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“Ed è subito sera” (dalla raccolta “Acque e terre”)
SALVATORE QUASIMODO “Ed è subito sera” (dalla raccolta “Acque e terre”)
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Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
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SALVATORE QUASIMODO La voce del poeta “Milano: agosto 1943”
(dalla raccolta “Giorno dopo giorno”)
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Invano cerchi tra la polvere, povera mano, la città è morta.
È morta: s’è udito l’ultimo rombo sul cuore del Naviglio. E l’usignolo è caduto dall’antenna, alta sul convento, dove cantava prima del tramonto. Non scavate pozzi nei cortili: i vivi non hanno più sete. Non toccate i morti, così rossi, così gonfi: lasciateli nella terra delle loro case: la città è morta, è morta.
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Uno dei navigli di Milano
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MACERIE DI MILANO: 1943
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MACERIE DI BAGHDAD: 2007
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PER APPROFONDIRE …
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CENNI BIOGRAFICI Il poeta nacque a Modica (Ragusa) nel Suo padre era un capostazione delle ferrovie. Dal 1908 al 1920 visse a Messina, dove frequentò le scuole secondarie. Successivamente (fino al 1926) soggiornò a Roma, studiando presso la facoltà di ingegneria. Lasciati gli studi, trovò un impiego al Genio Civile (fino al 1938), che lo costrinse a continui spostamenti: Reggio Calabria, Firenze, Imperia, Sardegna, Milano. Contemporaneamente si dedicava alla poesia e alle traduzioni. Dal 1941 fu professore universitario di Letteratura Italiana presso il Conservatorio di Musica di Milano. Nel 1959 ebbe il premio Nobel per la Letteratura. Il 14 giugno 1968 morì a Napoli.
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OPERE L’opera completa (dal 1930 al 1966) è raccolta nel volume “Tutte le poesie”, Milano, Mondadori, 1960. Essa comprende le seguenti sezioni: “Ed è subito sera” (1942). Include: “Acque e terre”, “Oboe sommerso”, “Erato e Apollion”, “Nuove poesie” “Giorno dopo giorno” (1947) “La vita non è un sogno” (1949) “Il falso e vero verde” (1956) “La terra impareggiabile” (1958) “Dare e avere” (1966) N. B. Il poeta svolse anche un intenso lavoro di traduttore e di critico letterario (cfr. traduzioni dei lirici greci e scritti raccolti ne “Il poeta, il politico e altri saggi”).
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TEMATICHE E STILE Tra i temi costanti della poesia di Quasimodo:
La Sicilia e l’infanzia come mito spazio-temporale L’esilio come realtà biografica La violenza e la guerra come polo ideologico negativo La contrapposizione quasi leopardiana fra natura e storia Il passaggio, anch’esso influenzato dal pensiero di Leopardi, dall’individualismo alla dimensione sociale della sofferenza, da riscattarsi attraverso la solidarietà dell’uomo con l’uomo. Lo stile del poeta è caratterizzato da due fasi ben distinte: La stretta osservanza ai canoni dell’ermetismo (ricerca della parola pura, delle immagini nitide, dei simbolismi e delle analogie). La ricerca della comunicazione in una dimensione epico-lirica più narrativa e distesa.
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L’ERMETISMO L’ermetismo letterario, di cui Quasimodo fu tra i più celebri esponenti, si sviluppò in Italia tra le due guerre mondiali in polemica con l’eredità oratoria ottocentesca di stampo carducciano e dannunziano. Esso fu caratterizzato da: Particolare interesse verso le esperienze poetiche del simbolismo francese (cfr. soprattutto Mallarmé) Ricerca delle parole pure, essenzialmente nomi e verbi, in grado di connotare la realtà e non solo di denotarla Caduta dei nessi sintattici razionali e ricorso frequente all’analogia e al simbolismo Scelta di temi volutamente alternativi al trionfalismo della letteratura di regime: la solitudine dell’uomo, il disagio esistenziale, la coscienza dell’alienazione e dell’esilio, l’impossibilità di comunicare, l’estraneità all’uomo della natura stessa da lui violata con il progresso industriale.
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PER CONCLUDERE: ANCORA I VERSI DEL POETA
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ALLE FRONDE DEI SALICI. E come potevano noi cantare Con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze sull’erba dura di ghiaccio, al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento.
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UOMO DEL MIO TEMPO. Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne, le meridiane di morte, t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta. E questo sangue odora come nel giorno Quando il fratello disse all’altro fratello: «Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace, è giunta fino a te, dentro la tua giornata. Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue Salite dalla terra, dimenticate i padri: le loro tombe affondano nella cenere, gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
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