Il danno epatico acuto Per danno epatico acuto (epatite acuta) si intende un danno a carico dell’epatocita che avviene e si manifesta in un breve periodo.

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Il danno epatico acuto Per danno epatico acuto (epatite acuta) si intende un danno a carico dell’epatocita che avviene e si manifesta in un breve periodo di tempo. Il quadro dell’epatite acuta è presente in divese epatopatie diverse: di origine infettiva Alcolica Tossica Ischemica Autoimmunitaria Da ostruzione biliare

Epatite acuta Il problema clinico che il medico si pone di fronte ad un caso di epatite acuta e’ triplice: la natura del danno (eziologia) La gravità dello stesso Il monitoraggio del suo andamento (valutazione prognostica) I marcatori di lesione e di funzione epatica consentono di raccogliere informazioni essenziali per la definizione di questi tre punti

Marcatori biochimici La valutazione delle transaminasi (AST e ALT) rappresenta il test con migliore sensibilità e specificità diagnostica La fosfatasi alcalina può essere aumentata, ma in maniera incostante. Ittero e iperbilirubinemia sono anch’essi incostanti. Sono più frequenti nelle forme di epatite acuta virale. La bilirubina diretta di solita è quella più elevata La valutazione della gravità del processo ha un rilievo centrale nell’indagine clinica soprattutto quando le epatiti acute possono evolvere in un danno epatico grave.

Marcatori biochimici Il tempo di protrombina è un buon indice prognostico in quanto misura l’attività di 4 fattori della coagulazione sintetizzati dal fegato Aumenti di >4’’ rispetto ai valori di riferimento* indicano un danno epatico grave e aumenti del PT> 20’’ sono comunemente considerati indicatori di rischio di vita. L’albuminemia non è un marcatore valido per le forme di epatite acuta, a seguito della sua emivita molto lunga circa 21 giorni; pertanto in corso di epatite virale acuta i livelli rimangono nella norma

Epatite virale L’uso di antigeni ed anticorpi specifici costituisce il mezzo diagnostico sicuro e definitivo per la diagnosi delle forme virali. Sono disponibili numerosi marker delle epatiti virali, sia di natura antigenica che anticorpale. In linea di massima i marcatori antigenici sono più precoci degli anticorpi e tra gli anticorpi la frazione IGM è in genere la prima ad aumentare

Infezione da Epatite A (HAV) In caso di infezione da Epatite A è presente nel sangue un picco di HAV RNA durante il periodo di incubazione, per scomparire con l’inizio della sintomatologia clinica. Il marcatore sierologico più precoce e sensibile è costituito dalle IGM anti-HAV, che compare all’inizio della sintomatologia quasi contemporaneamente all’aumento delle transaminasi ALT e permane elevato 1-2 mesi dopo la loro normalizzazione. Il titolo degli anticorpi totali anti HAV cominica ad aumentare con lieve ritardo, ma rimane elevato nel sangue per anni dopo la guarigione in alcuni casi per tutta la vita Di solito per la diagnosi di infezione da HAV si adoperano solo le tecniche di dosaggio anticorpale.

Infezione da Epatite B (HBV) In caso di infezione da Epatite B la sierologia assume un’importanza notevole in qunto l’HBV produce diversi antigeni proteici in grado di stimolare una risposta anticorpale, tra cui l’HBsAg. Sono prodotte anche due altre proteine antigeniche, l’antigene “core”, HbcAg, e l’antigene HbeAg di uso meno diffuso. L’ HBsAg, comincia ad aumentare subito dopo l’infezione per raggiungere il limite di scoperta entro 1-2 mesi. Si osserva poi di solito l’aumento delle transaminasi e della bilirubina e dopo circa un mese l’aumento degli anticorpi specifici IgM anti-Hbc e anti-Hbc totali. La presenza delle IgM anti HBc è considerata il test di maggiore importanza per la diagnosi di HBV. Le IgM anti HBc compaiono precocemente e il comportamento è analogo a quello osservato nell’infezione da HAV, con l’eccezione di un sensibile ritardo rispetto all’aumento delle ALT

Infezione da Epatite C (HCV) Nell’infezione da HCV, i test disponibili commercialmente per la misura degli antigeni misurano o una proteina core HCV o l’HVC RNA nel sangue, questi ultimi con metodi RT-PCR che sono in grado di evidenziare fino a 100 copie di HCV RNA/ml. Di solito si osserva nel sangue un aumento dell’HCV RNA una o due settimane dopo l’infezione prima dell’aumento delle transaminasi e della sintomatologia clinica. Nel corso della malattia l’HCV RNA può essere presente in maniera intermittente ed è temporalmente correlato con le riacutizzazioni cliniche e con gli aumenti dei livelli di transaminasi. Il titolo anticorpale anti HCV viene misurato con test immunometrici di diversa sensibilità. Con i test di prima generazione usati come screening, l’aumento del titolo anticorpale comincia a diventare evidente intorno alla dodicesima settimana dall’infezione. Con i metodi più sensibili, di seconda e terza generazione il tempo di scoperta è sceso intorno alla 6-7 settimana.

EPATITI TOSSICHE Le forme di epatite di origine tossica o ischemica si presentano comunemente con livelli di transaminasi molto elevati: >100URL Oltre il 90% dei casi dimostrano una AST >3000 U/L e sono di eziologia tossica o ischemica. I picchi AST e ALT sono precosi e l’AST è in genere piùù elevata della ALT. Al rapido aumento segue una altrettanto rapida caduta dei livelli, con una precoce normalizzazione entro la prima settimana. La bilirubina non è particolarmente elevata e nell’80% dei acsi è inferiore a 2mg/dl

Il DANNO EPATICO CRONICO Il danno epatico cronico si manifesta più lentamente e permane per un periodo di tempo più lungo, dell’ordine di 6 mesi. I livelli di transaminasi sono di solito inferiori a 4 URL. Nè i valori di bilirubina nè il quadro proteico si modificano in maniera significativa e quindi hanno una scarsa utilità diagnostica. Le epatiti croniche sono una malattia molto comune, oligosinatomatica ma con un rischio significativo di morbilità e mortalità. Per questo motivo necessitano di una diagnosi precoce attarverso pannelli di test di laboratorio

Eziologia La causa etiologica più frequente è la cronicizzazione di una infezione virale da HBV o da HCV o di una epatite alcolica cronicizzata. La diagnosi definitiva di solito è possibile solo attarverso un prelievo bioptico:in assenza di questo si considera diagnostica di un ‘epatite cronica la persistenza di un aumento delle ALT 6 mesi dopo un episodio di epatite acuta ovvero un aumento inspiegato e ripetuto delle ALT osservato su un periodo di tempo superiore ai 6 mesi.

Sintomatologia Non esiste una sintomatologia tipica di epatite cronica, che decorre generalmente in forma asintomatica La manifestazione riferita più frequentemente é l’astenia

Valutazione dei valori della citolisi epatica La citolisi epatica é espressa da AST e ALT L’epatopatia rappresenta la causa più importante di incremento dei valori della citolisi epatica L’incremento dei valori delle transaminasi può essere: ALT livelli fini a 7 volte AST più bassa delle ALT Fosfatasi alcalina di solito non è aumentata Bilirubina normale

Fattori di Rischio Alcolismo, malattie genetiche del fegato Sono fattori di rischio per i pazienti affetti da epatite cronica: Alcolismo, malattie genetiche del fegato Fattori di rischio per infezione epatica virale:emodializzati cronici, politrasfusi ,tossicodipendenti Lo screening si basa sul dosaggio di AST e ALT e nei soggetti a rischio di epatite virale sul dosaggio dell’HBsAg e dell’anti HCV

Epatite cronica autoimmune L’epatite cronica autoimmune costituisce circa 1/5 delle epatiti non virali e non alcoliche e ci sono diverse varianti. La prima forma variante mostra un elevato titolo di autoanticorpi (anticorpi antinucleo “ANA” e antimuscolo liscio), la seconda presenta invece un movimento anticorpale contro l’antigene solubile epatico (anti-SLA) o gli antigeni microsomiali epatici. Entrambe le forme dal punto di vista chimico clinico sono costituite da un aumento lieve delle transaminasi, con un aumento minimo della fosfatasi alcalina.

Cirrosi biliare primitiva e Colangite Sclerosante Entrambe queste patologie sono a patogenesi auoimmune in cui si verifica la distruzione autoimmunitaria dei dotti biliari. In queste forme di epatiti croniche c’è uno spiccato aumento dei valori di GGT e ALP maggiore rispetto all’aumento delle transaminasi.

Cirrosi epatica Le epatiti croniche sono di rilievo clinico in quanto di frequente si trasformano in cirrosi I due processi patogenetici di questa evoluzione sono da un lato l’infiammazione (epatite cronica) e dall’altro la fibrosi (formazione di tessuto cicatriziale)

Marcatori biochimici della cirrosi Un certo rilievo clinico nela passaggio dalla fase infiammatoria a quella fibrotica è data dal rapporto AST/ALT* che è<1 nelle epatiti croniche e diventa >1 nella fase cirrotica Il tempo di protrombina risulta allungato in fase di cirrosi Anche il dosaggio dell’alfa fetoproteina ( elevata di solito in fase cirrotica) è correlato all’entità del processo fibrotico Anche il dosaggio dell’albumina, viene utilizzato nella valutazione del grado di disfunzione epatica:una diminuzione significativa depone per una evoluzione cirrotica dell’epatite cronica. *Rapporto AST/ALT Valori di riferimento: 0,7-1,4

La diagnosi definitiva sul grado di fibrosi in una epatite cronica viene posta tramite agobiopsia del fegato, che consente l'analisi istologica del tessuto epatico La Biopsia epatica consiste nel prelievo di tessuto epatico, è una procedura invasiva che viene effettuata pungendo il fegato per mezzo di un apposito strumento detto ago di Menghini-Orlandi dopo avere praticato una anestesia locale cutanea nella sede della puntura. L'utilità di questo esame risiede nel consentire di diagnosticare con accuratezza il grado di infiammazione e fibrosi del fegato, potendo quindi discriminare tra epatite, nei suoi vari gradi, e cirrosi epatica e permettendo inoltre di escludere o confermare la presenza tessuto neoplastico all'interno di noduli epatici. Pur essendo una procedura generalmente sicura essa è gravata da un rischio di complicanze caratterizzate principalmente da perforazione di organi cavi, quali colon e pleura, e sanguinamenti.

Il pancreas È una voluminosa ghiandola annessa all'apparato digerente. Esso svolge una funzione esocrina rappresentata dalla produzione di succo pancreatico, ed una endocrina deputata alla produzione di vari ormoni

Principali enzimi prodotti dal pancreas esocrino Enzima Substrato d’azione Amilasi Carboidrati Lipasi Lipidi Nucleasi Acidi nucleici Chimotripsinogeno Proteine tripsinogeno proteine

cellule A o alfa (20%): producono glucagone La funzione endocrina del pancreas è svolta dalle (isole del Langerhans) ed è costituita da 4 tipi diversi di cellule: cellule A o alfa (20%): producono glucagone cellule B o beta ( 75%): producono insulina cellule D o delta ( 5%): producono somastatina cellule F o beta ( 75%): producono altre sostanze Il glucagone che ha come bersaglio principale alcune cellule del fegato; esso permette il controllo dei livelli di glucosio nel sangue, affinché rimangano entro certi limiti: se il livello ematico di glucosio scende sotto una soglia di circa 80mg/100ml, le cellule α cominciano a secernere glucagone. Questo si lega immediatamente ai suoi recettori presenti principalmente sugli epatociti, attivando la degradazione del glicogeno (glicogenolisi) ed un conseguente rilascio di glucosio nel sangue. La funzione dell’insulina più nota è quella di regolatore dei livelli di glucosio ematico riducendo la glicemia mediante l'attivazione di diversi processi metabolici e cellulari La somatostatina ha diverse funzioni e può agire anche da neurotrasmettitore ed ha un'azione stimolante su recettori colinergici e β-adrenergici.

Pancreas endocrino Insulina Ha come bersaglio tutte le cellule dell’organismo Legandosi a specifici recettori consente alla cellula di assorbire glucosio dal sangue Glucagone Agisce sugli epatociti stimolando la conversione del glicogeno accumulato in glucosio

Indagini di funzionalità pancreatica Nel sangue Amilasi Lipasi Glucosio Tripsina Chimotripsina

Valori di riferimento dell’Amilasi U/l Amilasi sierica È l’enzima che idrolizza l’amido ed il glicogeno con formazione di maltosio È prodotta anche da ghiandole salivari ed intestino tenue Indice aspecifico Valori di riferimento dell’Amilasi U/l Amilasi Frazione Pancreatica Frazione Salivare 1-225 17-115 17-135

Valori di riferimento della Lipasi 0-190 U/l Lipasi sierica Catalizza la scissione dei trigliceridi in glicerolo ed acidi grassi Quasi tutte le lipasi sono prodotte dal pancreas Indice specifico Valori di riferimento della Lipasi 0-190 U/l

i test per la lipasi e l’amilasi forniscono indicazioni diagnostiche più utili quando si fanno determinazioni seriali il tasso ematico di questi enzimi subisce significative variazioni nelle diverse fasi di una malattia del pancreas Determinazioni seriali: nel tempo a diversi time point

nelle prime fasi di una malattia un lieve eccesso di lipasi nel sangue viene eliminato facilmente dal rene per cui il tasso ematico dell’enzima può anche rimanere normale Man mano che la malattia progredisce si osserva un graduale incremento dei livelli dell’enzima In presenza di patologia pancreatica cronica e progressiva: le cellule danneggiate vengono rimpiazzate da tessuto connettivo fibroso, con graduale riduzione dei tassi ematici sia di lipasi che di amilasi

Glucosio Il meccanismo di regolazione della glicemia è basato sul controllo di due ormoni che agiscono in maniera antagonista:l’insulina ed il glucagone In condizioni fisiologiche livelli ematici di insulina e glucagone sono in equlibrio: il tasso di glicemia resta invariato Il m Il meccanismo di regolazione della glicemia è basato sul controllo di due ormoni antagonisti eccanismo di regolazione della glicemia è basato sul controllo di due ormoni antagonisti Il meccanismo di regolazione della glicemia è basato sul controllo di due ormoni antagonisti

Effetti dell’insulina sul metabolismo Promuove l’accumulo di glicogeno Deprime il consumo di grassi e proteine in favore dei carboidrati, ovvero spinge le cellule a bruciare carboidrati piuttosto che proteine e grassi Promuove la formazione di trigliceridi a partire da carboidrati e proteine Promuove l’immagazzinamento di grassi nel tessuto adiposo L’insulina segnala lo stato di alimentazione. “Accende vie metaboliche e processi coinvolti nell’assunzione cellulare e nell’immagazzinamento di combustibili metabolici e “spegne” vie metaboliche che riguardano la demolizione di combustibili

Effetti del glucagone sul metabolismo Promuove la liberazione di glicogeno dal fegato, riversandolo sotto forma di glucosio nel sangue. Promuove il consumo di grassi e proteine a sfavore dei carboidrati. Promuove la mobilizzazione dei grassi dai tessuti adiposi, che vengono resi disponibili ai tessuti per essere bruciati Il m Il meccanismo di regolazione della glicemia è basato sul controllo di due ormoni antagonisti eccanismo di regolazione della glicemia è basato sul controllo di due ormoni antagonisti Il meccanismo di regolazione della glicemia è basato sul controllo di due ormoni antagonisti

Asse ormonale insulina-glucagone Se la glicemia scende, il pancreas secerne glucagone che ordina al fegato di prelevare glucosio dalle sue scorte e d’immetterlo nel sangue.Il glucagone , inoltre spinge le cellule all’utilizzo di grassi e proteine come fonte enrgetica: in questo modo si predispone tutto l’organismo al risparmio del glucosio. Se la glicemia sale, come dopo un pasto, il pancreas secerne insulina che comanda al fegato di prelevare il glucosio dal sangue e d’immagazzinarlo. Poichè la capacità del fegato d’immagazinare carboidrati è piuttosto limitata, i carboidrati in eccesso vengono convertiti in grassi e depositati nei tessuti adiposi. L’insulina , al contrario del glucagone, spinge le cellule ad utilizzare i carboidrati come fonte energetica. Il m Il meccanismo di regolazione della glicemia è basato sul controllo di ormoni antagonisti eccanismo di regolazione della glicemia è basato sul controllo di due ormoni antagonisti Il

Omeostasi del glucosio Carboidrati Fruttosio Galattosio Glicogenolisi Gluconeogenesi Riserve di glicogeno Glicerolo Aminoacidi Lattato trigliceridi I carboidrati della dieta vengono digeriti nel tratto gastrointestinale in semplici monosaccaridi, prima di essere assorbiti. L’amido fornisce dirattamente glucosio, mentre il fruttosio (dal saccarosio della dieta) e il galattosio (dal lattosio della dieta) sono assorbiti e convertiti in glucosio nel fagato. In questa figura sono indicati i processi metabolici, che influenzano la concentrazione del glucosio ematico che è sempre il risultato di un bilancio tra entrata ed uscita, sintesi e catabolismo

Iperglicemia Aumento del tasso ematico di glucosio Cause di iperglicemia Eccesso di glucagone Diabete mellito Il diabete mellito si manifesta quando il pancreas endocrino non produce abbastanza insulina o quando l’organismo non riesce ad utilizzare efficientemente l’insulina prodotta.

Diabete mellito Il diabete mellito (DM) comprende un gruppo di disordini del metabolismo, caratterizzati da un aumento dei valori ematici del glucosio (iperglicemia) e presenza di glucosio nelle urine. Le due più importanti forme di diabete mellito sono definite come tipo 1 e tipo 2.

Diabete di Tipo 1 Il Tipo 1 è determinato dalla distruzione autoimmune delle cellule beta del pancreas L’insulina non viene prodotta ed una accentuata tendenza alla chetoacidosi metabolica.

Diabete di Tipo 2 Il diabete di Tipo 2 definito anche non insulino- dipendente ed è caratterizzato dall’inadeguata utilizzazione dell’insulina prodotta nell’organismo. Rappresenta il 90% di tutte le forme note di diabete ed è associato all’inattività fisica e all’obesità. Poichè i sintomi simili al diabete di tipo I ma meno marcati, spesso questo tipo di diabete viene diagnosticato tardivamente, quando le complicanze croniche si sono già manifestate

Diabete mellito gestazionale Durante la gravidanza si possono osservare forme di resistenza alla azione della insulina che determinano un aumento dei valori glicemici. Il diabete mellito gestazionale si verifica in circa il 4% delle gravidanze La maggior parte delle donne dopo il parto presentano valori glicemici nella norma.

Epidemiologia del diabete mellito Secondo la WHO, la prevalenza di diabete è in costante aumento nel mondo (dai 135 milioni nel 1995 ai 400 previsti nel 2030) Il Ruolo della Medicina di Laboratorio, nella diagnosi precoce e nella identificazione dei fattori di rischio svolge un ruolo fondamentale al fine di attuare strategie efficaci per prevenire o ritardare l’esordio clinico del diabete

Incidenza del diabete mellito L’aumento di incidenza interessa i giovani e non gli anziani, e sembra essere collegato all’aumento di stili di vita non salutari in questa fascia di età in particolare, il sovrappeso e l’ipertensione

Diabete Tipo I Patogenesi Predisposizione Genetica (HLA-DR3; HLA-DR4) Fattori ambientali (infezioni virali?) Risposta autoimmune verso le cellule beta La predisposizione: è indicata dalla presenza di alcuni antigeni di superficie HLA (glicoproteine di superficie cellulare presenti su tutte le cellule eccetto globuli rossi e spermatozoi) alla cui presenza sembra associata la malattiaL’HUMAN LEUCOCITY ANTIGENS è un sistema di molecole glicoproteiche che permette ad un individuo di differenziarsi da un altro della stessa specie per il mantenimento della integrità biologica la quale si ottiene con un confronto continuo tra il “Se” e il “non Se”. IL Diabete Insulino Dipendente è innescato da due agenti virali (Coxsakievirus e Rotavirus) che agiscono su una costituzione HLA DR3/DR4. Dal momento che i due virus sono strutturalmente molto simili al DR3/DR4 ne consegue che la risposta immunitaria (anticorpi e linfociti specifici) è indirizzata, in modo indiscriminato, sia verso gli agenti patogeni, sia verso le strutture somiglianti dello HLA costituzionale dell’individuo. IPERGLICEMIA Distruzione Beta cellule Carenza di INSULINA Manifestazioni Cliniche

Patogenesi del diabete Tipo I Costituzione genetica Fattore scatenante Disordine immunologico Insulite autoimmune IDDM

Patogenesi del diabete Tipo I Una infezione virale (o intossicazione) della cellula B, eventualmente aggravata da una immunodeficienza, porta ad una ridotta produzione di anticorpi. Questo comporta una più facile aggressione della cellula B da parte del virus. La distruzione della cellula B permette il rilascio di specie proteiche dalla cellula B capaci di suscitare risposta autoimmune. In accordo con questa ipotesi ci sono osservazioni relative al rilevamento di anticorpi antiisolette nelle fasi iniziali (prime settimane) della malattia nell’85% dei pazienti. Il processo si conclude con la distruzione totale della cellula B.

Segni clinici associati: Aumento della escrezione urinaria come conseguenza della iperosmolarità. Perdita di glucosio, acqua e sali nelle urine. Sete ed annebbiamento della vista. Perdita di peso, inizialmente dovuta alla perdita di acqua, glicogeno e trigliceridi, successivamente alla conversione degli amminoacidi in corpi chetonici. La ipovolemia porta a diminuzione della pressione e giramenti di testa, la perdita di potassio al senso di stanchezza.

Diabete Tipo I Patogenesi di sintomi e segni Iperglicemia Perdita di calorie Glicosuria Poliuria Fame Mobilizzazione di grassi e proteine Perdita di peso Polifagia ACIDOSI

Diabete Tipo II • Esordio tardivo (generalmente dopo i 50 aa) • Esordio subdolo (frequente la diagnosi casuale in paziente asintomatico)

NIDDM (non-insulin dependent diabetes mellitus) o Tipo II. Questo tipo di diabete in realtà raggruppa patologie eterogenee generalmente meno gravi. Si osserva prevalentemente nell’adulto e solo raramente nella fanciullezza. E’ definito in maniera negativa: Non é caratterizzato da chetoacidosi Non é legato ai markers HLA Non è associato ad anticorpi anti-isolette Non c’é dipendenza da insulina esogena. I tessuti dei pazienti sono poco sensibili all’insulina.

Patogenesi del Diabete di tipo 2 Il diabete di tipo 2 è caratterizzato da tre anomalie patofisiologiche: ridotta secrezione insulinica, resistenza periferica alla insulina, aumento della produzione epatica di glucosio.

Ridotta secrezione insulinica La secrezione insulina e la sensibilità ad essa sono correlate. Nel Diabete di tipo 2 la secrezione insulinica aumenta in risposta alla insulino resistenza, per mantenere l’ omeostasi del glucosio.

Insulino resistenza. E’ la caratteristica principale del Diabete di tipo 2 I livelli di recettore per l’ insulina sono ridotti nei diversi tessuti Riduzione dell’ effetto della insulina (resistenza) nei tessuti utilizzatori di glucosio (muscolo e fegato) ridotto ingresso del glucosio nelle cellule aumento dei valori ematici di glucosio. L’insulino resistenza può essere revertita da un aumento dei valori circolanti di insulina.

Aumento della produzione epatica di glucosio Il fegato mantiene costanti i livelli di glucosio nel digiuno attraverso la glicogenolisi e la gluconeogenesi da aminoacidi e acidi grassi. L’ insulina blocca la gluconeogenesi Per la insulino resistenza le cellule epatiche continuano la gluconeogenesi aumento della glicemia a digiuno riduzione dei depositi di glicogeno in fase post-prandiale.

Eziologia e Patogenesi del Diabete Tipo II Costituzione genetica Fattore scatenante Insulino resistenza Ridotta o Alterata Risposta Biologica NIDDM Segni clinici: Poliuria, sete, abbagliamenti visivi, parestesie e senso di stanchezza. Le infezioni cutanee sono frequenti.

Complicanze del Diabete Mellito- tipo 1 e 2 Le complicanze del diabete mellito possono essere suddivise in complicanze acute e complicanze croniche . Le complicanze acute sono: la chetoacidosi diabetica (diabete di tipo 1) lo stato iperosmolare non chetoacidosico (tipo 2)

Chetoacidosi diabetica La diminuzione del trasporto di glucosio nei tessuti porta ad iperglicemia che a sua volta da origine a glicosuria che causa diuresi osmotica e perdita di acqua ed elettroliti come sodio, potassio calcio, magnesio, fosfato e cloruro. La disdratazione se grave porta ad ipotensione e shock ipovolemico e cioè alla diminuzione della massa sanguigna circolante. Per contrastare il deficit di glucosio dovuta alla insulina resistenza, l’organismo aumenta il livello di lipolisi che causa un aumento della produzione di acidi grassi, alcuni dei quali vengono convertiti in chetoni, generando chetonemia, acidosi metabolica e chetonuria

Chetoacidosi I corpi chetonici in eccesso sono neutralizzati dagli ioni bicarbonato HCO3-, a sintetizzare acido carbonico che è poi convertito in acqua e CO2 ma con l’ esaurimento dei depositi di bicarbonato si verifica l’ acidosi metabolica.

Stato iperosmolare non chetoacidosico Tipico di soggetti anziani con DM di tipo 2 che non hanno la capacità di di compensare la deplezione idrica dovuta alla diuresi osmotica indotta dall’iperglicemia Sintomi:poliuria, ipotensione e sintomi neurologici Grave sintomatologia neurologica dovuta alla disidratazione delle cellule. La quota di secrezione insulinica ancora presente in questi soggetti impedisce la formazione dei corpi chetonici. Gli esami di laboratorio indicano una elevata glicosuria i assenza di corpi chetonici

Complicanze croniche Le complicanze croniche colpiscono diversi organi e sistemi Le complicanze croniche possono essere distinte tra complicanze vascolari e non vascolari, complicanze renali

Criteri diagnostici di laboratorio del DM La diagnosi iniziale di diabete mellito viene effettuata sulla base dei seguenti criteri: Presenza di sintomi del DM ed eventuale glicemia casuale> o =200mg/dl Glucosio plasmatico a digiuno> 125 mg/dl dopo un digiuno di almeno otto ore Glicemia>200 mg/dl due ore dopo l’inizio di un test di tolleranza a 75 g di glucosio orale (OGTT Oral Glucose Tolerance Test)

Test di tolleranza al glucosio OGTT Quando i valori glicemici si attestano tra 100-110 e 126 mg/dl si parla di alterata glicemia a digiuno E’ utilizzato nel caso di iperglicemie o ipoglicemie di dubbia natura. Valuta i livelli di glicemia dopo una somministrazione orale di glucosio

Test di tolleranza al glucosio Negli individui sani a distanza di due ore dalla somministrazione del glucosio la glicemia ritorna ai valori normali. se dopo due ore la glicemia è maggiore 200 mg/dl, il soggetto è definito diabetico Nel caso di aumenti modesti alla seconda ora con valori normali alla terza ora si può ritenere di essere in presenza di uno stato di ridotta tolleranza al glucosio senza diabete manifesto.

Emoglobina glicata HbA1c Nel 2009, è stato stabilito che il test per la valutazione della Hba1C rappresenta un metodo migliore per diagnosticare il diabete rispetto alla misurazione della glicemia La concentrazione di HbA1c non mostra l’ampia fluttuazione diurna che si verifica con la glicemia La concentrazione di glucosio nel sangue varia in modo sostanziale con l’esercizio, l’introduzione del cibo e molti altri fattori

Ruolo dell’emoglobina glicosilata (HbA1c) La glicazione è un processo biologico non enzimatico per cui gli zuccheri si possono legare covalentemente alle proteine Il glucosio si può quindi legare in modo irreversibile ad una parte specifica dell’emoglobina, formando l’HbA1c Più alta è la concentrazione ematica di glucosio e maggiore è la percentuale di emoglobina glicata Si tratta di un esame utile per valutare l’adeguatezza del controllo glicemico del diabetico nel tempo

Ruolo dell’emoglobina glicosilata (HbA1c) La valutazione dell’HbA1c rappresenta quindi un parametro più utile delle glicemia nella diagnosi e nel monitoraggio del diabete Essa è infatti espressione delle glicemia media nel lungo periodo e non di un singolo momento Non è influenzata dall’alimentazione Essa può essere utilizzata sia come indice di glicemia media che come valutazione del rischio sì di sviluppare complicanze del diabete Valori di riferimento in un individuo normale 3-6% Valori superiori a 9% indicano la necessità di una rivalutazione della terapia

Test per la glicemia Campione biologico richiesto: plasma o siero È importante effettuare l’analisi in tempi brevi dopo il prelievo: le cellule continuano i processi di glicolisi, pertanto i risultati saranno invalidati Test enzimatici Apparecchi automatizzati

Test enzimatici Il principio su cui si basa la misura dei più comuni glucometri validati per uso clinico consiste nella quantificazione di una reazione enzimatica, l'ossidazione del glucosio (proporzionale alla sua concentrazione nel sangue) La reazione avviene ponendo un campione di sangue su una striscia reattiva alla glucosio-ossidasi. La misura può essere ottenuta valutando l’intensità di colore determinata dal cromogeno che si sviluppa dall'ossidazione del glucosio

Apparecchi automatizzati

 Insulina esogena  Dieta  Esercizio fisico Diabete Tipo I Terapia  Insulina esogena  Dieta  Esercizio fisico

Diabete tipo II Terapia • Dieta • Esercizio • Se necessari farmaci • Se necessaria insulina