Le parafrasi delle poesie di D. Alighieri, F. Petrarca e U. Foscolo

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Transcript della presentazione:

Le parafrasi delle poesie di D. Alighieri, F. Petrarca e U. Foscolo

A Zacinto (U. Foscolo) Non toccherò mai più le sacre rive Dove giaceva da fanciullo, Zacinto mia, che ti specchi nelle onde del mare greco da cui è nata vergine (Venere) e rendeva fertili quelle isole feconde con il suo primo sorriso, per poteva non cantare delle tue limpide nubi e della tua vegetazione, ___________________________________ Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito verso di colui che l’acque _______________________________

cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura. ______________________________ che cantò il peregrinare nel mare e l'esilio di Ulise, in seguito al quale , reso famoso anche per le sue sventure, ha baciato la sua rocciosa Itaca. O materna mia terra, tu avrai solo la poesia di tuo figlio (Foscolo); a noi il destino ha prescritto una sepoltura che non sarà confortata dalle lacrime (dei parenti, cioè in paese straniero) ______________________________

A Zacinto è uno dei sonetti più famosi di Foscolo, composto nel 1803. In esso viene celebrato l'isola greca di Zacinto (Zante), luogo di nascita di Foscolo, che era costretto ad abbandonare. Il tema: l’esilio il sentimento nostalgico nei confronti dell’isola Zante, dove il poeta è nato. l'amore per la patria, lontana e irraggiungibile. La triplice negazione iniziale esprime la convinzione del poeta di non poter tornare Il poeta non celebra soltanto la sua patria, ma anche la Grecia classica, attraverso figure mitiche che incarnano i valori della classicità e di Foscolo: Venere, simbolo della bellezza, Omero, poeta come Foscolo e infine Ulisse, che come il poeta fu costretto all'esilio, ma è riuscito a tornare ad Itaca. Il sonetto si chiude con la previsione della morte di Foscolo lontana da Zacinto: “Il fato "prescrisse" questa "illacrimata sepoltura".  Centrale è l'elemento dell'acqua, sia a livello tematico, sia sul piano stilistico. L'acqua, a livello tematico, è un elemento di continuità, da cui nasce la bellezza, Venere, che con il solo sguardo infonde bellezza a tutto il creato.

LIVELLO LESSICALE - Le parole chiave del sonetto sono tutte quelle che contengono: a) la parola onde: sponde, onde, feconde e fronde - indicano la fertilità di Venere, portatrice di vita. b) giacque, nacque, tacque nelle quali è racchiusa la parola acque - richiama al poeta le sventure di Ulisse nel Mediterraneo. L’analisi stilistica: più enjambements, iperbato asonanze, alliterazioni una litote (non tacque)

U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente; mi vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de’ tuoi gentili anni caduto: la madre or sol , suo dì tardo traendo parla di me col tuo cenere muto: ma io deluse a voi le palme tendo; e se da lunge i miei tetti saluto _________________________________ Un giorno, se io non andrò sempre vagando di nazione in nazione, mi vedrai seduto sulla pietra (della tua tomba), o fratello mio, piangendo la tua giovane età. Solo la madre ora, trascinandosi dietro la sua vecchiaia,parla di me con tuo cenere muto, intanto io tendo senza speranza le mani a voi;e saluto da lontano i miei tetti. ___________________________________

sento gli avversi Numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta; e prego anch’io nel tuo porto quïete questo di tanta speme oggi mi resta! straniere genti, l’ossa mie rendete allora al petto della madre mesta. _________________________________ Avverto l’ostilità del fato e i segreti //tormenti che tormentavano la tua Esistenza //e invoco anch’io la pace nella tua morte Questo, di così tante speranze, oggi mi resta!Gente straniera, quando morirò, restituite le mie spoglie al petto della madre triste. ______________________________

Temi: la morte del fratello (Il sonetto “In morte del fratello Giovanni” è dedicato appunto al fratello Giovanni che si era ucciso nel 1801 a Venezia per motivi legati a debiti di gioco) il culto della patria il culto della tomba (un motivo frequente nelle poesie di G. Pascoli, la tomba del fratello Giovanni diventa il centro degli affetti di una famiglia; nei Sepolcri a questa funzione della tomba si aggiunge un valore politico: la tomba degli uomini forti e grandi può ispirare coraggiose imprese ai connazionali); L’amore materna (la madre è in funzione dell’intermediario tra il poeta ed il fratello)

Il sonetto, a rime alternate ABAB ,ABAB, ABA BCB Figure: Le allitterazioni delle consonanti t, r, d varie asonanze: il dominio delle vocali o ed e. la metonimia (su la tua pietra – la pietra per la lapide) le metafore (che al viver tuo furon tempesta, il fior dei tuoi gentili anni ) vari iperbati (il fior dei tuoi gentili anni caduto) una sinestesia (cenere muto) più enjambement (1-2 verso ;9-10 verso; 13-14 verso) la sineddoche ("i miei tetti saluto“ – i tetti per le case)

GIOVANNI PASCOLI: La mia sera Il giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c'è un breve gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei poppi trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! Che scoppi! Che pace, la sera! Si devono aprire le stelle nel cielo sì tenero e vivo. Là, presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo. Di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell'aspra bufera, non resta che un dolce singulto nell'umida sera.

È, quella infinita tempesta, finita in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d'oro. O stanco dolore, riposa! La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell'ultima sera. Che voli di rondini intorno! Che gridi nell'aria serena! La fame del povero giorno prolunga la garrula cena. La parte, sì piccola, i nidi nel giorno non l'ebbero intera. Nè io...e che voli, che gridi, mia limpida sera!

Don...Don...E mi dicono, Dormi! mi cantano, Dormi! sussurrano, Dormi!bisbigliano, Dormi! là, voci di tenebra azzurra... Mi sembrano canti di culla, che fanno ch'io torni com'era... sentivo mia madre...poi nulla... sul far della sera.  

Dai calici aperti si esala l'odore di fragole rosse. GIOVANNI PASCOLI: Il gelsomino notturno   E s'aprono i fiori notturni, nell'ora che penso a miei cari. Sono apparse in mezzo ai viburni le farfalle crepuscolari. Da un pezzo si tacquero i gridi. là sola una casa bisbiglia. Sotto l'ali dormono i nidi, come gli occhi sotto le ciglia. Dai calici aperti si esala l'odore di fragole rosse. Splende un lume là nella sala. Nasce l'erba sopra le fosse.

Un'ape tardiva sussurra trovando già prese le celle. La Chioccetta per l'aia azzurra va col suo pigolìo di stelle.   Per tutta la notte s'esala l'odore che passa col vento. Passa il lume su per la scala: brilla al primo piano: s'è spento. È l'alba: si chiudono i petali un poco gualciti; si cova, dentro l'urna molle e segreta, non so che felicità nuova.