Clemente Rebora nacque a Milano nel 1885 e morì Verbania nel Si laureò in lettere a Milano. Al primo conflitto mondiale il poeta partecipò come ufficiale di fanteria sugli altipiani di Asiago e poi a Gorizia dove il suo già labile sistema nervoso rimase compromesso dallo scoppio di una mina. Dell’ esperienza militare resterà l’atroce testimonianza in alcune delle Poesie sparse fra il 1913 e il Tornato a Milano maturò una crisi spirituale;aderì infine alla fede cattolica trovando in essa l’appagamento a lungo ricercato. Anche nelle poesie di Rebora,come abbiamo visto nella biografia,il problema essenziale è costituito dalla ricerca di una verità capace di dare risposta ai più urgenti e inquietanti problemi dell’uomo.
VIATICO O ferito laggiù nel valloncello, tanto invocasti se tre compagni interi cadder per te che quasi più non eri. Tra melma e sangue tronco senza gambe e il tuo lamento ancora, pietà di noi rimasti a rantolarci e non a fine l’ora, affretta l’agonia, tu puoi finire, e conforto ti sia nella demenza che non sa impazzire, mentre sosta il momento il sonno sul cervello, lasciaci in silenzio grazie,fratello. Estrema unzione,benedizione finale per l’arrivo in paradiso Piccola valle stretta Tanto chiamasti i soccorsi fino a sacrificare tre dei tuoi compagni per te,che ormai eri quasi morto e non più interi Rantolare contro di noi;il tempo per loro non trascorre mai perché sono costretti ad ascoltarlo mentre si lamenta Muoviti a morire Ti sia il massimo conforto in questa fase così delicata Si rende conto che sta per morire,ma non ha perso il senso della ragione,è cosciente,ed è a un passo dal dolore più assoluto,il coma Perde i sensi Muore. Questa poesia non esprime compassione ma bensì odio verso il compagno.
ANALISI DEL TESTO: ANALISI DEL TESTO: Qui la realtà viene posta dinnanzi ai nostri occhi nei suoi aspetti più crudi e scostanti:il corpo di un soldato,ridotto a un “tronco senza gambe” che giace morente “tra melma e sangue” (il “quasi più non eri” indica allora non solo l’imminenza della morte,ma anche la mutilazione e l’orrenda deformazione,in opposizione ai “tre compagni interi”,morti però anche essi per salvarlo.) L’orrore della sofferenza non risparmia nessuno,rendendo uguali chi sta per morire e chi è costretto ad aggrapparsi alla speranza di una dolorosa sopravvivenza. Solo la morte,nell’augurio finale,può recare a tutti un momentaneo conforto e sollievo,inducendo anche a riscoprire,nel verso finale,un ultima e intensissima forma di umana pietà e solidarietà.