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FUNZIONALISMO E STRUTTURAL FUNZIONALISMO
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Branislaw Malinowski La posizione di Branislaw Malinowski nell’antropologia britannica è analoga a quella di Boas in quella americana. Anche Branislaw Malinowski come Boas era di origini mitteleuropee, portato da circostanze particolari all’antropologia inglese. Insegnò alla London of Economic dal 1922 al 1938 e esercitando una grandissima influenza sull’antropologia contemporanea. Il termine funzionalismo si riferisce alle idee espresse da Branislaw Malinowski considerato, insieme a Rivers il padre del funzionalismo britannico, un paradigma che si affermò gradualmente e che portò al prevalere della prospettiva sincronica in antropologia, rispetto a quella diacronica che aveva dominato nella seconda parte dell’800 nell’ambito dell’evoluzionismo e del diffusionismo. Sullo sfondo del funzionalismo possiamo intravedere una tradizione sociologica che vede la società come un’entità sistematicamente strutturata paragonabile ad un organismo biologico costituito da sistemi che agiscono gli uni in funzione degli altri.
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Emile Durkheim L’autore cui si rifà maggiormente il funzionalismo è Emile Durkheim, sociologo, docente alla Sorbona dal 1902 al 1917, e che ha avuto una grande influenza sull’antropologia francese del 900, soprattutto attraverso l’opera di un suo allievo Marcel Mauss. Durkheim ponendo l’accento sull’autonomia del sociale contro ogni riduzionismo storico o psicologico e sulla concezione della società come SISTEMA organico — con l’uso conseguente del concetto di funzione — viene considerato come l’anticipatore di molti dei temi dell’antropologia funzionalista.
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Aspetti centrali della teoria funzionalista
In sintesi la prospettiva funzionalista si focalizza in particolar modo su aspetti quali le azioni tra individui i limiti imposti agli individui dalle istituzioni sociali le relazioni tra i bisogni individuali e la soddisfazione di tali bisogni attraverso quadri sociali e culturali uno scarso interesse per i problemi storici e per il mutamento
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Lo struttural-funzionalismo
Lo struttural-funzionalismo designa il lavoro di Radcliffe-Brown e dei suoi seguaci (Evans-Pritchard, Meyer Fortes e Jack Goody), una prospettiva che ha dominato l’antropologia britannica tra gli anni 40 e 60 del secolo scorso Lo struttural-funzionalismo, rispetto al funzionalismo tende a preoccuparsi meno delle azioni e dei bisogni individuali e più della posizione degli individui nell’ordine sociale, o nella costruzione dell’ordine sociale stesso Benché tra le due prospettive teoriche vi siano stati sempre confini labili, le due prospettive sono significativamente diverse e, soprattutto Radcliffe-Brown tenderà a contrapporsi esplicitamente all’etnologia di Malinowski recuperando l’approccio comparativo nell’elaborazione della teoria antropologica
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Lo struttural-funzionalismo di Radcliffe-Brown
Secondo la prospettiva dello struttural-funzionalismo di Radcliffe-Brown la società viene considerata funzionante: “come un organismo sano, costituito da molte parti riunite in sistemi più ampi; questi sistemi, ognuno con la propria funzione specifica e i suoi scopi, lavorano insieme agli altri. Le società hanno strutture simili a quelle degli organismi Le istituzioni sociali, come le parti del corpo, funzionano insieme all’interno di sistemi più grandi. I sistemi sociali come la parentela, la religione, la politica e l’economia, presi tutti insieme costituiscono la società proprio come i diversi sistemi biologici formano, tutti insieme, l’organismo”.
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Le prospettive centrate sull’azione e gli approcci strutturali
Dagli anni ‘50 messi in atto diversi tentativi per allontanare l’antropologia dai paradigmi formali centrati sulla società, specialmente lo struttural-funzionalismo, verso altri più centrati sull’individuo e sull’azione sociale Precursori delle idee relative ai processi sociali e culturali: I sociologi Georg Simmel e Max Weber L’antropologo Van Gennep Le scuole e gli autori: La “Scuola di Manchester”: Max Gluckman, Victor turner Edmund Leach Raymond firth
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Il relativismo culturale
Melford Spiro identifica tre tipi relativismo culturale: relativismo descrittivo, relativismo normativo e relativismo epistemologico relativismo descrittivo “Con entusiasmo variabile, gli antropologi sono stati «deterministi culturali» fin dal diciannovesimo secolo, sostenendo che la cultura stessa (e non semplicemente la biologia) regola il modo in cui gli uomini percepiscono il mondo. Un corollario di quest’affermazione è che la variabilità culturale produrrà una differente comprensione culturale e psicologica a seconda della popolazione; questa posizione è detta relativismo descrittivo. In antropologia praticamente tutte le scuole di pensiero accettano perlomeno una forma debole di relativismo descrittivo”.
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Il relativismo normativo
il relativismo normativo parte dalla constatazione che ogni cultura giudica le altre in conformità ai propri criteri interni, e giunge ad affermare che non esistono criteri universali di giudizio tra le culture. All’interno del relativismo normativo possiamo distinguere due forme logicamente distinte: il relativismo cognitivo il relativismo morale
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Il relativismo cognitivo
Il relativismo cognitivo riguarda le proposizioni descrittive, come «La luna è fatta di formaggio verde» o «La musica pop fa venire il mal di testa». Esso assume che, in termini di verità e falsità, tutte le asserzioni sul mondo sono culturalmente contingenti, e che di conseguenza asserzioni non culturalmente contingenti sono semplicemente impossibili. In altre parole, tutta la scienza è etnoscienza
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Il relativismo morale Il relativismo morale ha a che fare con le proposizioni valutative, come «I gatti sono più belli dei cani» o «E sbagliato mangiare verdura». Esso assume che i giudizi etici ed estetici devono essere formulati nei termini di valori culturali specifici piuttosto che universali. Ne consegue che, in termini sociali e psicologici, sia il comportamento appropriato sia i processi di pensiero (per esempio, la razionalità) devono essere giudicati in conformità a valori culturali.
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Il relativismo epistemologico
Il relativismo epistemologico assume come suo punto d’avvio la più forte versione possibile del relativismo descrittivo. Esso combina una posizione estrema di determinismo culturale con la concezione che la diversità culturale sia praticamente illimitata. Qui è importante distinguere tra: determinismo culturale generico che assume l’esistenza di uno schema culturale universale tipico solo dell’uomo all’interno del quale le culture variano, per esempio l’«unità psichica» del genere umano; e determinismo culturale particolare secondo il quale non esiste una cosa del genere. I relativisti epistemologici abbracciano questo secondo punto di vista. Essi sostengono che la natura e la mente umana sono culturalmente variabili. Quindi sia le generalizzazioni sulla cultura sia le teorie generali della cultura sono ingannevoli.
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