Testo: Luca 18, 9-14 / 30 Tempo Ordinario –C- Comementi e presentazione: M. Asun Gutiérrez Cabriada. Musica: Delibes. Preghiera. Le parabole sono il migliore specchio del modo di vivere di Gesù: vicino alla gente umile, attento agli ascoltatori, solidale con i piccoli, ammiratore della natura, buon conoscitore e osservatore della vita quotidiana, possessore di un cuore sensibile, di una ricca immaginazione, di fine umorismo. Le parabole sono “esemplificazioni della parola”, fanno attecchire la narrazione: Dio si fa presente, chiama e interpella, consola e conforta. Il regno di Dio conquista il cuore. Dovremmo narrare il vangelo di Gesú così come si realizza. Così Gesù raccontava le parabole. José Arregi
Luca 18, 9-14 Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: La parabola del fariseo e del pubblicano è un bel testo, esclusivo di Luca. Le persone destinatarie della parabola non si identificano per il numero ma perché assumono determinati atteggiamenti. Gesú dedica la parabola alle persone minacciate dal peccato di orgoglio spirituale, che si credono giuste, con una arroganza che si mantiene solo giudicando e criticando gli altri.
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano La parabola è paradossale e scandalosa. I farisei rappresentavano i buoni, i pii, gli stretti osservanti, fedeli alla legge e alle tradizioni religiose. Un fariseo era “ufficialmente” un giusto. I pubblicani rappresentavano una categoria di gente sospetta, i cattivi che, in politica, raccoglievano i tributi e collaboravano con il nemico oppresore del popolo e, in religione, erano considerati per niente pii. Un pubblicano era ufficialmente un peccatore. Benché si presentino allo stresso Dio, manifestano due modi di preghiera, due atteggiamenti spirituali, due modi di credere e di accostare Dio. Dei due atteggiamenti contrapposti, uno è rifiutato da Gesù, l’altra accolto.
Il fariseo, di ieri e di oggi, si crede puro, giusto, diverso, migliore e superiore rispetto agli altri, possessore, in esclusiva, della verità e col diritto a giudicare, disprezzare e condannare. Il cuore della sua preghiera èil suo stesso io: io digiuno, io pago, io prego..., io esigo. Il fariseo non dialoga con Dio. Il suo ringraziamento è un monologo di autocomilacenza. Una persona cosí si nega all’amore e all’accoglienza di Dio come amore, Padre/Madre di tutti. Incasello le persone in buoni e cattivi? Giudico le persone per la loro fama o per l’aspetto? Mi considero migliore degli altri, con meriti “maggiori” e diritti davanti a Dio? Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. ATTENTI Territorio IPOCRITA
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Il pubblicano, con piena fiducia, si apre con umiltà alla misericordia divina. Dialoga con Dio. E’ ben cosciente di tutti i peccati che pesano su di lui. Nonostante ciò che si possa dire di lui, la sua unica speranza di sentirsi accolto è Dio. Lo stesso Dio che altri usano per mettergli addosso la paura e la percezione di sentirsi rifiutato. Il pubblicano cerca, ha bisogno di accoglienza, di dolcezza, della comprensione di Dio, del Dio che non si ritrova nelle istanze pubbliche ed ufficiali della religiosità tradizionale, che lo giudica e lo rinnega.
La liberazione, la riconciliazione, non è frutto delle buone azioni compiute, ma èun dono gratuito di Dio. Gesù, di sicuro, si pone dalla parte del pubblicano, di chi è emargimato dalla maggior parte degli uomini, che non trova un gruppo in cui inserirsi, ma che trova accoglienza nel cuore di Dio. Il pubblicano ha perso e riottenuto la misericordia di Dio con il suo atteggiamento semplice e umile. Guarda al futuro, si apre alla esperienza gioiosa dell’amore di Dio e alla speranza di una nuova vita. Può tornare a casa sua, ritrovare la sua quotidianità, la sua condizione personale, le sue relazioni professionali e famigliari. Come prima, ma tutto è rinnovato grazie allo sguardo amorevole di Dio. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».
C’è qualcosa di peggio che avere idee sbagliate: è avere idee fisse. C’è qualcosa di peggio che avere una coscienza cattiva, e anche più grave che farsi una mala coscienza: è avere una coscienza ritenuta perfetta. C’è qualcosa di peggio che avere uno spirito perverso: è avere uno spirito adattabile. Ed è proprio perchè i migliori, i “buoni”, quelli, almeno, che diciamo “buoni” e a cui piace essere definiti così non hanno crepe nella loro armatura, non vengono mai feriti! Dato che non mancano di niente, non si fa loro niente. Lo stesso amore di Dio non si interessa affinché non ricevano ferite. Proprio perché era a terra ferito, quell’uomo fu raccolto dal samaritano. Perché era sporco il volto di Gesù, fu ripulito dalla Veronica. Per aver mostrato le sue ferite, le sue pene e il suo amore, Gesù perdonò la donna pentita. Così, perciò, colui che non è mai “caduto” non verrà mai sollevato; e quello che mai si è sporcato, mai sarà ripulito. I “buoni” non sono permeabili alla grazia. Péguy, Ch. Péguy, Ch.