Storia della colonna infame
Storia editoriale La Storia della colonna infame era parte integrante della prima stesura dei Promessi Sposi, il Fermo e Lucia (1823) Venne poi rielaborata come opera autonoma e riedita in Appendice all’edizione definitiva dei Promessi Sposi (1840)
Cap. XXXII dei Promessi Sposi Nel cap. XXXII dei Promessi sposi viene affrontato il tema della peste del Questo avvenimento tragico fa da sfondo agli avvenimenti raccontati nella Storia della colonna infame «Gli animi, sempre più amareggiati dalla presenza de’ mali, irritati dall’insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza, ché la collera aspira a punire : e, come osservò acutamente, a questo stesso proposito, un uomo d’ingegno, le piace più d’attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi ».
Colonna infame La “colonna infame” fu una vera e propria colonna eretta nel luogo in cui sorgevano la casa e la bottega di Giangiacomo Mora, uno dei principali accusati del processo contro gli untori del «A perenne memoria dei fatti il senato comandò che questa casa, officina del delitto, venisse rasa al suolo con divieto di mai ricostruirla e che si ergesse una colonna da chiamarsi infame.»
Via Giangiacomo Mora
La trama in breve Il 21 giugno del 1630 a Milano è una giornata di pioggia. Nel quartiere di Porta Ticinese due popolane, Caterina Rosa e Ottavia Boni, affacciate alla, notano un uomo coperto da un mantello nero con il cappello calato sul viso, camminare rasente una casa.
Gugliemo Piazza: il primo indiziato senza prove Il capitano di giustizia, chiamato sul luogo per esaminarlo, conferma i timori della gente, scorgendo dei segni di unto, nonostante il muro fosse stato prontamente bruciato prima e imbiancato poi. Dopo rapide e superficiali indagini la polizia arresta un tale Guglielmo Piazza, uno dei commissari di sanità incaricati in quei tempi di contagio di controllare la situazione igienica delle strade, e che era effettivamente l’uomo visto quella mattina.
La promessa dell’impunità e la «confessione» I torturatori gli promettono al Piazza ingannevolmente l’ impunità qualora riveli il nome dei suoi complici. L’accusato si illude di trovare in questo modo una via di fuga, e denuncia l’ignaro barbiere Giangiacomo Mora, che aveva la bottega nei pressi della via in cui si sarebbe svolto il ‘crimine’.
La condanna del Mora Dopo una rapida e sommaria perquisizione, prendendo spunto dal ritrovamento di una sostanza untuosa e della ricetta dell’“antidoto”, le guardie arrestano Giangiacomo Mora. Comincia così il tormento del Mora, dapprima interdetto e poi sempre più drammaticamente cosciente della gravità della sua situazione. Sottoposto a tortura, finisce per dichiarare quanto i giudici vogliono sentirsi dire, e comincia qui tutta una serie di confronti e contraddizioni fra il Piazza e il Mora, che porteranno a nuove torture e al coinvolgimento di altri innocenti.