La learned helplessnes (impotenza appresa) definisce quel particolare atteggiamento rinunciatario, di un soggetto, poco propenso a cercare di modificare.

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La learned helplessnes (impotenza appresa) definisce quel particolare atteggiamento rinunciatario, di un soggetto, poco propenso a cercare di modificare il corso degli eventi, in seguito alla ripetuta esposizione a situazioni incontrollabili.

è lo stato psicologico in cui niente di ciò che decidi di fare ha un effetto su ciò che ti accade; si tratta di un fenomeno legato alla percezione del sé che non si sente in grado di esercitare un qualche controllo sugli eventi

Imparare, quindi, che un evento è incontrollabile (apprendere l’evento) ostacola la possibilità di apprendere che le risposte possono invece modificare gli eventi, creando così un deficit cognitivo

si parla pertanto di una distorsione cognitiva riguardante la percezione della propria incapacità di modificare l’ambiente

L’individuo che presenta un senso d’impotenza appresa, infatti, percepisce se stesso come relativamente inefficiente nell’esercitare il controllo sugli eventi significativi della vita, soprattutto quelli che coinvolgono l’iniziativa personale. Ciò conduce all’aspettativa cognitiva che anche in futuro egli sarà egualmente inefficiente, comportando una diminuzione dei tentativi di iniziare risposte strumentali e un aumento del livello di disforia: l’individuo può ridurre le risposte al punto tale di non darne più, giungendo così all’impotenza

L’esperimento L’espressione learned helplessness viene usata per la prima volta nel 1965 da Seligman, per indicare il comportamento apatico e la ridotta capacità di apprendere risposte di evitamento, o fuga, in cani in precedenza sottoposti ad una serie di scosse elettriche irrefrenabili ed inevitabili. Seligman M. E. P e Maier S. F., (1976), Learned helplessness: Theory and evidence, Journal of Experimental Psychology: General, 105, pp

L’esperimento in questione venne chiamato “triadico”, perché implicava contemporaneamente tre gruppi di animali:  Un primo gruppo in cui i cani venivano sottoposti ad una serie di scosse evitabili.  Un secondo gruppo in cui gli animali venivano sottoposti ad una serie di scosse identiche, ma impossibili da sfuggire.  Un terzo gruppo detto “gruppo di controllo”, in cui i cani non venivano sottoposti a nessuna scossa.

Successivamente gli animali venivano condotti all’interno di un box, in cui venivano sottoposti, tutti e tre i gruppi, a scosse che potevano facilmente evitare saltando la bassa barriera che delimita il box. In pochi secondi il cane del primo gruppo che aveva imparato a controllare le scosse, sottoposto alle scosse, reagiva prontamente saltando la barriera; anche il cane del terzo gruppo, quello che precedentemente non aveva ricevuto alcuna scossa, faceva lo stesso.

Invece, il cane che aveva fatto esperienza dell’inefficacia delle sue risposte per interrompere la scossa, nonostante potesse facilmente vedere la bassa barriera che lo divideva dalla zona del box senza elettricità, non faceva alcun tentativo di scappare e presto si arrendeva, rimaneva sdraiato mentre subiva passivamente le scosse nel box; senza scoprire che le scariche elettriche si sarebbero potute evitare semplicemente saltando la barriera

il modello venne proposto in seguito ad osservazioni sugli effetti di procedure sperimentali in cui i soggetti venivano sottoposti a stimoli fastidiosi o stressanti durante l’esecuzione di semplici compiti, senza la possibilità di sottrarsi o controllare in qualche modo questi fattori di disturbo; questo tipo di procedura detta induzione sperimentale di learned helplessness, provocava un peggioramento della qualità delle risposte e delle strategie adottate, aveva effetti negativi sullo stato emotivo ed affettivo dei soggetti e sulla loro capacità di apprendere semplici risposte in un tempo successivo: le persone, come gli animali, diventavano passive e rassegnate e andavano spesso incontro all’impotenza appresa.

tre tipi di deficit: Motivazionale: ritardo nell’emissione di risposte appropriate in situazioni in cui gli eventi sono controllabili. Cognitivo: difficoltà nel percepire la relazione tra risposte emesse e risultati. Affettivo/emotivo: depressione.

Fuori dal laboratorio si può generare uno stato analogo in seguito a situazioni, o ad eventi, che sembrano scoraggiare ogni capacità di resistenza; in molti casi il senso di impotenza si sviluppa in seguito ad aventi che sembrano aver svuotato l’individuo di ogni fiducia, di ogni volontà di reazione, di ogni capacità di autodeterminazione.

Una caratteristica dell’impotenza umana viene identificata in quella che è chiamata “impotenza vicaria”: l’osservazione di persone, per molti versi simili, che non riescono a raggiungere i propri obiettivi o ad affrontare situazioni problematiche possono accrescere nell’osservatore la convinzione di non riuscire anch’egli ad affrontare situazioni o eventi negativi simili.

Successivamente Peterson e altri collaboratori,con l’intento di indagare le correlazioni esistenti tra i vari fallimenti che un individuo può compiere nel tentativo di adattarsi all’ambiente e l’impotenza appresa, proposero tre criteri formali con cui giudicare il meglio di ogni applicazione : non contingenza oggettiva mediazione cognitiva generalità cross-situazionale del comportamento passivo Peterson C., Maier S. F., & Seligman M. E. P., (1993), Learned helplessness: A theory for the age of personal control, New York: Oxford University Press, p. 95.

non contingenza oggettiva tale criterio sostiene che l’impotenza appresa è presente solo quando non esiste contingenza tra azioni e risultati e va tenuta ben distinta dalla passività appresa (nella quale le risposte attive sono in modo contingente punite e/o le risposte passive sono incentivate).

l’impotenza appresa implica un caratteristico modo di percepire e spiegare gli eventi, soprattutto quelli negativi.

L’impotenza appresa è mostrata attraverso la passività anche in situazioni diverse da quella in cui l’incontrollabilità è stata per la prima volta provata. Gli autori mettono in relazione questa caratteristica dell’impotenza con fenomeni da essa derivanti come il ritardo cognitivo, la tristezza, l’aggressività ridotta e la debolezza fisica.

Lyn Abramson, Martin Seligman e John Teasdale nel 1978 riformularono il modello dell’impotenza, prendendo in considerazione la teoria attribuzionale di Weiner.

Tale teoria nasce dal contesto della ricerca sulla motivazione al successo e mira ad illustrare le modalità attraverso le quali una persona attribuisce eventi, comportamenti o risultati di azioni, proprie o altrui, a diversi tipi di cause; Weiner asserisce che le attribuzioni possono variare in base a tre dimensioni: Internalità (o locus di causalità) Stabilità Controllabilità

Internalità (o locus di causalità) se una persona ritiene che certi risultati positivi del suo comportamento siano dovuti alla sua abilità, si avrà un caso di attribuzione interna (riguarda la persona stessa), stabile (l’abilità è una caratteristica permanente della persona), ad alta controllabilità (attraverso la sua abilità la persona assume di essere in grado di controllare gli eventi);

Internalità (o locus di causalità) se invece il soggetto ritiene che il risultato sia dipeso soltanto dalla fortuna, farà un attribuzione a cause esterne, instabili e incontrollabili

Stabilità Se l’attribuzione causale è stabile nel tempo (“ciò sarà per sempre così”), ne scaturirà un modello di impotenza “duraturo”; se invece la causa è attribuita a un evento momentaneo, l’impotenza sarà “transitoria”.

Controllabilità Se la causa è globale (“ciò rovinerà qualsiasi cosa”), ne conseguirà un’impotenza “diffusa” che si manifesterà in diverse situazioni; se specifica alla situazione considerata, l’impotenza sarà “circoscritta”. Infine, se la causa è attribuita ad una caratteristica interna all’individuo (“è tutta colpa mia”), l’autostima dello stesso individuo cadrà sotto livelli minimi; se esterna, l’autostima rimarrà intatta.

lo stile esplicativo Abramson e Seligman propongono di affiancare la dimensione della globalità, suggerendo un modello a quattro dimensioni ortogonali. L’analisi delle attribuzioni di successi ed insuccessi nei soggetti è dunque realizzata in base a quattro dimensioni: Internalità – esternalità. Stabilità – instabilità. Globalità – specificità. Controllabilità – incontrollabilità.

L’interazione fra le dimensioni dell’attribuzione e le caratteristiche della depressione è così descritta: La globalità dell’attribuzione determina la generalità della depressione. La stabilità determina la cronicità. L’internalità determina il livello di autostima. La certezza della non- contingenza e l’importanza del risultato determinano l’intensità della depressione.

Il punto centrale della teoria riformulata è “l’attesa” di non contingenza, cioè la sensazione di inefficacia di qualsiasi risposta non solo nel presente, ma anche nel futuro. L’attribuzione di non contingenza è dunque condizione necessaria, ma non sufficiente per il manifestarsi della learned helplessness: affinché l’impotenza appresa si manifesti, l’attribuzione deve produrre un’attesa di non contingenza, cioè deve essere unita a un’attribuzione di stabilità.

Un'altra novità rispetto al primo modello è la distinzione, in base alla quattro dimensioni, tra helplessness universale (convinzione che un evento negativo sia indipendente dal proprio come dall’altrui controllo), che è compatibile con un alto grado di autostima, e helplessness personale (convinzione che altri, ma non il soggetto stesso, sarebbero in grado di produrre risposte efficaci nell’impedire determinati eventi negativi) legata a bassi livelli di autostima.

I deficit dell’autostima nella helplessness dipenderebbero, insomma, dall’attribuzione di fallimenti e fattori non controllabili dalla persona particolare, ma non necessariamente incontrollabili per chiunque.

All’interno di questa nuova teoria dell’impotenza appresa viene preso in considerazione un altro costrutto : lo stile esplicativo. Lo stile esplicativo è « il modo in cui abitualmente spieghi a te stesso perché accadono gli eventi »; uno stile esplicativo caratterizzato da un’interna, stabile e globale spiegazione degli eventi negativi è definito “pessimistico”, mentre chiameremo “ottimistico” uno stile esplicativo caratterizzato da esterne, momentanee e specifiche spiegazioni degli stessi eventi negativi. Seligman M. E. P., (2005), Imparare l’ottimismo, op. cit., p.12.

Lo stile esplicativo è caratterizzato da tre dimensioni fondamentali: permanenza, pervasività e personalizzazione. La prima, determina per quanto tempo una persona si arrende e produce un’impotenza di tipo duraturo. La seconda dimensione, invece, riguarda lo spazio e può essere specifica o universale: le spiegazioni universali degli eventi producono impotenza in molte situazioni, mentre le spiegazioni specifiche creano impotenza solo nell’area specifica in cui il soggetto percepisce di essere in difficoltà. La terza dimensione, al contrario delle precedenti, si riferisce solo a come l’individuo percepisce se stesso, e può essere interna o esterna a seconda se si attribuisce a se stessi ( interna) o gli altri (esterna), la responsabilità dell’esito negativo di un evento.

In accordo con la riformulazione attribuzionale, quindi, lo stile esplicativo non è la causa di problemi, ma piuttosto un fattore di rischio disposizionale : il modo in cui ci si spiega gli eventi può rendere impotente ( stile esplicativo pessimistico), oppure fornire la forza necessaria per affrontare un’improvvisa avversità (stile esplicativo ottimistico).

due tipi di atteggiamento relativamente alle richieste in ambito scolastico: uno volto all’acquisizione di competenze, definito mastery oriented, caratterizzante individui che non si scoraggiano di fronte alle difficoltà e agli errori, ma sono stimolati a migliorare le proprie strategie; l’altro, definito helpless, si riscontra in individui che, a parità di capacità potenziali e prestazioni iniziali, reagiscono alle sconfitte peggiorando notevolmente le prestazioni e diminuendo gli sforzi. Dweck C.S., e Licht B. G., (1980), Learned helplessness and intellectual achievement. In J.Garber e M. E. P. Seligman (a cura di), Human Helplessness: Theory and application, New York, Academic Press.

comportamento mastery oriented considerano gli insuccessi come stimoli ad impegnarsi di più manifestano stati emotivi più positivi verso il compito esprimono prognosi ottimistiche sui propri risultati adottano strategie efficaci e le mantengono o migliorano dopo un insuccesso fanno uso in modo costruttivo di autoistruzioni e automonitoraggio, cioè cercano di tenere adeguatamente sotto controllo le operazioni cognitive che svolgono

comportamento helpless considerano gli insuccessi come prove della loro inadeguatezza e scarsa abilità manifestano stati emotivi decisamente negativi esprimono prognosi pessimistiche riguardo ai propri risultati peggiorano le loro strategie progressivamente dopo il verificarsi di insuccessi perdono la concentrazione e si distraggono con pensieri e verbalizzazioni irrilevanti

I due quadri comportamentali appaiono correlati con due diversi schemi di attribuzione relative a successi e fallimenti; si fa riferimento al gruppo di quattro attribuzioni proposto da Weiner come illustrazione del suo modello attribuzionale, in base alle dimensioni della stabilità e del locus di controllo: abilità ( = stabile, interna) sforzo ( = instabile,interno) fortuna ( = instabile,esterna) difficoltà del compito ( = stabile,esterna)

Quando viene richiesta una scelta fra queste possibili attribuzioni, i soggetti helpless tendono ad attribuire i successi a fattori esterni e instabili, e gli insuccessi a fattori interni e stabili.

alcune differenze nel comportamento di maschi e femmine: le donne sarebbero più portate ad esibire helplessness, farebbero previsioni più pessimistiche sulle prestazioni future, tenderebbero ad un maggior evitamento delle prove, a una maggiore svalutazione delle proprie prestazioni e ad attribuire gli insuccessi a scarsa abilità, i maschi, invece, li attribuirebbero più frequentemente a fattori esterni o a scarso impegno

Si ipotizza che queste differenze fra i sessi siano causate da diversi atteggiamenti assunti dagli educatori, che favorirebbero le bambine nelle valutazioni scolastiche e riproverebbero i maschietti più per la condotta e lo scarso impegno, che per le capacità intellettive.

I soggetti helpless, in sintesi, presentano rispetto a quelli mastery oriented : minori aspettative di successo futuro sottostima dei propri successi sopravvalutazione delle prestazioni altrui rispetto alle proprie maggior vulnerabilità al fallimento, con conseguente aumento di pessimismo convinzione che il successo non indica abilità e dunque non predice successi futuri mostrerebbero più attività e pensieri irrilevanti o estranei al compito.

I due diversi atteggiamenti si distinguerebbero anche in base alla fonte dell’autostima: per chi abbia un concetto di sé come insieme di tratti fissi e stabili, l’autostima sarebbe sostenuta dalla dimostrazione di abilità e adeguatezza, per chi invece consideri il sé come insieme di qualità malleabili, l’autostima crescerebbe con l’aumento della competenza, tramite apprendimento.

In particolare gli autori hanno analizzato la relazione tra i diversi obiettivi (prestazione o apprendimento) e il grado di abilità percepita : un obiettivo di prestazione unito a percezione di abilità elevata porterebbe ad un comportamento di tipo mastery oriented (acquisizione di competenze), mentre se unito a percezione di scarsa abilità porterebbe alla helplessness. Un obiettivo di apprendimento produrrebbe invece sempre un comportamento di tipo mastery oriented, indipendentemente dal livello di abilità percepita.

Tale teoria è stata, infatti, di fondamentale importanza per la riformulazione del modello della learned helplessness, ad opera di Abramson e Seligman per i quali il ruolo principale, nel manifestarsi dell’impotenza appresa, viene affidato all’attesa di non contingenza, cioè alla sensazione di inefficacia di qualsiasi risposta non solo nel presente, ma anche nel futuro.

nella prospettiva delineata da Zimmerman e Rappaport, partendo dalla condizione di learned helplessness, il punto di arrivo del processo di empowerment è la learned hopefullness, ovvero l’acquisizione della fiducia in sé e l’apprendimento della speranza, derivante dal controllo sugli eventi tramite la partecipazione e l’impegno nella propria comunità. Zimmerman M. A., Rappaport J., (1988), Citizen partecipation, percived control and psychological empowerment, American Journal of Community Psychology, 5, pp

un intervento efficace sui problemi di apprendimento non può prescindere dal prendere in considerazione il peso che questo fenomeno ha nella gestione degli stessi molte pratiche educative possono contribuire a sviluppare questa sensazione di sentirsi incapace

ridurre la complessità del materiale didattico ad un livello più lento del necessario l’uso smisurato del rinforzo esterno e materiale, utilizzato per favorire l’apprendimento ed un comportamento corretto negli alunni

otto strategie fondamentali: Condividere la responsabilità con gli alunni. Informare l’alunno sui suoi punti di forza e debolezza. Saper difendere se stesso. Imparare a prendere decisioni. Imparare a stabilire obiettivi e risolvere razionalmente problemi (problem solving ). Modellare risposte verbali positive. Modificare gli atteggiamenti. Mettersi in moto gradualmente.