericolo: quando Wanzer si fa violento nei suoi confronti, lei fugge lasciando non solo il marito, ma anche il figlio, nelle mani dell’aggressore. In definitiva, attraverso l’analisi di questi tre personaggi, si può notare come siamo davanti ad un romanzo problematico, all’interno del quale il maschile e il femminile vengono declinati in modo anomalo: la storia può essere letta come una sconfitta della mascolinità di cui Wanzer è emblema, e una ribellione di quella che nel Novecento verrà poi chiamata mascolinità fragile. Il femminile in tutto questo non ha spazio, e infatti è un personaggio quello di Ginevra, totalmente marginale: è una pura funzione narrativa che occorre affinché i personaggi maschili possano svilupparsi. Ginevra è ridotta alla sola funzione riproduttrice.
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Modelli D’Annunzio era un grande conoscitore della letteratura italiana, ma non solo. I due modelli preminenti, a parte quello biblico da cui trae come già visto i nomi dei personaggi e alcune loro caratteristiche, sono quello russo e quello inglese. Modello Russo: la critica contemporanea, ma anche a D’Annunzio coeva, si è concentrata sull’influsso dell’opera di Dostoevskij da cui, secondo questa idea, si trarrebbe il genere della confessione. La questione è molto più complessa: del romanzo realista di cui sopra prende sicuramente l’idea di distinzioni in classi sociali; il riferimento più probabile è quello a Delitto e castigo in cui la società è divisa dal protagonista in pidocchi, coloro che sono senza speranza di miglioramento, dedicati ad un’esistenza misera, e Napoleoni, in sintesi coloro che sono vincenti in tutto ciò che fanno ed economicamente agiati. Proprio come nel romanzo russo c’è l’omicidio attuato da un pidocchio ai danni di un Napoleone. Altra similitudine è sicuramente il rendersi conto che un castigo per il proprio delitto è necessario
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Modello inglese: quello che però la critica ha sottovalutato è l’influenza del romanzo dell’orrore inglese che in quel periodo si stava proprio diffondendo, e che a D’Annunzio era noto sicuramente. Un autore in particolare sembra essere particolarmente importante: Edgar Allan Poe. Si vedano i rimandi: Tema dell’occhio: spesso nei racconti di Poe c’è un personaggio, di solito la vittima, che scruta il protagonista con i suoi occhi e che col suo sguardo assoggetta l’altro e lo mette in condizione di desiderare di eliminarlo. Si veda nello specifico Il cuore rivelatore che di Giovanni Episcopo sembra essere effettivamente un precedente, per atmosfera e lessico usato. Torna il tema dell’occhio azzurro del vecchio signore e del protagonista che lo uccide nella notte, esattamente come avviene nel nostro testo, tanto che anche un occhio del corpo di Wanzer sembra non volersi chiudere e continuare a fissare Episcopo. L’atmosfera di terrore che aleggia nei testi è la medesima: la claustrofobia, lo stile della scrittura che mescola frasi piuttosto semplici a termini molto complessi, la consapevolezza di una trama che è destinata immancabilmente a finire in tragedia La risata macabra, impudica, irriconoscibile, non mai udita, beffarda, acre (questi solo alcuni degli aggettivi utilizzati per definirla) è carattere tipico di tutta la narrativa horror inglese, compresa quella di Poe per la quale rimando al Cuore rivelatore, Il barile di Amontillado, La maschera della morte rossa, Il pozzo e il pendolo, Il crollo della casa degli Usher, solo per citarne alcuni
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Quello che Poe definisce Il demone della perversità, da cui il suo racconto prende nome: consiste in un’idea filosofica che è anche alla base del nostro testo. Secondo Poe infatti ci sarebbe qualcosa nell’essere umano che lo spinge a perseverare nelle azioni, anche quando è consapevole che queste stesse lo porteranno alla rovina. In questo modo gli uomini farebbero in modo che le situazioni che vivono siano quasi sempre spinte al limite per esplorare sentieri a loro ignoti. Giovanni Episcopo sembra seguire alla lettera questa idea e ricorda moltissimo anche il protagonista presente all’interno dell’exemplum presente all’interno del racconto di Poe. Il genere confessionale inoltre è tipico dello scrittore inglese, e non solo di quello russo Alcune descrizioni macabre. Rimando a quella di Battista: Sollevò gli occhiali: e mi parve quasi che avesse sollevata una maschera, tanto mutò l'espressione del suo viso. Le palpebre erano ulcerate, gonfie, senza cigli, cariche di marcia, orribili; e in mezzo a quel rossore e a quel gonfiore si aprivano a stento due pupille lacrimose, infinitamente tristi, di quella tristezza profonda e incomprensibile che hanno nello sguardo le bestie quando soffrono. Un misto di ribrezzo e di pietà mi commosse, davanti a quella rivelazione.
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