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La teoria dell’attribuzione di causalità

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Presentazione sul tema: "La teoria dell’attribuzione di causalità"— Transcript della presentazione:

1 La teoria dell’attribuzione di causalità

2 L’autore che ha contribuito maggiormente a gettare le fondamenta per lo studio dei processi di attribuzione è stato Fritz Heider, sebbene egli non abbia mai formulato una teoria sistematica al riguardo.

3 In Psicologia delle relazioni interpersonali (1958), Heider analizza la “psicologia del senso comune” o “psicologia ingenua”, intesa come un insieme di principi inespressi che vengono comunemente utilizzati per rappresentare l’ambiente sociale e che guidano le azioni.

4 “La psicologia ingenua guida il nostro comportamento verso le altre persone. Nella vita quotidiana noi ci formiamo delle idee sugli altri individui e sulle situazioni sociali; interpretiamo le azioni degli altri individui e cerchiamo di prevedere come si comporteranno in date circostanze.”

5 “Sebbene queste idee non siano, in genere, chiaramente formulate, esse tuttavia funzionano spesso in modo adeguato, realizzando in una qualche misura ciò che si suppone qualsiasi scienza realizzi: una descrizione adeguata del fenomeno in esame che renda possibile fare delle previsioni”

6 Modello di individuo come scienziato ingenuo: come uno scienziato, l’individuo, dotato di capacità logico-razionali, raccoglie i dati necessari alla conoscenza di un certo oggetto e giunge a conclusioni logiche sui fenomeni.

7 Un principio fondamentale alla base della psicologia del senso comune è la credenza che l’uomo sia in grado di padroneggiare la realtà, grazie alla previsione e al controllo delle situazioni, riportando comportamenti variabili e transitori a particolari condizioni soggiacenti, dotate di una certa stabilità.

8 La ricerca di tale stabilità, intesa come un punto fermo a cui ancorare le nostre azioni e i nostri rapporti con gli altri è il problema centrale a cui mira l’analisi di Heider.

9 Ed è su questa base che noi andiamo alla ricerca delle cause di quanto avviene attorno a noi, compiendo delle attribuzioni di causalità

10 L’attribuzione causale è quel processo che le persone mettono in atto quando cercano spiegazioni per il proprio e per l’altrui comportamento, ossia quando inferiscono le cause che stanno dietro specifiche azioni.

11 Il primo problema da risolvere per comprendere le ragioni di un evento, per interpretare il comportamento di qualcuno, riguarda il locus della causalità ovvero distinguere fra: - cause di natura personale; - cause di natura ambientale

12 Rientrano nelle cause personali (interne) fattori come la motivazione o l’abilità.
Appartengono a cause ambientali (esterne) fattori come la difficoltà del compito o la fortuna Inoltre, nell’ambito di entrambi i tipi di cause, possiamo distinguere tra: fattori transitori e fattori permanenti.

13 Il limite della visione di Heider sta nell’aver “ristretto” il mondo sociale ai rapporti tra le persone, i quali sembrano svolgersi in un “vuoto sociale”. In ogni caso, le sue intuizioni hanno fornito un programma di ricerca per le teorie successive.

14 La TEORIA DELL’INFERENZA CORRISPONDENTE di Jones e Davis (1965)

15 Osservando le azioni di un soggetto e gli effetti prodotti, l’osservatore deduce che una certa azione è causata da specifici tratti di personalità (disposizioni) di colui che agisce.

16 Poiché le caratteristiche di personalità sono considerate stabili e durature, conoscere le disposizioni di una persona genera l’impressione di poterne prevedere il comportamento.

17 AREA DELLE OSSERVAZIONI AREA DELLE INFERENZE
DISPOSIZIONI Egoista Freddo Orgoglioso Aggressivo Scherzoso Estroverso Impulsivo EFFETTO 1 CONOSCENZA INTENZIONE AZIONE EFFETTO 2 CAPACITA’ EFFETTO 3

18 In che modo una persona può collegare le intenzioni a criteri disposizionali? Si tratta di analizzare sia le caratteristiche dell’azione intrapresa dall’attore sociale, sia gli effetti da essa prodotti.

19 Effetti non comuni: l’osservatore giunge a un’inferenza corrispondente quando l’azione scelta dall’agente provoca conseguenze relativamente uniche o non comuni.

20 Desiderabilità sociale: l’inferenza circa le disposizioni personali è più attendibile quando le conseguenze dell’azione scelta siano indesiderabili, poiché non rispecchiano le credenze relative a ciò che si ritiene che altri farebbero nel medesimo contesto

21 Le possibilità di scelta: un’altra strategia per inferire le disposizioni di un attore sociale consiste nel verificare se il comportamento messo in atto sia in qualche modo frutto di vincoli situazionali o se invece sia frutto di una libera scelta

22 Il MODELLO DELLA COVARIAZIONE di Kelley: ANOVA (Analysis of Variance) (1967)

23 Kelley ha elaborato il suo modello partendo dall’interrogativo relativo a quale informazione venga utilizzata per produrre un’inferenza causale

24 Quando si posseggono informazioni da più fonti, l’osservatore, come uno scienziato naif, le analizzerà attraverso il principio della covariazione. La ripetizione delle osservazioni consente di stabilire se, e con quale regolarità, le informazioni covariano tra loro.

25 Il principio della covariazione prevede che un effetto è attribuito a quella condizione che è presente quando l’effetto è presente e che è assente quando l’effetto è assente.

26 Kelley ha preso spunto da una procedura statistica, l’analisi della varianza (ANOVA), che esamina i cambiamenti in una variabile dipendente (l’effetto) quando si modificano le variabili indipendenti (le condizioni)

27 Le persone valutano l’informazione riguardante la covariazione lungo tre dimensioni rilevanti per la spiegazione del fenomeno: 1. distintività: l’effetto si manifesta quando è presente l’entità e invece non si presenta quando l’entità è assente?

28 2. coerenza nel tempo e nelle modalità: l’effetto si manifesta ogni volta che l’entità è presente, indipendentemente dalle forme di interazione?

29 3. consenso: le altre persone subiscono lo stesso effetto in riferimento alla stessa entità?

30 Le critiche al modello di Kelley:
la correlazione non presuppone necessariamente l’esistenza di un nesso causale le persone possono essere poco abili nel valutare la covariazione fra gli eventi

31 I modelli classici del processo di attribuzione (Heider, Jones e Davis e Kelley):
interpretazione causale attiva e costruttiva; interesse alle spiegazioni del senso comune (perché?) individuo come scienziato ingenuo

32 Numerose ricerche hanno concluso che, rispetto agli scienziati e agli statistici, le persone “profane” non usano modelli dettagliati e formali, piuttosto fanno attribuzioni in modo rapido, impiegando molto meno informazioni e mostrando tendenze a servirsi di “scorciatoie”, compiendo spesso errori attribuzionali

33 Gli errori di attribuzione o biases sono delle modalità di giudizio distorte in maniera sistematica.
Tali biases permettono di descrivere i fenomeni di attribuzione causale meglio dei modelli normativi complessi.

34 L’errore fondamentale: tendenza generale di giudizio che i soggetti manifestano quando, nell’individuare i fattori che determinano i comportamenti della gente, sottostimano l’impatto dei fattori situazionali mentre sovrastimano il ruolo dei fattori disposizionali.

35 Gli effetti di self-serving: detti anche biases al servizio del sè, sono costituiti da una tendenza generalizzata ad attribuire a se stessi il successo e a negare responsabilità per l’insuccesso Biases di auto-innalzamento nella gestione del successo; Biases di auto-protezione nella gestione dell’insuccesso

36 L’effetto del falso consenso: tendenza a percepire il proprio comportamento come tipico e nell’assumere che nelle stesse circostanze gli altri si sarebbero comportati nella stessa maniera

37 Esiste un’ampia letteratura che allarga alla sfera sociale i modi e le forme del processo di attribuzione. I membri di differenti culture elaborano attribuzioni diverse per accadimenti simili


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