Lezione 7-8 Le caratteristiche dell’industria italiana Corso Analisi dei settori produttivi Sandrine Labory.

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Lezione 7-8 Le caratteristiche dell’industria italiana Corso Analisi dei settori produttivi Sandrine Labory

Abbiamo visto gli strumenti e le preoccupazioni principali degli studiosi dell’analisi dei settori produttivi (economia industriale) Ma quali sono le caratteristiche dei settori produttivi italiani? L’industria italiana è competitiva sul mercato mondiale? Ci sono settori trainanti dell’economia italiana?  Sono le problematiche di questa lezione Cominciamo con le caratteristiche dell’industria italiana

1. Formazione ritardata dell’industria italiana L’Italia è un paese “ritardatario”, giunto relativamente tardi all’industrializzazione rispetto ad altri paesi come il Regno Unito e la Francia Riunificazione: -Attività manifatturiera bassa -Reddito complessivo = 1/3 reddito francese = ¼ reddito inglese - Dotazioni infrastrutturali poco sviluppate: 2000 km di strada ferrata  km in RU  9000 in Francia - Divario Nord / Sud esiste già: in testa Piemonte, Liguria, Lombardia; in coda Regno delle 2 Sicilie e Sardegna

Due caratteristiche principali della storia dell’industria italiana: 1.Ruolo determinante dello Stato che diventa anche produttore 2.Polarizzazione della struttura dimensionale con piccole-piccolissime imprese da un lato, e grandi imprese dall’altro (poche dimensioni intermedie)

1866 – 1913: spesa pubblica italiana > spesa F, G, oppure USA Concentrazione investimenti pubblici in costruzione dell’apparato amministrativo unificato, creazione infrastrutture e innovazione legislazione commerciale  Grande espansione industriale: creazione di alcune imprese “moderni” (esempio: settore elettrico: Edison creata nel 1884) + piccole imprese, caratterizzata da una forte connessione tra industria e struttura agricola circostante, soprattutto per legami tra forza lavoro industriale e legami con famiglie contadine di origine

+ sviluppo settore siderurgico (strategico all’epoca): Società degli Altiforni, Acciaierie e Fonderie Terni (1884); Società Elba (1899); Società Ilva (1905); la crescita del settore è rapida e poco organizzata, a tal punto che lo Stato interviene per salvaguardarla + sviluppo settore dei mezzi di trasporto: ad es. settore automobilistico (6 imprese nel 1907, tra cui Alfa, Lancia, Bianchi, ecc. e FIAT fondata nel 1899) + chimica: Montecatini = impresa chiave nel settore => Polarizzazione della dimensione già evidente: poche grandi imprese e tantissime piccole imprese

2. Evoluzione prima e dopo la 2nda GM 1. Periodo fascista - Dopo 1a GM crescita delle imprese che si diversificano (ad es. FIAT nei motori aerei e marini) : crescita rapida ed intensa complessivamente tra le due guerre, la produzione manifatturiera  di quasi 2/3, con industrie chimica, elettrica e meccanica che trascinano la crescita Affermazione grandi imprese: Montecatini, Edison, FIAT il settore tradizionale si sviluppa anche: le imprese artigiane si trasformano in PMI

Il periodo fascista è caratterizzato da un continuo aumento dell’industrializzazione: % industria nella produzione nazionale (settore secondario) > % produzione agricola (settore primario) negli anni 30 Crisi 1929: colpisce anche l’Italia a causa dei fragili assetti del rapporto tra banca e industria => Lo Stato interviene con la creazione dell’IRI che diviene proprietario di tutto il capitale italiano: tutte le azioni delle imprese detenute dalle banche sono trasferite all’IRI

 l’Italia conserverà questo sistema finanziario particolare a lungo: banche controllate dallo Stato, mercato azionario (borsa) limitato  Alcune imprese private tuttavia rimangono fuori dal controllo dell’IRI: Edison, Montecatini, Italcementi, Falck (siderurgia), Italgas Le imprese private sono spesso sotto il controllo di una famiglia (Falck, Agnelli, Pirelli, ecc.)  Per alcuni studiosi (ad es. M. Bianco) il capitalismo familiare porta a inefficienze

2. Dopo la seconda GM -Apparato produttivo non molto intaccato dai danni della guerra; la struttura produttiva appare molto diversificata -La polarizzazione italiana continua: poche grandi imprese, tantissime piccole e piccolissime -Ruolo IRI confermato, per la ricostruzione dell’economia. -Componente importante della ricostruzione: Piano Marshall, vale a dire aiuto americano finanziario per la ricostruzione europea. I paesi dovevano presentare dei piani d’investimento che venivano finanziati: piano dell’IRI allora diretto da Pasquale Saraceno mira soprattutto ad aumentare l’efficienza  l’Italia riceve tra il 1948 e il ,47 milioni di $, 11% del Piano Marshall

3. Miracolo economico -Dagli anni 50 inizia il decollo italiano:  reddito nazionale del 6% annuo % industria nel PIL: 41,2  44,7% Sviluppo soprattutto dei comparti ad alta intensità di capitale Forte esodo rurale e affermazione del triangolo industriale crescita trainata dalla domanda interna fino al 1958, poi da domanda estera: con inizio CEE,  scambi commerciali tra i 6 paesi fondatori in particolare

Fattori della crescita: - Domanda esterna ed interna: il reddito medio europeo  e i consumatori si attrezzano: sviluppo mercato di massa -Forza lavoro sotto occupata (baby boom) -Prezzi materie prime abbastanza stabili -Ruolo dello Stato imprenditore: finanziarie create dall’IRI (Finmeccanica, 1948; Finelettrica, 1952; Fincantieri, 1959); Fondo per il finanziamento dell’industria meccanica: FIM, 1947; nascita dell’ENI nel 1953 (fondatore: Enrico Mattei) -Affermazione medie imprese: Candy, Merloni, Zanussi, Barilla, Buitoni, ecc.

Problemi: -Nessuna politica per la concorrenza => monopoli favoriti -Nessuna politica per l’energia (per rendere l’Italia meno dipendente da altri paesi, e autosufficiente almeno per l’elettricità); Mattei la voleva ma il suo progetto finisce con la sua morte nel Alcune scelte imprenditoriali sbagliate: ad esempio, ENEL creata per raggruppare tutte le imprese esistenti, ma sviluppa una strategia di diversificazione piuttosto che concentrazione su competenze distinte

4. Anni ’70 in poi -Fine miracolo -Inizio declino impresa pubblica (l’impresa pubblica è usata a scopo sociale e industriale senza progetto di sviluppo industriale e politica industriale complessiva): è usata per salvare le imprese in difficoltà piuttosto che per sostenere lo sviluppo industriale a lungo termine del paese -Conflittualità sindacale -Crisi energetiche -Aumento concorrenza internazionale

Anni ’80: crisi grande impresa ma successo distretti industriali e altri cluster di PMI La specializzazione dell’industria italiana rimane focalizzata su settori tradizionali Impresa pubblica: programma di privatizzazione avviato negli anni ’90, con chiusura dell’IRI Problema (Gallo-Silva, 2005): obiettivo privatizzazione è più risanamento conti pubblici che aumento efficienza imprese; lo Stato mantiene spesso quota maggioritaria di azioni; manca ancora piano industriale nazionale (politica industriale)

Caratteristiche dell’industria italiana negli anni = peculiarità rispetto ad altri paesi europei 1.Dualismo dimensionale della struttura produttiva 2.Forte specializzazione nei settori tradizionali 3.Modello di controllo dov’è ancora forte la proprietà pubblica e, nel privato, la prevalenza di famiglie e coalizioni, spesso organizzate in gruppi piramidali  Vediamo panorama dell’industria italiana oggi

3. Settori produttivi italiani oggi Alcune considerazioni: -Settori produttivi = settore primario (agricoltura) settore secondario (industria) settore terziario (servizi)  Consideriamo principalmente secondario, anche terziario (oggi i servizi sono sempre più legati ai prodotti dell’industria) - Definizione statistica dell’industria = attività estrattive (2%) + attività manifatturiere (90%) + produzione e distribuzione di gas, energia e acqua (9,5%)

Evoluzione negli ultimi 20 anni in tutti paesi: terziarizzazione dell’economia: Quota settore manifatturiero nel valore aggiunto dell’economia  in tutti i paesi: Italia: 1980: 29,3% 1990: 23,5% 2000: 20,8% Però quota occupati nel settore manifatturiero in Italia > quota in altri paesi (RU, G, F)  Ritardo nella terziarizzazione?

Fonte: Global Insight Crescita del PIL Crescita del PIL (Indice 1998=100)

Quote di mercato a prezzi costanti, 1994=100 Fonte: elaborazioni ICE su dati FMI-DOTS e OMC SPAGNA GERMANIA FRANCIA ITALIA

Dagli anni ’90: -Rallentamento crescita PIL -Quote di mercato nel mondo (% delle esportazioni mondiali)  -Pochi flussi d’investimenti diretti all’estero sia in entrata (imprese straniere in Italia) che in uscita (imprese italiane all’estero) -Crescita produttività totale dei fattori intorno a zero  Sono temporanee debolezze o problemi strutturali? Generalmente 2 fattori strutturali sono messi in evidenza: 1.Dimensione ridotta delle imprese italiane 2.Specializzazione in settori tradizionali

1. Dimensione delle imprese La dimensione conta per la crescita dei settori produttivi? Teoria neoclassica: sì, perché la grande dimensione permette di realizzare delle economie di scala e permette una maggiore innovazione Economia della conoscenza: sistemi di produzione flessibili in grado di cambiare prodotti velocemente e a costo basso sono più adeguati  Le PMI, soprattutto se in collaborazione fra di loro, sono competitive in questo contesto  Però resta vero che i paesi con industria dinamica hanno grandi imprese dinamiche (F, G, anche la Finlandia, con Nokia) che trainano resto dei settori

-Presenza piccole e piccolissime imprese in Italia è come in altri paesi UE: % imprese con meno di 10 addetti nel totale delle imprese 94% RU 93% F 88% Germania Ovest 95% Italia -Però l’Italia si distingue per 2 aspetti: 1. Polarizzazione tra piccole e grandi imprese: poche grandi imprese che in altri sistemi rappresentano il nucleo portante della struttura produttiva ; poche imprese medie

2. La dimensione media delle imprese è inferiore alla dimensione media negli altri paesi: fatta 100 la media europea, media italiana = 42 Dimensione media delle imprese: Italia: 3,7Francia: 7,0 Olanda: 10,3Germania: 8,6 Portogallo: 4,7RU: 6,3 + difficoltà a crescere: le imprese piccole sono poche a raggiungere classi più alte nel tempo + dagli anni ’70,  divario tra dimensione in Italia e dimensione negli altri paesi

Significa che la dimensione non conta in Italia? Ci sono 2 argomenti che sostengono che la piccola dimensione in Italia non è uno svantaggio: (i)Gruppi Definizione: un gruppo = insieme di società giuridicamente distinte, che fanno capo – per il tramite di legami proprietari o contrattuali ad un unico soggetto economico, il vertice Ciascuna impresa è subordinata alla politica del gruppo ma ha autonomia giuridica. Diversi tipologie di gruppi:

-Gruppo orizzontale: diverse imprese dipendono ciascuna direttamente da un vertice -Gruppo piramidale: i legami con imprese del gruppo sono diretti per alcune, indirette per le altre = gruppo gerarchico  Italia: prevalenza di gruppi piramidali: nel % delle imprese > 500 add appartengono ad un g. 69%250 – 500 add 50%100 – 250 add 39%50 – 99 add 22%20 – 49 2%< 20 addetti

Vantaggi gruppi: -Le imprese possono controllare delle attività anche se non sono proprietarie -Autonomia maggiore delle imprese rispetto alla situazione in cui sarebbero una divisione dell’impresa – vertice => incentivi maggiori (responsabilità dei risultati) -Economie di scopo fra imprese del gruppo -Gestione portafoglio di marchi (sinergie; economie di scala in alcune funzioni; minor rischio, ecc.)

(ii) Distretti = sistema di produzione composto da PMI che collaborano fra di loro Italia: circa 200 distretti industriali Specializzazione: industria tradizionale (tessile – abbigliamento, meccanica, legno-mobili- arredo, ecc.)  futuro? È un modello che reggerà la concorrenza?

2. La specializzazione produttiva italiana Perché è importante la specializzazione? Teoria economica: 3 gruppi di risposte (i)Vantaggi comparati Nei vari paesi ci sono dei settori più produttivi e meno produttivi, con tecniche di produzione diverse  Ciascun paese ha interesse a specializzarsi nei settori dove produce con costi relativamente più bassi (o dove ha risorse abbondanti)  Non importa in quali settori il paese si specializza, importa solo specializzarsi  Conseguenza della teoria nella realtà: dovremmo osservare un commercio internazionale di beni diversi  Non è verificato: i paesi scambiano prodotti degli stessi settori (commercio intra-industria e non inter-industria)

(ii) Differenziazione del prodotto: Ipotesi: beni differenziati e economie di scala  Le imprese di specializzano in diverse varietà del prodotto  Allora importa anche in che cosa il paese si specializza: meglio in settori con margine di profitto più alto  Dovremmo sempre osservare una polarizzazione del commercio internazionale che non si verifica (esiste anche commercio di stesse varietà dei prodotti)  Nessuna di queste 2 spiegazioni permettono di capire perché delle economie relativamente simili (PIL, popolazione) hanno delle strutture di produzione così diverse

(iii) Nuova geografia economica:  Spiega l’agglomerazione geografica delle attività in base alle esternalità (economie di scala o dipendenza fra settori) e agli effetti di congestione  Se i fattori di produzione sono mobili, allora le imprese concentrano tutta la produzione dove le condizioni di produzione sono migliori (costi e qualità delle risorse presenti) Tuttavia, -I fattori non sono perfettamente mobili -Ci sono delle regolamentazioni, delle politiche commerciali che implicano che non si concentra tutta la produzione in un luogo ma le imprese hanno diversi luoghi di produzione

 La tipologia delle produzioni di un paese dipende da diversi fattori: 1.Risorse a disposizione: materie prime, capitale umano, ecc. 2.Ambiente competitivo 3.Politiche del governo (politiche industriali e tecnologiche, regolamentazione, ecc.) 4.Storia del paese (base di conoscenze e di saper fare accumulata nel tempo) 5.Imprenditorialità: presenza di imprenditori, qualità degli imprenditori 6.Elemento aleatorio

Paragone più mirata: Paesi europei (Francia, Germania, Italia, UK) USA, Giappone E Corea (paese emergente)

I settori industriali: Possono essere classificati in: -Low tech: settori a bassa intensità di tecnologia (usano poca scienza, poche macchine, relativamente più manodopera che macchine): prodotti alimentari, le bevande e il tabacco; il tessile e abbigliamento, cuoio e scarpe; articoli in legno; pasta e carta; -le industrie a contenuto di tecnologia medio-basso (medium- low tech) sono quelle dei prodotti petroliferi e combustibili nucleari, articoli in gomma e plastica, prodotti metallici di base e opere in metallo, costruzione e riparazione navale; -le industrie a contenuto di tecnologia medio-alto (medium- high tech) sono quelle dei macchinari, veicoli a motore, prodotti chimici eccetto i prodotti farmaceutici; -infine, le industrie ad alto contenuto in tecnologia (high technology) usano tanta scienza e tecnologia, e sono quelle dei prodotti farmaceutici, del materiali informatico, apparecchi di radio, di televisione e di comunicazioni; strumenti medicali, di precisione, di ottica e di orologeria; la costruzione aeronautica e navale.

 I paesi europei mantengono una posizione relativamente forte nei settori a bassa intensità di tecnologia  Il Regno Unito e la Francia hanno dei vantaggi comparati nei settori high tech  La Germania è forte nei settori medium-tech  L’Italia è specializzata nei settori low tech  La Corea sta aumentando la specializzazione nei settori high tech  Gli Stati Uniti hanno una forte specializzazione nel high tech

Quota dell’industria nel valore aggiunto totale di questa industria nei paesi OCSE, 2002 (%)

Come cambia il Commercio Mondiale: l’ascesa dell’Asia e il declino dei paesi sviluppati Fonte: IMF, Direction of Trade

Spese di R&S lorde in % del PIL

Numero di ricercatori per migliaia di occupati

Specializzazione nei settori high tech, 1980 – 2003

 La specializzazione dell’industria italiana è davvero sbagliata? Bisogna vedere se: 1.La concorrenza mondiale è più forte dei settori tradizionali; 2.I settori tradizionali hanno strategie possibili per reggere la concorrenza Risposta: 1.Sì, perché tutti i paesi emergenti producono in questi settori, con vantaggio di costo 2.Sì, se le imprese italiane vanno sui segmenti più alti del mercato (  qualità)

 Il problema è che non si sa fino a quando le imprese dei paesi emergenti non saranno in grado anche loro di muoversi verso i segmenti alti  Visto il forte investimento di questi paesi in capitale umano e capacità d’innovazione, potrebbe essere presto  L’Italia dovrebbe sviluppare i settori high tech, che creano alto valore aggiunto e hanno tante ricadute sugli altri settori (uso delle nuove tecnologie anche nei settori tradizionali, per aumentare la qualità; ad es. laser per taglio pelle)

4. Competitività industriale italiana Da discussione in paragrafo precedente, i problemi sono chiari: Negli ultimi anni le imprese italiane hanno perso quote del mercato mondiale, hanno fatto fatica a reggere la concorrenza internazionale Questo riflette un problema strutturale, con due aspetti principali: 1.Nanismo delle imprese (troppe imprese piccole che stentano a crescere) 2.Specializzazione nei settori tradizionali / poca presenza italiana nei settori high tech  Duplice anomalia

duplice anomalia: specializzazione in settori maturi Italia specializzata in: Beni di consumo per la persona e per la casa; il cd. Made in Italy (moda, oreficeria, mobilio, minerali non metalliferi, complementi d’arredo, ecc.) Meccanica strumentale (spesso collegata al Made in Italy) Poco sviluppati i settori: ad alta tecnologia (tipo ICT, farmaceutica, telecomuncazioni) a forti economie di scala (chimica di base, siderurgia, autoveicoli, elettronica) (settori con assetti oligopolistici, scarso numero di imprese e dimensioni consistenti)

duplice anomalia: specializzazione in settori maturi Timore -che i settori maturi del Made in Italy risultino contendibili da paesi a basso costo del lavoro con progressiva erosione delle quote di mercato Italiane -che i settori del Made in Italy siano oramai fra quelli a bassa capacità di crescita Sono più di 30 anni che vengono espresse queste preoccupazioni (specie la prima), ma, pur con riduzione, l’Italia mantiene le sue quote di mercato. La tenuta del passato non è però garanzia per il futuro: i mutamenti in corso appaiono più veloci e più ampi che nel passato ed i concorrenti più temibili

In passato Made in Italy come ha mantenuto competitività? 1.Aumento qualità materiale dei prodotti 2.Aumento contenuto immateriale (innovaz. formale, sui materiali, stile e design) 3.Maggiore varietà e riduzione tempo di vita del prodotto (proliferazione collezioni) 4.Innovazioni organizzative (emersione leader, gerarchizzazione, squadre) per ottenere maggiore penetrazione di mercato e realizzare strategie proattive 5.Ricollocazione su orizzonti internazionali di parte delle filiere produttive mantenendo fasi pre e post-manifatturiere Hanno penalizzato le esportazioni italiane specie negli ultimi anni: Il mix settoriale, ma anche la composizione geografica dei mercati di sbocco e soprattutto le vicende relative al cambio euro-dollaro

duplice anomalia: il nanismo imprenditoriale I difetti della piccola dimensione Valore aggiunto per addetto Retribuzione lorda per dipendente Investimenti per addetto Fonte: ISTAT, Rapporto Annuale (2002) meno R&S quindi minore innovatività; meno capitale umano (lavoro qualificato); (retribuzioni più basse) minore capacità di stare sul mercato specie internazionale, ma soprattutto, minore produttività e redditività (minor VA per addetto)

duplice anomalia: il nanismo imprenditoriale Minore produttività delle PMI alcune precisazioni: Valore aggiunto per addetto cresce all’aumentare della dimensione: evidenza molto forte a livello aggregato meno netta se si distingue per settori; differenziali restano accentuati nei settori capital intensive, nel made in Italy sono molto meno marcati Settori tradizionali in genere sottocapitalizzati: la produttività del lavoro è meno bassa di quanto sembri dal momento che una quota minore del VA è destinata a remunerare il capitale (produttività totale dei fattori meno sbilanciata) La deverticalizzazione delle imprese cresce con la dimensione; la posizione dominante di molti committenti all’interno delle reti di fornitura consente loro di acquisire lavorazioni il cui VA è minore del prezzo pagato. Parte del maggior VA per addetto di queste imprese è generato all’interno dell’indotto. Nelle PI è maggiore l’incidenza di produzione “al nero”; il VA per addetto rilevato dalla contabilità è inferiore a quello reale.

Occorre verificare le diverse performance di PMI isolate o inserite in sistemi La distinzione però è complicata: sono poche le informazioni sugli orizzonti territoriali (o organizzativi per reti e gruppi) all’interno dei quali si risolve parte significativa delle relazioni inter-aziendali Gruppi: Istat 2000: circa il 42% degli addetti totali italiani appartengono a gruppi Distretti: 784 aree funzionali individuate in base a SLL (Sforzi-Istat); 199 classificate (Istat) come distretti al 1991; rappresentano al 2001 il 27.2% degli occupati interni totali, il 39.6% di quelli industriali e il 22.1% di quelli dei servizi Distretti e Gruppi si sovrappongono BdI 2000: nei distretti circa il 15% delle imprese appartiene a gruppi formali (quota superiore alle aree non distrettuali) Brioschi-Cainelli 2001: Oltre il 50% delle imprese distrettuali emiliane appartengono a gruppi formali ed informali Una diversa lettura della duplice anomalia: il passaggio da impresa a sistema

L’impresa distrettuale presenta davvero un vantaggio rispetto alla PMI isolata? Signorini, 2000, (a cura di), Lo sviluppo locale: un'indagine della Banca d'Italia sui DI. Una verifica dell’effetto distretto Alcuni risultati: La presenza di economie esterne per le imprese localizzate in distretti dovrebbe riflettersi sui loro indicatori di redditività e produttività la redditività delle imprese distrettuali (ID) risulta maggiore di quelle isolate, sia per settore che per dimensione; tanto ROI che ROE appaiono puntualmente più elevati (risultati non significativi nei soli settori non distrettuali (es. chimica, elettromeccanica, mezzi di trasporto ) Il fenomeno non ha natura congiunturale e vale in tutto il periodo L’effetto distretto riguarda anche le imprese operanti fuori dal settore di specializzazione investendo tutte le imprese manifatturiere; le esternalità incentivano l'efficienza di tutte le imprese locali.

Come sono andati i DI nell’ultimo decennio? 14,27,9-6.4 I RISULTATI SONO MOLTO DIVERSI A SECONDA DEL SETTORE DI SPECIALIZZAZIONE; LA VARIABILITA’ APPARE IMPUTABILE ESSENZIALMENTE ALLA COMPONENTE MANIFATTURIERA DISTRETTI ITALIA il calo manifatturiero sperimentato dai distretti è inferiore alla media nazionale; uniche eccezioni distretti dell’abbigliamento, del mobile e in minor misura delle calzature la crescita terziaria dei distretti è sempre nettamente superiore a quella media nazionale la crescita occupazionale totale dei distretti è generalmente superiore a quella media nazionale; uniche eccezioni abbigliamento, mobile e calzature

Come stanno cambiando i distretti? I settori che sperimentano le contrazioni più rilevanti, abbigliamento (– 42% Ita), calzature (-17 Ita) sono quelli dove maggiore è stato il ricorso a decentramento produttivo. Esempio: le quote di mercato degli esportatori italiani sulle importazioni di prodotti intermedi della moda nei paesi aderenti UE passano dal 12 al 18%, nei paesi dell’altra Europa dal 22 al 30% Quanta parte del calo occupazionale locale è attribuibile a ricomposizione internazionale delle filiere produttive? Decentramento produttivo sintomatico di un calo di competitività, oppure rappresenta una possibile strategia di sviluppo ? SI, a patto che: -le funzioni produttive a maggior valore aggiunto restino locali; -a fronte del calo nel settore di specializzazione si crei nuova occupazione in altri settori, a monte o a valle oppure in settori del tutto nuovi; -la perdita di fasi della filiera non metta in crisi il processo di riproduzione del sistema. Su chi ricade la riduzione occupazionale? Quali i costi sociali? Quale impatto sul benessere e sulla distribuzione del reddito?

Come stanno cambiando i distretti? In particolare le micro imprese terziste, caratterizzate da rapporti di committenza di mera esecuzione, a basse capacità tecniche e modesto livello tecnologico. Crescente difficoltà per le piccole imprese conto proprio a stare sul mercato autonomam. La componente più penalizzata sono le micro e piccole imprese FATTURATO Imprese artigiane - Indice 1997 = 100 Fonte Unioncamere Toscana-Istituto G.Tagliacarne

Come stanno cambiando i distretti? Addetti manifatturieri per classe dimensionale d’impresa - var %. La convergenza verso la media dimensione Un processo di lungo periodo che accelera nel corso dell’ultimo decennio Perdono tanto le micro quanto le grandi imprese, tengono le medio piccole e le medie dimensioni

Ricapitolando: i mutamenti principali osservati nei distretti Riduzione di peso della filiera di specializzazione Ancora forte vitalità: forte crescita terziaria e tendenza alla diversificazione settoriale (continua la risalita delle tecniche) Difficoltà crescenti per le piccole imprese, specie quelle non in contatto con il mercato e con basse competenze tecnologiche Tendenza crescente alla ricomposizione internazionale delle filiere (delocalizzazione e decentramento produttivo) Emersione di imprese più strutturate (convergenza verso medie dimensioni) La crescente importanza del contenuto immateriale dei prodotti, del presidio diretto dei mercati, e la possibilità di realizzare strategie di organizzazione a livello internazionale incoraggiano lo sviluppo di organizzazioni a rete, spesso con orizzonti trans-locali. Anche all’interno dei distretti si osserva l’emersione di formule organizzative meno spontaneistiche basate su: squadre di imprese (Dei Ottati 95); gruppi di imprese (Balloni-Iacobucci); reti di imprese, costellazioni di imprese (Lorenzoni 1990). Come si modifica un sistema di imprese a seguito dell’emersione di uno o più attori guida; quali sono gli effetti della localizzazione di una impresa leader tanto a livello di singole PMI che di sistema? Distretti e imprese leader nel sistema moda della Toscana, F. Angeli 2004

Sulla competitività italiana… -I distretti fanno fronte a nuove sfide legate all’internazionalizzazione ma reagiscono - le due strategie dominanti per facilitare l’internazionalizzazione sembrano essere affermazione di un impresa leader nel distretto da un lato, legame con un leader esterno al distretto dall’altro - hanno difficoltà ma non sono in crisi: reggono meglio che le imprese isolate -Il problema in Italia allora si riduce ad un problema di specializzazione: Per migliorare la competitività italiana bisognerebbe sviluppare maggiormente i nuovi settori

Sulla competitività italiana… Che politica? -Potenziamento R&S (relazioni imprese – università; cluster high tech; sussidi alla R&S; …) (abbiamo visto mancanza innovazione in It) -Capitale umano qualificato (formazione universitaria; evitare fuga dei cervelli italiani all’estero) (problema cap um: prossimo lucido)

Sulla competitività italiana… Problema capitale umano: Esempio % individui di più di 25 anni che hanno completato un corso di scuola post-secondaria nel 2000: Italia: 8,3% UE-11: 10,1% USA: 30,3% Test dell’OCSE di valutazione internazionale degli studenti di vari paesi: (2003) Capacità matematica: Italia: 466 Francia: 511 Germania: 503 Capacità scientifiche: Italia: 476 Francia: 496 Germania: 491 Lettura: Italia: 486 Francia: 511 Germania: 502