MACRO 3 Corrisponde a Cowen & Tabarrok, Cap ARGOMENTI TRATTATI: - Ciclo economico - Modello DA/OA - Shock reali e di domanda - Keynes vs “classici” - Politica monetaria - Politica fiscale
Il problema del ciclo economico La crescita economica non avviene in modo regolare. Sappiamo infatti che, all’interno di un trend di crescita di lungo periodo (sintetizzato dal tasso di crescita medio), il PIL reale è soggetto a fluttuazioni di breve periodo: in alcuni trimestri cresce più rapidamente del trend, in altri più lentamente o addirittura diminuisce. Definiamo recessione un periodo di almeno due trimestri successivi in cui il PIL reale diminuisce. Chiamiamo depressione una recessione ampia e prolungata. Capire per quale motivo avvengono le fluttuazioni, ed in particolare le recessioni, è uno dei temi fondamentali della macro. E’ il c.d. problema del ciclo economico. Qualsiasi spiegazione del ciclo economico deve rispettare tre caratteristiche fondamentali (c.d. fatti stilizzati) che osserviamo nei cicli della realtà: 1)Il ciclo economico non ha andamento regolare: le fluttuazioni sono irregolari ed imprevedibili. 2)La componente del PIL che fluttua di più sono sempre gli investimenti (mentre p.e. i consumi fluttuano molto meno). 3)Molte variabili macro fluttuano assieme (c.d. co-movimenti). L’esempio principale di co-movimento è la relazione inversa tra PIL reale e disoccupazione: quando il PIL decresce, la DIS aumenta (= DIS ciclica).
Tasso di crescita medio e fluttuazioni cicliche N.b.: Le colonne grigie indicano i periodi di recessione
Recessioni e disoccupazione ciclica
Due shock, due modelli Il ciclo economico è tipicamente un problema di breve periodo, quindi occorre cambiare l’orizzonte temporale in cui abbiamo sin qui studiato la macro, cioè includere oltre al lungo periodo (LP) anche il breve periodo (BP). La spiegazione del ciclo economico si concentra su due tipi di shock, shock reali e shock della domanda aggregata. I modelli che spiegano il ciclo prevalentemente in termini di shock reali sono i c.d. modelli del ciclo economico reale (real business cycle, RBC). I modelli che, come già J.M. Keynes nel 1936, spiegano il ciclo prevalentemente in termini di shock della domanda aggregata sono i c.d. modelli (neo)keynesiani. Entrambi gli approcci sono sintetizzati dal c.d. modello DA/OA, cioè con domanda (DA) ed offerta aggregata (OA).
Il modello DA/OA Il modello DA/OA è rappresentato mediante tre curve, in un sistema di assi cartesiani dove in ordinata si trova il tasso di inflazione ed in ascissa il tasso di crescita del PIL reale y. –Si ricorda che le lettere minuscole indicano tassi di crescita, mentre le maiuscole i livelli assoluti (p.e. P ed Y). Le tre curve sono: –La retta di domanda aggregata DA –La curva di offerta aggregata di breve periodo OA –La retta della crescita di Solow CdS (detta anche retta di offerta aggregata di lungo periodo). La retta di domanda aggregata (DA) mostra la relazione tra aumento della spesa aggregata e variazioni del PIL nominale. La curva di offerta aggregata di breve periodo (OA) mostra l’incremento della produzione reale di beni e servizi realizzata dalle imprese per ogni dato livello di inflazione. La retta della crescita di Solow (CdS) mostra il livello di crescita potenziale del PIL reale, cioè quel tasso di crescita medio che si realizzerebbe nel sistema in assenza di shock.
(y)
La retta della crescita di Solow La CdS è rappresentata come una retta verticale in corrispondenza del tasso di crescita potenziale del PIL reale y*. Questo perché la crescita del PIL reale non dipende dal tasso di inflazione, ma solo da tutti quei fattori reali dell’economia che entrano nella funzione aggregata di produzione (APF). –Di fatto la retta cattura l’idea base della dicotomia classica: la grandezza reale y non dipende, nel lungo periodo, da quella nominale . Il tasso potenziale y* è quello che si ottiene in un sistema economico in cui il meccanismo della crescita funziona esattamente come illustrato dal modello di Solow (vedi cap.21-22). In particolare, per raggiungere il livello potenziale la crescita non deve essere disturbata da imperfezioni nel meccanismo dei prezzi. Solo la perfetta flessibilità dei prezzi consente infatti alle risorse reali (lavoro, capitale e tutti gli altri input) di allocarsi in modo efficiente. Possiamo pensare che ciò sia vero, in media, nel LP (e quindi che il tasso potenziale coincida con quello medio). Ma nel BP la crescita del PIL reale può discostarsi anche parecchio da tale tasso potenziale y*.
Tasso di crescita potenziale y* y 0% Nb: lo “zero” delle ascisse NON è l’origine degli assi! - 2% Il tasso di crescita potenziale y* NON dipende dall’inflazione e dalle variabili monetarie
Gli shock reali e la CdS La CdS si sposta a destra o a sinistra per effetto di qualsiasi mutamento in uno o più dei fattori reali che determinano il tasso di crescita del PIL reale. Chiamiamo shock reali proprio tutti quegli eventi esogeni ed imprevedibili che modificano tali fattori. –Esempi paradigmatici sono i mutamenti del clima, le guerre, gli shock petroliferi, le innovazioni tecnologiche. –Ma anche una riforma del mercato del lavoro che riduca il TND di una nazione è uno shock di tipo reale (permanente). Shock di questo tipo spostano per un certo periodo di tempo la CdS, modificando il tasso di crescita y. Se gli shock sono permanenti, avremo un nuovo tasso di crescita potenziale, ma se, come quasi sempre, sono solo temporanei la CdS tornerà nel LP alla posizione iniziale.
La domanda aggregata (1) Tradizionalmente, la domanda aggregata DA si definisce come la somma delle quattro componenti della spesa a livello macro: DA = C + I + G + NX Tuttavia, ai fini del modello DA/OA, è opportuno definire la DA a partire dalla equazione quantitativa della TQM. Sappiamo infatti che, in termini di tassi di crescita, vale l’equazione: m + v = + y Immaginiamo che aumenti l’offerta di moneta senza alcuna variazione della velocità di circolazione. Per esempio: m = 5% e v = 0%. La maggiore moneta in circolazione implica un equivalente aumento della spesa aggregata, e quindi (per l’identità macro fondamentale) anche del PIL nominale PY. Perché valga ancora l’equazione deve perciò verificarsi che anche + y = 5%. Se ipotizziamo, come nella TQM, che il PIL reale non aumenti (cioè y = 0), segue che l’aumento della moneta deve “scaricarsi” tutto sui prezzi: m = 5% = 5%. Ma non è affatto detto che il PIL reale rimanga costante! –N.b.: porre y = 0 nella TQM era giustificato dall’ipotesi della dicotomia classica, cioè che l’aumento dell’offerta di moneta non fa crescere nel LP il PIL reale. Ma questo non significa che il PIL reale non possa comunque crescere a seguito di altri fattori. La retta DA rappresenta l’insieme delle combinazioni di inflazione e tasso di crescita y che sono compatibili con uno specifico tasso di crescita della spesa m + v.
La domanda aggregata (2) Per esempio, tutte le seguenti coppie (y, ) sono compatibili con una crescita della spesa aggregata m + v = 5% : y = 0%, = 5% punto a y = 3%, = 2% punto b y = 5%, = 0% punto c Unendo questi punti otteniamo proprio la retta di domanda aggregata DA quando m + v = 5%. –Espressa come equazione di una retta, DA ha equazione = – y + (m + v), dove (m+v) è il termine noto e (– 1) la pendenza. In pratica, se gli agenti economici (famiglie, imprese, P.A., resto del mondo) decidono di aumentare la loro spesa – perché hanno più moneta da spendere e/o perché spendono più velocemente la moneta – questo aumento di spesa deve tradursi in un aumento della produzione reale di beni e servizi e/o in un aumento dei prezzi. Le variazioni di (m + v) rappresentano quindi le variazioni della spesa aggregata.
c
Spostamenti della DA e shock della domanda Se la spesa degli agenti economici aumenta di più o di meno del 5%, la DA si sposta parallelamente nel piano. –Geometricamente, cambia il termine noto (m+v). Se per esempio m + v = 7%, allora, per l’equazione quantitativa, anche + y deve essere pari a 7%. Quindi avremo una nuova serie di coppie di punti (y, ) tutti compatibili con m + v = 7%. –P.e. (y = 7%, = 0%), (y = 4%, = 3%), ecc. Unendo tutti questi punti troviamo la nuova retta di domanda aggregata DA quando m + v = 7% Chiamiamo shock della domanda qualsiasi evento esogeno ed imprevedibile che modifichi la spesa aggregata, cioè m + v. Quindi gli shock della domanda spostano la retta DA nel piano.
L’effetto di uno shock della domanda sulla retta DA
L’equilibrio macro All’intersezione tra CdS e DA troviamo l’equilibrio macro, cioè una situazione in cui l’aumento del PIL reale (= maggiore produzione di beni e servizi) è esattamente assorbito, al netto di , dall’aumento della spesa aggregata, e viceversa. In corrispondenza dell’equilibrio macro il tasso di crescita del PIL reale è al livello potenziale y*. Definiamo tale situazione un equilibrio di piena occupazione delle risorse (full employment equilibrium, FEE) proprio perché il sistema economico realizza la propria crescita potenziale solo quando tutte le risorse produttive (in primis il lavoro) sono utilizzate efficientemente. –In particolare, quando il sistema è ad FEE, il tasso di disoccupazione è pari al TND: siamo al pieno impiego. Il problema del ciclo economico diventa quindi capire se e quando il sistema economico non si colloca in FEE – in particolare, se e quando cresce meno del suo livello potenziale e non impiega tutte le risorse.
Equilibrio macro FEE = y*
Il modello RBC Secondo i sostenitori del modello RBC, le fluttuazioni economiche si verificano principalmente a causa di shock reali che spostano la CdS. Tali fluttuazioni sono esogene ed imprevedibili, e quindi anche il ciclo economico non può essere previsto. Spesso però gli shock, e quindi anche il ciclo, sono solo il fisiologico effetto dei mutamenti reali indotti dalla crescita economica. Nella realtà, infatti, la crescita non è né uniforme, né continua. –P.e. uno shock reale indotto dalla crisi e ristrutturazione di un intero settore industriale a seguito del progresso tecnologico. In caso di shock negativo, il nuovo equilibrio macro si avrà per un tasso di crescita del PIL minore rispetto al potenziale y*. Nel caso y fosse addirittura negativo, avremmo una recessione. Tuttavia gli shock hanno prevalentemente natura temporanea. Quando vengono riassorbiti, il sistema ritorna all’equilibrio macro iniziale. Quindi l’economia non rimane permanentemente in una situazione di crescita diversa dal potenziale. Nel lungo periodo, l’unico tasso di crescita permanente è y*. Se invece lo shock reale è permanente, allora ci sarà un nuovo tasso di crescita potenziale (y**) ed un nuovo FEE.
FEE = y* Si verifica DIS ciclica
Gli shock della domanda nel modello RBC I sostenitori del modello RBC ovviamente non escludono che possano verificarsi anche shock della domanda. Tuttavia negano che essi possano avere significativi effetti reali sull’economia. Esempio semplice: se la BC aumenta l’offerta di moneta da m = 5% ad m = 10%, si avrà uno spostamento della retta DA. La nuova DA determina una nuova intersezione con la CdS, cioè un nuovo FEE: il tasso di crescita rimane invariato, l’inflazione sale. Questo perché, in assenza di variazioni nelle grandezze reali (cioè una maggiore produzione di beni e servizi), l’aumentata disponibilità di moneta nelle tasche degli agenti economici si traduce in un più rapido aumento del livello generale dei prezzi: questo conferma che, come già sappiamo dalla TQM, la moneta è neutrale. –Più precisamente, il sistema si muove p.e. da a a c, ma in c abbiamo un eccesso della spesa aggregata rispetto alla produzione reale. Questo fa crescere i prezzi e riporta il sistema, lungo la nuova DA, al nuovo FEE nel punto b. Il punto chiave è che per i sostenitori del modello RBC, così come per tutti i macroeconomisti c.d. “classici”, non è possibile, se non temporaneamente, avere un equilibrio macro per valori di y diversi dal tasso potenziale: l’unico y di “vero” equilibrio è per y*.
c
Una questione teorica cruciale Eccoci al cuore della contrapposizione tra le diverse scuole della macroeconomia. Siamo proprio sicuri che l’unico equilibrio macro permanente sia di tipo FEE, cioè con crescita pari al potenziale y = y* e pieno impiego delle risorse? Il punto centrale della c.d. “rivoluzione keynesiana” nella macroeconomia è proprio che, secondo J.M. Keynes, nulla garantisce che all’equilibrio macro il sistema economico realizzi il pieno impiego delle risorse. Secondo Keynes, infatti, è possibile che si realizzi un equilibrio (cioè uno stato indefinitamente persistente) senza il pieno impiego delle risorse. Parleremo in questo caso di equilibrio di sottoccupazione. In una simile situazione il tasso di crescita sarebbe permanentemente minore di y* e la disoccupazione sarebbe permanentemente maggiore del TND. Questa possibilità è invece esclusa dai macroeconomisti della c.d. scuola “classica”, cioè quelli che non si riconoscono nelle teorie di Keynes (inclusi i teorici RBC). Per tali economisti la presenza di un tasso di crescita minore di y* ed una DIS maggiore di TND sono fenomeni di disequilibrio o, al massimo, di equilibrio temporaneo. L’unico “vero” (= permanente) equilibrio è in FEE. Nel caso degli shock reali la tesi della scuola “classica” è ovvia: si tratta di shock quasi sempre transitori, per cui CdS torna da sola al livello originario (e se fossero shock permanenti, implicherebbero anche uno spostamento di FEE ad y**). Ma nel caso degli shock della domanda (gli unici di cui si è occupato Keynes) la questione non è banale. Per risolverla occorre inserire nel modello una terza curva.
La recessione è un equilibrio? Possiamo però già anticipare la principale implicazione di politica economia delle due posizioni teoriche. Per la macro “classica” il fatto che non esistano equilibri macro diversi da FEE significa che una recessione non è mai permanente. I “classici” non negano ovviamente che le recessioni possano verificarsi, ma sostengono che si tratti di fenomeni di disequilibrio, e quindi che, come tutti i disequilibri, esistano nel sistema economico, delle forze endogene automatiche che riportano sempre il sistema all’unico “vero” equilibrio, cioè FEE. Tali forze non sono altro che i prezzi di mercato, cioè il meccanismo di aggiustamento dei prezzi. Segue che per risolvere le crisi economiche e le recessioni non è necessario alcun intervento pubblico: la “mano invisibile” del mercato è in grado di riportare il sistema automaticamente all’equilibrio. Per la macro (neo)keynesiana, invece, una recessione (indotta da uno shock della domanda) può essere un equilibrio, cioè uno stato indefinitamente persistente. Questo perché il meccanismo di aggiustamento dei prezzi non funziona o funziona in modo imperfetto. Quindi il mercato non può risolvere da solo le crisi e le recessioni. E’ necessario che vi sia l’intervento del policy-maker.
Il modello (neo)keynesiano Nel modello (neo)keynesiano – cioè che riflette il pensiero di J.M. Keynes – abbiamo bisogno di 3 curve. Oltre a DA e CdS abbiamo infatti anche la curva di offerta aggregata di breve periodo (curva OA). La curva OA mette in relazione il tasso di crescita del PIL reale ed il tasso di inflazione, cioè una grandezza reale ed una nominale. –Il fatto stesso di disegnarla nega quindi la validità della dicotomia classica! E’ proprio la presenza della curva OA che permette… –…di individuare equilibri macro non FEE; –…di mettere a confronto il punto di vista “classico”/RBC e (neo)keynesiano riguardo alla possibilità che la recessione possa essere un equilibrio. Uno dei modi per costruire la curva OA è richiamare il modello degli errori percettivi di Robert Lucas. –N.b.: Lucas è il “campione” dei macroeconomisti “classici” anti-keynesiani!
Lucas e la “confusione” dei prezzi La presenza di inflazione inattesa può avere un forte effetto reale se induce in errore gli agenti economici, in particolare le imprese, riguardo a cosa sta davvero accadendo nel sistema dei prezzi. –E’ il c.d. modello degli errori percettivi di Robert Lucas (1973). Immaginiamo che ci sia inflazione inattesa, cioè > E . Un produttore potrebbe confondere il maggior aumento del livello generale dei prezzi con un aumento del proprio prezzo (cioè della domanda per il proprio bene). Questo è infatti ciò che il produttore immediatamente percepisce sul mercato. –Con il termine “proprio prezzo” si intende il prezzo del prodotto di quella particolare impresa. Se il produttore compie questo errore, allora, come sappiamo dalla micro (vedi curva d’offerta), reagirà aumentando la propria offerta di output. Se sono molti i produttori che compiono questo errore, allora l’inflazione inattesa (cioè l’aumento dell’offerta di moneta) ha generato un effetto reale sull’economia in termini di maggiore output: la dicotomia classica viene meno! Tuttavia errori di questo tipo possono essere solo temporanei: nel lungo periodo i produttori si accorgono che ciò che è in realtà aumentato è il livello generale dei prezzi (e quindi sono cresciuti tutti i prezzi, non solo il proprio: p.e. sono aumentati anche i prezzi degli input) e quindi riportano la produzione al livello iniziale: l’effetto reale sull’output sparisce e la dicotomia classica torna a valere.
Le imperfezioni del sistema dei prezzi Il modello di Lucas è solo un esempio delle imperfezioni del sistema dei prezzi che possono portare temporaneamente le imprese a produrre di più (e quindi a far crescere y: effetto reale) in presenza di una mera variazione nominale come l’aumento di . In tutti i casi in cui, pur in presenza di una data inflazione , qualcuno dei prezzi, inclusi i salari, non varia in misura esattamente pari a o magari non varia affatto), si verificano effetti reali sulla produzione, e quindi sul PIL, a partire da variazioni di cioè proprio la curva OA. P.e. se in presenza di una riduzione di i salari nominali non diminuiscono nel BP della stessa pct. dei prezzi dei beni, allora le imprese che producono questi beni si troveranno a pagare il lavoro di più in termini reali (= il salario reale aumenta). La reazione delle imprese nel BP sarà di licenziare lavoratori e produrre meno. Tutte le volte che qualche prezzo o salario non varia nel BP in misura esattamente pari all’inflazione, si parla di prezzi e salari vischiosi. –I salari nominali sono sempre vischiosi perché sono fissati per contratto! –I prezzi sono vischiosi p.e. a causa dei menu cost e della confusione “alla Lucas” –Proprio l’osservazione della vischiosità verso il basso di prezzi e salari era alla base della curva OA in Keynes. Una spiegazione è il c.d. effetto di dotazione.
La curva OA y y* CdS OA La curva OA è più piatta per valori di inferiori a * che non per valori di superiori a * perché prezzi e salari sono in genere più vischiosi verso il basso (= non si riducono abbastanza) che non verso l’alto (= aumentano più facilmente). ** Nel BP le variazioni di hanno effetti reali sul PIL e la crescita.
Posizione e spostamenti della curva OA La curva OA “cattura” un fenomeno di BP. Infatti nel LP, quando tutti i prezzi ed i salari si sono adeguati al nuovo tasso di inflazione, la relazione tra inflazione e crescita è rappresentata di nuovo dalla retta CdS e la dicotomia classica è “ripristinata”. Perché? La posizione della curva OA dipende dal tasso di inflazione attesa E , cioè dal tasso di inflazione previsto dagli agenti economici. E’ questo infatti il tasso “incorporato” nelle loro decisioni economiche. –P.e. quando sindacati ed imprese stabiliscono i salari nominali con contratti pluriennali, lo fanno avendo in mente un dato valore di E perché da esso dipende il futuro andamento del salario reale (= ciò che davvero conta!). Le imperfezioni del sistema dei prezzi e salari diventano importanti solo quando, per effetto di un qualche shock, l’inflazione effettiva non coincide con E , cioè quando si verifica un’inflazione inattesa. Ogni curva OA ha quindi “attaccato” un preciso valore di E : sono gli scostamenti di da tale valore che danno origine alla curva OA. Tanto maggiore è l’inflazione attesa E , tanto più “alta” è la OA. –Geometricamente, da E dipende il valore dell’intercetta di OA con le ordinate. Se π rimane diverso da Eπ, gli agenti economici rivedono le loro aspettative, adeguando Eπ al nuovo livello: la curva OA si sposta.
Esempio di spostamento di OA Partiamo da una situazione in cui inflazione effettiva ed attesa coincidono: π = 2% = Eπ (punto a, sulla CdS). A causa di uno shock (p.e. un aumento inatteso dell’offerta di moneta) l’inflazione effettiva aumenta fino a π = 4%. Abbiamo inflazione inattesa π > Eπ = 2%. L’inflazione inattesa, abbinata alle imperfezioni di prezzi e salari, fa sì che lo shock abbia un effetto reale nel BP: il PIL cresce più velocemente e ci si sposta dal punto a al punto b lungo la curva OA. Nel LP le imperfezioni svaniscono (= tutti i prezzi e salari possono variare) e gli agenti adeguano le loro aspettative al nuovo livello di inflazione: Eπ = 4% = π. La curva OA trasla verso l’alto, in corrispondenza di una maggiore inflazione attesa, e ci si sposta dal punto b al punto c posto sulla CdS: in assenza di altri shock, vale di nuovo la dicotomia classica. Se si verifica un nuovo shock, si passa p.e. da c a d, e così via.
Curva OA con E = 4% Curva OA con E = 4% L’intercetta dipende dal valore di Eπ
Uno shock negativo sulla domanda Torniamo all’esempio “semplice” di shock della domanda: p.e. una riduzione inattesa dell’offerta di moneta riduce m dal 5% al 3%. Lo shock “abbassa” la retta DA da DA 1 a DA 2. Per l’approccio RBC non ci sono effetti reali: il sistema torna rapidamente alla crescita potenziale y*, sia pure ad un livello di inflazione più basso (= nuovo FEE in c). Tuttavia ora nel punto b abbiamo uguaglianza tra DA e OA: a quel livello di inflazione π 2 e per quel dato tasso di crescita (nell’esempio, una recessione y = –1%) la spesa aggregata è esattamente pari alla produzione aggregata. Per gli economisti (neo)keynesiani b è un punto di equilibrio: è un equilibrio di sottoccupazione. Invece per i “classici”/RBC b non è un equilibrio perché non è un FEE.
Effetto di uno shock della domanda y y* CdS OA DA 1 DA 2 -1% a b c Il punto b è un equilibrio? A seconda della risposta siete un economista “classico”/RBC o (neo)keynesiano. DA 1 con m = 5% DA 2 con m = 3% Eπ = π 1 π2π2 π3π3
Il meccanismo di aggiustamento “classico” Per i “classici”, quando il sistema si trova in recessione (e più in generale ogni volta che si verifica uno shock di domanda) si innesca un meccanismo di aggiustamento automatico che riporta il sistema al “vero” equilibrio macro FEE in corrispondenza di y*. Il meccanismo di aggiustamento si basa sulla reazione dei prezzi di mercato. Nel punto b l’inflazione effettiva π 2 è minore dell’inflazione attesa Eπ. Inoltre esistono risorse produttive inutilizzate perché la crescita effettiva è minore di quella potenziale. Entrambi questi fattori spingono verso il basso sia i prezzi e salari di mercato (per ipotesi perfettamente flessibili in entrambe le direzioni) che l’inflazione attesa. Questa riduzione sposta a destra la curva OA finché in corrispondenza di OA 2 si torna ad un equilibrio FEE come c, ma con un’inflazione π 3 minore rispetto all’inizio. Per i “classici” lo shock della domanda ha dunque, nel LP, soltanto un effetto nominale perché ogni effetto reale (p.e. una recessione) è solo un fenomeno di disequilibrio che viene automaticamente riassorbito.
L’aggiustamento “classico” y y* CdSOA 1 DA 1 DA 2 -1% a b c Per i “classici” b NON è un equilibrio. L’aggiustamento dei prezzi e la revisione delle aspettative di inflazione spostano la OA e riportano il sistema ad un equilibrio c lungo la CdS. OA 2 (= con Eπ minore)
Il punto di vista (neo)keynesiano L’aggiustamento classico richiede che prezzi e salari siano flessibili. Ma cosa succede se prezzi e salari sono, per vari motivi, vischiosi, cioè “lenti” od impossibilitati ad aggiustarsi, specie verso il basso? Succede che il meccanismo di aggiustamento non funziona (o funziona troppo lentamente) e quindi il sistema permane in b. La recessione è un equilibrio! In questi casi, secondo i keynesiani, è necessario un intervento “esogeno” per modificare l’equilibrio: l’azione del policy-maker. Il policy-maker può reagire ad una recessione in due modi: –Può astenersi dall’intervenire, attendendo che il meccanismo di mercato riporti prima o poi il sistema in equilibrio di LP. –Può intervenire con una politica economica c.d. “interventista” (o keynesiana) per riportare la retta DA al livello iniziale. La differenza tra l’approccio “classico” e keynesiano riflette quindi una diversa fiducia nel rapido ed efficace funzionamento dell’aggiustamento dei prezzi, cioè nella loro flessibilità. –Non a caso, Keynes era allievo di Marshall vedi aggiustamento marshalliano.
Gli shock sulle componenti della spesa Gli shock di domanda non sono dovuti soltanto alle variazioni di m. La causa principale degli spostamenti della retta DA sono in realtà i mutamenti imprevedibili ed “autonomi” delle quattro componenti della spesa aggregata C, I, G, NX. –Mutamenti “autonomi” significa che non sono causati dalla variazione di altre grandezze macro (p.e. il PIL, i prezzi o il tasso di interesse), ma avvengono per motivi esogeni al modello DA/OA. Sono quindi dei veri shock! Rappresentiamo le variazioni autonome di C, I, G, NX come cambiamenti di v, la velocità di circolazione della moneta. Perché? Perché se p.e. le famiglie vogliono consumare di più (C ), lo possono fare, a parità di offerta di moneta m, solo spendendo più velocemente il loro denaro (v ). Ma se cresce v, la retta DA si sposta verso l’alto. Viceversa se uno shock negativo su una delle componenti della spesa fa diminuire v. –N.b.: nella TQM abbiamo detto che v è stabile nel tempo. Questo rimane vero, sia nel senso che i cambiamenti di m non modificano v e nel senso che i mutamenti di v indotti da shock sulla spesa aggregata sono solo temporanei.
Il ciclo e gli shock sulla spesa aggregata L’effetto degli shock sulla spesa aggregata è pressoché identico a quello di una variazione di m. Per esempio, ipotizziamo che un’ondata di pessimismo sul futuro dell’economia riduca C ed I. La retta DA si sposta verso il basso. Il sistema passa da a a b. Per i teorici RBC, ed in generale per tutti i “classici”, lo shock sulla spesa ha natura temporanea. Il sistema ritorna alla crescita potenziale y* perché nel LP lo shock viene riassorbito (punto a), eventualmente anche grazie ad una riduzione del tasso di inflazione (= meccanismo di aggiustamento classico, punto c). –N.b.: perché si riduca permanentemente occorre che anche m si riduca. In caso contrario lo shock sulla spesa è neutrale nel LP rispetto a . Nel LP le componenti della spesa sono in effetti abbastanza stabili. Per i keynesiani, invece, il sistema permane in un equilibrio di sottoccupazione nel punto b. Il pessimismo si auto-conferma!
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Aggiustamento classico e keynesiano nel caso di shock di domanda positivo Per i keynesiani il sistema rimane in bPer i “classici” il sistema finisce in c
La grande depressione degli anni ‘30 La grande depressione degli anni Trenta negli USA può essere spiegata come una somma di shock sulla domanda aggregata. Lo shock iniziale, indotto dal crollo della Borsa di Wall Street nell’Ottobre 1929, portò ad un drastico calo dei consumi. Il panico si trasmise ai depositanti che corsero a ritirare i loro depositi. Molte banche fallirono. Nessuno si fidava più a prestare denaro. Il moltiplicatore monetario mm si ridusse. In una situazione di pessimismo e ridotto credito, anche gli investimenti crollarono. La minore domanda di prestiti causò un ulteriore calo di mm. La Banca Centrale non intervenne a contrastare il crollo (di circa il 33%!) dell’offerta di moneta e la conseguente deflazione. La grande depressione fu quindi la somma di tre shock negativi sulla DA: minori consumi, minori investimenti e riduzione dell’offerta di moneta. Ad essi si aggiunse anche una riduzione di NX indotta da una politica di dazi doganali operata da molte nazioni dopo il 1930.
N.b.: è un caso di deflazione
Uno shock petrolifero Lo shock reale “per eccellenza” è quello indotto da un aumento drastico ed imprevisto del prezzo del petrolio. –E’ successo varie volte nell’ultimo quarto del 20° secolo: vedi figura. Dato che il petrolio entra come input diretto o indiretto in tutti i processi produttivi, un’impennata del suo prezzo danneggia tutta l’economia a causa dell’aumento dei costi di produzione. Tuttavia gli shock petroliferi mostrano anche perché gli shock reali tendono ad essere temporanei. Nel tempo, infatti, le imprese adeguano i loro metodi produttivi, adottando tecnologie che consentano di risparmiare petrolio. Inoltre l’offerta di petrolio è più elastica nel LP perché il perdurare dell’aumento del prezzo rende conveniente utilizzare anche giacimenti con costi di estrazione più elevati. In breve, anche se il prezzo del petrolio rimane permanentemente più elevato, gli effetti reali dello shock scompaiono nel LP ed il PIL ritorna a crescere al tasso potenziale. –In questo caso la durata LP è quantificabile in circa 10 trimestri: vedi figura
27 | 46Cowen-Tabarrok, PRINCIPI DI ECONOMIA, Zanichelli editore S.p.A. Copyright © 2011 Scostamento di y da y*
Fattori che amplificano gli shock reali (1) Esistono diversi fattori che possono amplificare gli effetti sul tasso di crescita degli shock reali. Prezzi e salari vischiosi: come sappiamo, si tratta di un fenomeno che può rendere più grave e duratura una recessione impedendo l’aggiustamento “classico”. Sostituzione intertemporale: il fenomeno per cui agenti razionali riducono il loro impegno, o investimento, quando il rendimento dello stesso diminuisce. –Esempio: l’offerta di lavoro si riduce in momenti di crisi economica perché lavorare rende di meno. Incertezza ed investimenti irreversibili: gli shock negativi accrescono l’incertezza nel futuro; chi deve realizzare un investimento, specie se irreversibile (cioè di tipo sunk: vedi micro), può pertanto decidere di rinviarlo. –Esempio: l’attività edilizia si riduce in recessione perché costruire immobili è un investimento poco reversibile.
Fattori che amplificano gli shock reali (2) I costi di aggiustamento del lavoro: l’adattamento del lavoro agli shock non è mai immediato o perfetto perché le scelte occupazionali non dipendono solo da fattori strettamente legati al mercato del lavoro. –Esempio: la crisi economica in una regione non implica automaticamente l’emigrazione in un’altra regione. Questo ritardo nell’aggiustamento amplifica la disoccupazione ciclica. La stagionalità: le attività economiche sono concentrate in senso temporale perché è più efficiente lavorare quando anche gli altri lo fanno (c.d. coordinamento delle attività). Ma allora se un settore dell’economia va in crisi, anche altri settori lo seguiranno, a causa proprio della concentrazione temporale. –Esempio: i cicli economici stagionali vedi figura.
27 | 49Cowen-Tabarrok, PRINCIPI DI ECONOMIA, Zanichelli editore S.p.A. Copyright © 2011 Il ciclo economico stagionale Variazioni medie del PIL USA nelle diverse stagioni
Ricapitolando… Esistono due tipi di shock: shock reali e shock della domanda. Gli shock della domanda a loro volta si dividono in shock monetari ( m) e shock della spesa aggregata ( v). Gli shock sono la causa del ciclo economico, cioè delle fluttuazioni del PIL e dell’occupazione, e quindi anche della DIS ciclica. Esistono due approcci teorici al problema del ciclo economico. L’approccio “classico”/RBC analizza sia gli shock reali che quelli di domanda, ma ritiene che: 1)i primi siano più importanti e comunque gli unici che possano avere effetti permanenti sul tasso di crescita del PIL; 2) comunque il sistema torni da solo ad un equilibrio di pieno impiego (FEE) grazie al meccanismo di aggiustamento dei prezzi. L’approccio (neo)keynesiano analizza esclusivamente gli shock della domanda e ritiene che, in assenza di un intervento del policy- maker, il sistema NON riesca a tornare da solo ad un FEE, o comunque lo faccia troppo lentamente, lasciando a lungo l’economia in situazione di sottoccupazione delle risorse.
Stabilizzare la domanda aggregata Gli shock della domanda, in particolare quelli della spesa, spostano la retta DA, provocando fluttuazioni di reddito ed occupazione, fino ai casi peggiori, cioè le vere e proprie recessioni. Obiettivo delle c.d. politiche di stabilizzazione è tenere sotto controllo la DA, e quindi annullare, o comunque ridurre, le fluttuazioni cicliche. –Il policy-maker può invece fare ben poco contro gli shock reali. Nella teoria “classica” le fluttuazioni sono un fenomeno di BP. Esse però sono comunque indesiderabili perché causano una temporanea sottoccupazione delle risorse. Quindi anche nella teoria “classica” l’intervento del policy-maker può essere auspicabile per accelerare il ritorno ad FEE. Nella teoria keynesiana i costi reali di tali fluttuazioni sono ancora più evidenti, dato che il sistema può permanere a lungo (al limite, per sempre) in condizioni di sottoccupazione. Le politiche di stabilizzazione della DA sono di due tipi: politica monetaria e politica fiscale.
Politica monetaria anti-ciclica Il policy-maker – in questo caso, la Banca Centrale – può utilizzare la politica monetaria per tenere sotto controllo la DA e contrastare gli shock di domanda. Strumenti per una politica monetaria espansiva: Aumento della base monetaria mediante operazioni di mercato aperto. Riduzione del tasso di riferimento e concessione di maggiori prestiti alle banche. Tre domande: Quando? Ci riesce? Con quali effetti? In caso di shock negativo della domanda che porti il sistema ad una recessione in b, l’aumento di m sposta a destra la DA e riporta subito l’economia al suo FEE nel punto a (invece con l’aggiustamento classico il sistema sarebbe finito in c).
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I limiti della politica monetaria Stabilizzare la domanda aggregata con la politica monetaria solleva molti problemi. Primo, la BC non ha il completo controllo dell’offerta di moneta. L’espansione monetaria potrebbe quindi spostare troppo, o troppo poco, la retta DA. Secondo (in realtà una variante del primo), l’espansione monetaria potrebbe essere inefficace. E’ il caso della c.d. trappola della liquidità. –Questi sono i due motivi per cui Keynes, che nasce come economista monetario, negli anni ‘30 “abbandona” la politica monetaria e si concentra su quella fiscale. Terzo, aumentare l’offerta di moneta fa crescere l’inflazione (vedi TQM). Quarto, una politica espansiva (monetaria, ma anche fiscale) non funziona in caso di shock reale. Anzi, nel caso di espansione monetaria, l’unico risultato che si ottiene è peggiorare il terzo problema. E’ il c.d. accomodamento inflazionistico. Infatti in presenza di una recessione generata da uno shock negativo sulla DA una politica monetaria espansiva non genera eccessivi problemi dal punto di vista dell’inflazione. Ma se la recessione è dovuta ad uno shock reale (p.e. uno shock petrolifero), stimolare ulteriormente la domanda aggregata facendo crescere m, in una situazione che già in partenza è di eccesso di domanda, fa “esplodere” l’inflazione, senza alcun effetto sulla crescita del PIL. Si hanno così contemporaneamente più inflazione e meno crescita, cioè più disoccupazione. Siamo in una situazione di stagflazione, cioè il peggiore dei casi possibili. Questo è quanto accaduto dopo gli shock petroliferi negli anni ‘70 (p.e. in Italia l’inflazione superò il 25% annuo) ed ha indotto i policy-maker nel mondo ad abbandonare le politiche anti-cicliche di tipo keynesiano (peraltro concepite da Keynes per “curare” solo gli shock della domanda, non quelli reali).
29 | 55Cowen-Tabarrok, PRINCIPI DI ECONOMIA, Zanichelli editore S.p.A. Copyright © 2011 Il controllo imperfetto di m
Trappola della liquidità “E’ possibile portare un cavallo all´abbeveratoio ma non lo si può costringere a bere”: il famoso detto keynesiano durante la depressione USA degli anni Trenta descrive lo stato di un’economia in condizioni di trappola della liquidità. Con tale espressione si intende un’economia in cui la crescita del PIL è lontana da quella potenziale (y << y * ), nonostante i bassi tassi d´interesse che dovrebbero stimolare consumi ed investimenti. E’ una situazione in cui tutti preferiscono detenere liquidità piuttosto che spenderla, in particolare per investimenti. La “trappola” si genera quando i tassi d´interesse nominali sono molto bassi, al limite zero: in questi casi la moneta (circolante e depositi) domina tutte le altre attività finanziarie nelle scelte di allocazione della ricchezza per due motivi. Primo, detenere moneta ha come beneficio la possibilità di effettuare transazioni correnti; ciò ha un costo opportunità in termini del tasso di interesse che si perde sugli investimenti alternativi. Ma se il tasso è prossimo o pari a zero, i benefici superano sempre i costi. Quindi conviene sempre detenere liquidità. Secondo, se il tasso di interesse è vicino a zero è poco probabile (o impossibile, nel caso sia già zero) che possa ulteriormente scendere. L’aspettativa quindi è che in futuro il tasso non possa che salire. Ma un tasso crescente significa valori degli asset in diminuzione; nessuno quindi è disposto a comprare oggi un asset il cui valore sicuramente diminuirà domani. Meglio quindi detenere moneta liquida piuttosto che asset. Questo però impedisce il finanziamento degli investimenti. In condizioni di trappola della liquidità gli agenti economici (individui, ma soprattutto banche) sono quindi disposti a detenere qualsiasi quantità di moneta venga offerta dalla Banca Centrale: le manovre di politica monetaria di quest’ultima risultano vane. In particolare, ci aspettiamo che “crolli” il moltiplicatore monetario.
Il moltiplicatore monetario nell’economia USA
L’accomodamento inflazionistico Nel caso di uno shock reale negativo se il policy-maker segue la “ricetta” keynesiana ed espande la DA (p.e. aumentando l’offerta di moneta) per riportare la crescita ad un FEE realizza una c.d. politica di accomodamento inflazionistico. Il livello generale dei prezzi cresce a causa sia dello shock reale negativo (c.d. inflazione da costi, da a a b: l’esempio tipico è uno shock petrolifero) che dell’espansione della DA (c.d. inflazione da domanda, da b a c). L’inflazione da costi sarebbe di per sé un fenomeno transitorio (cioè dura solo finché la CdS non torna al livello iniziale). Essa però diviene un’inflazione permanente proprio perché alimentata (in gergo: “accomodata”) dall’inflazione da domanda causata dall’espansione della DA ad opera del policy-maker. Il risultato è una stagflazione: l’“esplosione” dell’inflazione ed il permanere della recessione (la crescita in c sarà comunque < y*). In realtà, come insegna l’approccio RBC, l’unico modo per assorbire uno shock reale è … aspettare che passi! (Magari favorendo nel frattempo l’adeguamento dei processi produttivi in direzione di tecnologie più efficienti).
29 | 59Cowen-Tabarrok, PRINCIPI DI ECONOMIA, Zanichelli editore S.p.A. Copyright © 2011 Accomodamento inflazionistico
y y* CdS 1 DA 1 a OA 1 Situazione di partenza: equilibrio FEE in a
y y* CdS 1 DA 2 DA 1 -2% b a OA 1 CdS 2 1. Lo shock reale (p.e. petrolifero) sposta la CdS. Abbiamo recessione in b
y y* CdS 1 OA 2 DA 1 -2% b a OA 1 CdS 2 2. La maggiore inflazione in b induce gli agenti a rivedere le loro aspettative E . La curva OA si sposta in alto a sinistra.
29 | 63Cowen-Tabarrok, PRINCIPI DI ECONOMIA, Zanichelli editore S.p.A. Copyright © 2011 y y* CdS 1 OA 2 DA 2 DA 1 -2% c b a OA 1 CdS 2 3. Il policy maker aumenta “keynesianamente” la DA. Il risultato è un’inflazione ancora maggiore in c: l’inflazione da costi è diventata inflazione da domanda (= monetaria), ma la crescita NON è tornata al livello potenziale. -1%
La disinflazione e la fiducia dei mercati La politica monetaria può essere utilizzata anche allo scopo di ridurre l’inflazione. Si parla in questo caso di disinflazione. Per far ciò occorre una politica restrittiva, cioè una riduzione della base monetaria e/o un aumento del tasso di riferimento. Se la BC opera una disinflazione, ci sono degli inevitabili effetti reali perché la riduzione di m causa uno shock negativo sulla DA. Il sistema tornerà al FEE solo quando gli agenti economici avranno adeguato le loro aspettative inflazionistiche e tutti i prezzi e salari si saranno aggiustati verso il basso – in breve, solo quando la curva OA si sarà spostata in basso a destra. Quanto più la BC è credibile nella sua politica anti-inflazione, tanto più rapidamente gli agenti adegueranno le loro aspettative e quindi tanto più veloce sarà il ritorno a condizioni di crescita pari al potenziale. La credibilità della BC è dunque cruciale per ridurre i costi reali della disinflazione. La credibilità è importante anche per un altro possibile compito della politica monetaria, ovvero il mantenimento di condizioni di fiducia nei mercati, specie quelli finanziari. Sapere infatti che, in caso di bisogno, la BC sarà pronta a – ed in grado di – aumentare la liquidità mantiene stabile la fiducia degli agenti economici nella moneta e nelle banche.
Il costo reale della disinflazione y y* CdS OA 1 DA 1 DA 2 -1% a b c OA 2 (= con Eπ minore) DA 1 con m = 5% DA 2 con m = 3% Per tutto il tempo che occorre al sistema per passare da a a b a c, avremo una crescita minore di quella potenziale (o addirittura una recessione). Questo è il costo reale della disinflazione. Più rapido è lo spostamento della OA e minore sarà tale costo.
Politica monetaria e tasso di cambio Un ultimo effetto della politica monetaria si ha attraverso il c.d. “canale estero”. Un aumento di m provoca infatti un deprezzamento del cambio nominale, dovuto all’aumento dell’offerta della valuta nazionale. –Si ricordi che il cambio nominale non è altro che il prezzo di una valuta in termini di un’altra e che, come tutti i prezzi, dipende da domanda ed offerta. Il deprezzamento stimola le esportazioni e rende più costose le importazioni. Questo perché migliora la competitività del paese (si riduce il cambio reale). Quindi il saldo della bilancia commerciale NX aumenta e con esso la spesa aggregata (v ). La retta DA si sposta in alto e l’economia si espande più del suo tasso potenziale (punto b). Tuttavia, nel LP (quando cioè i prezzi e salari interni si sono aggiustati), la maggiore inflazione riporta il cambio reale, e quindi anche NX, al valore iniziale. La crescita torna al livello potenziale e la moneta è di nuovo neutrale (punto c).
32 | 67Cowen-Tabarrok, PRINCIPI DI ECONOMIA, Zanichelli editore S.p.A. Copyright © 2011 Il “canale estero”
La politica fiscale Il termine politica fiscale si riferisce alle azioni del policy- maker relative sia alla spesa pubblica G che alle tasse T. –Dato che G e T sono le due componenti del bilancio pubblico, la denominazione più appropriata sarebbe politica di bilancio. Nel LP sappiamo che la politica fiscale influenza i risparmi, gli investimenti e la crescita (vedi mercato dei FM). Nel BP la politica fiscale influenza direttamente la spesa aggregata spostando la retta DA. –Infatti sappiamo che sia G che T sono tra le determinanti della spesa aggregata: G direttamente e T perché i consumi dipendono dal reddito disponibile Y T. Mentre nel LP è importante come lo Stato spende le risorse e dove e come le preleva, nel BP conta solo l’entità, non la “composizione” di G e T.
Gli effetti della politica fiscale sulla DA L’idea alla base della politica fiscale è semplice: in presenza di uno shock negativo della domanda si cerca di “reintegrare” la spesa aggregata per riportare la retta DA al livello precedente lo shock. La politica fiscale ha un effetto sia diretto che indiretto sulla DA. Ipotizziamo un aumento della spesa pubblica G. –Effetto diretto: G v spostamento della DA. –L’effetto indiretto si ha attraverso l’influenza della spesa pubblica sulle scelte di consumo ed investimento degli agenti privati. In realtà esistono due diversi effetti indiretti: effetto moltiplicatore (c.d. moltiplicatore keynesiano); effetto spiazzamento. Inoltre, anche la politica fiscale, come quella monetaria, può avere un effetto inflazionistico (c.d. inflazione da domanda). Questo nei casi in cui la recessione è causata da uno shock reale, per cui una politica espansiva ha un effetto accomodante (vedi sopra), oppure quando la spesa pubblica cresce troppo e “spinge” il sistema oltre la sua crescita potenziale (si ha un eccesso di spesa aggregata senza che esistano nel sistema risorse produttive per soddisfarla).
L’idea base della politica fiscale: “riportare indietro” la DA
L’effetto moltiplicatore Il moltiplicatore keynesiano funziona come quello monetario (ma non è quello monetario!). L’idea è che ogni € in più speso dallo Stato aumenta la spesa aggregata di molto più che 1€ (effetto moltiplicativo) Gli scavatori di Keynes: ipotizziamo che lo Stato usi G per pagare dei lavoratori assunti per scavare buche e riempirle (!). I lavoratori spendono (parte di) tale nuovo reddito per acquistare beni e servizi. I venditori di questi beni e servizi usano (in parte) il ricavato per acquistare a loro volta altri beni e servizi, e così via. L’effetto totale di incremento della spesa aggregata è dunque maggiore del G iniziale. Il concetto chiave del moltiplicatore è la propensione marginale al consumo PMC, ovvero la pct. di ogni € di reddito extra che ogni agente decide di spendere invece che trattenere come risparmio. –La PMC gioca un ruolo analogo al coefficiente re nel moltiplicatore monetario. Formula del moltiplicatore: mk = 1/(1 PMC) v = mk G, cioè un aumento G della spesa pubblica causa un incremento v della spesa aggregata pari a mk volte il G iniziale. –Esempio: se PMC = 80% (cioè per ogni € in più di reddito vengono spesi 80c.), sarà mk = 1/0,2 = 5. Per cui G = 100€ genera un aumento di spesa pari a 500€.
L’effetto spiazzamento La politica fiscale può avere un effetto sulla spesa aggregata molto minore di quanto previsto dal moltiplicatore keynesiano. Come fa lo Stato a finanziare l’aumento della spesa pubblica G? Se lo finanzia in deficit, dovrà emettere titoli di Stato e farsi prestare denaro dai privati. Ma se parte dei risparmi privati va a finanziare il deficit pubblico, ci saranno meno risorse nel mercato dei fondi mutuabili a disposizione degli investimenti. La spesa pubblica dunque spiazza gli investimenti I. Non solo: la riduzione di I genera a sua volta, oltre all’effetto diretto, anche un effetto moltiplicatore di segno negativo del tutto analogo al precedente. Quindi, salvo ipotizzare che il moltiplicatore associato a G sia per qualche motivo maggiore di quello associato a – I, l’aumento di spesa pubblica non produce effetti espansivi rilevanti su v, ma genera un deficit pubblico che andrà comunque ripagato. Inoltre, se il conseguente aumento del tasso di interesse sul mercato FM induce i privati a risparmiare di più, oltre agli investimenti si ridurranno anche i consumi C. Se lo finanzia aumentando le tasse, toglie ai privati risorse in misura esattamente pari a G. Si innesca un effetto moltiplicatore negativo sui consumi che compensa in parte quello positivo (solo in parte perché i privati spendono solo PMC di ogni €). Infine, l’effetto spiazzamento, oltre a ridurre l’effetto espansivo di G, cambia anche la composizione della spesa aggregata: alla fine, infatti, vi sarà in DA una maggiore componente di spesa pubblica ed una minore componente di I e (forse) C. L’effetto spiazzamento è però poco significativo quando si è in presenza di una recessione così grave che comunque i privati avrebbero bassi C ed I. In pratica, G è più efficace solo quando non c’è nulla, o quasi nulla, da spiazzare!
Gli effetti moltiplicatore e spiazzamento (4) I Legenda: 1.Shock negativo su C 2.Aumento di G 3.Effetto moltiplicatore su C 4.Effetto spiazzamento su I
La riduzione delle imposte Una riduzione delle imposte aumenta il reddito disponibile Y T delle famiglie. Parte di questo reddito extra viene consumato (C ) e parte viene risparmiato, secondo la proporzione data dalla PMC. L’effetto sulla spesa aggregata e su v è identico a quello del moltiplicatore keynesiano della spesa pubblica: v = mk T –In altre parole, una riduzione del gettito fiscale pari a T genera un incremento di spesa aggregata pari a mk volte T. –In realtà il moltiplicatore keynesiano funziona allo stesso modo per qualsiasi variazione delle componenti della spesa aggregata. Anche in questo caso si pone il problema di come lo Stato finanzia la riduzione delle entrate fiscali. E quindi anche stavolta, in caso di finanziamento in deficit, può verificarsi un effetto spiazzamento su I. Soprattutto è importante la percezione che i privati hanno della temporaneità o meno della riduzione delle tasse. Nel caso i privati prevedano che le minori tasse oggi porteranno a maggiori tasse domani (per ripagare il debito pubblico) non aumenteranno i loro consumi, o comunque li aumenteranno in misura limitata, proprio perché vorranno “mettere da parte” le risorse per pagare le maggiori tasse future. La politica fiscale espansiva in questo caso non sarà efficace. Questo risultato è noto come equivalenza ricardiana.
Pro e contro la stabilizzazione (1) Il policy-maker deve cercare di stabilizzare l’economia attraverso il controllo della DA? Su questo punto gli economisti non concordano. La tesi a favore (sostenuta in particolare dagli economisti keynesiani) è basata sull’idea che, combinando politica monetaria e fiscale, il governo possa eliminare le fluttuazioni economiche e quindi garantire che y sia sempre pari ad y*: è il c.d. fine tuning (regolazione fine) dell’economia. In pratica, è l’idea (molto ambiziosa!) che, grazie agli economisti, si possa cancellare il problema del ciclo economico. In particolare, si ritiene che il settore privato dell’economia sia intrinsecamente instabile e troppo condizionato nei suoi consumi ed investimenti da variabili psicologiche (gli animal spirits di Keynes). Dato che tale instabilità si rifletterebbe in frequenti shock della domanda, e quindi notevoli fluttuazioni del PIL, l’intervento pubblico è necessario per contrastare le ondate di pessimismo o di euforia, come pure per assorbire gli altri possibili shock esogeni. Se si lasciasse fare al mercato, il ritorno alla crescita potenziale, ammesso che si verifichi, richiederebbe troppo tempo, con costi eccessivi in termini economici e sociali.
Pro e contro la stabilizzazione (2) L’argomento contro (sostenuto in particolare dagli economisti “classici”) è basato sull’idea che tentare di stabilizzare la domanda aggregata con politiche economiche di tipo keynesiano è impossibile. Questo per una serie di motivi. Tali motivi sono: i) i ben noti limiti della politica monetaria; ii) i ritardi con cui la politica fiscale ha effetto (c.d. problema del timing); iii) l’effetto “goccia nell’oceano” (le risorse che lo Stato può utilizzare per la politica fiscale sono comunque limitate rispetto al PIL); iv) le difficoltà di previsione degli effetti e/o di raccolta di dati statistici affidabili. In particolare, il problema del timing spesso significa un ritardo tale che l’intervento pubblico giunge quando il sistema è già tornato da sé vicino alla crescita potenziale. In questi casi l’azione del policy-maker finisce per destabilizzare ulteriormente l’economia. [Si noti che il problema riguarda solo la (lenta ad agire) politica fiscale, non quella monetaria, che è invece di immediata attivazione.] Inoltre: v) le politiche di tipo keynesiano, troppo concentrate sul lato degli shock di domanda, sono inutili, se non deleterie, quando le fluttuazioni sono dovute a shock reali. In tali casi l’effetto che si ottiene è di far aumentare l’inflazione (e spesso anche il deficit pubblico) senza benefici sul piano della crescita. Sappiamo poi che: vi) le politiche fiscali generano deficit di bilancio; questo nel LP mina le possibilità di crescita del sistema economico perché sottrae risorse agli investimenti i privati. Infine: vii) se i deficit si accumulano, generando un elevato debito pubblico, lo Stato deve spendere ingenti risorse per finanziare questo debito, con conseguente aumento dei tassi di interesse (“veleno” per gli investimenti) e forte rischio di insolvenza dello Stato (= impossibilità di ripagare il debito pubblico). Ma è il motivo iv) che merita ulteriori – ed ultime! – considerazioni.
Una vecchia radio Immaginate una vecchia radio, di quelle con la sintonia “a manopola” e la “stanghetta” che indica la frequenza. I sostenitori del fine tuning credono che l’economia sia come una radio e che il policy-maker sia come un ascoltatore che, regolando la manopola e quindi spostando la stanghetta (= la spesa aggregata), può sempre trovare la frequenza desiderata (= la crescita potenziale). Il problema è che, come ci insegna il problema informativo di Hayek e Mises … la manopola non funziona bene e la stanghetta non si vede! La carenza di informazioni del policy-maker è tale che non potrà, se non in modo molto approssimativo, prevedere gli effetti sul sistema economico delle politiche di stabilizzazione. Agire con la politica economica è come cercare di trovare la sintonia giusta in una radio in cui la manopola funziona male (p.e. funziona “a scatti” e vi fa “saltare” a caso da una frequenza all’altra) e non c’è comunque alcuna stanghetta che indichi su quale frequenza siete. Forse in questi casi la cosa migliore da fare per gli economisti sarebbe essere più umili e … accontentarsi della musica trasmessa dalla stazione su cui la radio si è sintonizzata da sé.