Le donne in Grecia
La Polis ateniese del V-IV sec. a.C.: una società fortemente misogina
Ad Atene, come in gran parte del mondo greco antico, la società appare nettamente divisa in due: da una parte gli uomini, impegnati nella guerra, nei viaggi, nei commerci e nelle attività pubbliche; dall'altra le donne "dalle bianche braccia", la cui pelle non si abbronza perché esse trascorrono la maggior parte della vita rinchiuse nella casa, nelle stanze ombrose .
La condizione della donna cambia a seconda che sia schiava o che sia libera: Il destino di ogni donna ateniese era quello di sposarsi e di mettere al mondo dei figli, preferibilmente maschi. Lo scopo fondamentale del matrimonio, per un uomo, era infatti avere un figlio maschio che assicurasse la continuità del nome della famiglia. L’uomo si occupava degli affari, del lavoro, della vita sociale, mentre la donna era destinata ad occuparsi del buon andamento della casa.
Le donne trascorrevano la maggior parte del loro tempo nel gineceo (ovvero le stanze a loro destinate) con i figli e le schiave
Tessevano e filavano. Le loro uscite erano esclusivamente riservate a matrimoni o a funzioni religiose. Infatti in questo campo avevano gli stessi diritti degli uomini.
Il matrimonio Per la donna dunque tutto ciò che riguardava il matrimonio era fondamentale: tutta la sua vita ruotava intorno a quell’evento. In Atene antica, le cerimonie nuziali avevano luogo dopo il tramonto. La sposa, velata, si muoveva dalla sua casa alla casa dello sposo stando in piedi su un carro. La sua famiglia seguiva a piedi il carro, portando i regali. Amici della sposa e dello sposo illuminavano il percorso portando torce e suonando musica per spaventare i cattivi spiriti. Durante la cerimonia di matrimonio, la sposa mangiava una mela, o un altro pezzo di frutta, a simboleggiare che a partire da quel momento il suo sostentamento sarebbe dipeso da suo marito. È probabile che i regali alla coppia includessero cesti, mobilia, gioielleria, specchi, profumo, e vasi riempiti con fogliame.
La figura femminile ideale, era poco appariscente, pudica e sottomessa, dedita esclusivamente alla maternità, con un orizzonte ristretto ai lavori domestici, tra i quali primeggiano la tessitura e la preparazione del pane. Il marito poteva scegliere una concubina che generava figli legittimi e, fuori dalla casa,essere affiancato da accompagnatrici o prostitute.
Il legislatore ateniese Solone istituzionalizzò la distinzione fra donne per bene e peripatetiche. Egli abolì tutte le forme di vendita in schiavitù eccetto il diritto del tutore di vendere la donna non sposata che aveva perso la verginità.
Le uniche donne libere erano le cortigiane dette etere (in greco ἑταίραι), prostitute sofisticate, che oltre a prestazioni sessuali offrivano compagnia e con cui i clienti avevano spesso relazioni prolungate. In maggioranza ex-schiave o straniere, le etere erano colte, libere, potevano gestire i propri averi, potevano uscire a loro piacimento e avere una vita pubblica
La donna dell'antica Grecia indossava un abito ritenuto nazionale solitamente di lana chiamato peplo, successivamente nella II° metà del VI° Secolo fu sostituito dal chitone, un abito più leggero accompagnato da un mantello detto himátion o dal peplo stesso utilizzato a quello scopo.
Le spartane «Siamo le sole che generiamo uomini»
A Sparta le donne godevano di una maggiore libertà, in quanto venivano educate fuori casa, frequentavano le palestre, potevano non occuparsi della casa e non curarsi della crescita dei figli. Era più importante dedicarsi alla danza e agli esercizi ginnici, così da fortificarsi e dare alla luce figli più sani e robusti.
A Sparta le ragazze andavano a scuola all'età di 6 anni o 7 A Sparta le ragazze andavano a scuola all'età di 6 anni o 7. Vivevano, dormivano e si addestravano negli alloggi della loro sorellanza. Nessuno sa se la loro scuola fosse come crudele o dura come quella dei ragazzi, ma alle ragazze erano insegnate lotta, ginnastica e abilità di combattimento. Alcuni storici credono che le due scuole fossero molto simili, e che si tentasse di addestrare le ragazze come si addestravano i ragazzi. Gli Spartani credevano che giovani donne forti avrebbero prodotto bambini forti. All'età di 18 anni, se una ragazza di Sparta superava le sue prove di adattamento, abilità, e coraggio le veniva assegnato un marito e le era permesso di tornare a casa. Se falliva perdeva i suoi diritti di cittadina, e diventava una dei perieci. A Sparta, le donne cittadine erano libere di muoversi e godevano di molta libertà; come i loro mariti, non vivevano in casa.
Plutarco racconta un aneddoto che illustra e spiega la fierezza delle donne spartane: Un giorno una straniera disse a Gorgo, moglie del re di Sparta Leonida: «Voi spartane siete le sole donne che comandano i loro uomini». E Gorgo rispose: «Siamo le sole che generiamo uomini».
I filosofi: opinioni sulle donne
Ad eccezione di Platone, tutti gli altri filosofi greci pensavano che le donne avessero grandi emozioni dentro deboli menti come scrive Tucidide in ‘La guerra del Peloponneso’ ‘Se poi debbo accennare anche alla virtù delle donne che ora saranno vedove, indicherò tutto con una breve esortazione. Il non essere più deboli di quanto comporta la vostra natura sarà un grande vanto per voi, e sarà una gloria se di voi si parlerà pochissimo tra gli uomini, in lode o in biasimo’
Socrate riconosceva alla donna un’ uguaglianza morale Ma niente di più: né eguaglianza politica né giuridica, né, ancor meno, fisica. La sensualità era solo un ostacolo di cui la mente si doveva sbarazzare.
Secondo Platone le donne debbono essere adibite, nella città, agli stessi ruoli svolti dai maschi; è vero che le donne fanno figli, ma questa differenza non autorizza la divisione di ruolo che la polis ha posto tra maschi e femmine; per Platone il genere sessuale è adatto a dividere il genere umano solo sul piano della biologia, ma sul piano della vita sociale la determinazione sessuale non ha alcun valore. Ritiene, però, che in ognuno dei compiti svolti l’uomo finisca per eccellere sulla donna. La donna è concepita perciò come inferiore all’uomo
Aristotele è stato uno dei più convinti sostenitori della disuguaglianza tra i sessi e della superiorità maschile sulle donne. Il corpo femminile manifesta per Aristotele un fallimento sistematico in rapporto al modello rappresentato dal corpo dell’uomo: la donna è, infatti, piccola, fragile, ha meno denti, minor numero di suture craniche, ecc., tutto questo “perché le donne sono più deboli e più fredde, e si deve supporre la loro natura come una menomazione”. La differenza tra l’uomo e la donna concerne il corpo, ma la forma (l’éidos) è, per Aristotele, la medesima.
Nonostante l’éidos sia il medesimo, la sua trasmissione ai nuovi nati dipende non da entrambi i genitori, ma solo dal padre. La madre fornisce, invece, la materia, in sé totalmente passiva, che viene messa in forma dalla forma. Come portatrice della materia, la donna viene concepita come elemento puramente passivo, mentre il maschio, che è portatore dell’èidos, come l’elemento attivo. Pur condividendo, come si è visto, uno stesso éidos con l’uomo, la donna ne incarna, perciò, nient’altro che la versione difettosa.