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PubblicatoNaldo Salvadori Modificato 11 anni fa
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Giacomo Leopardi Nasce a Recanati (Marche) nel 1798
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La vita Figlio primogenito del conte Monaldo e della Marchesa Adelaide Antici; Già a 10 anni inizia a studiare da solo nella ricchissima (anche se antiquata) biblioteca paterna ( volumi); Studia greco e latino, impara l'ebraico e le lingue moderne. In 7 anni ( ) di studio "matto e disperatissimo" si rovina la salute in modo irreparabile e diventa un ragazzo prodigio; Nel 1917 inizia a scrivere le prime pagine dello Zibaldone, in cui annota liberamente i suoi pensieri; Nel 1822 riesce finalmente a trasferirsi fuori Recanati e si reca a Roma, ma resta deluso dal degrado morale della capitale. Nel frattempo scrive molte delle sue opere principali; Concluderà la sua vita a Napoli dove morirà nel 1837.
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La poetica Nella prima fase del suo pensiero Leopardi è convinto che l’uomo possa essere felice soltanto durante la sua infanzia, grazie all’immaginazione che aiuta a sognare e ad illudersi sul futuro. Allargando questa interpretazione all’umanità intera, Leopardi ritiene che il genere umano abbia vissuto un’unica epoca felice: l’antichità classica; Questa antica felicità era espressa, secondo Leopardi, nella poesia d’immaginazione; Nell’epoca moderna questa felicità e la poesia d’immaginazione non sono più possibili perchè sono cadute tutte le illusioni. L’unica forma praticabile di poesia rimane quella delle ricordanze: riportare alla luce i momenti felici dell’età giovanile; Successivamente Leopardi abbandonerà questa poetica per approdare all’idea che l’esistenza umana è sempre e comunque sofferenza. La Natura, intesa come meccanismo teso alla conservazione di sè, è indifferente al destino degli esseri viventi.
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L’eredità del pensiero di Leopardi
Proprio quando la riflessione Leopardiana raggiunge il culmine del pessimismo, si fa strada un messaggio positivo: l’esortazione ad accettare senza facili illusioni e falsi inganni la verità della nostra fragile condizione umana, che risulta sostenibile grazie all’unico valore in grado di nobilitare la nostra natura: la solidarietà umana. “Nobil natura è quella che a sollevar s'ardisce gi occhi mortali incontra al comun fato, e che con franca lingua, nulla al ver detraendo, confessa il mal che ci fu dato in sorte” La ginestra, 1836
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L’infinito (1819) e questa siepe, che da tanta parte
Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare
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…e infatti di cosa parla Leopardi in questa poesia?
Idillio L’idillio, termine di origine greca, definisce tradizionalmente brevi componimenti in versi di tema agreste e pastorale. Domanda: Vi sembra che “L’infinito” di Leopardi corrisponda a questa definizione?? Esatto, no!! Infatti nello Zibaldone Leopardi chiarisce che per lui un idillio è espressione di “sentimenti, affezioni, avventure storiche del suo animo”. Infatti negli idilli Leopardiani i paesaggi e la rappresentazione della natura assumono una funzione soggettiva più che descrittiva e diventano solo un pretesto per indagare la propria vita interiore. …e infatti di cosa parla Leopardi in questa poesia? Leopardi ci racconta lo sgomento che prova l’uomo confrontando la propria finitezza e fragilità all’immensità della natura e dell’universo. La siepe che circoscrive lo sguardo e lo stormire del vento tra le foglie sono lo spunto per una meditazione lirica sul concetto dell’infinito creato dall’immaginazione: partendo da sensazioni relative ad esperienze limitate nello spazio e nel tempo egli giunge a concepire l’idea di infinito e di eternità.
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La metrica e il significante
Proviamo a suddividere alcuni versi in sillabe e questa siepe, che da tanta parte = ? sillabe dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. = ? sillabe Ma sedendo e mirando, interminati = ? Sillabe La poesia è composta da quindici ………………………. sciolti. Cosa significa ………………………..? Cosa significa sciolto? E’ possibile suddividere la lirica in due nuclei: il primo originato da uno stimolo visivo, lo sguardo bloccato dalla siepe Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura.
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Il secondo nasce dalla sensazione uditiva dello stormire del vento tra le piante, sensazione che fa presagire a Leopardi l’infinito temporale E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare. Il passaggio tra questi due momenti è scandito dalla pausa segnata dal punto fermo; anche in altri momenti della lirica la punteggiatura che spezza il verso sottolinea momenti di profonda sospensione emotiva v.7 io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. v. 13 e viva, e il suon di lei. Così tra questa La lirica suggerisce tuttavia l’idea di un’esperienza sostanzialmente unitaria: i numerosi enjambement collegano i versi conferendo loro maggiore ampiezza, in armonia con il tema della poesia e ponendo in rilievo immagini ad esso legate.
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Parole chiave Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare Monte Tabor, veduta da casa Leopardi
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La posizione forte, a inizio verso, del pronome personale io sottolinea la soggettività della fuga nella contemplazione interiore, mentre il verbo mi fingo allude all’immaginazione, facoltà indispensabile per superare i limiti spaziali e temporali della realtà; Rientrano nel campo semantico dell’esperienza soggettiva anche i termini che definiscono il succedersi degli stati d’animo del poeta (“si spaura”, “s’annega”, “il naufragar”); Ai concetti legati all’infinito sono dedicate lunghe parole polisillabiche (interminati, sovrumani, profondissima, immensità), parole ben più brevi indicano immagini reali (siepe, colle, vento); La lirica è attraversata dall’opposizione ripetuta dei termini questo/quello che indicano rispettivamente vicinanza o lontananza di oggetti e di luoghi nello spazio e nel tempo. Ma allora perché Leopardi scrive “quella” riferito alla siepe e ad elementi astratti come immensità e mare attribuisce l’aggettivo “questo”???
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L’infinito non descrive una condizione statica, immobile, ma un processo dinamico, un continuo superamento del limite. Il passaggio dalla percezione all’immaginazione allontana ciò che appare più immediato, percepibile attraverso i cinque sensi e avvicina la realtà astratta, il concetto di INFINITO che ormai è presente nella mente del poeta.
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I temi La dialettica tra percezione e immaginazione ci conduce all’opposizione finito – infinito. E’ proprio la limitazione imposta allo sguardo che stimola il pensiero a costruire uno spazio illimitato. Anche il carattere effimero della voce del vento richiama alla mente il pensiero della transitorietà delle epoche passate e, per contrasto, l’eternità; Poesia e immaginazione: questa lirica trasforma in poesia una delle riflessioni centrali del pensiero di Leopardi, secondo cui la realtà offre all’uomo solo piaceri finiti e perciò deludenti. “alle volte l’anima desidera una veduta ristretta e confinata in certi modi, come nelle situazioni romantiche. La cagione è la stessa, cioè il desiderio dell’infinito, perché allora in luogo della vista, lavora l’immaginazione, e il fantastico sottentra al reale. L’anima si immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbero se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario” (Zibaldone, 171, luglio 1820)
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Le figure retoriche Nella prima parte della poesia notiamo una serie di termini collegati per polisindeto dalla congiunzione e Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. Le parole vento e stormir aprono due serie di allitterazioni in “v” (vento, voce, vo, sovvien, viva) e in “st” (stormir, queste , questa, stagioni), che alludono quasi onomatopeicamente al soffiare del vento tra le piante. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa
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e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Densa di significato è la metafora del verso finale in cui l’ossimoro naufragar - dolce sottolinea la contraddittoria complessità dello stato d’animo del poeta. e il naufragar m'è dolce in questo mare. In generale l’intera struttura metrica, scandita dall’uso sapiente di pause e accenti, e gli effetti fonici creati da diverse combinazioni di suoni sono all’origine della straordinaria musicalità di questo testo.
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