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LINGUISTICA GENERALE Analisi della conversazione (AC)

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Presentazione sul tema: "LINGUISTICA GENERALE Analisi della conversazione (AC)"— Transcript della presentazione:

1 LINGUISTICA GENERALE Analisi della conversazione (AC)
Università degli Studi del Molise Facoltà di Scienze Umane e Sociali Corso di laurea in Scienze della Comunicazione LINGUISTICA GENERALE Analisi della conversazione (AC) Dr. Ilenia Perna

2 Testo d’esame (parte monografica)
Giolo FELE “L’analisi della conversazione” Il Mulino, 2007

3 Cominciamo dalle parole...
Analisi della Conversazione Indirizzo di studi a metà tra sociologia, sociolinguistica e pragmatica (ma che si avvale anche dei contributi della psicologia sociale), che con metodologie perlopiù induttive mira a indagare l’organizzazione interna della conversazione, intesa come forma naturale e basilare dell’interazione umana L’analisi della conversazione, in parole estremamente semplificate, rappresenta lo studio delle produzioni verbali nell’interazione tra parlanti. INDUTTIVO = dal particolare all’universale; si tenta attraverso l’osservazione e l’analisi di un caso particolare di farne scaturire una legge unversale.

4 Ma cosa si intende per conversazione
Ma cosa si intende per conversazione? Che cosa sono le produzioni verbali? 4

5 Analisi della Conversazione: i presupposti teorici
Definizione Discipline affini: sociolinguistica, sociologia del linguaggio, pragmatica, psicologia sociale Metodologia: qualitativa, studio sul campo, registrazioni di conversazioni reali, trascrizione del parlato Prospettiva conversazionale È difficile inquadrare l’analisi della conversazione sia rispetto alle discipline propriamente linguistiche sia rispetto alla sociologia. In genere l’AC viene trattata tra le microsociologie delle conoscenze o tra le sociologie qualitative. La pragmatica è una parte della semiotica che studia le relazioni intercorrenti tra il linguaggio e chi lo usa; essa rappresenta uno dei campi di studio della linguistica applicata. In questo approccio sono molto importanti la selezione dei materiali e la discussione sul modo in cui i materiali da analizzare vengono raccolti (registrazioni di conversazioni reali prodotte spontaneamente) e resi disponibili (sistema di trascrizione adottato). La prospettiva conversazionale si ispira, in primo luogo, al paradigma teorico dell’interazionismo simbolico i cui aspetti socio-linguistici hanno da sempre rappresentato il settore di studio a cui Goffman si è costantemente dedicato e, in secondo luogo, all’etnometodologia. L’assunto di base che caratterizza l’interazionismo simbolico sottolinea come gli individui vivano in un universo simbolico e quanto i simboli possano essere considerati degli “stimoli dotati di significato e di valori appresi tramite il processo di comunicazione e quindi di interazione sociale”. L’interazionismo simbolico si basa su tre premesse: Gli individui agiscono nei confronti di persone e cose sulla base dei significati che attribuiscono loro; Tali significati derivano dall’interazione sociale che avviene tra gli esseri umani, la quale risulta “mediata dall’uso di simboli, dall’interpretazione o dall’accertamento del significato delle azioni reciproche; Gli individui mettono in atto un processo interpretativo quando si trovano di fronte a determinate persone o situazioni; il tipo di interpretazione dipende dalle premesse culturali individuali, ragion per cui una stessa situazione può portare a interpretazioni opposte se le premesse culturali di chi agisce o di chi osserva sono diverse. Goffman, sociologo canadese, sottolinea come (1959) il Sé sia il prodotto dei rituali dell’interazione, o meglio l’esito della rappresentazione di una scena da parte dell’individuo. Per quanto riguarda, invece, l’etnometodologia, si tratta di un metodo di analisi elaborato da Garfinkel per studiare le norme sottese all’interazione quotidiana degli individui. Definizioni: Etnometodologia (Garfinkel, 1967) - Studio delle regole di base che disciplinano i rapporti quotidiani tra le persone (N. Smelser) - Ramo della microsociologia che studia i processi del ragionamento pratico, le manifestazioni ricorrenti e tangibili del senso comune, i metodi che gli individui elaborano e mettono in atto per realizzare i compiti più minuti e banali, anche se svolgono un lavoro specifico" (L. Gallino). Interazionismo simbolico (Blumer, 1937; 1969; Mead, 1934, Goffman, 1959) Corrente della psicologia sociale e della sociologia statunitense che studia l’interazione tra soggetti sulla base dei significati che, attraverso l’interazione, essi assegnano agli oggetti e allo stesso interlocutore Etnometodologia (Garfinkel, 1967) - Studio delle regole di base che disciplinano i rapporti quotidiani tra le persone (N. Smelser) - Ramo della microsociologia che studia i processi del ragionamento pratico, le manifestazioni ricorrenti e tangibili del senso comune, i metodi che gli individui elaborano e mettono in atto per realizzare i compiti più minuti e banali, anche se svolgono un lavoro specifico" (L. Gallino)

6 Analisi della Conversazione: quando e come nasce
Quando: inizio anni ’60, studi di H.Sacks, E.Schegloff, G. Jefferson presso l’UCLA L’origine della AC risale all’inizio degli anni ‘60 dal lavoro svolto in ambito sociologico dai lavori di Harvey SACKS, Emanuel SCHEGLOFF, a cui si aggiunse in seguito Gail Jefferson. L’innovatività delle loro indagini e il rigore adottato hanno fatto scuola in tutto il campo dell’analisi del parlato conversazionale (o talk-in-interaction). I pionieri dell’analisi conversazionale sono alcuni sociologi di rottura noti anche come etnometodologi. Criticano le tecniche quantitative della corrente principale della sociologia americana che imponevano sui dati categorie oggettive ed esterne ai dati. La critica riguarda il fatto che le categorie non devono essere ad hoc ma devono essere motivate dai dati e accettate dagli utenti. Il loro oggetto di studio sono le tecniche e i metodi etnici ossia quelli che un gruppo usa per interpretare il mondo sociale e per agire su di esso (interpretazione e produzione dell’interazione sociale). Non viene prestata particolare attenzione al contesto sociale (vale a dire alle relazioni o al ceto sociale degli interagenti) come faceva la sociolinguistica classica. Harvey Sacks ( ) Emanuel Schegloff (1937- ) Gail Jefferson ( )

7 Analisi della Conversazione: quando e come nasce
Come: Harvey Sacks, nel 1964, comincia ad esaminare, in maniera sistematica, un corpus di telefonate registrate dal Center for the Scientific Study of Suicide di Los Angeles Le origini dell’Analisi della Conversazione si hanno nel 1964 quando Sacks comincia ad esaminare, in maniera sistematica, un corpus di telefonate registrate dal Center for the Scientific Study of Suicide di Los Angeles. Gli impianti per la registrazione vocale cominciavano proprio in quell’epoca ad essere disponibili e facilmente utilizzabili. Il merito teorico di Sacks fu quello di aver intravisto la possibilità di esaminare i processi comunicativi tra le persone come un fenomeno autenticamente sociale. Per la prima volta, Sacks orientò lo sguardo del sociologo verso le sottigliezze del linguaggio parlato, esaminandolo così come esso emerge nei particolari e dettagli di una conversazione reale. Per la prima volta, il dato (= il parlato) viene presentato senza manipolarlo (trascrizione). Merito teorico: Aver intravisto la possibilità di esaminare i processi comunicativi tra le persone come un fenomeno autenticamente sociale; per la prima volta, il dato (= il parlato) viene presentato senza manipolarlo (trascrizione) Harvey Sacks ( )

8 Il presupposto dell’AC
L’interazione parlata tra persone non è casuale ma bensì organizzata in modi specifici, che è possibile analizzare, ovvero descrivere in modo formalizzato Norme istituzionalizzate L’idea di base dell’analisi della conversazione, il cuore da cui muovono gli studiosi che si occupano di tale disciplina sta nel fatto che l’interazione parlata tra persone non è casuale ma bensì organizzata in modi specifici, che è possibile analizzare, ovvero descrivere in modo formalizzato. L’idea di base è che l’interazione parlata tra persone sia retta da norme istituzionalizzate e da ruoli formalmente stabiliti. Addirittura Ilkka Arminen, professore afferente al dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell’Università di Tampere in Finlandia, che da sempre si occupa di interazione sociale con particolare riferimento all’analisi della conversazione, sottolinea come “l’idea di base dell’AC è così semplice che è difficile da capire” (1999). Ruoli formali e stabiliti 8

9 Analisi della Conversazione: riepilogando...
TEMI PRINCIPALI a) individuare le unità (interazionali) costitutive della conversazione (turni, mosse, scambi, atti linguistici) b) individuare le regole sottese alla conversazione (quando compaiono certe unità, come vengono riconosciute, come si combinano le unità, quale ruolo ogni unità svolge nell’interazione). Riepilogando, quindi, i temi principali che l’AC cerca di sviluppare sono: a) individuare le unità (interazionali) costitutive della conversazione (turni, mosse, scambi, atti linguistici) b) individuare le regole sottese alla conversazione (quando compaiono certe unità, come vengono riconosciute, come si combinano le unità, quale ruolo ogni unità svolge nell’interazione). Metodologia: Induttiva. Raccolta empirica di dati, scelta del campione, rappresentatività, ecc. Metodo di registrazione (audio, video) e trascrizione della parte verbale o anche non verbale (metodi di trascrizione). Paradosso dell’osservatore Problema di non influenzare con la propria presenza l’andamento spontaneo e normale dell’interazione. Paradosso dell’osservatore partecipante L’etnografo che deve studiare un evento in una comunità da un lato deve integrarsi per sentire e interpretare il reale come i nativi, senza etnocentrismo; dall’altro però gli si richiede un distacco tipico di chi deve osservare dall’esterno dei fatti. Se egli si naturalizza troppo non percepisce più come particolari gli eventi che deve studiare. METODOLOGIA Induttiva Raccolta empirica dei dati (registrazione + trascrizione) Scelta del campione Problemi relativi alla rappresentatività Paradosso dell’osservatore (partecipante e non)

10 Fare analisi della conversazione (cap. VI)
UN PO’ DI REGOLE… 1. Disporre di audio e videoregistrazioni Prima di affrontare i vari capitoli del testo d’esame, ci concentreremo sul modo in cui si fa analisi della conversazione. Si potrebbe ipotizzare una sorta di vedemecum: 1.Innanzitutto l’analisi della conversazione si serve di qualche forma di registrazione del parlato; ne deriva che per analizzare la conversazione è necessario nonché indispensabile disporre di audioregistrazioni o, meglio ancora, videoregistrazioni. 2. Ovviamente, che cos’è che si andrà ad audioregistrare o videoregistrare? Sicuramente, situazioni reali e naturali. C’è da dire però che gli strumenti che utilizza l’AC sono diversi da quelli dell’etnografia tradizionale, cioè dei ricercatori che effettuano ricerche sul campo di tipo longitudinale per scoprire caratteristiche, lingua, culture, comportamenti di popoli poco studiati. Gli studiosi di AC non focalizzano l’attenzione su un’intera comunità linguistica ma su episodi specifici di quella comunità. Inoltre, mentre i ricercatori che utilizzano i metodi etnografici si servono di note sul campo, gli studiosi di AC per analizzare le caratteristiche del parlato hanno bisogno di forme più sofisticate di raccolta delle informazioni (da qui le registrazioni). La registrazione, infatti, rappresenta uno strumento estremamente potente di conservazione dei fenomeni che, altrimenti, sarebbero volatili, cioè non è possibile ricostruire proprio perché rappresentano un unicum. Inoltre, la registrazione è di fondamentale importanza soprattutto in quelle situazioni in cui sono presenti più persone (ad es. la classe scolastica). 3. Minimizzare l’intrusività ontologica degli strumenti di registrazione: uno dei maggiori problema sembra essere l’ingombro dello strumento di videoregistrazione, soprattutto se si tratta di una videocamera. Il perché è presto detto: la presenza fisica dello strumento potrebbe genere effetti negativi e manipolativi sulle persone che vengono registrate..In letteratura, difatti, viene evidenziato da più parti come la presenza del dispositivo di registrazione possa modificare il comportamento delle persone, dando perciò una situazione non autentica, falsata della realtà. I soggetti osservati, cioè, tenteranno di controllare il loro comportamento, il loro linguaggio. In realtà, è stato notato come gli strumenti di registrazione tendano ad essere tematizzati nei primi momenti dell’interazione ma poi tendono a passare sullo sfondo della consapevolezza generale. Ciò è possibile ovviamente, aiutandoli e cercando perciò di minimizzare l’intrusività ontologica dello strumento di registrazione. 4. Quanto appena detto ci porta a formulare la quarta regola da tener ben presente, ovvero saper gestire il famoso “paradosso dell’osservatore” (Labov, 1972). Un’ampia parte della comunità scientifica è d’accordo nel ritenere che non abbia senso utilizzare registrazioni nascoste in quanto i soggetti osservati diventerebbero vere e proprie cavie: è meglio quindi uscire allo scoperto. Per tale ragione, è consigliabile che il ricercatore presenti le finalità del suo studio, il perché ha necessità di registrare. Ciò, da un punto di vista etico è sicuramente apprezzabile ma potrebbe creare appunto quello che abbiamo definito essere il “Paradosso dell’osservatore”: i soggetti, sentendosi osservati da una figura altra, potrebbero sentirsi imbarazzati e modificare i loro comportamenti. Dall’altro lato, scegliere di effettuare una ricerca come osservatore non partecipante impedirebbe al ricercatore di vivere la realtà del contesto osservato, che non verrebbe fuori nemmeno dalla videoregistrazioni effettuate. Pertanto, è consigliabile propendere per una scelta di questo tipo, cioè con l’osservatore partecipante, cercando di apportare alcuni correttivi affinchè la situazione sia meno soggetta a manipolazioni dovute alla presenza del ricercatore. Ma quali sono questi correttivi? Innanzitutto, la familiarizzazione con il ricercatore: durante il periodo di osservazione, le due parti ( il ricercatore e le persone osservate) devono conoscersi reciprocamente nei rispettivi mondi ed orizzonti di rilevanza. Non è indicato cioè assumere un atteggiamento del tipo ‘io sono lo studioso e tu sei nulla’; in secondo luogo, occorrerà che il ricercatore assuma il ruolo di una persona amichevole: i soggetti osservati cioè possono e devono interpellare il ricercatore. 5. Una volta ottenute le registrazioni, per fare analisi della conversazione è necessario produrre una trascrizione delle attività registrate. Il compito di colui che trascrive consiste nel cercare di rendere sulla pagina scritta quei fenomeni del parlato che, generalmente, vengono trascurati e, spesso, nemmeno notati. Ciò presuppone un attento ascolto dei materiali registrati. In particolare, occorrerà soffermarsi su due componenti che andranno poi riportati nella trascrizione: la composizione degli elementi discorsivi (ovvero di che cosa è fatto un turno? Non solo di parole, ad esempio) e la loro posizione (dove compaiono? È fondamentale, a tal proposito, indicare nella trascrizione quando due o più persone parlano contemporaneamente e, fra poco, vedremo la notazione, il simbolo utilizzato per far notare una situazione del genere). Di fondamentale importanza, sarà anche il trascrivere aspetti non legati direttamente al parlato, aspetti che riguardano la posizione delle persone, la direzione del loro sguardo, i gesti e le azioni. Scegliere consapevolmente il sistema di trascrizione non é cosa da poco conto: ci si potrà servire di sistemi di notazione trascrizionali già esistenti oppure realizzare un proprio sistema: in entrambi i casi, però, sarà cura del ricercatore descrivere il sistema prima di illustrare estratti conversazionali o presentare analisi che derivano dal corpus trascritto. C’è da dire inoltre che la trascrizione dei materiali registrati richiede un’enorme pazienza e molta calma: pensate che solo per avere la prima versione grezza di una trascrizione di una conversazione tra due persone possono occorrere circa 10 ore di lavoro. 6. Dopo la registrazione e la trascrizione dei materiali, si passerà alla fase dell’analisi dei risultati: che cosa cioè si andrà ad analizzare? Si potranno analizzare le strutture di base della conversazione, come ad esempio la presa del turno o, ancora, la riparazione; ma l’attenzione del ricercatore si potrà concentrare anche su particolari attività che vengono svolte attraverso il parlato nell’interazione, come ad esempio dare una cattiva notizia a seconda dei vari contesti istituzionali in cui ciò avviene, notando così affinità e differenze. Un’altra strategia di analisi è quella che si basa sulle sequenze: l’attenzione, infatti, è rivolta ad identificare particolari sequenze nell’interazione (ad es. sequenze composte da coppie adiacenti, come domanda/risposta, a sequenze più estese). Se invece, si opta per un’analisi di tipo longitudinale, l’obiettivo è quello di mostrare il cambiamento nel tempo di alcune strutture e pratiche discorsive. Un ultimo tipo di strategia è quella della prospettiva comparata, la quale permette di confrontare tra loro le diverse situazioni in cui si verifica un fenomeno. 2. Focalizzare l’attenzione su interazioni naturali e reali Minimizzare l’intrusività ontologica degli strumenti di registrazione 4. Saper gestire il “paradosso dell’osservatore” 5. Scegliere consapevolmente il sistema di trascrizione 6. Individuare una strategia di analisi dei risultati 10 10

11 Il sistema di trascrizione
= Enunciati simultanei: il fenomeno si verifica quando due turni di parlanti diversi sono tra loro legati senza alcuna interruzione [ Enunciati sovrapposti: il fenomeno si verifica quando due o più turni di parlanti diversi si sovrappongono; il simbolo viene inserito nel punto esatto in cui si verifica il fenomeno (0.4) Intervallo tra enunciati: vengono indicati tra parentesi tonde i secondi di intervallo tra un enuciato e un altro ::: Allungamenti del suono: i due punti indicano un allungamento della vocale o della consonante; più il suono viene allungato, più i due punti vengono aggiunti , /. / ?/ Intonazione: la virgola indica un’intonazione continua, il punto un’intonazione discendente, il punto interrogativo un’intonazione ascendente ________ Enfasi: la sottolineatura indica forme di enfasi () Enunciati non chiari: si inseriscono tra parentesi tonde tutte quelle componenti incomprensibili o non udibili - Interruzione: il trattino indica un’interruzione del parlato A questo punto, vediamo un esempio di sistema di notazione trascrizionale, ovvero l’insieme dei simboli che vengono utilizzati ciò che è parte integrante del parlato ma che non corrisponde ad una forma scritta stereotipata; mi spiego meglio: se durante l’ascolto di una videoregistrazione emerge la parola ‘stella’ sappiamo tutti che si scrive ‘stella’; se, invece, il parlante allungherà la vocale della parola perché sta vivendo un momento di disagio non esiste una forma stereotipata scritta che ci permette di trascrivere tale fenomeno. È per tale ragione che occorre stabilire i segni che rientreranno a pieno titolo a far parte del sistema di notazione trascrizionale. 11 11

12 Un esempio di trascrizione…
TRASCRIZIONE Venerdì ore Data di trascrizione Ricercatore Ilenia Serena Perna Durata 17 ’31’’  T10 Ricreazione Yan è seduto al proprio posto, accanto a lui c’è la compagna Elisa, anche lei seduta. L’alunno cinese mangia la merenda (il solito panino con prosciutto cotto) mentre Elisa mangia lo yogurt. L’insegnante sta parlando con un alunno alla cattedra e Yan, mentre mangia il panino, li guarda con molta attenzione. L’insegnante si rivolge a Yan. 1 Ins è BUONO? 2 Ins Yan è buono? 3 Ins YAN ? è buono (L’alunno, sentitosi chiamare con tono più alto, alza subito lo sguardo verso l’insegnante e fa segno di sì con la testa) 4 Ins NON HO SENTITO ^ è BUONO? 5 Yan sì = (accompagna il suono della sillaba al cenno di testa) 6 Ins = O:H::::::::: (Il bambino si alza per andare a buttare nel cestino il contenitore del succo di frutta: con una mano mantiene il panino, mentre l’altra è sempre nella tasca del grembiule. Guarda la sua compagna Elisa che sta mangiando lo yogurt. La maestra se ne accorge) 7 Ins ? Yan ti piace lo yogurt 8 Yan (fa segno di no con la testa) 9 Ins NO:::: 10 Yan (fa segno di no con la testa in maniera ancora più convinta) (Gioacchino si avvicina al compagno con un gioco) 11 Gioacchino ? dopo vogliamo giocare (Yan prende subito il gioco e apre la scatola. Tutti , compreso Yan, continuano a mangiare la merenda. Elisa, che ha appena finito, apre il tabellone di gioco e lo pone sul banchetto dell’amico Yan) [….] Possiamo vedere ora in questo estratto come è stato messo in pratica il sistema di notazione trascrizionale. Innanzitutto, prima di trascrivere la conversazione, è opportuno che il ricercatore, per una maggiore precisione, indichi in alto la data e l’ora in cui si è verificato l’evento registrato; utile è anche la data in cui il ricercatore effettua la trascrizione, data che non deve essere molto distante dalla data in cui si è verificata la conversazione. Ciò per quale motivo secondo voi? Soprattutto perché, se l’osservatore ha partecipato alla registrazione, avrà modo di ricordare nel breve termine particolari che, con l’ausilio delle immagini, gli torneranno subito familiari. Qualora, invece, passi molto tempo, al ricercatore potrà sicuramente risultare più difficile la trascrizione della conversazione. Inoltre, è sempre molto utile indicare chi ha svolto la trascrizione e la videoregistrazione, dunque il nome del ricercatore. Ciò soprattutto perché la comunità scientifica saprà a chi attribuire, nel bene e nel male (perché la trascrizione può essere stata fatta bene o male), quella particolare trascrizione: è come nel caso di un libro che ha impresso in copertina il nome dell’autore. Infine, molto utile la durata dell’evento che si sta trascrivendo. Successivamente, si passa a dare un identificativo al testo trascritto: nel caso che vi propongo si è deciso di identificare ciascun testo conversazionale con la lettera T seguita da un numero progressivo. In questo caso si tratterà della trascrizione (T) n° 10. Segue poi un titolo e un breve riassunto che introduce il lettore nel contesto situazionale, facendogli intuire cosa sta succedendo. Si passa poi alla trascrizione vera e propria: diciamo subito che la prima cosa da fare è individuare i turni di parola e inserire una numerazione; in tal modo, sarà più semplice nella fase di analisi, ricondurre particolari fenomeni al turno 1, al turno 30, etc. Subito dopo aver inserito la numerazione, occorrerà indicare il nome del parlante oppure il ruolo da esso interpretato (in tal caso Ins sta per ‘insegnante’). Seguirà poi la trascrizione vera e propria che utilizzerà i simboli che abbiamo illustrato nelle slide precedenti: notate infatti come ci sono gli allungamenti di vocale (:::) , gli enunciati simultanei (=), i simboli relativi all’intonazione; notate, inoltre, come trascrivere significhi anche trascrivere gesti (turno 5 in parentesi), spostamenti nell’ambiente (turni 6-7), etc. 12 12

13 I principi dell’analisi della conversazione
Naturalismo Sequenzialità Adiacenza delle azioni Rispetto dei partecipanti > “Recipient design” Contestualità Linguaggio come prassi Per studiare questo ambito di studi, gli analisti si orientano ad una serie di principi: Naturalismo Sequenzialità Adiacenza delle azioni Rispetto del punto di vista dei partecipanti Contestualità Linguaggio come prassi. 13

14 I principi dell’analisi della conversazione
3. Adiacenza La conversazione è un’attività che si svolge tra ‘due parti’ che si dimostrano, attraverso l’adiacenza delle proprie azioni, l’interconnessione e l’importanza di ciò che si dicono. Adiacenza: la conversazione, infatti, è un’attività che si svolge tra ‘ due parti’ (ovviamente tale espressione è convenzionale in quanto ci può essere una parte che è il parlante fino a quel punto, e due (o più persone) che costituiscono ‘l’altra parte’ che fino a quel momento ascolta) che si dimostrano, attraverso l’adiacenza delle proprie azioni, l’interconnessione e l’importanza di ciò che si dicono. L’adiacenza cioè permette di mostrare che due o più persone sono impegnante in un’attività significativa e non casuale. Il concetto di ‘adiacenza’ non implica che due persone che parlano siano necessariamente d’accordo ma che anche il disaccordo debba essere mostrato all’interno di questo particolare formato interazionale che si basa sull’adiacenza delle azioni. La domanda e la risposta, ad esempio, rappresentano una particolare sequenza di azioni adiacenti che, in analisi della conversazione, vengono dette COPPIE ADIACENTI. La domanda altro non è che la produzione di un turno che opera delle costrizioni sul tipo di turno a seguire in modo da rendere pertinente solo una ristretta gamma di elementi successivi: nel caso della domanda, ciò che si richiede venga fatto nel turno successivo dall’interlocutore non è fornire qualsiasi cosa, bensì qualcosa che rappresenti una risposta a quella domanda. Es. A Come ti chiami? COPPIE ADIACENTI (Question/Answer) B Luana 14

15 Coppie adiacenti (adjacency pairs) Schegloff e Sacks, 1973
Sequenza di azioni conversazionali in cui il parlante A esprime un’azione che proietta (rende pertinente, crea l’aspettativa) un 2° enunciato da parte del parlante B COPPIA ADIACENTE (saluto/saluto) 1° elemento A Buongiorno ragazzi! 2° elemento B Buongiorno Cinque caratteristiche identificano le coppie adiacenti: Due turni; Il posizionamento adiacente degli enunciati che compongono i turni; La presenza di parlanti diversi per ciascun enunciato; L’ordine relativo delle parti (cioè la prima parte della coppia precede la seconda parte della coppia) La presenza di relazioni discriminanti (cioè, il tipo di coppia di cui la prima parte è membro è rilevante per la selezione tra seconde parti possibili) Caratteristiche Due turni; Il posizionamento adiacente degli enunciati che compongono i turni; La presenza di parlanti diversi per ciascun enunciato; L’ordine relativo delle parti; La presenza di relazioni discriminanti. 15

16 Coppie adiacenti: alcuni esempi
Saluto/saluto Offerta/Accettazione o rifiuto Oltre alla coppia ‘domanda/risposta’, altri esempi di sequenze complementari sono ‘saluto/saluto’ e ‘offerta/accettazione o rifuto’. Esse sono legate al concetto di rilevanza condizionata, coniato da Schegloff nel 1972, con cui si intende che la prima parte della coppia inizia una mossa interazionale che condiziona lo svolgimento successivo dell’interazione. Dunque: dato l’occorrere di un primo elemento, un secondo elemento è atteso. Conditional relevance (Schegloff, 1972) La prima parte della coppia inizia una mossa interazionale che condiziona lo svolgimento successivo dell’interazione. Dato l’occorrere di un primo elemento, un secondo elemento è atteso

17 Dalla coppia adiacente al concetto di preferenza
Sistema delle preferenze (Schegloff, Jefferson e Sacks, 1977) Esempio illustrativo: reazione preferita A E se andassimo al cinema stasera? B Eh, ottima idea! La 1° parte di una coppia è costruita in modo da rendere preferibile, come seconda parte, un’alternativa ad un’altra possibile; L’alternativa preferita viene prodotta in modo diverso da quella dispreferita: quest’ultima infatti è marcata da vari elementi di ‘problematicità’ (es. pause, intercalari). Associato al concetto delle sequenze complementari o coppie adiacenti, vi è quello di preferenza (Schegloff Jefferson Sacks 1977 in Language): data una prima parte di una sequenza, c’è una reazione preferita e una dispreferita. Le caratteristiche del sistema delle preferenze sono: 1. la prima parte di una coppia è costruita in modo da rendere preferibile, come seconda parte, un’alternativa ad un’altra pure possibile; 2. la prima parte di certi tipi di coppie adiacenti, indipendentemente da come è costruita, rende preferibile, come seconda parte, un’alternativa ad un’altra pure possibile 3. in entrambi i casi precedenti, specialmente nel secondo, l’alternativa preferita viene regolarmente prodotta in modo diverso da quella dispreferita: la dispreferita è marcata da vari elementi di ‘problematicità’. Per individuare quale di due possibili reazioni è quella preferita si osservano: il tempo che intercorre tra prima e seconda parte (maggiore nelle dispreferite), l’aspetto linguistico (presenza di particelle), la presenza di spiegazione (che accompagna la reazione dispreferita). Vediamo infatti l’esempio riportato: si tratta di un invito a cui deve seguire l’accettazione o il rifiuto. Esempio illustrativo: reazione dispreferita A E se andassimo al cinema stasera? (0.7) B hm, sì (.) si potrebbe anche (1.0) però sono un po’ stanca, cosa dici se rimandassimo a domani? 17

18 I quattro meccanismi fondamentali dell’AC
Il sistema della presa del turno; I meccanismi della riparazione (repair); L’organizzazione delle azioni; L’organizzazione delle sequenze di azioni. Quattro sono gli aspetti fondamentali dell’interazione tra persone impegnate in una conversazione: Il sistema della presa del turno, ovvero il meccanismo che nella conversazione permette l’alternanza dei parlanti; I meccanismi della riparazione (repair): attraverso questo secondo aspetto vengono analizzati i meccanismi interazionali utilizzati quando sorge un qualsiasi tipo di problema che rischia di inficiare l’esito della conversazione; L’organizzazione delle azioni: verranno esaminati i turni di parola in quanto azioni; L’organizzazione delle sequenze di azioni: si andrà a verificare in che modo possono concatenarsi tra loro azioni e turni affinchè possano dar luogo a sequenze estese di conversazione. 18

19 Il sistema della presa del turno (Turn - taking system)
Schema conversazionale classico A – B, A – B, A - B,.. Es. A Ciao B Ciao A Come ti chiami? B Giulio … e tu? Il sistema della presa del turno (Turn - taking system) Turno di parola o Turn Construction Unit (TCU) Unità minima di riferimento dell’organizzazione sequenziale del processo conversazionale; con tale termine si intende il contributo che ciascun partecipante offre allo scambio comunicativo affinché la conversazione possa procedere. C’è un aspetto fondamentale di ciò che fanno i partecipanti a qualsiasi parlare-in-interazione: come fanno ad alternare ordinatamente i loro turni di parola. Come fanno, cioè, ad evitare di sovrapporre le loro voci – il che, al di là di una soglia tollerabile, impedirebbe di interagire – e come fanno a evitare che si creino silenzi così lunghi da ‘dissolvere’ lo stato d’interazione (tali da potersi ritenere che l’interazione è finita, e quindi da porre ai partecipanti il compito di far ripartire l’interazione). Anche il semplice parlare uno alla volta è azione: è il livello più basilare dell’azione interattiva, necessario per riuscire a fare anche qualcosa di più specificamente riconoscibile, al di là del semplice ‘rivolgere parole ad altri’. Alternarsi a parlare è un compito pratico che i partecipanti devono costantemente affrontare e risolvere nel parlare-in-interazione. L’analisi della conversazione ha scoperto un insieme di procedure metodiche regolarmente adoperate al riguardo, che fra poco esporremo. Sono procedure cui i partecipanti non possono non essere orientati ad ogni istante dell’interazione in qualsiasi genere d’interazione: perciò esse costituiscono nel loro insieme un sistema di organizzazione generica dell’azione conversazionale: il sistema della presa di turno (turn-taking system). La classica struttura che caratterizza una conversazione è quella basata sull’alternanza di almeno due parti A-B. L’unità base della conversazione è il turno, detto anche Turn Construction Unit: con tale termine si intende il contributo che ciascun partecipante offre allo scambio comunicativo affinché la conversazione possa procedere. In tal senso, un turno può contenere elementi non riducibili a quelli identificati solamente in maniera prettamente linguistica: i sostituti dei materiali lessicali, gli elementi gestuali e paralinguistici, le “conferme-parentesi” (Goffman, 1981) come i sorrisi, le risatine, i borbottii. È per tale ragione che si preferisce parlare di TCU, ovvero di “componenti del turno” per intendere tutti gli elementi che costituiscono un turno nella conversazione. Riepilogando, quindi l’ Unità costitutiva di turno (Turn constructional Unit, TCU) è qualsiasi segmento verbale del parlante che, nel contesto in cui è collocato, possa apparire agli altri partecipanti dotato di senso compiuto, così da consentire ad altri di replicarvi, commentarlo, o reagire ad esso in qualsiasi modo. Può essere una proposizione, una frase, una parola, o perfino un suono o un gesto cui sia attribuibile nel contesto un senso compiuto. I partecipanti monitorano il flusso verbale ed espressivo di un parlante in modo da cogliere e prevedere lo sviluppo – la possibile traiettoria – di un’unità in costruzione, tenendo conto insieme di aspetti lessicali, grammaticali, prosodici, gestuali, nonché degli aspetti pragmatici connessi al contesto. 19

20 Turn Construction Unit (TCU) - Turno di parola -
Pertanto 1. TCU come proposizione A È un grande calciatore B lui è davvero il più bravo di tutti 2. TCU come frase A Chi è un grande calciatore? B lui, il più bravo di tutti 3. TCU come singola parola A È un grande calciatore B Davvero 4. TCU come comunicazione A È un grande calciatore non verbale B (fa cenno di sì con il capo) Pertanto, il turno di un parlante potrà presentarsi sottoforma di: proposizioni (‘lui è davvero il più bravo di tutti’); frasi (‘il più bravo di tutti’); singole parole (‘davvero’), che nel contesto della conversazione possano essere intese dai partecipanti come dotate di senso compiuto. Comunicazione non verbale (fare cenno di sì con il capo). Occorre anche sottolineare come le unità in cui sono costruiti i turni (TCU) possano non coincidere con la natura grammaticale del linguaggio. Mi spiego meglio: da un punto di vista prettamente grammaticale, tutti gli enunciati che non siano completi ed integri sono considerati frammentari; per l’AC, invece, queste forme apparentemente incomplete sono considerate dai partecipanti perfettamente complete e non hanno bisogno di nessuna particolare esplicazione per essere capite. 20

21 Turn Construction Unit (TCU) - Turno di parola -
T= terapeuta P = paziente 1 T allora cominciamo coi nomi 2 il suo nome 3 P a::m Xxxxxxx 4 T sì= 5 P = Giulio 6 T Xxxxx Giulio 7 (1.0) 8 T anni? 9 P e::h quarantotto 10 T quarantotto Vediamo l’esempio proposto nel testo d’esame: si tratta di un estratto conversazionale tratto da una seduta di terapia della famiglia. Come si può notare, il terapista utilizza nel suo turno di domanda delle componenti di turno che non sono frasi complete (‘il suo nome’ alla seconda riga e ‘anni?’ all’ottava riga) per chiedere all’intervistato il nome e l’età e l’intervistato produce le risposte attese. 21

22 Il sistema della presa del turno (Turn - taking system)
Alternanza dei parlanti Passaggio da un parlante all’altro PRT (Transition Relevance Place) o punto di rilevanza transizionale Assodato cosa si intende con la definizione ‘turno di parola’, analizziamo come funziona il sistema della presa di parola, della presa del turno. Abbiamo detto quindi che caratteristica fondamentale dell’ordine conversazionale è l’alternanza dei parlanti, la quale si manifesta attraverso l’allocazione dei turni: il passaggio da un parlante all’altro avviene generalmente in ogni possibile punto di rilevanza transizionale (PRT, Transition Relevance Place), luogo in cui si ritiene pertinente il passaggio del turno. È in questo luogo, infatti, che gli altri interlocutori possono legittimamente prendere la parola. È fondamentale tenere bene a mente che non esistono (o non sono note) regole generali per riconoscere tali unità: l’analisi deve tener conto del contesto e di come i partecipanti mostrino di intenderle, deve cioè tener conto di come i partecipanti le trattano. La “transizione” da un turno all’altro viene negoziata dai partecipanti alla conversazione in base a due tecniche fondamentali, ideate sempre da Sacks, Schegloff e Jefferson: 1. l’eteroselezione che consiste nella selezione di un altro parlante ad opera di colui che occupa il turno in quell’istante; in tal caso la persona selezionata ha il diritto e l’obbligo di prendere il turno successivo per parlare. 2. l’autoselezione che si verifica quando il parlante successivo prende la parola senza che vi sia un invito a farlo da parte di chi sta parlando. Se non si verificano le opzioni 1 e 2, chi ha il turno in quell’istante può decidere di continuare a parlare: il soggetto che aveva già occupato il turno, violando la regola dell’alternanza e in virtù della mancata presa di parola da parte degli altri partecipanti, decide di autoselezionarsi continuando e, dunque, estendendo il proprio turno. 1. Eteroselezione 2. Autoselezione Allocazione dei turni 22

23 Auto ed eteroselezione: alcuni esempi
Conversazione in famiglia Padre Marco li vuoi i pomodori? Marco no Padre allora passameli che li mangio io! Eteroselezione Vediamo alcuni esempi che rendano ancora più chiari i concetti di etero ed autoselezione: L’esempio riguarda una conversazione registrata durante un pranzo tra padre e figlio: l’eteroselezione da parte del padre è addirittura duplice poiché nel primo caso il papà offre dei pomodori al figlio e, in seguito ad un suo rifiuto, lo eteroseleziona nuovamente invitandolo a rispondere attraverso un gesto che dovrà consistere nel passare al padre l’insalatiera che contiene i pomodori. L’esempio che segue invece ci fa intuire come sia possibile autoselezionarsi (guardate il turno della madre). VS Conversazione in famiglia Padre Eh, lo so. è che siamo tutti stanchi, vero Marco? Marco interrogazioni, compiti in classe (0.5) non se ne può più Madre che ne dite se domani andassimo al mare? Autoselezione 23

24 Auto ed eteroselezione: alcuni esempi
AUTOSELEZIONE CONTINUATA 1 Ins questo lo sai come si chiama? 2 Yan (0.3) 3 Ins si mette sulla testa (indicando la testa) 4 Ins tu ce l’hai a casa? 5 Yan (0.3) 6 Ins CAPPELLO (Perna, Corpus AC, 2010) Nel caso in cui non avviene né autoselezione né eteroselezione, si verificherà una situazione di questo tipo. L’esempio proposto si riferisce ad una conversazione in classe tra insegnante e alunno straniero: un’insegnante di italiano illustra ad un alunno di nazionalità cinese come vengono definiti in italiano alcuni accessori tipici dell’abbigliamento. Notate come nel 1° e nel 4° turno l’insegnante eteroselezioni l’alunno ponendogli delle domande (‘questo lo sai come si chiama?’ e ‘tu ce l’hai a casa?’). Il 3° turno, invece, testimonia la presenza della tecnica di autoselezione continuata: infatti, terminato il turno, l’insegnante non eteroseleziona Yan né tantomeno si verifica il meccanismo di autoselezione da parte di quest’ultimo. Pertanto, l’insegnante riprende il turno realizzando così un’autoselezione continuata. Autoselezione 24

25 Il sistema della presa del turno (Turn - taking system)
Un sistema ordinato e ricorsivo di azioni, che prevede le seguenti regole Il sistema della presa del turno (Turn - taking system) 1. a) Se il parlante seleziona il parlante successivo con una domanda (o altro), questi e solo questi, al completamento del turno precedente, può parlare e deve parlare (se non parla, il silenzio che ne consegue è imputabile proprio a lui/lei) -Eteroselezione Dopo aver spiegato le tecniche di allocazione del turno, che si realizzano principalmente in autoselezione ed eteroselezione, possiamo ricostruire una serie di regole della presa del turno secondo un sistema ordinato e ricorsivo di opzioni ideato da Sacks, Schegloff e Jefferson: 1a. Se il parlante seleziona il parlante successivo con una domanda, o altro, questi e solo questi, al completamento della domanda, può parlare, e deve parlare (se non parla, il silenzio conseguente è imputabile a lui/lei). 1b. Se il parlante non seleziona altri, in ogni punto di possibile completamento (al termine di ogni possibile TCU) un altro può cominciare a parlare. 1c. Se nessun altro viene selezionato o si autoseleziona, il parlante può continuare a parlare. 2. Ad ogni nuovo punto di rilevanza transizionale, valgono le regole precedenti. Ciò rende improbabili pause lunghe. 1. b) Se il parlante non seleziona altri, al termine di ogni TCU un altro può cominciare a parlare - Autoselezione 1. c) Se nessun altro viene selezionato o si autoseleziona, il parlante può continuare a parlare - Autoselezione continuata 2. Ad ogni nuovo PRT valgono le regole precedenti. Ciò rende improbabili pause lunghe 25

26 Il sistema della presa del turno (Turn - taking system)
Semplificando... Il sistema della presa del turno (Turn - taking system) S = parlante 2 P = parlante 1 Proviamo a spiegarla in termini più schematici: 1. a) P seleziona S b) P non seleziona S e un altro si autoseleziona c) se non succede né a) né b) P continua a parlare 2. se è stata applicata 1. c) al successivo PRT sono di nuovo possibili tutte le opzioni a)-c) di 1 e così ricorsivamente. Ciò, generalmente, rende improbabili pause lunghe. Un silenzio prolungato, in un punto di rilevanza transizionale, provoca una defaillance nel processo conversazionale: si verifica una situazione simile a quella che si ha quando due persone si trovano davanti ad una porta o ad una strettoia che entrambe devono attraversare e nessuna delle due si decide a farlo per prima; è una situazione che, in ogni caso, non può durare più di tanto. 1. a) P seleziona S; b) P non seleziona S e un altro si autoseleziona; c) Se non succede né a) né b) P continua a parlare. 2. Se è stata applicata 1. c), al successivo PRT sono di nuovo possibili tutte le opzioni a) - c) di 1 e così ricorsivamente. 26

27 Il repair (Pratiche di riparazione)
Fenomeno che consiste in mosse che servono a riparare la conversazione dopo che un evento problematico ne abbia minacciato l’andamento ordinario. VIOLAZIONE DELLE REGOLE del sistema della presa del turno Dopo aver illustrato come funziona il meccanismo di presa del turno e le tecniche di allocazione, possiamo sostenere che se le regole vengono ‘sostanzialmente’ osservate non insorgono problemi. Se vengono violate, invece, la violazione ha conseguenze interattive: le regole possono essere trasgredite, ma ‘non gratis’, non senza pagare un prezzo; infatti: – eventuali violazioni vengono ‘riparate’ – violazioni non riparate comportano conflitto oppure una manifesta subordinazione di chi le subisce. Coloro che partecipano ad una conversazione possono gestire i problemi di comprensione (= quelli che riguardano l’ascoltatore del momento, es. ‘non ho sentito’ oppure ‘ho sentito ma non ho capito’) o di produzione (= quelli che riguardano il parlante del momento) attraverso il meccanismo del repair. La riparazione è una categoria più ampia e generale di quella di correzione. La correzione, infatti, ha a che fare con gli aspetti che si riferiscono alla riparazione degli errori dovuti al mancato rispetto della correttezza grammaticale. Con il termine repair, invece, intendiamo quel particolare fenomeno che consiste in mosse che servono a restaurare la conversazione dopo che un evento problematico ne abbia minacciato l’andamento ordinario. Repair o riparazione Correzione 27

28 Il repair (Pratiche di riparazione)
“La riparazione è lo strumento fondamentale che i partecipanti ad una conversazione utilizzano per riportare gli eventi alla normalità quando qualcosa va storto nell’interazione riguardo alla propria o altrui comprensione degli eventi in corso” (Fele, 2007:45) La definizione che il vostro testo, o meglio che il sociologo Fele dà, di riparazione si trova a pag. 45 e sottolinea come “La riparazione è lo strumento fondamentale che i partecipanti ad una conversazione utilizzano per riportare gli eventi alla normalità quando qualcosa va storto nell’interazione riguardo alla propria o altrui comprensione degli eventi in corso”. Tre sono gli elementi che caratterizzano il repair: Un inizio (initiation) La fonte problematica (trouble source) Un completamento (outcome). Il meccanismo della riparazione, spesso, occupa più turni: essa, infatti, può essere cominciata in un certo momento e terminata dopo; è per tale ragione che inizio (initiation) e completamento (outcome) possono non coincidere. Il completamento (outcome) può essere attuato in due modi: a) Un cambiamento della componente problematica, ovvero del riparabile; b) Una riproposizione inalterata della fonte problematica, del trouble source. Vediamo di capire meglio attraverso alcuni esempi. Inizio (initiation) Completamento (outcome) a) Cambiamento del riparabile Fonte problematica (trouble source) b) Riproposizione inalterata del trouble source 28

29 Il repair (Pratiche di riparazione)
FONTE PROBLEMATICA (TROUBLE SOURCE ) Repair n°1 – Cambiamento della componente problematica (es. arresto cardiaco > problemi di cuore) Due sono quindi i rimedi che possono essere attuati in seguito ad un problema verificatosi durante la conversazione: Il primo caso di repair si ha quando viene sostituita la componente problematica, come nell’estratto proposto in cui arresto cardiaco viene sostituito da ‘problemi di cuore’. ‘Arresto cardiaco’ > fonte problematica Dialogo tra un medico e il suo paziente M ci sono stati problemi di arresto cardiaco nella sua famiglia? P no, non abbiamo mai avuto problemi con la polizia M No, non ci sono mai stati problemi di cuore nella sua famiglia? P ah ho capito. No, che io sappia (Goffman, 1981:92) ‘No, non ci sono mai stati problemi di cuore’ > repair (initiation) ‘Ah ho capito. No, che io sappia’> repair (outcome) 29

30 Il repair (Pratiche di riparazione)
FONTE PROBLEMATICA (TROUBLE SOURCE ) Repair n°2 – Riproposizione inalterata del trouble source Dialogo tra un medico e il suo paziente M precedentemente ha fatto solo sedute da un terapeuta? P sì M Hai mai provato una clinica? P Cosa? P NO, IO NON VOGLIO ANDARE IN UNA CLINICA (Schegloff, Jefferson e Sacks, 1977:367) Il secondo caso di repair si ha quando viene semplicemente ripetuta la fonte problematica, senza che vi sia sostituzione del trouble source (come nel caso precedente). Nell’estratto che vediamo ora, infatti, il medico si limita a riformulare la stessa frase nel turno successivo. Riproposizione inalterata della fonte problematica 30

31 Pratiche di riparazione: tipologie
Avviene quando il parlante, dopo essersi accorto che qualcosa di ciò che sta dicendo non va, si autocorregge mentre parla (autoriparazione autoiniziata); avviene quando l’interlocutore, nel punto in cui non capisce, effettua una richiesta di riparazione (attraverso la ripetizione di una parola o di una frase altrui) che spingerà il parlante a produrre la riparazione (autoriparazione eteroiniziata). Autoriparazione Le opzioni che si prospettano ai partecipanti alla conversazione sono due: l’autoriparazione e l’eteroriparazione. 1. l’ Autoriparazione: avviene quando il parlante, dopo essersi accorto che qualcosa di ciò che sta dicendo non va, si autocorregge mentre parla (autoriparazione autoiniziata); oppure quando avviene quando l’interlocutore, nel punto in cui non capisce, effettua una richiesta di riparazione (attraverso la ripetizione di una parola o di una frase altrui) che spingerà il parlante a produrre la riparazione (autoriparazione eteroiniziata). 2. l’Eteroriparazione: avviene quando l’interlocutore corregge il parlante, rifacendo un pezzo del suo discorso (es. ‘ volevi dire..’), anche in modo dubitativo, inducendo il primo parlante a confermare la riparazione proposta. Avviene quando l’interlocutore corregge il parlante, rifacendo un pezzo del suo discorso (es. ‘ volevi dire..’), anche in modo dubitativo, inducendo il primo parlante a confermare la riparazione proposta. Eteroriparazione 31

32 Pratiche di riparazione: esempi
Autoriparazione Autoriparazione autoiniziata Jessy Ti sei svegliato presto stamani? Ken All’incirca dieci minuti prima che suonasse la campana mh:m::: la sveglia Jessy A:h::::: Nel primo estratto, Ken si rende conto di aver commesso un errore dicendo campana al posto di sveglia e si corregge prontamente; nel secondo estratto, invece, l’interlocutore B, non avendo capito, attraverso l’inserimento di un iniziatore di aggiustamento, spinge il parlante a produrre la riparazione, che prontamente avviene. Autoriparazione eteroiniziata A Francesca arriva a Roma domani B Chi? A Francesca, mia cognata B Ah, sì, me la ricordo. A Così dobbiamo andare a prenderla Iniziatore di aggiustamento 32

33 Pratiche di riparazione: esempi
(Discorso tra donne) A Gli piace quel cameriere là? B Camerie-re? Vorrai dire cameriera! A Cameriera, scusa B Sarà meglio Eteroriparazione Per quanto riguarda l’eteroriparazione, abbiamo visto nelle slide precedenti come l’interlocutore può anche correggere il parlante del momento , rifacendo un pezzo del suo discorso, anche in modo dubitativo, inducendo il primo parlante a confermare la riparazione proposta, come nel caso che si riporta. Nel secondo estratto, invece, tratto da una seduta di terapia della famiglia, la madre mostra delle difficoltà a trovare il nome esatto della sua malattia. La presenza della componente problematica è segnalata dalla presenza di esitazioni e incertezze. Nel turno immediatamente successivo a quello in cui compare la componente problematica, l’interlocutore produce un’eteroriparazione. Nel terzo turno, la madre riprende la formulazione del terapista e chiude la sequenza, accettando la riparazione offerta. (Conversazione medico-paziente) (1) Signora m, tz, artrite s-,a-, m::: (2) Terapista reumatoide? (3) Signora artrite reumatoide, e poi artrite -, ma secondaria (4) Terapista ho capito 33

34 Pratiche di riparazione
Riepilogando... Pratiche di riparazione Repair (Sacks, Schegloff, Jefferson, 1977) La riparazione è: un comportamento, per lo più verbale o paraverbale (lessicalizzazioni, interruzioni, allungamenti di vocale); diretto a risolvere in modo specifico problemi di emissione, ricezione e comprensione nell’interazione conversazionale. La nozione di riparazione (repair) dell’AC ha alcuni punti di contatto e molti di differenza con la nozione di interscambio di riparazione (remedial interchange) di Goffman. Infatti, mentre per Goffman il repair, nel senso di riparazione rituale, si manifesta quando ci si scusa con l’interlocutore per riparare a qualsiasi possibile disturbo si possa arrecare o aver arrecato ad altri, per gli analisti della conversazione, attraverso il repair si possono portare a termine molte altre azioni nella conversazione che non sono rivolte a mostrare solo un rimedio rituale. Per l’AC, la riparazione è: un comportamento, per lo più verbale o paraverbale (lessicalizzazioni, interruzioni, allungamenti di vocale); diretto a risolvere in modo specifico problemi di emissione, ricezione e comprensione nell’interazione conversazionale. Per la sociologia goffmaniana, invece, la riparazione è: un tipo di atto rituale, di tipo non verbale; realizzato da un partecipante in un incontro sociale, anche fugace, transeunte e non focalizzato (dunque non necessariamente un’interazione conversazionale); finalizzato a disinnescare le potenziali accezioni peggiorative di tipo morale legate ad un comportamento. 34

35 L’organizzazione delle azioni nella conversazione (cap. 3)
Asserzioni, valutazioni e giudizi: essere d’accordo e in disaccordo Pomerantz, 1984 Scambi polemici e conflittuali: rispondere ad un’accusa Atkinson e Drew, 1979 Rispondere alle richieste Wootton, 1981 A questo punto, Fele, l’autore del testo d’esame, illustra nel capitolo relativo all’organizzazione delle azioni nella conversazione una serie di studi sulle strutture di preferenza che denotano, appunto, come la conversazione sia caratterizzata da una vera e propria sequenza di azioni. I casi proposti riguardano: 1. Gli studi di una sociolinguista, Anita Pomerantz, relativi a come è possibile mostrare accordo e disaccordo nella conversazione di fronte a casi di asserzione, valutazione e giudizio; 2. Gli studi di Atkinson e Drew, relativi soprattutto alle conversazioni che avvengono nei tribunali, riguardo al modo in cui si risponde ad un’accusa; 3. E infine, gli studi di Wootton sulle modalità attraverso cui, in una sequenza conversazionale, si può rispondere alle richieste formulate dall’interlocutore. Vediamo ora singolarmente questi tre casi di organizzazione sequenziale delle azioni nella conversazione. 35

36 La conversazione telefonica
Apertura Chiusura Parte centrale (Esempio) Gino (squillo del telefono) Fabio pronto? Gino fabio? Fabio sì Gino sono gino Fabio ciao gino= Gino =come va? Fabio bene bene Gino e:h::: senti eh volevo sapere quand- te::l devo mandare quella pagina:::hhhh::famosa? Fabio quando VUOI naturalmente Un esempio di forma estesa di organizzazione sequenziale della conversazione è rappresentata dalle conversazioni telefoniche, a cui Fele dedica il resto del quarto capitolo. Questo particolare tipo di attività conversazionale è stato studiato fin dall’inizio della nascita di AC (ricordate infatti l’analisi delle telefonate al Centro suicidi effettuata da Sacks). La conversazione telefonica, infatti, rappresenta una particolare tipologia di interazione poiché l’alternanza dei turni che caratterizzano una qualsiasi conversazione, in tal caso, avviene senza che gli interlocutori possano guardarsi negli occhi, possano far leva su elementi paralinguistici o gestuali, trattandosi di un tipo di conversazione che fa uso di uno strumento, un canale, un medium che appunto media l’interazione tra le persone coinvolte. Al telefono, lo scambio di informazioni vero e proprio può avvenire solo dopo che si siano verificate alcune procedure iniziali, procedure che permettono poi l’esatto posizionamento dell’argomento di cui si vuol parlare. Così come l’organizzazione sequenziale del racconto che presenta tre fasi (sequenza di prefazione, di narrazione e di risposta), allo stesso modo gli studi di AC che si sono occupati di conversazioni telefoniche hanno individuato una certa ricorsività nell’organizzazione sequenziale di questo tipo di attività che risulta essere caratterizzato da tre fasi: la fase di apertura, quella relativa alla parte centrale, e infine quella di chiusura. Soffermiamoci sulla prima sequenza. Quella di apertura rappresenta una parte fondamentale della conversazione telefonica: Fele, infatti, definisce le aperture telefoniche come luoghi interazionali cosiddetti densi. Perché ‘densi’? Perché è in questa fase della telefonata che le persone devono posizionarsi in modo preciso, nel giro di poche battute, facendo affidamento solo sulla voce, solo sulle parole. Gli inizi delle telefonate, infatti, sono caratterizzati da pochi, semplici e brevi elementi lessicali che compongono i turni dei parlanti: non si trovano in questa fase strutturazioni sintattiche sofisticate. Schegloff (1986), individua nella sezione di apertura delle conversazioni al telefono almeno 4 tipi di sequenze che devono essere portate a termine prima di introdurre il primo argomento e passare così alla seconda sezione della conversazione telefonica, che consiste nella parte centrale vera e propria. La prima sequenza è quella caratterizzata da una chiamata e da una risposta, detta anche apertura del canale; In secondo luogo vi è una sequenza di identificazione; poi una sequenza di saluti e, infine, una eventuale sequenza di interessamenti, ovvero di ‘scambi sulla salute’. Solo al termine dell’ultimo scambio di notizie sulla salute, sarà possibile introdurre il primo argomento, dunque ‘entrare nel merito’ della telefonata. Sequenza chiamata/ risposta Sequenza di identificazione Sequenza di saluti Sequenza di interessamenti Entrata nel merito 36

37 La conversazione telefonica: apertura
(Esempio) Gino (squillo del telefono) Fabio pronto? Gino eh fabio? Fabio sì Gino sono gino Fabio ciao gino= Gino =come va? Fabio bene bene Gino e:h::: senti eh volevo sapere quand- te::l devo mandare quella pagina:::hhhh::famosa? Fabio quando VUOI naturalmente Chiamata/risposta Coppia adiacente: 1° elemento è il ‘trillo’ e il 2° è il ‘ pronto’ Regola di distribuzione Regola di non conclusione Identificazione - Controllo del ricevente e relativa autoidentificazione Concentriamo meglio, analizzandole singolarmente, le mosse che caratterizzano la sequenza di apertura di una conversazione al telefono; esse sono appunto: l’apertura del canale o quella che prima abbiamo identificato come sequenza ‘ chiamata/risposta’: chi chiama (in questo caso Gino) manda appunto un segnale (lo squillo del telefono) che ha lo scopo di verificare se c’è qualcuno dall’altra parte del filo; chi risponde dicendo ‘pronto?’, forma standardizzata di risposta, (ma anche ‘sì’ oppure ‘Casa tal dei tali’) mostra appunto che qualcuno c’è e che è disposto ad interagire. Nonostante si tratti di un elemento artificiale, che non fa parte della produzione verbale umana, il trillo del telefono è da considerarsi a tutti gli effetti un turno conversazionale, più precisamente la prima parte della coppia adiacente ‘chiamata/risposta’; c’è da dire inoltre che la sequenza ‘chiamata/risposta’ è soggetta a due regole: la regola di distribuzione, la quale prevede che chi risponde parli per primo (‘pronto?’) e inoltre la regola di non conclusione, in base alla quale l’apertura di una sequenza di ‘chiamata/risposta’ non può essere lo scambio terminale di una conversazione, bensì deve rappresentare il preliminare per qualcosa che deve accadere. Cosa succede dopo lo squillo del telefono e la risposta dall’altro capo del filo del telefono? L’identificazione: in questa fase, il chiamante controlla se ha effettivamente raggiunto la persona desiderata (es. ‘eh fabio?’), ricevendo una risposta positiva; passa poi ad autoidentificarsi. Quindi, colui che chiama generalmente, in questa fase, verifica se la voce che gli ha risposto nella fase precedente corrisponde alla voce della persona con cui voleva parlare oppure ad una voce comunque conosciuta alla quale chiedere con chi parlare o ancora ad una voce sconosciuta (che, alcune volte, può anche indicare di aver sbagliato numero). La sequenza di identificazione può essere caratterizzata anche dalla formula “saluto + [nome di battesimo]” (es. ciao Maria) che svolge tre funzioni: a) innanzitutto si dimostra di aver riconosciuto l’interlocutore, in questo caso Maria; b) l’interlocutore rinuncia ad autoidentificarsi, ritenendo che così come chi ha chiamato ha riconosciuto chi ha risposto, allo stesso modo chi ha risposto dovrebbe a sua volta riconoscere chi ha chiamato dalla sola voce; c) in terzo luogo, viene reso noto il tipo di rapporto che lega gli interlocutori impegnati nella conversazione telefonica: ciò è implicito nel saluto e nell’appellativo che utilizza colui o colei che comincia la sequenza di identificazione (es. dire ‘Buongiorno sig.ra Rossi’ anziché ‘ciao cara, sono Matteo’ è sicuramente diverso. Nel caso che abbiamo proposto, invece, chi ha chiamato ha prodotto un “riconoscimento incerto”, sotto la forma di un “nome + intonazione ascendente”, come nell’esempio che vedete ‘eh fabio?’ Una volta che due persone al telefono si sono riconosciute, in genere si salutano. La sequenza dei saluti corrisponde, nell’estratto proposto, al fatto che Fabio saluta con un semplice quanto confidenziale ‘ciao’. Per Goffman, lo scambio dei saluti rappresenta un tipo particolare di rito interpersonale positivo in quanto mostra il rispetto e l’omaggio reciproco delle persone coinvolte. Una conversazione telefonica tra conoscenti, dopo la fase di identificazione e dei saluti, solitamente contiene una sequenza tipica di Interessamenti o sequenza di ‘scambi sulla salute’: Gino chiede ‘come va?’, ricevendo una risposta essenziale ma sufficiente a svolgere questa parte del rituale di apertura, ovvero mostrare che i partecipanti si interessano l’uno all’altro. Si tratta di un gesto di riguardo nei confronti dell’interlocutore che però non implica necessariamente che il parlante voglia conoscere lo stato di salute o indagare sulle emozioni e i sentimenti dell’interlocutore; allo stesso tempo, la risposta dell’interlocutore può essere evasiva e data solo per una forma di cortesia. Una volta ricevuta la domanda “Come stai? O”Come va?”, l’interlocutore ha tre possibili risposte da dare: a) una risposta neutrale (es. ‘bene’); b) una risposta positiva (es. ‘benissimo’ o ‘splendidamente’; c) una risposta negativa (es. ‘insomma’, ‘così così’, ‘male’). entrare nel merito: l’ultima fase dell’apertura fa da apripista all’avvio della vera e propria introduzione dell’argomento, dopo lo scambio iniziale. In questo estratto, tale fase viene introdotta dalla parola ‘senti’, preceduta e seguita da segnali di esitazione (inspirazioni, sillabe prolungate) quasi a testimoniare lo sforzo necessario per avviare una nuova fase dell’attività conversazionale. Saluti Interessamenti - Mostrare che i partecipanti si interessano l’uno all’altro Entrare nel merito - Introduzione nell’argomento vero e proprio, caratterizzata da segnali di esitazione (sillabe prolungate, inspirazioni) 37

38 Conversazioni telefoniche: le aperture
Riepilogando... Conversazioni telefoniche: le aperture Mosse Estratto A (informale) Estratto B (intimo) Estratto C (formale) Appello ((trillo)) Risposta all’appello + (nel brano C) autoidentificazione e saluto di A A pronto? A pronto: A Agorà buongiorno Identificazione di A da parte di B + saluto (nel brano C) B eh: fabio? A sì. B hOh B e:h buongiorno Identificazione di B da parte di A + saluto (nel brano A) B sono gino. A ciao gino= A e:h Interessamenti B =come va? A bene bene. Entrata nel merito B .hh senti e:h volevo sapere (...) B allo:ra? B senta volevo sapere (...) Riepiloghiamo brevemente, quanto detto finora sulla fase di apertura delle conversazioni telefoniche ponendo a confronto tre esempi, tre estratti e facendovi notare come, con le dovute differenze, sia lampante la ricorsività delle fasi che caratterizzano le aperture delle conversazioni telefoniche. L’estratto A fornisce un chiaro esempio di conversazione tra due colleghi di lavoro: la conversazione non è né troppo formale né troppo informale; l’estratto B invece ci fa rendere conto di come può essere una telefonata piuttosto intima e assolutamente informale: notate come più è minore la distanza sociale tra gli interlocutori e più si saltano alcune fasi della sequenza di apertura, come in questo caso in cui sono assenti gli interessamenti. Infine, l’estratto C è altamente formale: l’interlocutore B telefona ad una associazione per avere informazioni. Anche in questo caso manca la parte relativa agli interessamenti. 38

39 La conversazione telefonica
Apertura Chiusura Parte centrale Dopo aver spiegato ampiamente la parte relativa alle aperture delle conversazioni telefoniche, focalizziamoci ora sulle restanti sequenza che caratterizzano questa particolare organizzazione sequenziale del parlato. Per quanto riguarda la parte centrale, non c’è molto da dire nel senso che ogni conversazione sarà poi caratterizzata da un argomento specifico che costituirà lo scopo della telefonata vera e propria, il perché si è scelto di alzare la cornetta del telefono (per piacere, per lavoro, per una richiesta di informazioni, etc.). Ciò che caratterizza, infine, gli studi sulle conversazioni telefoniche è la fase di chiusura che è composta dai saluti, i quali rappresentano appunto gli elementi conclusivi di un’interazione. In realtà ciò che causa dei problemi di comprensione in questa fase è capire, intuire l’inizio della fine. Gli analisti sostengono che, da un esame attento delle loro registrazioni, si può sostenere che i parlanti giungono all’inizio della fine quando non hanno più niente da dirsi e, dunque, stanno in silenzio. Ma il silenzio, in realtà, potrebbe essere posizionato anche semplicemente in un intervallo tra due turni di una conversazione per dare quei secondi di pausa affinché l’altro interlocutore possa appropriarsi del turno oppure che il parlante del momento possa continuare ad occupare il proprio turno. In virtù di tale ragione, gli studiosi di conversazione hanno sottolineato come sia possibile comunicare che un argomento è terminato e che la conversazione sta volgendo al termine attraverso particolari mosse dette “prechiusure”: si tratta di vere e proprie azioni la cui funzione è proprio quella di segnalare che si è arrivati alla fine della conversazione. Appartengono alla categoria di ‘prechiusure’ espressioni come “allora...”, “va bene,...”. Di fronte ad una prechiusura l’interlocutore può optare per due alternative: a) accettare la proposta di chiusura; b) riaprire la conversazione, introducendo un nuovo argomento oppure riprendendo alcune questioni che sono già state affrontate precedentemente. Accettare la proposta di prechiusura; b) Riaprire la conversazione Il ruolo del SILENZIO PRECHIUSURE (es. ‘allora’, ‘va bene’,etc.) 39

40 Le conversazioni speciali
Conversazioni ordinarie Ambienti simmetrici (es. una conversazione tra amici per strada) Hanno luogo in un contesto non istituzionale Campo d’indagine su cui ci si è concentrati durante le prime fasi di sviluppo dell’AC Conversazioni speciali Ambienti asimmetrici (es. una conversazione tra medico e paziente in uno studio) Hanno luogo in un contesto istituzionale Campo d’indagine che emerge intorno agli anni ’90 Finora abbiamo analizzato, nella maggior parte dei casi, conversazioni di tipo ordinario, nonostante alcune volte abbiamo fatto riferimenti a casi cosiddetti ‘speciali’ (pensate a quando abbiamo parlate di mosse ‘preferite’ nel rispondere ad un’accusa riferendoci al setting ‘tribunale’ o, ancora, la conversazione tra ‘insegnante e alunno’). Il capitolo quinto del nostro testo d’esame è dedicato proprio alle conversazioni cosiddette ‘speciali’. Cominciamo subito col dire che esistono due tipi di conversazioni, la cui discriminante deriva dal tipo di interazioni in cui si manifestano: a) abbiamo, da un lato le conversazioni ordinarie e b) dall’altro, le conversazioni speciali. Diciamo che le prime hanno luogo in ambienti, in contesti caratterizzati da una condizione di simmetria del potere sociale, mentre quelle speciali hanno luogo in contesti cosiddetti asimmetrici. In altre parole, le due tipologie di conversazioni dipendono dalle interazioni che avvengono quotidianamente, interazioni che possono essere simmetriche o complementari a seconda che si basino sull’uguaglianza o sulla differenza di status. Diciamo quindi che, mentre le conversazioni ordinarie, generalmente, hanno luogo in un contesto non istituzionale, quelle speciali avvengono all’interno di vere e proprie istituzioni. Ovviamente, tale concetto è relativo in quanto ci si potrebbe trovare all’interno di un’istituzione, come il tribunale, ed assistere ad una conversazione speciale giudice/imputato e, contemporaneamente, ad una conversazione ordinaria tra due amici avvocati che si raccontano del più e del meno. Dunque, le conversazioni ordinarie sono tipiche delle interazioni simmetriche e si basano sui modelli in cui l’interlocutore rispecchia il comportamento dell’altro (ci troveremo di fronte a scambi comunicativi caratterizzati da uguaglianza e minimizzazione delle differenze; di contro, le conversazioni speciali sono tipiche delle interazioni complementari o asimmetriche, basate sui modelli in cui l’interlocutore completa il comportamento dell’altro (ci si troverà di fronte a scambi comunicativi caratterizzati da diversità e massimizzazione delle differenze). Ovviamente, ciò comporta notevoli ripercussioni riguardo il procedere della conversazione: difatti, le regole orientative del sistema della presa del turno , cui abbiamo fatto riferimento nelle lezioni precedenti, valgono principalmente per la conversazione ordinaria informale. Nei contesti istituzionali, infatti, i meccanismi del turn taking, della presa del turno, e delle routine conversazionali subiscono una parziale o totale modifica. In Italia, più che negli Stati Uniti, la conversazione in ambito istituzionale ha rappresentato fin da subito un campo d’indagine privilegiato. Solitamente, ci si troverà ad analizzare una conversazione speciale quando ci si troverà di fronte ad un’interazione asimmetrica, caratterizzata dalle seguenti tre categorie principali: Disparità di potere interazionale tra i parlanti; Declino di parità di diritti e doveri comunicativi; Affidamento della gestione del processo comunicativo ad un unico soggetto (che prenderà il nome di ‘ regista’ dell’interazione). Ripercussioni sul procedere della conversazione 40

41 Le conversazioni speciali
Pertanto... Le conversazioni speciali Conversazione simmetrica Conversazione asimmetrica Uguaglianza Disparità/Dominanza Negoziazione dei turni Gestione dei turni Omogeneità dei turni Disuguaglianza dei turni Svolgimento libero con possibilità di turni sovrapponibili Istituzionalizzazione delle fasi conversazionali Si avrà pertanto una situazione di questo tipo: [illustrare lo schema] Nelle interazioni del secondo tipo, quelle asimmetriche, alcuni parametri come il tempo a disposizione, il diritto di fare domande ed il dovere di dare certe risposte, la possibilità di decidere l’argomento della conversazione, sono distribuiti in maniera non casuale bensì predeterminata. I contesti istituzionali studiati riguardano i colloqui medico/paziente, l’interazione in classe, gli interrogatori in tribunale tra imputato e magistrato, l’interazione radio-televisiva con particolare riguardo alle interviste giornalistiche e gli incontri nativo/non nativo, ovvero quelli tra autoctoni e stranieri. In virtù di ciò, Fele analizza nel testo casi come attraverso il parlato delle persone che partecipano ad alcuni di questi contesti sia possibile mostrare alcune caratteristiche dei contesti formali e istituzionali a cui tali persone prendono parte. 41

42 La trasformazione dell’identità ordinaria Identità istituzionale
Question/answer Le singole persone, gli individui, calati all’interno di un frame istituzionale, assumono una nuova identità, o meglio subiscono una trasformazione della propria identità, trasformazione legata agli scopi delle istituzioni. Ciò sta ad indicare che un papà potrà rivestire l’identità di medico all’interno dell’istituzione ‘ospedale’ o ‘clinica’ così come un amico potrà assumere il ruolo di ‘magistrato’ all’interno di un’aula di tribunale. Analizzando la conversazione è possibile notare come vengano immediatamente alla luce le identità rilevanti, ad esempio, di ‘medico’ e ‘paziente’. L’identità istituzionale è caratterizzata, all’interno di una conversazione, soprattutto dalla struttura question/answer (= domanda/risposta) in cui l’interlocutore che incarna l’identità istituzionale, quella legata a un ruolo, facendo delle domande, cerca di ottenere ‘informazioni’. Attraverso la struttura question/answer, le persone che si trovano ad interagire mostrano un certo orientamento alla loro relazione reciproca, riuscendo, in tal modo, a costituire le rispettive ‘identità istituzionali’. Si pensi ad una conversazione medico/paziente: è il medico a porre domande e il paziente, generalmente, si limita a rispondere in modo da permettere al dottore di avere il maggior numero di informazioni possibili per stilare una diagnosi il più possibile precisa. Quando sono i pazienti, invece, a porre domande, è stato ampiamente comprovato, come tali domande si collochino in particolari momenti dell’andamento conversazionale. Innanzitutto, le domande del paziente si possono presentare subito dopo una domanda del medico: vediamo come. Paziente ma perché mi chiede questo non dovrà mica farmi un’incisione? Come si può notare, il paziente formula una domanda solo in seguito ad un’altra domanda postagli dal medico. Si tratta, quasi sempre, di domande il cui scopo è la richiesta di spiegazioni, la conferma di aver capito bene prima di rispondere. Generalmente, inoltre, proprio perchè il paziente è consapevole di avere una posizione sociale e di ruolo subordinata, le sue domande sono caratterizzate da componenti di prefazione, in cui si chiede l’autorizzazione a parlare e a fare la domanda (es. ‘se permette, le volevo chiedere se...’) oppure da forme deboli di richiesta (es. ‘ mi pare’, ‘credo’, ‘se ho capito bene..’). (Conversazione medico/paziente) Dottore Qui sulla sua scheda vedo che ha problemi di coagulazione. Cosa vuol dire ha il diabete? Paziente ma::: non saprei, che io sappia:::NO Dottore prende anticoagulanti? Paziente prendo il lexotis Dottore guardi, credo che lei sia affetto da una forma iniziale di diabete [...] Paziente ma perché mi chiede questo? non dovrà mica farmi un’incisione? 42

43 La figura del ‘regista’
Il sistema di presa del turno nelle conversazioni speciali Turn - taking system Sistema asimmetrico rispetto alla distribuzione dei turni di parola I compiti del ‘regista’ Apertura e chiusura della conversazione Attribuzione del turno Messa in atto di particolari mosse comunicative Controllo tematico conversazionale Ristabilizzazione dell’ordine conversazionale Le occasioni formali o istituzionali contribuiscono a mettere subito in evidenza come anche l’organizzazione della presa del turno diventi ‘speciale’ in quanto il diritto a parlare è più o meno rigidamente prestabilito tra le parti. Il sistema della presa del turno, in una situazione del genere, non è altro che un sistema asimmetrico riguardo la distribuzione dei turni di parola. Cosa significa questo? Significa che la distribuzione del diritto di parola, che nella conversazione ordinaria è co-gestita dai partecipanti, nelle interazioni asimmetriche è spesso affidata a delle ‘figure guida’, definite da Goffman (1969) dei veri e propri registi che esercitano un potere di controllo su ciò che gli altri fanno e sull’andamento dell’interazione. Le peculiarità che caratterizzano tale figura sono essenzialmente 5: Spetta al regista aprire e chiudere una conversazione: è compito del regista stabilire la fase di apertura, ad esempio ponendo all’interlocutore una domanda, così come concludere una sequenza conversazionale. Attribuzione del turno: spetta sempre a questa figura guida assegnare il diritto di parlare attraverso le varie procedure di etero-allocazione dei turni. Dico etero-allocazione poiché, tra le tecniche di presa del turno, quella di autoselezione è quasi del tutto assente nelle interazioni di tipo asimmetrico. Messa in atto di particolari mosse comunicative: il regista, inoltre, dopo aver dato inizio ad una o più sequenze attraverso domande, affermazioni, ordini determina le azioni comunicative successive. Controllo tematico conversazionale: è il regista, inoltre, che si occupa della scelta dell’argomento e della modalità di come condurlo, della sua articolazione in sottotemi, del loro sviluppo e, infine, della loro conclusione. Ristabilizzazione dell’ordine conversazionale: laddove si verifichino situazioni di disaccordo tra i partecipanti sulla definizione della situazione, compete al regista adottare commenti metacomunicativi che ridefiniscano il frame contestuale ed il tipo di attività interazionali in cui si è coinvolti. La figura del ‘regista’ 43

44 L’attribuzione del turno di parola a scuola
INTERAZIONE SCOLASTICA (Mehan, 1979 e McHoul, 1978) PRT (Transition Relevance Place) o punto di rilevanza transizionale Soffermiamoci ora sul secondo compito del regista che consiste proprio nell’attribuzione del turno di parola, notando come ciò avviene all’interno di una classe scolastica. Cominciamo col dire che le classi scolastiche rappresentano dei luoghi turbolenti e abbastanza difficili da gestire proprio perché gli interventi di parola si accavallano, diversi tipi di azione si sovrappongono. Le modalità di interazione tra alunni e insegnanti hanno cominciato ad essere studiate intorno alla fine degli anni Settanta del Novecento da due studiosi, Mehan e McHoul, ma, ancora oggi, rappresentano un campo di indagine molto in voga. Ci troviamo di fronte ad un’interazione istituzionale, di tipo asimmetrico in cui è l’insegnante ad assumere i panni di regista, di ‘figura guida’: pertanto spetterà a lei scegliere l’alunno che dovrà parlare, quando dovrà intervenire, l’argomento che dovrà essere discusso e la durata della sua trattazione. Per quanto riguarda l’attribuzione del turno all’interno di un’interazione scolastica, ad ogni possibile punto di rilevanza transizionale si pongono due possibilità: a) l’insegnante eteroseleziona l’alunno; b) l’insegnante continua a parlare. Nel caso, l’insegnante decida di eteroselezionare l’alunno potrà farlo, fondamentalmente in 4 modi: Nominando lo studente che dovrà rispondere; Segnalando in modo non verbale il parlante successivo; Invitando gli alunni ad alzare la mano e scegliendo poi chi dovrà rispondere; Lasciando parlare l’alunno che si è autoselezionato per primo, nel caso in cui lei non abbia designato un rispondente. Come si può notare, l’alunno non può autoselezionarsi e occupare subito il turno (come avviene nelle interazioni ordinarie); una volta che si sia autoselezionato, deve comunque attendere l’ok, l’autorizzazione della ‘figura guida’, dunque dell’insegnante. 1. Eteroselezione 2. Mantenimento del proprio turno Nomina dello studente Segnalazione non verbale Invito ad alzare la mano Accettazione dell’autoselezione 44

45 Ristabilizzazione dell’ordine conversazionale a scuola
TECNICHE DI RIPARAZIONE Preventive: es. mani alzate Attuative: es. ‘un momento!’, ‘uno alla volta!’ Fele, poi, si sofferma su un altro compito che spetta al regista dell’interazione scolastica; tale compito consiste nel ristabilire l’ordine conversazionale quando questo viene infranto. Ciò avviene, naturalmente, attraverso tecniche di riparazione (ricordate il repair?). Ve ne sono di due tipi: Quelle preventive, mosse che evitano il crearsi della fonte problematica vera e propria, come il noto meccanismo delle ‘mani alzate’: attraverso questo escamotage, l’insegnante si assicura che gli studenti si possano autoselezionare come appartenenti al gruppo di potenziali ‘ parlanti successivi’, tra cui l’insegnante selezionerà l’effettivo parlante successivo. Poi ci sono quelle attuative, le quali vengono messe in pratica dall’insegnante nel caso in cui ci si trovi di fronte al fatto compiuto, cioè quando ci sono sovrapposizioni di turni di parola e il sistema di allocazione sta per saltare. Quando, infatti, il sistema della presa del turno in classe è stato infranto, l’insegnante può interrompere e selezionare un solo studente come parlante successivo. Tutto ciò, generalmente, avviene assieme ad una invocazione al rispetto delle regole tramite esclamazioni come ‘un momento!’, ‘uno alla volta!’ . Assodate le tecniche di riparazione, possiamo concludere sottolineando come nelle conversazioni asimmetriche, il meccanismo speciale di presa del turno strutturi i diritti e i doveri interazionali dei partecipanti. Struttura i diritti e doveri interazionali dei partecipanti Il Turn taking system 45

46 Ristrutturazione delle sequenze
conversazionali: dalla coppia alla tripletta CONVERSAZIONE ORDINARIA CONVERSAZIONE SCOLASTICA Anna che ore sono Denise? Denise Le due e mezzo Anna grazie Denise Maestra che ore sono Denise? Denise Le due e mezzo Maestra brava Denise D D Nelle conversazioni speciali, inoltre, un altro meccanismo che subisce delle variazioni rispetto a ciò che avviene nelle conversazioni ordinarie è la struttura delle sequenze di azioni nel parlato; mi spiego meglio attraverso degli esempi: prendiamo un estratto relativo ad una conversazione che avviene in un contesto non formale. [leggere esempio] Vediamo ora lo stesso estratto formulato però in una situazione formale, a scuola, dove gli interlocutori assumono dei ruoli ben precisi. Come possiamo notare, nel primo estratto, quello che avviene in situazione ordinaria, alla domanda posta da Anna segue la risposta di Denise: ciò rappresenta una semplice coppia adiacente di domanda e risposta. Lo stesso estratto che però avviene in situazione formale non è caratterizzato solo dal formato Domanda/Risposta ma si aggiunge un terzo elemento che non poteva essere omesso perché l’insegnante deve dare un segnale alla piccola Denise, sua alunna, che ha risposto correttamente alla domanda dell’insegnante che, magari, aveva da poco spiegato come si legge l’ora (argomento che a noi può sembrare semplicissimo ma che per i bambini della scuola primaria rappresenta uno scoglio difficile da superare). Per cui dalla coppia si passa alla tripletta. Da ciò deriva che la struttura conversazionale tipica dell’interazione scolastica è la seguente: 1. L’insegnante formula una domanda ad un alunno; 2. L’alunno risponde; 3. L’insegnante riprende il turno per fare una valutazione su quanto detto dall’alunno. In questo modo, mentre per una conversazione ordinaria il modello ricorsivo dell’andamento dell’interazione sarà quello binario (A-B, A-B, etc.), nelle classi scolastiche è invece ternario (A-B-A, A-B-A, etc.). Non è detto però che il terzo turno sia sempre occupato dall’insegnante: ma anche qualora l’insegnante dovesse rimanere in silenzio, tale silenzio non sarebbe neutro ma avrebbe comunque un forte valore valutativo. Gli studenti infatti avvertono che la risposta da loro fornita è incompleta, scorretta o semplicemente fuori luogo. Ovviamente, le due possibili mosse dell’insegnante al terzo turno, valutare in modo esplicito o non dire nulla, comportano conseguenze diverse sul piano della prosecuzione dell’interazione. Infatti, se l’insegnante valuta in modo positivo l’interscambio avvenuto, allora la valutazione avrà valore conclusivo. Se, invece, l’insegnante rimane in silenzio, l’interscambio rimane aperto: o l’alunno cerca di aggiungere qualcosa a ciò che ha già detto in precedenza oppure un altro alunno si propone per offrire un’altra risposta. R R V TRIPLETTA (Domanda/Risposta/Valutazione) COPPIA ADIACENTE (Domanda/Risposta) Conversazione ordinaria modello binario A-B, A-B Conversazione scolastica modello ternario A-B-A, A-B-A 1. L’insegnante formula una domanda ad un alunno; 2. L’alunno risponde; 3. L’insegnante riprende il turno per fare una valutazione su quanto detto dall’alunno. STRUTTURA CONVERSAZIONE SCOLASTICA 46


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