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UN EFFETTO PUÒ PRECEDERE LA SUA CAUSA?
Michael Dummett UN EFFETTO PUÒ PRECEDERE LA SUA CAUSA? Titolo originale: Can an Effect Precede Its Cause? Filosofia analitica del linguaggio mod. Ontologia 25 novembre 2013 (presentazione del dott. Buratti)
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Struttura della relazione
La relazione consta di tre parti: 1. Prima parte: Esposizione della tesi di Dummett riguardo l’argomento 2. Seconda parte: Trattazione delle motivazioni di Dummett a sostegno della sua tesi 3. Terza parte: Conclusione
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“È possibile che un effetto preceda la sua causa?”
PRIMA PARTE “È possibile che un effetto preceda la sua causa?” Questa è la domanda che dà il titolo al contributo di Dummett a un convegno del 1954, e ritorna dieci anni dopo su “The philosophical Review” in “Bringing about the past”. La risposta è affermativa: Concettualmente è possibile.
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L’asimmetrica causale tra passato e futuro non è imposta a priori dai concetti ma a posteriori dall’esperienza. L’esperienza effettiva ci induce a stabilire i nessi causali nei quali la causa precede l’effetto e non viceversa, ma in altre circostanze empiriche possibili sarebbe ragionevole ammettere relazioni causali in direzione opposta. Infatti se la nozione di causalità appartenesse a esseri intelligenti capaci solo di osservare e non anche di agire, circostanze siffatte sarebbero possibili. Basterebbe descrivere una serie di eventi naturali in ordine inverso per il resto senza differenze.
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Esempio A sostegno dell’affermazione precedente Dummett in “Bringing about the past” riporta tale esempio: “L’arboscello rimpicciolisce, riducendosi alla fine a seme di mela; poi, a poco a poco, una mela si forma intorno al seme, traendo materiale dai componenti del suolo; a un certo punto la mela comincia a rotolare per terra, sempre più veloce, rimbalzando alcune volte, e poi all’improvviso si innalza verticalmente e v ad attaccarsi con un colpo secco al ramo di un melo.” Il problema è che la nostra nozione di causa è differente dalla nozione di causa per esseri capaci solo di osservare. Perciò è fondamentale prendere in considerazione la nostra nozione di causa, per analizzare il problema della retrocasualità.
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SECONDA PARTE Nozione di causa
Per comprendere, secondo Dummett, se e che tipo di assurdità sia coinvolta nel supporre che un effetto possa precedere la sua causa, è necessario considerare più attentamente che cosa si intende quando si afferma che le cause precedono gli effetti. Se le cause precedono gli effetti, sembra che non vi potrà essere alcuna certezza che una causa determinerà il suo effetto dato che, nell’intervallo che li separa vi è sempre la possibilità che intervenga qualcosa a impedire l’operare della causa. Inoltre sembra irrazionale supporre che vi sia un lasso di tempo tra l’occorrenza della causa e la sua fruizione nell’effetto, poiché, se l’effetto non si verifica immediatamente, che cosa fa si che si verifichi quando viene il momento?
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Se le cause sono contemporanee ai loro effetti ci troviamo di fronte al problema posto da Hume: che la causa di una causa sarà a sua volta simultanea con l’effetto e non saremmo in grado di far risalire l’ascendenza causale di un evento di un solo istante di tempo. Il dilemma può essere sciolto in base alla nostra immagine di casualità. Per Dummett: una causa agisce su qualcosa e, una volta che smette di agire, questo qualcosa d’allora (successivamente) continua nello stesso modo fin quando non subisce l’azione di un’altra causa.
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Infatti, una causa può dare l’avvio a un processo che sarà terminato quando raggiunge un determinato punto, e a partire da quel punto causerà a sua volta ulteriori effetti. La direzione temporale della causazione, dal prima al dopo, entra in gioco quando concepiamo una causa come ciò che avvia un processo per spiegare il fatto che in un momento qualsiasi il processo è in corso, è sufficiente spiegare che cosa lo ha iniziato. Le Cause sono simultanee ai loro effetti immediati ma precedono i loro effetti remoti . Domanda: come facciamo a stabilire tra i due eventi qual è la causa e quale l’effetto se la causa è sempre immediata e simultanea al suo effetto?
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Risposta: tra i due eventi, la causa sarà quell’evento la cui spiegazione causale non si riferisce all’altro, ossia quando uno dei due eventi non è un accadimento naturale che semplicemente osserviamo, ma consiste in un’azione umana volontaria. Allora quello sarà la causa e l’altro l’effetto. In quest’ultima affermazione possiamo ritrovare la “definizione” di causa che propone Dummett. Secondo il filosofo della nostra nozione di causa è costitutivo che noi agendo ci serviamo di nessi causali per intervenire sulla realtà. Infatti come egli stesso afferma, il nostro concetto di causa è: “È connesso alla nozione di azione intenzionale: se si dice propriamente che un evento causa l’occorrenza di un evento successivo o simultaneo, […] segue necessariamente che, se possiamo trovare un qualche modo di far accadere il primo evento (in particolare se esso stesso è un’azione umana o volontaria), allora deve aver senso parlare di farlo accadere affinche l’evento successivo abbia luogo”.
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Che cosa significa che gli effetti precedono le cause?
Nella slide precedente è emerso cosa significhi per Dummett che “le cause precedono gli effetti”. Infatti per il nostro concetto di causa, una causa precedente all’effetto è qualcosa di cui ci si può servire per far accadere qualcosa nel momento successivo (ossia nel futuro). Sempre in base alla stessa nozione di causa, una causa successiva all’effetto dovrebbe essere qualcosa di cui facciamo uso per far accadere il passato. Quindi in base a quest’ultima affermazione scopriamo l’ASSURDITÀ coinvolta nel sostenere che gli effetti precedono le cause: essa consiste nel supporre che noi saremmo in grado di determinare il passato. Naturalmente ciò sembra assurdo!
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Le quasi - cause Se l’evento che fornisce la spiegazione segue nel tempo l’evento che si vuole spiegare si ha, secondo Dummett, una spiegazione quasi causale. Se possiamo osservare che il verificarsi di un evento di un certo tipo è una condizione sufficiente per il previo verificarsi di un evento di un altro tipo, in certe condizioni potremmo citare il verificarsi di un evento successivo non come spiegazione causale ma come spiegazione quasi - causale dell’evento precedente. Quali sono queste condizioni?
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Le tre condizioni per fornire una spiegazione quasi-causale
1. Il verificarsi dell’evento precedente, che si dovrebbe spiegare facendo riferimento a quello dell’evento successivo, dovrebbe non potersi spiegare (casualmente), a quanto ci è dato di giudicare, facendo riferimento a eventi precedenti o simultanei: non dev’esserci alcun modo di reperire una spiegazione dell’evento precedente che non si riferisca a quello successivo. 2. Dovrebbe esserci una ragione per pensare che i due eventi non sono casualmente connessi, cioè non dev’essere possibile trovare un modo di rappresentare un evento precedente come un antecedente causale (una causa remota) di quello successivo. 3. Dovremmo essere in grado di fornire una spiegazione (causale) soddisfacente del verificarsi dell’evento successivo che non contenga alcun riferimento al verificarsi di quello precedente.
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Se queste tre condizioni fossero soddisfatte, e vi fossero davvero delle prove della concomitanza ripetuta tra i due eventi, allora la connessione quasi - causale tra i due eventi costituirebbe un fatto di natura che non potremmo far altro che osservare e registrare. Queste tre condizioni sarebbero soddisfatte, per esempio, nel caso seguente: si osserva che un uomo si sveglia regolarmente tre minuti prima che scatti la sua sveglia. Spesso quest’uomo non sa, prima di addormentarsi, se la sveglia sia stata caricata, né su che ora sia stata regolata. Tutte le volte che la sveglia è stata caricata e l’ora regolata, ma non suona per qualche problema meccanico che verrà scoperto più tardi, egli dorme fino a tardi. Una mattina si sveglia presto sebbene la sveglia non sia stata caricata ma sopraggiunge un conoscente che non sa nulla di questo strano fenomeno e, per qualche motivo, regola l’orario dell’allarme in modo tale che scatti esattamente tre minuti dopo l’attimo in cui l’uomo si è svegliato. In questo caso sarebbe ragionevole, secondo Dummett, abbandonare il nostro pregiudizio contro la possibilità di fornire spiegazioni quasi - causali e dire che l’uomo si sveglia perché l’allarme sta per suonare, piuttosto che ridurre l’intera faccenda a una mera coincidenza.
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I obiezione: Critica alle spiegazioni quasi-causali
L’obiezione è la seguente: Se è ragionevole spiegare il verificarsi di un certo evento con riferimento al verificarsi di un evento successivo, allora a volte potrebbe anche essere ragionevole fare in modo che si verifichi un certo evento con l’intenzione di garantire il verificarsi di un evento precedente. Ma ciò è assurdo! Per quale motivo? Risposta: l’assurdità non risiede nel compiere un particolare tipo d’azione ma nel descriverlo in un certo modo. Prendiamo il caso in cui desideriamo che un evento di un certo tipo C, abbia luogo in futuro, e crediamo che un evento di un altro tipo B, sia una condizione sufficiente perché C avvenga successivamente: ciò che faremo allora sarà provocare B sulla base del nostro desiderio. Ebbene, in modo del tutto analogo, quando desideriamo che un terzo evento A abbia avuto luogo in passato, e crediamo che B sia una condizione sufficiente perché A abbia avuto luogo in precedenza, provochiamo B sulla base del nostro desiderio. La differenza tra i due casi consiste non in ciò che facciamo, ma in come lo descriviamo. Nel primo caso dovremmo dire che stavamo provocando B perché si verificasse C; nel secondo caso che, nel tentativo di provocare B, stavamo scoprendo se si era verificato A.
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La falsità della risposta
Dummett ritiene che tale obiezione sia fallace, perché? La falsità risiede nel fatto che questa risposta presuppone che si accetti la possibilità che qualcuno tenti di compiere l’azione e fallisca, e ciò a sua volta, presuppone che si possa fornire una spiegazione causale di tipo comune della connessione tra l’evento precedente e quello successivo. In altre parole, la ragione per cui non si deve accettare la possibilità che qualcuno tenti di compiere un’azione e fallisca, è precisamente che non si riesce a spiegare come il fatto di compiere un’azione x appaia una condizione sufficiente affinché si verifichi un certo evento sulla base di una comune ipotesi causale.
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II obiezione Contro il tentativo di intervenire casualmente sul passato c’è un argomento molto semplice: Un certo evento passato o è accaduto o non è accaduto. Se è accaduto allora qualsiasi nostra azione è inutile, se non è accaduto, allo stesso modo, la nostra azione risulterà superflua. Quindi in ogni caso la nostra azione è vana. Però il medesimo argomento può essere adottato per il Futuro. Il fatalista argomenta: O sarai ucciso da una bomba o non lo sarai. Se lo sarai, ogni precauzione che prenderai sarà inefficace, se non lo sarai, tutte le precauzioni che prenderai saranno superflue.
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Risposta alla II obiezione
Secondo Dummet, l’argomento fatalista è fallace. La fallacia consiste nel concludere “se non sarai ucciso, tutte le precauzioni che prenderai saranno superflue”. Una simile obiezione vale anche per l’argomento sul passato: la fallacia deriva dall’uso inadeguato di un controfattuale. Quando abbiamo a che fare con una regolarità che funziona nella direzione opposta rispetto alle comuni regolarità causali, i metodi di cui ci serviamo solitamente per decidere della verità su un controfattuale vengono meno.
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Esempio di obiezione per l’argomento sul passato
Per criticare l’obiezione rivolta all’argomento sul passato, Dummett esamina un caso etnologico immaginario: Ogni due anni i giovani della tribù sono inviati, come parte di un rituale di iniziazione, a caccia di leoni per provare la loro virilità. Viaggiano per due giorni, cacciano leoni per due giorni e impiegano due giorni per tornare; sono accompagnati da osservatori, che al ritorno riferiscono al capo tribù se i giovani si sono comportati coraggiosamente o no. […] Mentre i giovani sono assenti dal villaggio, il capo esegue cerimonie, diciamo danze, miranti a causare un comportamento coraggioso dei giovani. Ci accorgiamo, però, che continua ad eseguire queste danze per tutti e sei i giorni di assenza della comitiva, cioè anche per due giorni durante i quali gli eventi che le danze si presume influenzino siano già avvenuti. Domanda: si può convincere un capo tribù ragionevole che sia assurdo danzare negli ultimi due giorni?
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Assurdità empirica e non concettuale
Risposta: la convinzione che una danza determini a distanza di chilometri un comportamento coraggioso si scontra con gran parte delle nostre credenze empiriche: in questo senso può dirsi empiricamente assurda. Il punto centrale è che per Dummett causare il passato non è un assurdità concettuale. Perché? Risposta: perché se fosse un’assurdità concettuale dovrebbe essere possibile far si che il ragionevole capo riconosca l’assurdità a priori, comunque vadano le cose, anche se l’esperienza confermasse il nesso danza-coraggio per noi empiricamente assurdo.
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Infatti anche nel caso in cui la caccia sia finita per il capo potrebbe non sembrare assurdo danzare gli ultimi due giorni, in quanto egli potrebbe obiettare che non sa nulla sul comportamento dei giovani. Supponiamo però che il capo sappia, prima del ritorno dei cacciatori, che loro non si sono comportati coraggiosamente poiché gli osservatori, che sono tornati in anticipo, gli riferiscono l’esito negativo della caccia. Nonostante questo il capo decide di danzare ugualmente anche nei giorni restanti. Dopo poco si scopre che le dichiarazioni degli osservatori, per errore o per consapevolezza, erano false: i giovani erano stati coraggiosi. Dunque anche le danze degli ultimi giorni sono efficaci.
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Efficacia delle danze Quindi se risultano più frequenti casi del genere il capo non dubiterà più dell’utilità di danzare anche disponendo già di informazioni sui fatti, e cesserà di ritenere che sia possibile scoprire davvero ciò che è accaduto indipendentemente dalla sua intenzione di danzare. Perciò, potrebbe pensare che il danzare sia una ragione per diffidare dei resoconti contrari degli osservatori o per contraddirli apertamente.
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Tre convinzioni coinvolte nel caso
1. Il compiere una certa azione A (danza del capo) accresce la probabilità di un evento E (precedente comportamento coraggioso dei giovani). 2. A è un’azione che un certo soggetto S (il capo) ha il potere di compiere. 3. E è un evento di cui S può sapere se ha luogo o no in modo sempre indipendente dalla sua intenzione di compiere A. I risultati dell’esperimento immaginato da Dummett indurrebbero a tenere ferme le prime due convinzioni 1 e 2, abbandonando invece la 3 . Se le circostanze empiriche descritte si verificassero spesso, diverrebbe ragionevole dire che il capo tribù fa accadere il passato.
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Differenza fra passato e futuro
Questo esempio mostra quale sia la differenza fra passato e futuro su cui si basa la nostra riluttanza ad ammettere che si possa causare il passato. La differenza riguarda la convinzione 3, dell’indipendenza dalle intenzioni presenti, che per un evento appartenente al passato è molto radicata, mentre per molti eventi futuri si concede facilmente che non valga. Se per un evento passato E si accettano 1 e 2 appare sensata e giustificata l’idea di agire nel presente per far si che esso sia accaduto. Non è possibile accettare 1 e 2 insieme coerentemente, però, se si conserva la convinzione 3, che E sia sempre conoscibile indipendentemente dalle nostre intenzioni presenti.
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PARTE TERZA CONCLUSIONE
Dummett con l’esempio delle danze del capo ha descritto circostanze empiriche possibili in cui sarebbe ragionevole supporre che si possa causare il passato. Quindi in analogia con la critica all’argomento fatalista, con la quale Dummett mostra che l’assunzione che asserti sul futuro abbiano già un valore di verità, non implica che sia impossibile causare il futuro e quindi, per le stesse ragioni, non è concettualmente impossibile causare il passato. Di conseguenza, per Dummett, la direzione della casualità sia dal prima al dopo, e non viceversa, è solo un fatto empirico.
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