LA NASCITA DEGLI STATI UNITI La Rivoluzione Americana A cura di Aldo Brambilla, Marco Ferrari e Valentina Bartoli. A.S. 2015/2016 IV B
Premessa La rivoluzione americana: il primo esempio di lotta di liberazione condotta in modo vittorioso all’infuori del contesto europeo contro la dominazione di una popolazione del vecchio continente, che aprì una stagione di grandi rivolgimenti politici. Il pensiero illuminista ha influenzato gli ideali che hanno mosso la guerra d’indipendenza, che avranno il loro apice con la rivoluzione francese.
La situazione prima della rivoluzione La Gran Bretagna nel Nuovo Mondo controllava una vasta fascia di costa atlantica che va dalla regione dei Grandi Laghi alla Florida e a ovest alla catena montuosa degli Appalachi. I coloni erano poco più di 1,5 milioni, compresi 300.000 schiavi neri, e per affermare la propria autonomia avevano dovuto fronteggiare le tribù indiane, poco numerose ma combattive. La colonizzazione inglese fu svolta molto lentamente in quanto non era previsto un piano di conquista preordinato e fu diretta da una serie di compagnie commerciali differenti, singoli grandi proprietari speculatori e una consistente emigrazione dalla Gran Bretagna. Tutti questi fenomeni vennero favoriti dalla corona per contrastare la presenza straniera sul territorio (Francia e Spagna).
Prime colonie La fondazione della Virginia, prima colonia britannica su suolo americano, è stata promossa dalla Virginia Company nel 1607, poi passò all’amministrazione regia e accolse i realisti che sfuggivano al controllo di Cromwell. I puritani perseguitati dalla corona e dalla Chiesa anglicana si insediarono più a nord, nell’attuale Massachusetts: il primo insediamento fu quello di New Plymouth, fondato dai padri pellegrini sbarcati con la Mayflower.
Altre colonie della Nuova Inghilterra Oltre al Massachusetts e alla Virginia già analizzate, si aggiungono: Il Connecticut che fu la prima colonia americana ad avere una costituzione scritta (gli Ordinamenti fondamentali), di stampo democratico. Il New Hampshire, che separandosi dal Massachusetts divenne una provincia indipendente sotto controllo regio. Queste quattro colonie hanno mantenuto anche in seguito l’impronta della loro origine puritana.
Le colonie del Sud Si formarono diversamente le colonie situate a sud della Virginia, tra cui ci sono il Maryland, la Carolina del Nord e la Carolina del Sud. Il Maryland fu concesso da Carlo I in proprietà all’aristocratico Lord Baltimore, mentre le due “Caroline” nacquero sempre da un’analoga concessione di Carlo II a otto proprietari terrieri.
Il New York I territori attorno al fiume Hudson erano occupati da coloni olandesi, ma nel 1664 furono conquistati dalle truppe del duca, rinominando la città con “New York”. Fu concessa sempre da Carlo II a suo fratello, futuro Giacomo II, duca di York. Alcuni territori a sud del fiume Hudson formarono invece il New Jersey.
Le condizioni socio-economiche Le 13 colonie formatesi non costituivano assolutamente un complesso unitario tra di loro; erano sempre in lotta o per questioni di confine o per rivalità economiche. Le colonie erano abitate da popolazioni non omogenee né per religione né per etnia, anche perché si formarono in tempi e circostanze diverse. Nel Nord America quindi si distinguevano aree differenti fra loro per economia e organizzazione sociale: il Nord, il Sud e il Centro da questo punto di vista erano tre zone distinte.
Il Nord Nelle quattro colonie della Nuova Inghilterra, il clima simile a quello europeo aveva favorito un’agricoltura fondata sulla coltivazione di cereali organizzata in piccole o medie aziende familiari costruite presso villaggi rurali. Anche se poco dinamica questa agricoltura si integrava bene con l’economia dei centri urbani (esempio di Boston), dove fiorivano commerci, pesca e cantieri.
Il Centro New York, New Jersey, Pennsylvania e Delaware erano le quattro colonie del Centro, che fungevano da cerniera fra Nord e Sud. Economicamente erano molto simili alla Nuova Inghilterra: però con un clima più temperato il commercio aveva maggior sviluppo e le colture erano più differenziate. Erano più diffusi fenomeni di squilibrio sociale (soprattutto a New York), dove i possedimenti terrieri erano per la maggior parte di grandi latifondisti.
Il Sud L’economia di Virginia, Maryland, Georgia, Carolina del Nord e del Sud l’economia era incentrata sulle piantagioni di tabacco e di riso, prodotti destinati poi all’esportazione. Il Sud si fondava principalmente sulla grande proprietà e contava sul lavoro degli schiavi (circa 500.000 schiavi neri nel 1775).
La madrepatria L’economia delle colonie era dipendente da quella della madrepatria, che aveva il monopolio sui commerci da e per le province d’oltre mare. Inoltre quasi tutte le produzioni coloniali erano destinate ai mercati britannici. Se economicamente le colonie erano dipendenti, sul piano politico disponevano di ampia autonomia locale. A partire dal ‘700 tutte le colonie furono poste sotto il controllo di un governatore regio, affiancato da Consigli nominati dalle autorità inglesi.
L’autogoverno coloniale Ai Consigli si aggiungevano assemblee legislative elette dai cittadini: se nel Sud avevano diritto di voto solo i proprietari terrieri, nel Nord più del 70% dei maschi adulti aveva accesso alle urne. Nel corso del tempo le assemblee assunsero sempre più potere, diventando una sorta di governo rappresentativo di ciascuna colonia.
I valori L’intera società coloniale condivideva gli stessi valori, quali pluralismo, tolleranza e difesa delle autonomie locali, anche se tali diritti erano estesi solo a uomini bianchi e cristiani. Erano valori basati non solo su convinzioni razionali ma anche e soprattutto su un fondamento religioso: i coloni inglesi si consideravano infatti un popolo eletto e protetto da Dio tramite un patto originario.
Rapporti coloniali La stabilità politica, fino agli anni ‘60 del 1700, tra l’Inghilterra e le sue colonie fu permessa da: - Coloni molto interessati e coinvolti dalle vicende politiche della madrepatria. - Stretti rapporti con la comunità d’origine. - Contrasti col governo resi meno drammatici dalle larghe autonomie di cui i coloni godevano e dalla facilità con cui potevano eludere i controlli sul commercio. - Appoggio militare della madrepatria indispensabile per proteggere e mantenere la sicurezza delle colonie contro Francia, Spagna e indiani.
L’inizio dei contrasti con la madrepatria Fino agli anni ‘60 del XVIII secolo l’indipendenza era un problema sostanzialmente estraneo agli orizzonti politici coloniali. I coloni inglesi pur essendo protagonisti di eventi nuovi e opposti alla realtà da cui provenivano rimasero costantemente attaccati alle idee e ai vecchi schieramenti politici. Inoltre le colonie godevano di grandi libertà sia fiscali sia commerciali. Il culmine delle interazioni tra colonie e madrepatria fu raggiunto nella guerra dei Sette anni.
La guerra dei Sette anni Il conflitto che vide come maggiore potenza vincitrice l’Inghilterra segnò l’apice dell’unione tra colonie e madrepatria. In realtà fu proprio la guerra a porre le premesse di un conflitto che si sarebbe presto rivelato insanabile.
Le radici del contrasto Dopo la pace di Parigi (1763), l’Inghilterra si ritrovò padrona di un vasto impero coloniale, esteso dal Canada alla Florida. Un territorio così vasto necessitò di un controllo molto più rigido. Tutto questo portò a una maggiore presenza militare inglese, molto sgradita sia ai coloni sia ai commercianti stranieri. Inoltre Giorgio III nel 1763 emanò un “proclama” limitando ulteriormente le libertà dei coloni, vietando loro di spingersi al di là della catena degli Appalachi. Da quello stesso anno i rapporti tra l’amministrazione militare britannica e le tribù indiane si fecero sempre più tesi, sfociando in numerose rivolte sanguinarie.
Nuove tasse e imposizioni Sugar act: nuova tassa sul commercio degli zuccheri, che imponeva un forte dazio sulle importazioni di questo prodotto, indispensabile per la produzione del rhum, il relativo distillato. Stamp act: tassa di bollo sugli atti ufficiali e le pubblicazioni. Queste misure portarono a un brusco deterioramento nei rapporti fra la Corona e i suoi possedimenti oltre l’Atlantico, caratterizzato da continui tentativi di compromesso impediti da una pesante intransigenza da entrambe le parti. Nel 1766 alcune critiche mosse dalla stessa opposizione liberale inglese portarono alla revoca dello Stamp act. Townshend Acts: impose dazi d’entrata su numerose merci della madrepatria, rendendo più efficaci i controlli doganali.
L’inizio delle rivolte Le prime conseguenze alla tassazione furono l’intensificarsi delle rivolte, la fondazione di associazioni segrete (Sons of Liberty) e il boicottaggio delle merci. Questi fenomeni vennero poi appoggiati e sostenuti anche dagli organi amministrativi locali. Numerosi intellettuali, scrittori e giornalisti come Benjamin Franklin e Thomas Jefferson, presero parte alla rivolta con la stesura di alcuni opuscoli pro-rivoluzionari. Spinsero i coloni a battersi per la rappresentazione nel parlamento inglese. Con il motto “No taxation without representation” si vietava al parlamento di imporre nuove tasse senza consultarsi prima con un’assemblea coloniale. Nemmeno il ritiro dei Townshed Acts placò i ribelli. Non era più sufficiente la revoca delle nuove imposizioni. Venne richiesto di ritenere le assemblee legislative locali al pari del parlamento.
La madrepatria impose il monopolio sul commercio del the e lo affidò alla Compagnia delle Indie Orientali. La goccia che fece traboccare il vaso fu il Boston tea party, una rivolta promossa da “Figli delle libertà”. I ribelli gettarono un carico di the inglese in mare. Il governo inglese rispose con le leggi intollerabili che prevedevano: La chiusura del porto di Boston . Il Massachusetts fu privato delle autonomie amministrative. I giudici americani furono sostituiti da funzionari inglesi. Si tentò di limitare la penetrazione dei pionieri americani nella valle dell’Ohio annettendo quel territorio al Quebec.
Congresso continentale Da questo momento in poi la ribellione divenne aperta e generalizzata e nel 1774 si svolse il Primo Congresso Continentale a Filadelfia e vi parteciparono tutte le colonie. Si accordarono per portare avanti tutte le azioni di boicottaggio. Il governo inglese propose alcune iniziative conciliative, ma contemporaneamente intensificò la repressione militare. Nel 1775 avvennero i primi scontri armati, nei pressi di Boston, tra ribelli e governo. In un secondo Congresso Continentale venne fondato un esercito indipendentista guidato da George Washington. Da questo momento non ci furono più sporadiche ribellioni ma una vera e propria guerra.
Esercito e schieramenti Sin dall’inizio dello scontro la superiorità britannica era evidente. Lo schieramento americano composto principalmente da volontari era nettamente inferiore a quello organizzato e addestrato inglese. Il concretizzarsi del conflitto fece dividere lo schieramento rivoluzionario. A causa dei traumi e degli ingenti costi economici molti esponenti delle classi più agiate assunsero un atteggiamento lealista schierandosi sul fronte inglese. Gli intellettuali e i ceti inferiori assunsero una posizione indipendentista, caratterizzata da un pensiero democratico. Alcuni americani credevano ancora in una soluzione di compromesso, questa corrente venne detta moderata. L’atteggiamento intollerante del re Giorgio III, che dichiarò ribelli tutti gli americani fece fallire ogni possibile soluzione diplomatica.
La dichiarazione d’indipendenza Il 4 Luglio 1776 venne promulgata la Dichiarazione d’indipendenza, redatta da Thomas Jefferson. Questo fatto segnò la nascita degli Stati Uniti d’America. La Dichiarazione americana rappresentò la piena affermazione del pensiero illuminista, ponendo le basi per un reale progetto politico.
Prime fasi della guerra Inizialmente la situazione fu molto sfavorevole per gli americani, collezionarono numerose sconfitte tra il 1775-76. La disfatta totale fu evitata principalmente dalla tenacia di Washington, uomo con ottime capacità organizzative, ma con scarse abilità strategiche. La prima pesante sconfitta inglese avvenne a Saratoga nel 1777. La situazione finanziaria degli insorti rimaneva tragica a causa della chiusura dei commerci con la madrepatria, che fece crollare l’economia e causò una pesante inflazione. La guerra d’indipendenza americana si guadagnò la solidarietà dell’opinione pubblica europea, in particolare intellettuali illuministi. I ribelli americani furono appoggiati anche dal filosofo democratico inglese Thomas Paine.
L’intervento straniero Per la prima volta nella storia si unirono a un esercito di coloni inglesi anche volontari stranieri come polacchi (Tadeusz Kosciusko) e francesi (La Fayette). L’aiuto decisivo venne dato da Francia, Spagna e Olanda, che videro nella guerra un modo per sminuire la potenza navale e commerciale inglese. I tre stati concessero onerosi prestiti ai rivoluzionari e rimpiazzarono nei rapporti commerciali l’Inghilterra. Nel 1778 gli Stati Uniti vennero riconosciuti dalla corona francese come stato indipendente. Gli inglesi riuscirono comunque a collezionare alcune vittorie nei territori del Sud senza trarne però vantaggi decisivi. Nel 1781 giunse negli Stati Uniti la flotta francese e gli americani poterono passare al contrattacco con l’assedio di Yorktown, in Virginia. Durante quello stesso anno la città occupata dagli inglesi si arrese. La guerra poteva ritenersi virtualmente conclusa.
Il trattato di Versailles Nel 1782 iniziarono le trattative di pace e nel settembre dell’83 venne concluso il trattato di Versailles. L’Inghilterra concesse l’indipendenza ai tredici stati americani, ma rimaneva comunque inalterato il suo dominio sul Canada e sul resto delle colonie caraibiche, africane e asiatiche. La Francia riuscì a ottenere il Tobago e la costa del Senegal. La Spagna riuscì a riappropriarsi della Florida.
La costituzione degli Stati Uniti Dopo l’indipendenza le ex colonie dovevano delineare un’organizzazione statale. Durante la guerra i diversi stati si erano autogovernati e avevano redatto proprie carte costituzionali basate sul governo rappresentativo, la tutela delle libertà fondamentali e il diritto di proprietà. Nel Sud però era ancora in vigore la schiavitù. Nel 1777 si riunì il secondo Congresso continentale: furono redatti gli Articoli di confederazione come costituzione provvisoria entrata in vigore nel 1781.
Con la mancanza di un potere centrale: - erano nati contrasti territoriali per i confini e competizioni di tipo commerciale; - la moneta era distrutta dall’inflazione e nacquero movimenti di protesta. • Convenzione costituzionale (nel maggio 1787 a Filadelfia): doveva emanare gli Articoli di confederazione operando in segreto. Presieduta da Washington delineò una nuova architettura costituzionale basata su: divisione ed equilibrio dei poteri e nuovi organi federali con autorità su ogni cittadino. • Così gli Stati confederati diventarono Unione federale e assunsero la fisionomia di una nazione.
La divisione dei poteri Legislativo: costituito da Camera dei rappresentanti (questioni finanziarie ed elezione in proporzione agli abitanti) e Senato (politica estera e includeva 2 rappresentanti per stato). Giudiziario: affidato alla Corte suprema federale, i cui giudici vitalizi erano eletti dal Presidente in accordo col Senato. Esecutivo: era nelle mani del Presidente della repubblica (novità), eletto ogni 4 anni con voto indiretto (assemblea), che comandava le forze armate, nominava i giudici della Corte suprema e i molti titolari di uffici pubblici e poteva porre il veto sulle leggi approvate dal Congresso. Quest’ultimo poteva a sua volta accusare e destituire il presidente per violazioni della legge.
Il dibattito costituzionale Anche se la Costituzione venne accolta dalla maggioranza, doveva essere approvata dai singoli Stati ed è in questo momento che nasce il dibattito che vede contrapposti Federalisti e Antifederalisti. Federalisti: a favore della Costituzione e di un forte governo centrale, rappresentavano commercianti e industriali (vedevano nella stabilità politica la base per lo sviluppo economico), ma anche i ceti conservatori e i grandi proprietari (volevano ordine). Antifederalisti: di stampo democratico e ruralista, rappresentavano i ceti medio-bassi, costituiti prevalentemente da piccoli coltivatori indebitati che vedevano il governo centrale come fonte di arricchimento per un’oligarchia e non pensavano che tale forma di governo potesse ben rappresentarli.
Prevalsero i federalisti con l’approvazione della Costituzione (1787-88) da parte di 11 stati su 13, negli anni successivi anche gli ultimi due stati l’approvarono. Gli antifederalisti però ottennero l’inserimento dei Dieci Emendamenti, che ribadivano e tutelavano i diritti individuali e le prerogative di ogni stato di fronte al potere federale. Nel 1789 ci furono le prime elezioni legislative e George Washington fu nominato il primo Presidente degli Stati Uniti d’America.
Consolidamento e sviluppo dell’Unione Dopo la promulgazione della Costituzione iniziò la fase di collaudo e consolidamento istituzionale: il governo aveva sede a Filadelfia e si organizzò in dipartimenti (ministeri). Dipartimento del Tesoro: affidato al leader federalista Alexander Hamilton (insieme a John Adams) che risanò le finanze dell’Unione con nuove imposte federali e riorganizzò il sistema creditizio attorno alla Banca degli Stati Uniti. Tale manovra creò proteste tra gli agricoltori del Sud e i coloni dell’Ovest. Il Dipartimento di Stato si occupava della politica estera e venne affidato al leader antifederalista Thomas Jefferson (insieme a James Madison).
In questo periodo cominciò l’espansione territoriale che nel secolo successivo porterà gli Stati Uniti ad occupare tutto il territorio tra i due oceani. Nel 1787 il Congresso continentale pose le norme per consentire tale espansione risolvendo molte controversie tra i diversi stati. Ordinanza del Nord-Ovest: le regioni da colonizzare avevano lo status di territori sotto la tutela del Congresso, che inviava giudici e governatori. Furono incoraggiate all’autogoverno e nel momento i cui raggiungevano i 60.000 abitanti diventavano Stati dell’Unione. Questo sistema rimarrà valido anche per l’800 e porterà ad avere un modello di stato aperto, conciliando le spinte espansionistiche con la tutela delle autonomie e la crescita democratica.
Rivoluzione e religione È opinione comune che la rivoluzione americana si sia basata su principi laici e illuministi. Questa affermazione non è propriamente corretta, numerosi filosofi e studiosi come Perry Miller (1905-1963) sostengono le radici religiose che furono alla base della rivoluzione e assicurarono alla causa indipendentista un vasto sostegno popolare. Si ha conferma di questa tesi, se si analizzano le origini storiche della “Nuova Inghilterra”, composta prevalentemente da puritani, perseguitati in madrepatria e costretti a scappare. Un esempio lampante è la Mayflower. I “Padri pellegrini” interpretarono il loro arrivo e la loro sopravvivenza nel Nuovo Mondo come un segno della provvidenza divina e il pensiero di questa gente si fondava su un patto tra Dio e i Veri Cristiani. Questa convinzione rimase viva durante tutto il resto della storia americana e tutt’ora possiamo ancora trovarne i segni. Per esempio all’interno delle aule di tribunale o incisa sulle monete possiamo trovare la famosa e sicuramente non atea frase: «In God we trust».
La “rivoluzione atlantica” • Palmer in “L’era delle rivoluzioni democratiche” espone la teoria secondo la quale nel XVIII secolo, era delle rivoluzioni, queste ultime siano state promosse e combattute da un’unica grande civiltà: la “civiltà atlantica” che comprende europei e americani. • L’autore sostiene infatti che nel 1700 vi fu un unico movimento rivoluzionario manifestatosi in luoghi diversi e in modi diversi ma con caratteristiche simili, quali la democrazia, l’uguaglianza e il disprezzo per l’esercizio esclusivo del potere. • Le più importanti rivoluzioni di questo periodo sono quella Americana e Francese, ma ce ne sono molte altre meno conosciute e secondo lo scrittore è come se questa corrente di cambiamento continuasse a rimbalzare da una sponda all’altra dell’Atlantico.
I diritti dell’uomo nella Costituzione americana e in quella francese Per capire oggi il significato di “diritto” è necessario voltarsi indietro.
Francia e USA hanno posto le basi dei nostri diritti attuali e per cogliere le analogie e le differenze fra le due Costituzioni dobbiamo “immergerci” nel periodo storico delle Rivoluzioni. Le due rivoluzioni furono entrambe borghesi, con la differenza che la prima fu anche una guerra di liberazione nazionale contro gli inglesi colonialisti, mentre la seconda fu una guerra civile tra borghesia (appoggiata da contadini e operai) e aristocrazia (appoggiata dalla monarchia).
Gli americani rivendicano, in un certo senso, gli stessi diritti che un secolo prima erano stati rivendicati dai puritani inglesi, ampliandoli però ed estendendoli a tutti i coloni europei, essendo l'America un territorio di forte immigrazione. L’importante documento portava l’impronta dell’entusiasmo rivoluzionario che l’aveva generato e si differenziò sostanzialmente da tutti i successivi, più moderati, documenti della rivoluzione americana. Era in sostanza un manifesto antifeudale e antimonarchico, che proclamava le libertà repubblicane e democratico- borghesi: diritti inalienabili di natura, eguaglianza di fronte alla legge, sovranità del popolo e suo diritto di cambiare forma di governo.
La proprietà in America Nell’elencare i diritti naturali dell’uomo la Dichiarazione non menzionava la proprietà. I rappresentanti della corrente di sinistra della teoria borghese del diritto naturale, collegavano il concetto di “proprietà” a quello di “lavoro” e quindi alla categoria dei diritti civili, non naturali. Viceversa Locke e i suoi seguaci avevano proclamato la proprietà un diritto naturale, eterno e inviolabile. Per questo motivo nella formula borghese comunemente accettata “vita, libertà e proprietà”, Jefferson cambiò la parola “proprietà” con le parole “aspirazione alla felicità” e condannava la schiavitù e il commercio di schiavi.
In Francia La borghesia francese nel 1789 era una classe rivoluzionaria che lottava contro il regime assolutistico- feudale. Gli ideologi della borghesia, che capeggiavano il Paese, identificavano gli ideali sociali della loro classe con gli interessi di tutta la nazione francese e addirittura di tutta l’umanità. Il 26 agosto 1789 l’Assemblea costituente approvò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, importantissimo documento della rivoluzione francese, che ebbe una portata storica universale. “Gli uomini nascono e restano liberi e uguali nei diritti”, era detto nella Dichiarazione. Questo principio fu proclamato in un’epoca in cui quasi ovunque nel mondo l’uomo era ancora considerato uno schiavo.
Bisognerà attendere anche la fine della II guerra mondiale prima di vedere nelle Costituzioni di tutto il mondo il rispetto dei diritti sociali riguardanti le condizioni materiali dell'individuo, che le Dichiarazioni borghesi avevano trascurato. Nel 1948, con la Dichiarazione dei diritti universali dell'uomo, l'Onu volle far capire che la garanzia della dignità umana non può essere demandata esclusivamente ai singoli Stati, ma va affidata, se necessario, anche a organismi internazionali.