Guido Cavalcanti Lezioni d'Autore
La tragica dialettica di Amore nelle Rime di Guido Cavalcanti, il più grande tra gli Stilnovisti e uno dei maggiori poeti italiani di tutti i tempi.
La figura e l’opera di Guido Cavalcanti, popolata da presenze fantasmatiche e caratterizzata da una musicalità malinconica e sfumata, spiccano nel panorama della letteratura italiana per la loro grandezza e per l’influsso che hanno esercitato sia sulla cultura del loro tempo, sia su quella successiva. Una indagine sulla natura ossimorica di Amore, che può causare la perdita di sé e al tempo stesso può innalzare lo ‘spirito’ che ha ferito. Il ‘teatro metafisico’ dell’opera di Cavalcanti.
La vita e l’indole Nato a Firenze intorno al 1258, figlio di quel Cavalcante che troviamo tra gli eretici nel canto X dell’Inferno, Guido apparteneva a una delle famiglie più nobili della città. Grande amico di Dante, partecipò con passione alle vicende politiche della sua epoca, schierandosi con i Guelfi Bianchi. Fu tra i rappresentanti del Consiglio del Comune e la sua turbolenta attività politica culminò con l’esilio a Sarzana nel maggio del 1300, fu però richiamato a Firenze, forse a causa della malaria, e morì ad agosto di quello stesso anno.
Nel Decameron (VI, 9) Boccaccio ci offre un bellissimo ritratto di Guido Cavalcanti, definendolo «un de’ miglior loici che avesse il mondo e ottimo filosofo naturale», nonché «leggiadrissimo e costumato e parlante uom molto». Tra le inclinazioni di Guido, la filosofia rivestiva certamente un ruolo di primordine, ed essa costituisce un elemento fondante della sua poetica. Infatti, la tematica amorosa, protagonista assoluta del suo Canzoniere (52 componimenti, fra cui 36 sonetti, 11 ballate e 2 canzoni), viene strutturata alla luce di un pensiero filosofico rigoroso e si cristallizza in un canone determinante per la futura lirica amorosa.
Giorgio Vasari (scuola di), Sei poeti toscani Dante, Petrarca, Boccaccio, Guido Cavalcanti, Marsilio Ficino e Cristofano Landino, 1544
“Luce” e “scuritate”: la tragica dialettica di Amore Nella grande canzone ‘manifesto’, Donna me prega, Cavalcanti si propone di svolgere un’indagine sulla natura di Amore, utilizzando termini e concetti della filosofia e della scienza. Amore è originato «d’una scuritate / la qual da Marte vène» (vv. 17-18). Per spiegare questo processo, Cavalcanti paragona l’azione della “scuritate” a quella della luce che - usando la terminologia della Scolastica - pone in atto la trasparenza di un corpo diafano. Dunque fin dai primi versi si allude alla natura ossimorica di Amore, che «assiso ‘n mezzo scuro, luce rade» (v. 67).
Amore può innalzare lo «spirito» che ha ferito. La perdita di sé, intesa come disgregazione del soggetto e non come estasi mistica, è solo una possibilità, il rovescio tragico della tensione verso il sommo bene. Le poesie di Cavalcanti riflettono l’indagine degli effetti generati dall’attuarsi di questa possibilità.
Il potere di Amore è illimitato e la sua essenza inconoscibile e ineffabile. Portando all’estremo la lezione di Guinizzelli, Cavalcanti estende queste qualità alla donna-angelo, usando a volte un linguaggio biblico o proprio della letteratura mistica. La donna viene così accostata a Dio, assume le caratteristiche di una dea, e la sua lode si fa sempre più stilizzata e astratta. Come quella di una divinità, la sua manifestazione è luminosa, «fa tremar di chiaritate l’âre» (Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira, v. 2). Il suo ‘saluto’, però, sembra essere tutt’altro che salvifico: quando l’amante, vittima della ferocia di Amore, perde il controllo, perde la propria integrità.
Cavalcanti dà vita a una sorta di “teatro metafisico”, in cui recitano, personificati e astratti, gli «spiriti» (termine scientifico per indicare le diverse facoltà fisiche e psichiche dell’uomo) nei quali sono frantumate le identità del poeta, della donna, e del tiranno Amore. Per armonizzare la natura ossimorica di Amore, Guido Cavalcanti fu costretto a usare le armi dello stile. Il lucore sfumato e la malinconia della sua musica «dolce» sono lo specchio dell’oscuro disastro che accompagna lo splendore della donna.
Modellato su quello di Guinizzelli, lo stile di Cavalcanti è caratterizzato da: lessico tendenzialmente piano, rapporto metrica-sintassi disteso, privo di inarcature forti, o spezzature interne al verso esclusione di suoni aspri e rime o costruzioni retoriche troppo ardite. Volendo usare un’espressione del Montale de I limoni, potremmo dire che lo stile di Guido Cavalcanti si distingue per la sua “dolcezza inquieta”.
FINE Lezioni d'Autore