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S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 COMUNICAZIONE NON VERBALE Prof.ssa Nicla Rossini.

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1 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 COMUNICAZIONE NON VERBALE Prof.ssa Nicla Rossini

2 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Introduzione Lo studio della Comunicazione non Verbale ha radici relativamente antiche: la prima monografia dedicata allargomento risale al XVII sec. Nel XVIII sec. Lo studio della Comunicazione non Verbale – e in particolare del gesto – era considerato un elemento determinante per la comprensione dellorigine del pensiero e del linguaggio.

3 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Introduzione In particolare, Diderot (1751) e Condillac (1756) si sono occupati dellargomento. Nel XIX sec. – con Tylor (1878) e Wundt (1901) – linteresse per la sfera non verbale era ancora legato alle teorie sulla transizione dallespressione individuale al linguaggio codificato. La ricerca concernente la sfera non verbale era ancora asistematica. Suo unico scopo era quello di suffragare le innumerevoli teorie filosofiche sullorigine della società.

4 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Introduzione I primi studi autonomi sulla CNV risalgono alla prima metà del 900: K. Lorenz (1939) e Eibl-Eibesfeldt (1949). Lapproccio è prevalentemente zoologico o biologico. Limportanza di questo campo di studi è andata crescendo nella seconda metà del 900, coinvolgendo un numero considerevole di discipline.

5 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Introduzione La linguistica si è dedicata tardi a questo tipo di studi, benché L. Bloomfield (1933), Bolinger (1975) e Pike (1946) abbiano mostrato interesse per la questione. Bloomfield (1933:39): Il gesto accompagna il parlato ed è soggetto a convenzioni sociali. Tuttavia il suo meccanismo è ovvio.

6 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Introduzione Bolinger (1946): il confine tra ciò che si definisce e ciò che non si definisce lingua dipende da classificazioni arbitrarie dovute alla misura in cui i fenomeni in questione possono essere ricondotti ad una analisi strutturale. Pike (1967): approccio alla CNV dalla prospettiva della Teoria Unificata della Struttura del Comportamento Umano

7 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Introduzione Secondo questa teoria, la lingua è solo una fase dellattività umana e non dovrebbe essere dissociata da altre fasi. Per provare la sua teoria, Pike citò un gioco in cui le parole di una frase erano progressivamente sostituite da gesti. Il gioco descritto dimostra che forme non verbali posso essere strutturalmente integrate con forme verbali.

8 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 CNV: come si definisce? La definizione di CNV inizialmente comprendeva lintero insieme di tutto ciò che è non verbale. Questo implicava che sotto letichetta di CNV si raccogliessero fenomeni disparati, quali: Gesti delle mani e della testa Espressioni facciali Gesti vocali Abbigliamento (Argyle, 1982)

9 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 CNV: come si definisce? Una definizione del genere è troppo vasta. Una definizione possibile: la trasmissione intenzionale di informazione da un emittente A a un ricevente B attraverso il canale visivo.

10 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Comportamento e Comunicazione I termini Comportamento e Comunicazione sono stati a lungo usati indifferentemente in relazione allambito non verbale. Una possibile differenziazione tra comportamento e comunicazione è il tratto [+intenzionale]. In questa sede, si assume come postulato lintenzionalità dei processi comunicativi.

11 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Comportamento e Comunicazione La classificazione più esaustiva del Comportamento non verbale è di Ekman e Friesen (1969), che classificano il comportamento non verbale umano secondo sei tratti: 1.Condizioni esterne 2. Rapporto col comportamento verbale associato 3.Consapevolezza nellemissione 4.Intenzionalità dellemissione

12 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Comportamento e Comunicazione 5.Feedback dal ricevente 6.Tipo di informazione veicolata Secondo i parametri appena elencati, Ekman e Friesen suddividono il comportamento non verbale in tre categorie: 1.Atti informativi, se forniscono informazioni riguardo al parlante, ma non sono intenzionali

13 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Comportamento e Comunicazione 2.Atti Comunicativi, se sono chiaramente e intenzionalmente mirati a trasmettere un significato al ricevente; 3.Atti Interattivi, se tendono a modificare o influenzare il comportamento interattivo del ricevente. In questa sede, si riterranno esempi di Comunicazione non Verbale gli atti ai punti n. 2 e 3.

14 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Comportamento e Comunicazione Con questa definizione non si intende affermare che la gestualità non sia parte del Comportamento Non Verbale.

15 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Che cosè un gesto? Definizione A. Kendon (1986: 28-31): la parola gesto è utilizzata come etichetta per quellinsieme di azioni visibili che i riceventi percepiscono some governati da un intento comunicativo chiaro e riconosciuto.[…] Tuttavia, se il termine gesto si riferisce a tutti i movimenti il cui intento comunicativo è chiamo e manifesto, la definizione risulta troppo vaga.

16 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Che cosè un gesto? Definizione Kendon (1986) Gesticolazione: linsieme dei gesti che co-occorrono col parlato e sembravo avere una stretta relazione con una frase o parte di essa. Kendon (1990) gesto: stretta di mano. Può una stretta di mano essere considerata un gesto? O è parte del comportamento sociale?

17 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Che cosè un gesto? Definizione Rossini (in preparazione) gesto: movimento intenzionale delle mani o della testa rilevabile allinterno di un atto comunicativo e provvisto di un accesso lessicale condiviso da parlante e ascoltatore. Questo implica che: Per il gesto, così come per il parlato, la condivisione del significato è determinante perché la comunicazione abbia successo.

18 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Che cosè un gesto? Definizione I gesti veicolano significato, anche se in vari modi e con precisione non costante: alcuni di essi veicolano concetti spaziali che sono ampiamente condivisi; altri hanno un rapporto significante-significato più arbitrario e variano sensibilmente secondo lasse diatopico.

19 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Che cosè un gesto? Definizione Seguendo questa definizione, possiamo affermare che una stretta di mano sia un gesto? Movimenti della testa: sono definibili come gesti? Lopinione degli studiosi non è chiara: Cassell et al. (1994) definisce i movimenti della testa per sì e no movimenti facciali, anche se esprimono significati chiari e ampiamente condivisi.

20 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Che cosè un gesto? Definizione Morris (1977) li definisce invece – genericamente - segnali. Secondo i principi della semiotica un segnale si può definire come un qualsiasi fenomeno che fornisca informazioni al ricevente (cfr. gli atti informativi di Ekman e Friesen), come, ad es., la spia del serbatoio di carburante di unautomobile. Il termine segnale, quindi, non implica intenzionalità.

21 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Che cosè un gesto? Definizione Ma i movimenti della testa che hanno un significato chiaro e condiviso, nonché arbitrario (ad es. i movimenti per sì e no e la forma di saluto) sono da considerarsi gesti a tutti gli effetti.

22 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Il gesto: quadro delle classificazioni Mostra lucido

23 S.I.L.S.I.S. Pavia A.A. 2002/2003 Comunicazione solo umana? Mostra luicido


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