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PubblicatoAffonso Negro Modificato 9 anni fa
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Le forme di intersoggettività L’implicito e l’esplicito nelle relazioni interpersonali
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Nel corso della mia vita ho compiuto le mie ricerche in una prospettiva psicoanalitica, cercando di rinvenire i principi di base che governano la vita come processo creativo permanente. Tali principi, sono operativi a ogni livello di complessità, dagli organismi unicellulari alla coscienza umana. Col passare del tempo mi sono reso conto che un nucleo integrativo fungeva da sfondo alle mie attività: il mio Sé. E le domande: “Chi sono io?”, “Cosa voglio diventare?”, “Che differenza fa?” sono servite da stimolo a proseguire lungo un percorso che non sapevo dove mi avrebbe portato. LOUIS SANDER ha insegnato alla Boston University e alla University of Colorado. Partendo dalla psicoanalisi, Sander vi ha introdotto il punto di vista dinamico-sistemico, riformulando in veste nuova il punto di vista psicoanalitico.
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…io non parto dal singolo individuo ma dai sistemi che si creano fra individuo e ambiente. Ludwig von Bertalanffy (1952) sostiene due suoi basilari, quanto misteriosi, principi: organizzazione e attività primaria. Tali caratteristiche dei sistemi viventi spiegano: come la complessità dei sistemi viventi si organizzi nell’unità, nella totalità integrata, dell’organismo, sia esso una creatura unicellulare o un essere umano; come l’impeto che dà energia al processo organizzativo debba venire dall’interno dell’organismo (e non sia imposto da fuori)
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Gli approcci sistemico-relazionali non-lineari assumono che:
il soggetto sia un «sistema aperto» in continua interazione con l’ambiente gli aspetti di processo sia primari rispetto a quelli di struttura l’individuo sia dotato di agency, in grado di «auto-organizzarsi», «di auto-regolarsi», di «auto-generare» un proprio mondo interno, un proprio universo di senso. Cfr. Spontaneità del Vero Sé (Winnicott): non c’è neppure bisogno di spiegare la spontaneità in quanto è implicita nel concetto di esperienza emotiva autentica (Meltzer) L’individuo è auto-etero-regolato → si parla di regolazione interattiva/bidirezionale, co-regolazione, regolarzione armoniosa/disarmoniosa ecc.
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BAMBINO CAREGIVER
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Il fattore a-specifico comune alle relazioni educativa, consulenziale, psicoterapica e, in generale, a ogni autentica relazione, risiede nella capacità di riconoscere, empatizzare e «divertirsi» con il «centro» dell’altro*, con quel nucleo di soggettività che corrisponde del Vero Sé in cui risiede la vitalità del soggetto, sempre «diveniente» e creativo mai definitivamente «divenuto» e creato E. Fromm parlava a tale proposito dell’importanza che in terapia si stabilisca un center-to-center relatedness, piuttosto che una conoscenza «intorno al paziente» (cfr. a tale proposito anche Bion: L/H/K vs –L/-H/-K) *cfr. la psicoterapia come un «giocare assieme» in Winnicott
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Quando l’interazione «funziona», c’è senso di:
benessere essere in contatto con incontro (cfr. «momenti incontro», Sander, Stern) sentirsi riconosciuto e esistere in quanto persona (Fairbairn) sense of fulfillment (senso di appagamento) (Tronick, 1998) si sperimentano momenti affettivi intensi (Beebe, Lachmann, 1994; Kernberg, 2005) Sander cita il gioco dello scarabocchio di Winnicott dove si raggiunge un «momento inviolabile» in cui il bambino sa di essere conosciuto → questa consapevolezza permette l’emergenza del Sé agente e di una coerenza fra dentro e fuori.
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Tale interazione non è di tipo verbale, se non parzialmente, ma piuttosto è una «conoscenza relazionale implicita» (Lyons-Ruth, 1998) che opera «molto prima che sia disponibile il linguaggio e continua a operare implicitamente per tutto il resto della vita» e che non è mai completamente traducibile a livello linguistico. Anche a livello psicoterapico, una grande quantità di interazioni di svolge a livello implicito, preverbale, di interazione sistemica. Fogel parla della psicoterapia come di co-regolazione dei partner a partire da una concezione relazionale (non di input-output → cfr., in parte, processi di proiezioni/introiezione in M. Klein) Conoscenza relazionale implicita/procedurale ↔ conoscenza relazionale esplicita/semantica
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Occorre pensare a una comunicazione di tipo musicale, ritmico, fatta di «risonanze» (Sander) e sfumature, sguardi e intese, «accoppiamenti strutturali» (Maturana, Varela): è un giocare assieme, una capacità di stare in contatto empatico.
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Patologia vista come incremento dell’autoregolazione come esito del fallimento della regolazione interattiva Es. nell’esperimento del viso immobile di Tronick (vedi sopra) si assiste a un incremento nel bambino di comportamenti autoregolatori accompagnati da tristezza
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rottura/riparazione (Tronick e Cohn, 1989)
nel gioco faccia a faccia, madre e bambino passano continuamente da stati coordinati a stati non coordinati. Gli stati non coordinati sono molto più pervasivi e sono presenti per circa i 2/3 del tempo. attraverso ripetute esperienze di rottura e riparazione (normal stressful social engagement), il bambino diventa via via più capace di gestire rotture relazionali (Tronick, 2006) Per Tronick la riparazione è predittiva di un esito positivo dello sviluppo: l’esperienza di disgiunzione dalla madre e della successiva riparazione senza ritorsioni porterebbe allo sviluppo dell’organizzazione del Sé e della sua capacità di resistere allo stress relazionale, accrescendo la fiducia nella possibilità di riparazione e nella solidità del legame.
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l’esperienza cronica del fallimento relazionale, di momenti mancati (Sander, 1995), come nel caso di madri depresse, fa sì che il bambino adotti uno stile di regolazione auto-diretta: il bambino si focalizza sul contenimento delle proprie emozioni negative, ritirando l’interesse e il coinvolgimento nei confronti dell’ambiente di cura vissuto come inaffidabile.
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Es. la concezione di Fairbairn è sistemica: quando vi sono interazioni «cattive» (in cui cioè il bambino non si sente riconosciuto) quelle «parti» dell’Io del bambino che sono in relazione con l’oggetto cattivo si separano dall’Io centrale e smettono di evolvere. Ecco perché l’inconscio è fatto di «oggetti cattivi» e arcaici, ma anche di idealizzazioni e di desideri altrettanto arcaici (io libidico) che rappresentano pretese irrealistiche e primitive di soddisfacimento rivolte all’oggetto. Ora la domanda è: sono i fallimenti del caregiver ad aver generato la sensazione che l’oggetto è insoddisfacente o è l’eccesso pulsionale e le caratteristiche di sensibilità del soggetto ad averlo percepito tale? Lo spostarsi più sul versante della «sensibilità»/fantasie del soggetto comporta un pensiero più di tipo psicoanalitico.
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Siamo delle turbolenze (Meltzer), vortici intensamente dinamici, potenzialmente caotici, ma dotati di «centro», di sostanziale e inalienabile capacità di «ritorno a sé». prospettiva dello sviluppo come di un processo non lineare, né armonico, né prevedibile A livello educativo non è importante correggere e intervenire solamente sulle possibili deviazioni del vortice quanto di assicurare a esso una capacità di ri-centrarsi tramite comunicazioni e rispecchiamenti empatici
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La teoria della mente. La teoria della mente è intesa come la capacità di riconoscere gli stati mentali propri e altrui nonché di prevedere il comportamento a questi connesso. La capacità di riflettere sui propri stati mentali si sviluppa attraverso l’esperienza di essere stato compreso a propria volta […] l’incontro con la mente dell’altro significativo, una mente disponibile e accogliente, in grado di tollerare e contenere sentimenti positivi e negativi, si pone come pietra miliare dell’attaccamento di tipo sicuro rendendo il bambino capace di avventurarsi con fiducia nell’esplorazione della propria e altrui soggettività (Liverta Sempio).
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Le due dimensioni dell’intersoggettività: “insieme con” e “distinti da”. (cfr. appartenenza vs individuazione) Il bambino gioca e la madre rimane sullo sfondo (cfr. base sicura di Bowlby, casa madre di Mahler ecc.), come quando il bambino sta solo intento a esplorare le proprie mani in presenza della madre impegnata in altre attività (Sander) Cfr. Winnicott/Balint: la madre permette al bambino di funzionare in maniera non integrata, permettendogli di esistere non in quanto in grado di attivare comportamenti «finalizzati», ma semplicemente, senza necessità di fare alcunché.
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Beebe individua proprio nell’alternarsi di regolazione e adattamento il modo di formarsi del legame di attaccamento. Esso sarebbe il risultato di un processo co-costruito e non solo l’esito della generica sensibilità del partner nei confronti dell’altro o la riproduzione del modello proto-tipico infantile del legame ai genitori come nei tradizionali studi bowlbiani. Questa ipotesi spiegherebbe per Beebe la scarsa correlazione emersa fra la rappresentazione delle esperienze relazionali precoci, rilevate attraverso l’AAI, e i modelli di attaccamento al partner infatti, sebbene molti aspetti della relazione precoce sia ri-creati nel corso di nuove relazioni, su tale base i due partner co-costruiscono un loro specifico modello relazionale nel corso della relazione condivisa. Beebe vede proprio nella coordinazione vocale ritmica uno dei meccanismi non verbale che contribuiscono alla co-creazione dell’attaccamento e dei modelli di intimità anche nell’età adulta.
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