Opere cavalleresche; poesia d’amore In lingua d’oïl furono elaborate soprattutto opere di contenuto epico-cavalleresco; in lingua d’oc, invece, nella Francia provenzale, poesie d’amore. Si è detto che questi lavori trovarono ampia diffusione nel resto d’Europa e furono percepiti come possibili modelli, cui richiamarsi. Tra il XI e l’inizio del XIII secolo fu dunque la Francia il centro propulsore del risveglio culturale nel mondo occidentale.
La poesia provenzale (1) L’esperienza della lirica in lingua d’oc, praticata dai trovatori (in provenzale trobadours, dal verbo trobar, comporre tropi, poesie musicate) presso le corti di Provenza. I trovatori, che potevano provenire da diversi livelli sociali (dai menestrelli ai giullari), gravitavano intorno alla corte.
La poesia provenzale (2) Quali temi attraversavano questa lirica? Ricorrevano gli stessi elementi presenti nei romanzi: l’amore –per rappresentare il quale venivano ricalcate le strutture gerarchiche del mondo feudale- verso una donna/domina; la tensione per raggiungere il fin’amor,ovvero il livello più alto del sentimento. Eppure, non era esclusa la dimensione fisica, così come potevano essere evidenti i riferimenti ad una situazione con limiti e ostacoli concreti: il poeta si riferiva ad una relazione piena di difficoltà, perché vi era coinvolta una donna di rango sociale superiore, spesso sposata.
La poesia provenzale (3) Alle spalle di queste composizioni era un fitto e sapiente lavoro di sperimentazione metrico-formale, in parte influenzato dalle suggestioni offerte dalle poesie arabe o ebraiche, che circolavano nelle corti provenzali. In più, erano destinate alla musica: così, poteva accadere che il trovatore venisse guidato dalla musica nella ricerca del verso da adeguarle. Le conquiste metriche cui approdarono i trovatori furono davvero importanti: innanzitutto, la canzone divisa in blocchi, definiti strofe (coblas), chiusa con un congedo (tornada).
La poesia provenzale (4) Le canzoni seguivano un ordine tematico piuttosto solido: all’inizio v’era la descrizione di un locus amoenus, collegata alla descrizione o alle lodi della donna; poi v’era la dichiarazione del sentimento; oppure il poeta poteva decidere di non svelare l’amore, per difenderlo; così, il nome della donna era sempre nascosto in segni enigmatici (senhals), basati su giochi numerologici e etimologici. Il poetare poteva essere leggero (semplice) o chiuso (di difficile comprensione).
La fine della poesia provenzale Agli inizi del 1200 questa poesia terminò. In Provenza si erano diffusi alcuni movimenti ereticali; le corti, inoltre, avevano raggiunto una tale ricchezza e solidità, che suscitavano preoccupazioni politiche nel resto del paese. Così, con il pretesto di una crociata contro gli Albigesi, per estirpare l’eresia, indetta da papa Innocenzo III, si scatenò una lunga, sanguinosa guerra di conquista, che portò fino alla fine delle corti feudali e alla dispersione dei trovatori.
La situazione in Italia E in Italia cosa accadeva in quel periodo? Quale era la produzione letteraria in volgare?
L’Italia e il volgare I primi documenti in volgare italiano erano indovinelli, placiti (sentenze giudiziarie), rogiti notarili, giuramenti. Tuttavia, presso la corte di Federico II di Svevia (salito al trono nel 1220), con sede a Palermo, si raccolsero intellettuali e poeti che seppero riprendere i motivi della poesia francese provenzale, arricchendoli di altri spunti. Qui, per la prima volta, fecero poesia in volgare siciliano. Tra i più rappresentativi del gruppo erano Jacopo da Lentini, Pier delle Vigne, Giacomino Pugliese e lo stesso Federico II. Nel 1250, alla morte dell’imperatore, la corte si sciolse e l’asse geografico della vita culturale si spostò in area tosco-emiliana.
Federico II Ma procediamo per ordine. Federico II di Hoenstaufen (dinastia tedesca della Svevia), figlio dell’imperatore Arrigo VI e della siciliana Costanza d’Altavilla, principessa normanna, per questa sua “doppia” origine era l’imperatore designato ad assumere su di sé l’impegno di creare un unico regno, che comprendesse, oltre la Sicilia, l’intero Meridione d’Italia, fino allo Stato della Chiesa. Il suo progetto era di creare una struttura statale ampia e solida, governabile attraverso una fitta e capillare rete di funzionari fedeli.
L’impero Questo disegno imperiale avrebbe raccolto intorno a sé i consensi delle forze laiche; ne sarebbe scaturito il primo stato moderno d’Europa, in completa autonomia dall’autorità ecclesiastica. In un simile programma potevano riconoscersi i ghibellini e quanti auspicavano l’avvento di un potere unico, contrapposto alla Chiesa.
L’impero Per questo, F. II comprendeva di dover formare un’adeguata classe di funzionari e di esperti, su cui contare. Così, decise di realizzare un altro centro per gli studi giuridici, oltre all’Università di Bologna. A Napoli, da questa sua idea, nacque un eccezionale polo universitario nel 1224. Era però necessario spingersi oltre e raccogliere presso la corte imperiale dotti e scienziati provenienti dal resto d’Europa. Bisognava infatti creare una autorevole e prestigiosa corrente culturale, che sostenesse la politica imperiale.
Federico e la poesia provenzale Osserva Carlo Vecce che “Federico adolescente era stato testimone indiretto della contemporanea distruzione della civiltà provenzale. Educato ad amare quei testi, ed i valori della civiltà cortese, coltivò il desiderio di salvare i frutti più elevati della poesia laica europea, e spinse le persone che lo circondavano a leggerli, e a imitarli”. Queste persone non erano poeti di professione ma cancellieri, giudici, notai, funzionari, che decisero di comporre in volgare siciliano.
La scuola siciliana (I) Così, questi intellettuali, di origine non solo siciliana ma anche campana e pugliese, piegarono il volgare siciliano alle strutture simbolico-contenutistiche già sperimentate dai provenzali: i senhals, il motivo del pianto, il contrasto, la donna-domina…
La scuola siciliana (2) C’è un’altra importante novità: questo gruppo di intellettuali concepiva la poesia come attività intellettuale, che trovava in se stessa la sua giustificazione, un impegno che aveva come obiettivo l’esito formale, senza rincorrere finalità edificanti, morali, religiose.
La scuola siciliana (3) Questi alti dignitari di corte, che condividevano gli stessi progetti e gli stessi strumenti linguistici (ed in questa prospettiva possono essere definiti come scuola), erano dunque ben lontani dai modelli e dagli stilemi religiosi. Per essi la formula provenzale era quella che più si prestava all’ampio programma, cui partecipavano, la più “importabile”.
La scuola Siciliana (4) Così, rielaborano il tradizionale repertorio dell’amor cortese e lo adattano alla loro dimensione culturale, fatta anche di studi filosofici e scientifici, di un immaginario complesso di uomini del mondo medievale, costruito sugli impianti tassonomici dei bestiari, dei lapidari, dei libri di numerologia, di astronomia…
La scuola siciliana (5) I risultati cui approdano sono importantissimi: stabiliscono nuove forme metriche –forme che sarnno la base della letteratura italiana-e approdano ad una “regolamentazione” del verso. Del resto, non poteva essere diversamente poiché I LORO TESTI NON ERANO MUSICATI COME QUELLI DEI TROVATORI, MA SCRITTI.