MATTEO RICCI il gesuita che ha portato le scoperte della matematica occidentale nel Regno del Drago
Abbiamo avuto l’onore di intervistare Matteo Ricci, dedito missionario gesuita italiano, ma anche insigne matematico e scienziato, considerato il simbolo dello scambio culturale avvenuto alla fine del 1500 tra la l’Occidente e la Cina. Nella sua persona seppe realizzare una straordinaria armonia interiore tra il sacerdote e lo studioso, tra il cattolico e l'orientalista, tra l'italiano e il cinese. La matematica è stata per lui strumento per avvicinare una realtà chiusa e molto diversa e dimostrare l’enorme potere attraente che suscitano da sempre le scienze. Un esempio di insegnamento indirizzato nella giusta direzione, un insegnamento che coglie appieno il suo obiettivo primario: suscitare curiosità e interesse per poi, sulla base di fiducia e stima, trasmettere sapere e cultura.
Sappiamo che è arrivato in Cina nel 1582. Può raccontare il perché? E’ una lunga storia. A 16 anni, mentre ero a Roma a studiare giurisprudenza al Collegio Romano, rimasi affascinato dagli ideali e dalle attività dei Gesuiti, ed entrai nella Compagnia di Gesù. Nel frattempo mi dedicai a studi scientifici ed in particolare ad astronomia, matematica, geografia e cosmologia sotto la guida di diversi maestri, tra i quali Clavius e Valignano.
Nel marzo 1578 decisi di approfondire la mia vocazione per le attività missionarie e salpai da Lisbona per l'India con 14 confratelli. Tre anni dopo fui ordinato sacerdote. Arrivai in Cina, appunto, nel 1582 dedicandomi all'apprendimento della lingua e dei costumi locali e producendo la prima edizione della mia opera cartografica, intitolata Grande mappa dei diecimila Paesi, che univa le conoscenze geografiche dei cinesi a quelle degli occidentali.
MAPPAMONDO DI RICCI
Una prima occasione di confronto tra civiltà. Sicuramente era quello che cercai di fare: desideravo fin da subito riuscire a diventare un cinse in Cina. Come ogni buon missionario insegna, la conoscenza degli usi e costumi locali è lo strumento necessario per uno scambio di parità e rispetto reciproco tra culture, in questo caso diametralmente opposte.
In che modo avete cercato di favorire questa difficile integrazione? Iniziammo a prendere nomi cinesi. Io scelsi il nome Li Ma Tou, dove Li sta per l’iniziale del mio cognome Ri, visto che in cinese la lettera R non esiste, e Ma Tou come suono più vicino al mio nome, Matteo. Poi ci vestimmo come loro, con le tuniche al posto della veste. In origine scegliemmo di farci chiamare “letterati” e non preti per non essere scambiati per sacerdoti buddisti.
Come è riuscito ad entrare in contatto con la corte di Pechino e con l’elite culturale cinese? Nel 1602 fui ricevuto a Corte e ottenni il permesso di trasferirmi nella capitale. In pochi anni riuscii a guadagnarmi la stima dell’Imperatore fino a inaugurare la prima missione italiana. Negli anni ho avuto modo di introdurre nella loro cultura i primi elementi di geometria euclidea, di geografia e di astronomia.
ASTRONOMIA INSEGNATA AI CINESI DA RICCI
Si servì dunque delle scoperte occidentali per guadagnare stima e rispetto in Oriente? Certo, era questo l’unico modo per poter avere prestigio personale all’interno di questa strettissima cerchia culturale per poi cercare di proporre in qualche modo la conversione alla fede cattolica. Il mio motto è stato “Se le mie conoscenze sono superiori, allora anche la dottrina religiosa che io propongo è superiore”. La scienza era per me una vera e propria esca per “pescare” discepoli.
Esiste un legame dunque tra fede e matematica? Sì. La matematica è un modo per arrivare a Dio. Dio è il matematico supremo, Colui che ha disegnato le stesse leggi della Natura. Se si insegna la matematica ai cinesi, gli si insegna anche a ragionare come Lui e gli si offre uno strumento per poter arrivare a comprendere razionalmente la Sua esistenza, come Dio cristiano. Ho sempre fatto presente che la rivelazione cristiana sul mistero di Dio non distrugge affatto, anzi valorizza e completa quanto di bello e di buono, di giusto e di santo, l'antica tradizione cinese ha intuito e trasmesso.
Nello specifico può spiegarci in che modo utilizzava la scienza come “esca”? Iniziai in un settore dove i Cinesi erano poco preparati: le previsioni astronomiche e la formulazione del calendario. Fino a quel momento, ad esempio, si cambiava calendario ogni anno, in base alle spesso errate previsioni astronomiche, e poi lo si diffondeva in tutto il paese. Io li aiutai a fare, con gli strumenti in mio possesso, previsioni molto più precise, in merito, ad esempio, alle eclissi di Sole e di Luna ed ad altri tipi di previsioni astronomiche, creando quindi un calendario più preciso e corretto. Uno dei primi oggetti che feci osservare durante un incontro con i più grandi letterati di Pechino fu un orologio. Ricordo con enorme gioia lo stupore e l’ammirazione che destai in loro.
In che modo riuscì a trasmettere concretamente il Suo sapere per poi ottenere la loro stima e fiducia? Dovetti tradurre numerosi testi nostrani per poi distribuirli tra i cinesi più colti in modo da far diffondere idee che li incuriosivano. Solo in questo modo sono riuscito ad entrare veramente in collaborazione con loro per un muto scambio culturale e umano.
E’ soddisfatto del lavoro che fino ad adesso è riuscito a svolgere? Come non potrei esserlo! Ormai sono riuscito a guadagnarmi la credibilità giusta per poter proseguire nel migliore dei modi la mia opera di evangelizzazione, ma soprattutto sono stato capace di trasmettere sapere e cultura ad un popolo che come storia e tradizioni era lontano anni luce dalla nostra realtà di occidentali. Auspico che la strada che ho aperto tra l'Oriente e l'Occidente, tra la cristianità e la cultura cinese, possa ritrovare vie sempre nuove di dialogo e di reciproco arricchimento umano, spirituale e scientifico.
Emissione di un francobollo commemorativo di Padre Matteo Ricci, nel 450° anniversario della nascita.