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Lo spirito dell’idealismo
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La filosofia moderna e il problema gnoseologico
Il problema fondamentale della filosofia moderna è quello gnoseologico, cioè il problema della conoscenza. Infatti «ogni esperienza è costituita dalla congiunzione di un soggetto e di un oggetto, di un conoscente e di un conosciuto» (cfr. per questa e per le prossime citazioni: J. Evola, Saggi sull’idealismo magico, Mediterranee, Roma, 2006, Atanor, 1925). Scopo di gran parte della riflessione moderna è stabilire come sia possibile la relazione fra questi due elementi.
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Riformulazione del problema gnoseologico
Come è possibile la relazione soggetto-oggetto? Questa domanda può essere riformulata in altri termini. Che cosa mi garantisce l’autenticità, l’affidabilità, la verità di tale relazione? Perché quando entro in relazione con un oggetto qualsiasi (una cosa, un essere vivente, un’altra persona, me stesso i miei pensieri e le mie emozioni) posso affermare qualcosa di vero circa quest’oggetto?
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Importanza del problema gnoseologico
E’ assolutamente primario giustificare la nostra conoscenza, perché significa giustificare la possibile verità delle nostre affermazioni su qualsiasi argomento. Infatti attraverso la conoscenza si stabilisce che esistono e sono reali la natura, gli altri uomini, il mondo materiale e anche quello spirituale. Se non siamo in grado di farlo tutto questo sprofonda nell’incertezza e alla fine nel nulla.
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La posizione scettica non sfugge alla necessità di giustificare la propria conoscenza
Anche qualora volessimo affermare che «non esiste alcuna certezza», dovremmo pur sempre dare ragione di una tale affermazione. Infatti anche lo scettico, cioè colui che dice che non esistono certezze, almeno di quest’ultima opinione deve essere certo. Ma per esserne certo deve giustificarla gnoseologicamente.
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La soluzione idealistica
L’idealismo è il punto di sviluppo ultimo e più radicale della riflessione moderna e sostiene che «un mondo esterno esistente in se stesso indipendentemente dal conoscere e perciò dall’Io, non è in alcun modo coerentemente affermabile: che quindi l’intero universo non è che il sistema del nostro conoscere, cioè non è che in virtù dell’Io e per l’Io».
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L’Io al centro Ciò significa che l’idealismo radicalizza la rivoluzione copernicana di Kant, che implicava la messa al centro del soggetto nel processo conoscitivo (Kant diceva che nella conoscenza, in tutti i fenomeni che noi andiamo ad analizzare, non traiamo dall’oggetto le notizie scientifiche su di esso, bensì, utilizzando il materiale bruto delle sensazioni fenomeniche, siamo noi a dar loro una forma, siamo noi dunque a COSTRUIRE la conoscenza, e non l’oggetto che ci sta di fronte). Gli idealisti evidenziano particolarmente quest’ultima notazione.
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non si può affermare niente, nemmeno che è e nemmeno che esista!
Dimostrazione L’argomento fondamentale per dimostrare che tutta la realtà dipende dal soggetto che la conosce insiste sulla seguente constatazione: Di qualcosa di cui l’Io, cioè un qualsiasi soggetto conoscente, non ha nessuna notizia, nemmeno alla lontana, nemmeno per sentito dire; di cui pertanto l’Io non possa sapere assolutamente niente, non si può affermare niente, nemmeno che è e nemmeno che esista!
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DIPENDE DALL’ATTO CONOSCITIVO DELL’IO
Dunque: Di conseguenza tutto ciò che abbia una minima realtà, anche solo spirituale, anche solo immaginata, tutto ciò che nel senso più ampio del termine abbia un minimo essere DIPENDE DALL’ATTO CONOSCITIVO DELL’IO
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Obiezione 1 (le cose esistono per sé)
A tale posizione possono essere mosse tre obiezioni: Il fatto che non esista qualcosa per me (per l’IO), non implica che essa non possa esistere per se stessa, cioè indipendentemente dalla mia attività conoscitiva. Tant’è vero che la nostra vita conoscitiva è la scoperta di cose di cui prima non sospettavamo l’esistenza. Infatti, dopo che le abbiamo conosciute, sappiamo anche che sono esistite prima di conoscerle.
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Risposta 1 Se però queste cose che «esistono lo stesso» non sono conosciute dall’Io, nemmeno alla lontana e per sentito dire, nemmeno con il più lieve dei sospetti, la loro esistenza è un’ipotesi assolutamente gratuita. Un volta che noi le abbiamo conosciute, anche il loro essere-sempre-state, in realtà, dipende dalle modalità con cui l’Io le ha conosciute e ha dato loro realtà effettiva (lo spazio e soprattutto il tempo sono anch’essi forme a priori, cioè strutture proprie del soggetto conoscente, dunque anche il passato di un oggetto che ho conosciuto – il suo apparire come già esistito prima di me - non è una proprietà dell’oggetto, ma qualcosa che il soggetto pone, mette in atto, determina).
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Obiezione 2 (gli altri e le cose percepite da loro sono sicuramente esterne)
Per me non esistono solo le cose percepite da me, ma anche quelle percepite da altri. E gli altri hanno la funzione di confermare o smentire le mie percezioni. Gli altri sono indubbiamente esterni alla mia coscienza, e lo sono a maggior ragione le cose percepite da loro.
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Risposta 2 Qui la risposta evoliana coglie solo un aspetto dell’idealismo. Infatti Evola dice io «nulla so degli altri fuor di quello di cui o per percezione o per discorso, o per intuizione, o per qualunque altro modo del mio conoscere vengo a coscienza e che perciò riconduco all’interno della sfera della mia soggettività». Quindi anche per le notizie che mi provengono dagli altri, tutto dipende dalla mia soggettività.
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Soggetto empirico e trascendentale
La risposta evoliana è «interessata» perché Evola intende apportare una modifica all’idealismo classico, eliminando la distinzione tra trascendentale ed empirico: per lui il soggetto è il soggetto in carne ed ossa che noi siamo (il soggetto che gli idealisti classici chiamano «empirico»). Gli idealisti classici parlano invece di un «soggetto trascendentale», che non si sovrappone completamente al soggetto empirico e che è ciò che rende il soggetto empirico veramente soggetto.
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Esempio ad usum Delphini
Per fare un esempio (da prendere con le molle e solo quale orientamento in una questione assai più complessa): È come se si parlasse dei motori delle singole automobili (empiriche), e si facesse invece un discorso generale sul Motore (a priori, la forma, la struttura di cui ogni motore empirico è dotato proprio in quanto motore). I motori empirici, delle singole automobili, sono tali perché ciascun motore è a sua volta un Motore, questo Motore non coincide con i singoli motori, ma è ciò in virtù del quale tutti i singoli motori sono motori…
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Continua… …Ma non bisogna fraintendere tale affermazione in senso platonico, poiché tale Motore non è una realtà sussistente di per sé, fuori e a parte dei singoli motori (non è un’idea platonica trascendente), ma è la struttura universale che appartiene ai tutti i singoli motori, è il Motore inteso in senso trascendentale, cioè è l’a-priori in quanto condizione di possibilità del funzionamento di ogni motore, è lo stesso modo di funzionare di tutti i singoli motori e vive in tutti i singoli motori. In maniera analoga il Soggetto trascendentale è il modo di funzionare di tutti i singoli soggetti conoscenti e «vive» in tutti in singoli soggetti.
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Risposta idealistica all’obiezione 2
Dunque non è necessario che il mio proprio Io empirico conosca una cosa per renderla effettiva, ma che questa cosa sia investita, sia stata formata e resa reale da quella struttura universale che è il Soggetto trascendentale, la Soggettività conoscente che è fonte di ogni realtà. Il discorso idealistico dice che nulla “è” se non è stato in generale formato, istituito, reso effettivo da una struttura conoscitiva che ha agito su di lui, chiamandolo all’essere. Gli altri sono già da sempre compresi in questo Soggetto trascendentale, in quanto espressioni empiriche di questa struttura universale del conoscere dalla quale dipende ogni realtà.
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Obiezione 3 (le cose vengono conosciute come esterne)
Le cose quando vengono conosciute da un soggetto vengono conosciute come ESTERNE al soggetto, cioè come indipendenti dal lui. Ogni volta che noi conosciamo qualcosa, abbiamo la netta impressione che quella cosa sia esterna al nostro soggetto e non sia stata posta dal soggetto stesso.
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Risposta 3 La risposta a questa obiezione sottolinea il fatto che, se qualcosa è conosciuto da noi come esterno, è sempre la nostra coscienza soggettiva ad attribuire il carattere di esteriorità alla cosa. Cioè la nostra coscienza conosce qualcosa; questo è dunque interno alla coscienza; ma, dentro alla coscienza, tale oggetto è dalla coscienza considerato come un oggetto esterno. Dunque l’esteriorità di un oggetto conosciuto è sempre relativa, relativa alla coscienza che lo individua e lo pone come tale, cioè come esterno. Senza la coscienza, nessun oggetto, esterno o interno, sarebbe conoscibile.
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Conclusione Dalle risposte alle obiezioni si evince la seguente conclusione: «Ogni realtà non è che determinazione della mia coscienza» o «Io» o «Soggetto trascendentale».
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Kant Kant è il filosofo al quale si deve l’inizio dell’idealismo. Infatti, come già detto la rivoluzione copernicana di Kant è quell’evento filosofico che ha ispirato i successivi sviluppi idealistici. Kant ha sottolineato infatti la dimensione ATTIVA della coscienza nell’atto conoscitivo. Essa non si limita a registrare ciò che comunica l’oggetto, ma mette ordine in modo attivo alla massa disordinata delle sensazioni attraverso le sue forme a priori, determinando i risultati conoscitivi dell’indagine dell’oggetto e rendendo possibile la sua qualificazione da un punto di vista rigoroso, universale e scientifico.
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tale «cosa in sé» non esiste.
Fichte Il migliore seguace di Kant, J. G. Fichte, è anche l’iniziatore dell’idealismo, poiché radicalizza l’impostazione kantiana affermando che il soggetto non si limita a mettere ordine nei dati che la sensazione ci fornisce circa un oggetto esterno, IN SÉ inconoscibile. INFATTI tale «cosa in sé» non esiste. Il soggetto (l’Io) conoscente è al contrario colui che «crea» e «pone» completamente l’oggetto (da Fichte chiamato non-Io).
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Critica idealistica all’idea di noumeno
Infatti se la conoscenza dovesse lasciar fuori il noumeno o cosa in sé dalla propria sfera di azione, di tale noumeno non potremmo avere nessuna notizia, ma ciò di cui non si ha notizia non è assolutamente nulla. Al contrario il fatto stesso che possiamo chiamare il noumeno o cosa in sé “noumeno” o “cosa in sé” dimostra che ne abbiamo notizia. Ma se ne abbiamo notizia, essa non è più indipendente dal nostro conoscere bensì dentro un soggetto che la conosce, dunque non è più “in sé”, ma è per me ed, essendo per me, sono Io che l’ho generata.
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L’Io-soggetto L’Io soggetto è creativo ed è posto all’inizio di ogni ulteriore realtà. Come tale però esso non coincide con un «cosa». L’Io non è un ente originario, o divino. Non è qualcosa che «è», bensì un’azione, l’Io è un atto («Im Anfang war die Tat» = «All’inizio era l’azione», così Goethe traduce il primo versetto del vangelo di Giovanni: «In principio era il Verbo»). Precisamente è l’atto di un Conoscere universale che pone, crea, chiama all’essere ogni altra cosa, ogni altro oggetto.
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Ogni conoscere è un riconoscere
Dopo che il Soggetto-Io ha posto l’oggetto (non-Io), egli lo RI-CONOSCE, se ne riappropria con gli atti conoscitivi dei singoli io empirici. Come mai questi ultimi avvertono la novità della conoscenza? Come mai io non posso creare qualcosa a mio piacimento (cioè far comparire Naomi Campbell qui adesso davanti a me, per poi ovviamente ri-conoscerla)? Tale aporia, che Evola risolve attribuendo effettivamente all’Io capacità magiche, viene più realisticamente risolta da Fichte indicando l’attività creatrice originaria dell’Io come attività inconscia, cui segue il vero e proprio processo conoscitivo cosciente. Dunque ciò che l’Io ha prodotto inconsciamente, viene dall’Io stesso riconosciuto e colto nella sua realtà, sin da sempre interna alla coscienza soggettiva, alla fine del processo.
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L’io chiama all’essere se stesso e tutto il resto
La dimensione originaria dell’attività dell’Io – il fatto che essa si pone prima di tutte le cose – implica che la realtà stessa dell’Io in quanto essere è posta dall’Io stesso: Fichte: l’Io pone se stesso. Alla posizione di sé, segue per l’Io la posizione dell’OGGETTO: (l’Io chiama all’essere tutta la realtà): Fichte: l’Io pone il non-Io
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Io e non-Io L’attività dell’Io, essendo pura azione senza limiti né confini (che cosa potrebbe limitarla se nulla “è” prima di lei?), è atto infinito. Il prodotto di un atto infinito (la realtà opposta all’Io, il non-Io o oggetto) è infinito come l’atto da cui dipende. Ma, una volta prodotto il non-Io, abbiamo un Io e un non-Io (un soggetto e un oggetto che si stanno di fronte). Di qui sorge la reciproca limitazione cui soggiaciono i vari Io empirici che risultano distinti dagli oggetti. Cioè dal momento in cui un Io è opposto ad un non-Io in modo tale che l’ Io è un Io limitato da un non-Io, viene alla luce appunto l’Io empirico, finito, una mente umana concreta che ha a che fare con un mondo concreto: io sono distinto, diverso, colgo la realtà esterna, del computer che ho di fronte a me, perché con la mia attività inconscia lo ho creato come esterno, sebbene in realtà tale oggetto non dipenda che da mio atto creativo.
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La prigione che non ha muri
In conclusione ogni realtà dipende dall’Io che la ha posta. Dunque la coscienza è tutto (almeno virtualmente) ed è al tempo stesso in cammino, un cammino infinito, verso la riappropriazione di tutto l’universo: tutto ciò che «è» dobbiamo rifarlo nostro, perché fin dall’inizio era nostro. Questo è il compito che l’idealismo affida all’uomo, diventare ciò che si è, cioè riavvicinarsi sempre più a quell’infinito che è la coscienza. Ciò è possibile senza mai uscire dalla coscienza perché la coscienza-soggetto è già tutto. Certo se non si esce dalla coscienza, la coscienza è la nostra prigione, ma poiché atto creativo infinito, essa è una prigione che non ha muri.
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Perché nell’idealismo è risolto il problema gnoseologico
Tutto quanto qui detto elimina alla base la maggiore difficoltà che incontra ogni riflessione gnoseologica: come è possibile il rapporto tra due elementi, il soggetto e l’oggetto che sono realtà estranei fra loro? Questa estraneità, come aveva dimostrato Hume risulta essere insormontabile, e conduce dritto dritto allo scetticismo. Con Kant e la sua rivoluzione copernicana essa comincia ad essere superata. Con gli idealisti essa è definitivamente cancellata, poiché è stabilito che l’oggetto è nel soggetto che lo conosce. Tale situazione è la condizione di possibilità di ogni certezza conoscitiva e rende la scienza umana qualcosa che, in linea di principio, può essere affidabile.
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