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La nazionalizzazione delle masse
Germania e Italia
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La Nazionalizzazione delle masse
Gli anni fra le due guerre rappresentano una svolta nel rapporto tra società e stato in cui fu cruciale la relazione che si venne a creare tra masse e stato, e masse e istituzioni La politica subì trasformazioni profonde nella struttura, nell’organizzazione e nell’attività dei partiti “di massa”, ma anche per le forme di attività collettiva, e l’influenza subita e trasmessa nei confronti degli altri agenti sociali e istituzionali Il tema della “nazionalizzazione delle masse” ripreso dal titolo del volume di G.L.Mosse, è divenuto un vero e proprio programma di ricerca (oltre che una formula spesso troppo utilizzata)
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La Nazionalizzazione delle masse
In questo libro, considerato unanimemente un'opera innovativa e pionieristica, Mosse, studioso dei fenomeni storici nei loro aspetti culturali e ideologici, prende in esame la nascita e lo sviluppo del processo di nazionalizzazione delle masse in Germania. Il suo intento è quello di mettere in luce uno dei motivi fondamentali per la genesi del nazismo (e più in generale del fascismo): la penetrazione all'interno di larghi strati della popolazione (classi medie e classe operaia) di simboli, codici ideologici che esaltano la nazione, la gerarchia, la mobilitazione per i supremi fini nazionali.
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La Nazionalizzazione delle masse
Pur limitato alla Germania, il discorso di Mosse ha valenza più ampia e si presta per lo studio di altri casi nazionali. Egli individua la genesi di quella che chiama nuova politica nella fase iniziale dell'Ottocento e ne segue gli sviluppi per tutto il secolo fino agli anni precedenti la presa del potere del nazionalsocialismo. L'analisi di Mosse si impernia su monumenti, scritti letterari, brani musicali, associazioni ginniche per cogliervi il processo di formazione della società di massa e dei suoi simboli politici: la nazione, la figura del capo (prima Bismarck, poi Hitler), il mito dei soldati caduti.
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La Nazionalizzazione delle masse
La storia europea degli ultimi due secoli – secondo Mosse - aveva visto l' affermarsi di una “estetica della politica” che affidava i suoi messaggi non alla parola scritta, bensì alla suggestione esercitata da immagini, liturgie e miti. Tutte le scenografie dei regimi totalitari, che qualcuno ancora considera come semplice cartapesta, come quinte senza importanza, sono in realtà un importante oggetto di studio. Mosse spiegava che l' analisi di ideologie, simboli e miti dei regimi totalitari, di destra o di sinistra che fossero, rappresentava uno strumento indispensabile per capirne la storia.
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Le masse che avevano applaudito Hitler o Mussolini erano composte infatti - per la massima parte - di uomini e donne normali, che in quei regimi avevano trovato accolte certe loro fondamentali esigenze. Di fronte alle incognite dei processi di modernizzazione, di fronte ai fenomeni di sradicamento da questa prodotti, nazismo e fascismo erano apparsi capaci di ricostruire il sentimento perduto di una comunità, di offrire sicurezza a milioni di individui disorientati.
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Nel fascismo come nel nazismo - scriveva Mosse – c’è “il senso di una porta che introduce ad un’utopia di tolleranza, di felicità, di produttività e di ogni altra cosa cui la gente aspira”. Quel sogno di una felicità si sarebbe rivelato un incubo. Secondo Mosse, quindi, la “politica di massa” ha i suoi presupposti nei miti e nei simboli e, aggiunge, che la “Nuova Politica” ed “estetica della politica” sono gli strumenti attraverso i quali si realizza la nazionalizzazione delle masse.
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Miti e Simboli La nazione si impadroniva dei miti e dei simboli del passato per dissimulare l'effettiva velocità del tempo. Con il MITO si poteva interpretare una realtà facendola apparire migliore: attraverso i miti la morte, che aveva sempre terrorizzato, diventò qualcosa di meno terribile e più sopportabile. Grazie ai SIMBOLI si cercava di far presa su tutte le classi Il simbolo riesce a rappresentare realtà che non si possono descrivere; nella sua brevità e immediatezza, può esprimere concetti molto complessi. Ai simboli veri e propri si aggiungevano frasi e slogan facili da ricordare, ma dall'intenso significato.
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Miti e Simboli Le feste, spesso ispirate a quelle antiche, dovevano essere riempite di simbolismo per far sentire il popolo appartenente alla nazione e fulcro del grande progetto, legarlo al dittatore. Queste feste avevano il compito di far rinascere lo spirito e l’orgoglio nazionale, e di far superare le differenze di classe, in modo da costituire uno Stato fiero, compatto, e senza lotte interne. Per le stesse ragioni furono innalzate statue e monumenti; servivano ad ottenere il consenso popolare, e per questo vennero anche ripresi culti antichi, come quelli del sole e della bellezza, e rivisitati in chiave moderna. Furono proprio gli slogan, i cori, i simboli ripetuti all'infinito, ad “addomesticare” alla rivoluzione. I riti del fascismo e del nazismo potevano apparire nuovi, ma in realtà derivavano dalla fusione di elementi tradizionali alle nuove ideologie.
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Miti e Simboli Franco Cardini insiste sul concetto che “senza simboli non c’è storia” e – aggiungiamo – la storia dei simboli e la sua concretizzazione sono oggi nell’architettura e nella cultura degli anni novecenteschi (senza voler risalire all’antichità o alla preistoria in alcuni casi) E’ quindi errato non fare i conti con i simboli e con i miti per analizzare e cercar di comprendere la cultura e le radici di un popolo o di una nazione o di una entità intrecciata con gli attuali confini nazionali (le minoranze divise tra più nazioni), o di un etno-nazionalismo Quanti sono i simboli ripresi, assorbiti o riadattati? Quanti sono i simboli che si rintracciano nei combattenti o fra le due guerre? Quanto sono i simboli che oggi ci aiutano a leggere la storia dei comportamenti di massa?
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Miti e Simboli Il mito di Roma fu l’essenza del fascismo (pur non appartenendo alle origini del fascismo stesso né alla cultura politica del Mussolini rivoluzionario e socialista) Non fu la Roma antica a romanizzare il fascismo, bensì il fascismo a fascistizzare la Roma antica, il suo mito e la sua storia. Utilizzando e valorizzando i suoi monumenti (i grandi sbancamenti dei quartieri rinascimentali, le opere “nuove” – Foro Italico e Eur – la via dell’impero – oggi via dei fori imperiali) per le esigenze della nuova Roma fascista Davide Chieregatti, il fascismo e la storia di Roma,
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La “nuova politica” nasce con la rivoluzione francese e l’elaborazione di una volontà generale (derivata da Rousseau) che si contrappone alle forme rappresentative di governo. Passaggio essenziale è la curvatura nazionalistica che viene attribuita al concetto di volontà generale (e quindi di popolo): il ricorso a miti e simboli unificanti trasforma “l’azione politica in una rappresentazione drammatica della quale si pensava fosse attore il popolo”
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Drammatizzazione, liturgia ed estetica sono i connotati della nuova dimensione della politica nella società di massa. Una nuova politica che prende corpo e si esprime a tutti i livelli consapevoli ed inconsapevoli di elites e di massa, in tutte le sue manifestazioni, letterarie, estetiche, architettoniche, teatrali e nelle loro forme di espressione (feste popolari, danze, organizzazioni sportive e ricreative)
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I più coerenti rappresentanti di questa trasformazione saranno i movimenti nazionalisti e dopo la guerra, i movimenti fascisti Mosse sostiene in altri studi (“Le origini culturali del Terzo Reich”) che questo processo parte dagli anni '70 dell'Ottocento, ma che l'ideologia nazionale germanica era stata costruita nei primi decenni del XIX secolo in coincidenza con le guerre antinapoleoniche. Da allora strati della piccola e media borghesia risultavano ostili alla civiltà, ad un progresso materiale che li minacciava nel loro status; essi esaltavano invece la cultura, il popolo inteso come Volk, come razza, definito da sangue e suolo, e odiavano l'ebreo perché incarnava appunto ai loro occhi progresso e civiltà
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“La rivoluzione nazista fu la rivoluzione borghese ideale, in quanto rivoluzione dell'anima“. Una rivoluzione che, essendo ideologica, non minacciava nessun interesse economico, anche perché aveva trovato un altro nemico, l’ebreo. I totalitarismi di destra hanno quindi delle radici remote che incidono fortemente sulle politiche e sulle loro organizzazioni di massa.
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I fascismi sono così dei regimi “nuovi” rispetto a tutte le altre forme di autoritarismo e conservatorismo che li hanno preceduti e seguiti Fascismi e nazionalsocialismo hanno introdotto e attuato uno stile politico nuovo fondato in larga parte sulla realizzazione drammatica di una serie di miti e culti di massa che – con accentuazioni diverse, con risultati diversi da luogo a luogo, da storia a storia, da nazione a nazione – hanno portato a compimento quel processo più lontano definibile come “nazionalizzazione delle masse”
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Ne conseguono una serie di importanti elementi di valutazione: che il fascismo aveva una lunga storia dietro di sé prima che i nazisti e gli altri fascisti ne facessero buon uso per giungere al potere. che - ferma restando la centralità del primo conflitto come valore determinante – per capire i fascismi e il nazionalsocialismo in particolare “è necessario prendere in considerazione i precedenti e vedere i collegamenti posti in essere dai regimi totalitari: furono i miti e i culti dei primi movimenti di massa che diedero al fascismo e al nazionalsocialismo una base dalla quale operare e li misero in grado di rappresentare una alternativa alla democrazia parlamentare”.
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che “la mobilitazione di milioni di persone fu resa possibile dal fatto che in tali tradizioni venne ravvisata la possibilità di una partecipazione politica più vitale e più significativa di quella offerta dalla concezione borghese di democrazia parlamentare” che “la nuova politica” operò al di fuori delle normali divisioni di classe e – in particolare – non si limitò alle classi marginali; in Germania la “nuova politica” si definì e si diffuse in gran parte delle classi medie che riconoscevano in essa il trionfo dei propri valori storici e culturali e influenzò settori non trascurabili delle classi lavoratrici
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Che Hitler si trovò ad agire all’interno di una realtà caratterizzata da un culto nazionale e di uno stile politico (che si appellava ad aspirazioni radicate nei miti e nei simboli del popolo e della cultura) già giunti a maturazione. Che il nazionalsocialismo fece propri i caratteri della “nuova politica” e gran parte del patrimonio culturale (razionale ed irrazionale) su cui essa si fondava Che parlare di retorica e demagogia di fronte alle manifestazioni, ai rituali, alle cerimonie è insufficiente e restrittivo
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Alla luce di questi elementi deriva che il rapporto Furher-Volk non poteva essere “troppo” personale in quanto una preminenza della personalità avrebbe creato un forte elemento di squilibrio. L’autorappresentazione nazionale era considerata da Hitler l’unico elemento in grado di dare continuità al sistema politico nazionalsocialista. Il culto della nazione doveva quindi mantenersi autonomo e fondato su elementi permanenti.
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Quindi in un regime autoritario/totalitario parlare solo di propaganda è improprio e non completo rispetto alle sue basi. La propaganda indica qualcosa di artificioso e di condizionante i singoli, ma un suo uso incondizionato porta a fraintendere “il processo organico del culto nazista e la sua natura essenzialmente religiosa” (laica, dello stato, della nazione tedesca). Esistono diverse applicazioni di questi strumenti che segnalano come i regimi autoritari/totalitari non possono essere riportati ad una solo tipologia e non possono essere traslati nel tempo, riapplicandone il modello Comparare i diversi fascismi
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L’uso della violenza e del terrore nel nazismo e nei fascismi sono un dato di fatto sul quale si basa la costruzione e il raggiungimento dei propri obiettivi. Questi aspetti non sono completi se non si prendono in considerazione “la genuina popolarità della letteratura e delle arti naziste e quindi l’inutilità per i nazisti di doverle rendere efficaci con la violenza e il terrore …. Lo stesso per lo stile politico che era popolare perché si fondava diventata ormai familiare e congeniale”. Anche in questo caso le radici dei diversi autoritarismi/totalitarismi conducono alla necessità di prendere in considerazione le radici culturali, tradizionali, linguistiche e ideologiche del Volk e della Nazione. Tutti elementi che impediscono anche in questo caso di trattarli in modo univoco. Studiarne e capirne le radici.
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Altro aspetto molto interessante per cogliere la specificità del nazismo e dei fascismi è il riferimento ideologico. Tanti elementi ci inducono a precisare che le tradizionali teorie politiche hanno poco a che fare con questi regimi i quali offrono “una cornice al culto nazionale” Gli stessi discorsi dei “capi” avevano una funzione e un contesto liturgico, dove la parola si integrava con i riti culturali, e il testo scritto ne ripercorreva gli elementi strutturali e tradizionali.
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Esempio evidente è: il “Mein Kampf” (libro che Hitler, in carcere dopo il putsch di Monaco, dettò a Rudolf Hess nel 1924). I due volumi, pubblicati nel , chiarirono basi e fini del nazionalsocialismo - spazio vitale a Est, superiorità ariana, antisemitismo, Führerprinzip ecc. - e furono strumento della propaganda nel Terzo Reich con oltre sei milioni di copie vendute entro il 1940. le idee contenute al suo interno “erano state trasferite in forme liturgiche e la funzione della pagina scritta era stata affidata ai riti di massa del culto nazionale ariano”.
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Vediamo alcune differenze tra Hitler e Mussolini: il secondo non attribuì alle cerimonie e ai simboli rituali la stessa l’importanza che dava loro Hitler; le radici e i riferimenti erano differenti e con essi le possibilità di racchiuderli all’interno di una cornice riconosciuta in modo univoco dal Volk (popolo-nazione) Nel fascismo italiano le vere manifestazioni della “nuova politica” furono pochissime e a livello di elites e non di massa per la semplice constatazione dell’assenza o quasi di una precedente integrazione nazionale delle masse, a sua volta spiegato dalle caratteristiche del processo unitario italiano rispetto a quello tedesco
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La Nazionalizzazione delle masse
La nazionalizzazione delle masse (quindi la trasformazione delle folle in masse) in Francia è segnata dal momento di rottura rappresentato dalla rivoluzione avvenuta già in presenza di uno stato nazionale; in Germania non vi fu un evento traumatico, ma un fatto collettivo profondamente unitario in assenza di uno stato unitario cui si tendeva; in Italia non vi fu evento traumatico pur in presenza di una questione nazionale eppure questo fenomeno fu molto ritardato. La “nuova politica”, per la difficoltà storica di definire concretamente un modello della sua espressione comune ai diversi paesi che vissero l’esperienza dittatoriale, deve essere considerata un fenomeno storico tipicamente tedesco, radicato nella sua storia
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La Nazionalizzazione delle masse
Nel fascismo elementi decisivi del rapporto fra le masse e il regime sono: la figura carismatica del duce e la formazione (dal che l’importanza dell’educazione nazionale dei giovani) del “nuovo italiano” che faceva riferimento ai caratteri migliori della stirpe ma che doveva essere il prodotto del fascismo considerato quindi un fatto del tutto nuovo nella storia italiana Nel nazismo il rapporto con il Furher non poteva essere esclusivo in quanto avrebbe penalizzato il regime stesso, mentre il riferimento all’innovazione della stirpe è del tutto assente, basandosi al contrario sul recupero ed esaltazione di tutto ciò che già esisteva di germanico compreso il razzismo.
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La Nazionalizzazione delle masse
Esistono comunque molti punti tra fascismo e nazionalsocialismo e quindi non è possibile generalizzare il fenomeno in una sola categoria; occorre analizzare e contestualizzare il singoli fascismi soprattutto rispetto alle singole radici nazionali e vicende nazionali che li precedono Inizialmente le opere di Mosse si rivelarono in sintonia soprattutto con gli studi di Renzo De Felice, lo studioso al quale più era legato nel nostro paese; ma in seguito gran parte degli storici italiani hanno riconosciuto l' importanza dei suoi lavori. Se oggi nessuno si sentirebbe più di liquidare la storia del Ventennio come una "fabbrica del vuoto culturale", se in sostanza abbiamo una conoscenza più adeguata di ciò che e' stata l' Italia tra le due guerre, lo si deve anche a questo studioso
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Simbolismo monumentale tedesco
Walhalla- Ratisbona ( ): simbolo del concetto sia archeologico e romantico della civiltà greca, il Walhalla presenta l'ideale del Tempio degli eroi germanici Riprende in modo rigoroso il greco dorico basandosi sul modello del Partenone Il vertice del tempio viene raggiunto con una scalinata monumentale all'aperto a picco sul Danubio
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Simbolismo monumentale tedesco
Hermannsdenkmal (Monumento di Ermanno vincitore delle legioni romane) Si trova a Detmold nel Nord Reno-Westfalia Simboleggia la vittoria sui romani e rispecchia l’intera vicenda del nazionalismo tedesco dell’800. Rappresenta il distacco dalla tradizione neo-classica la sua costruzione colpì Hitler non tanto per il carattere architettonico, quanto per la mobilitazione di massa che l’architetto Bandel riuscì a suscitare per il finanziamento della costruzione. Hitler percepì questo fenomeno come un bisogno di rappresentazione e di riconoscersi nel mito e nel simbolo. Si può dire che è il primo monumento nazionale eretto da tutto il popolo tedesco
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