Crisi valutarie, crisi bancarie e crisi del debito sovrano Attacchi speculativi e crisi valutarie Crisi valutarie: modelli di prima e seconda generazione (cenni a modelli di terza generazione) Crisi che si auto-avverano Integrazione finanziaria e crisi Esempio: la crisi del Sistema Monetario Europeo del 1992. Costi delle crisi valutarie Interrelazioni tra crisi valutarie, crisi bancarie e crisi del debito sovrano Contagio Sostenibilità dei regimi di cambio: una visione bipolare Forme moderne di cambi fissi di tipo rigido. Cambi fissi rigidi e aggiustabili: costi e benefici
Attacchi Speculativi Come funziona la speculazione sui mercati valutari? Supponiamo che uno speculatore si aspetti una svalutazione del Peso Messicano, e abbia 1.000 Dollari da investire. Suponiamo che all’inizio (prima dell’attacco speculativo) il tasso di cambio Peso/Dollaro sia pari a 1, ovvero si possono scambiare Pesos con Dollari in rapporto di 1:1 Lo speculatore può rivolgersi ai mercati finanziari e ottenere un prestito a breve termine in Pesos, offrendo i 1000 dollari come garanzia. La leva finanziaria è tale per cui lo speculatore può ottenere un prestito di 10.000 Pesos (=10.000 $) per un mese al tasso mensile, ad esempio, dell’ 1%, con 1000 dollari di garanzia.
Come funziona la speculazione sui mercati valutari? Ottenuto il prestito, lo speculatore può convertire 11.000 Pesos in 11.000 Dollari al tasso di cambio corrente (1:1). Supponiamo che alla fine del mese il Peso si sia davvero svalutato nei confronti del dollaro, ad es. del 20%. Lo speculatore può ora riconvertire la somma di 11.000 Dollari in Pesos e, a un cambio nominale di 1 Dollaro = 1,2 Pesos, otterrà 13.200 Pesos A questo punto, dopo aver ripagato debito e interessi per un totale di 10.100 Pesos, allo speculatore rimarranno 3.100 Pesos (o 2583 dollari al cambio corrente). Si noti che l’investimento iniziale di 1000 dollari (usati come garanzia per il prestito) si trasforma dopo un mese in 2583 dollari: La speculazione ha fruttato un rendimento del 158.3% mensile!
Attacchi Speculativi e Crisi Valutarie Durante un attacco speculativo sulla valuta, gli investitori nazionali ed esteri trasformano enormi somme da attività finanziarie denominate in valuta nazionale in attività finanziarie denominate in valuta estera, provocando disavanzi economici della bilancia dei pagamenti che minacciano di esaurire lo stock di riserve ufficiali. Quali sono le opzioni che la banca centrale ha di fronte per evitare l’esaurimento delle riserve? Aumentare enormemente il tasso di interesse, nel tentativo di fermare i deflussi di capitale, con effetti nefasti in termini di produzione e occupazione, ed effetti incerti quanto all’arresto delle fughe di capitali Abbandonare la parità di cambio (svalutare) * Un’ improvvisa forte svalutazione della valuta nazionale, preceduta da un’emorragia di riserve ufficiali e un aumento dei tassi di interesse configura il collasso di un regime di cambio fisso, ovvero una crisi valutaria. * Nota: in regime di cambi fissi (“hard pegs”), la crisi valutaria si manifesta con una richiesta di intervento internazionale di sostegno, come la chiusura del mercato dei cambi, il blocco alla mobilità dei capitali etc, piuttosto che con una svalutazione. Nota: gli attacchi speculativi sul tasso di cambio possono colpire anche paesi in cambi flessibili. Tuttavia: i) l’incertezza circa l’andamento futuro del tasso di cambio aumenta il rischio e tende a porre un freno alla speculazione; ii ) la speculazione sui cambi flessibili non è necessariamente destabilizzante …
Crisi Valutarie Le crisi valutarie (o crisi del tasso di cambio) sono simili ad altri tipi di crisi finanziarie (ad. es le crisi bancarie o le crisi del debito), in cui un’entità economica non è più in grado di onorare i propri impegni. Sono fenomeni molto frequenti, e hanno colpito sia paesi industrializzati che paesi emergenti e in via di sviluppo. In alcuni casi hanno avuto conseguenze molto pesanti per le economie interessate. Grosse recessioni attribuite a crisi valutarie includono ad esempio la crisi del Messico nel ‘94-’95, la crisi dei Paesi Asiatici nel’97-’98, la crisi in Russia nel ‘98 e la crisi in Argentina del 1999-2002).
Perché avvengono le crisi valutarie? In generale l’insorgenza di una crisi valutaria si ha quando l’impegno della banca centrale a difendere il tasso di cambio entra in conflitto con qualche altro obiettivo economico. Nel corso del tempo (e con il manifestarsi di crisi dalle caratteristiche diverse) sono stati proposte tre generazioni di modelli utili per spiegare le crisi valutarie. - Nei modelli di prima generazione un paese mantiene un tasso di cambio fisso, ma nel contempo attua politiche fiscali espansive finanziate con l’espansione del credito interno. Nei modelli di seconda generazione un paese fronteggia un trade-off tra diversi obiettivi (ad esempio mantenimento del tasso di cambio contro espansione del livello di attività economica e dell’occupazione, mantenimento della salute del sistema finanziario etc. La banca centrale valuta il beneficio del mantenimento del tasso di cambio annunciato in contrapposizione al il costo derivante dal sacrificare gli altri obiettivi . Nei modelli di terza generazione (che non tratteremo), uno degli elementi centrali è che le crisi valutarie non possono essere considerate come disgiunte dalle crisi bancarie: al contrario crisi bancarie e valutarie sarebbero crisi gemelle, che vanno modellate come fenomeni interrelati. Poiché le variabili che interagiscono risultano essere così tante da rendere difficile includerle tutte in un modello analitico, si è sviluppato in parallelo l’approccio degli indicatori (che utilizza un gran numero di indicatori per far luce sulla vera catena causale)
Crisi valutarie: modelli di prima generazione Il tasso di cambio è fisso (ma aggiustabile), e la banca centrale è allo stesso tempo impegnata a finanziare un ricorrente deficit fiscale, comprando direttamente i titoli di Stato emessi dal Tesoro. La banca centrale è disposta a onorare il proprio impegno sul tasso di cambio solo nella misura in cui ciò sia compatibile con l’obiettivo fiscale. Questa politica implica un continuo aumento di BC periodo dopo periodo (Si noti che questo tipo di crisi è possibile solo con cambi aggiustabili, in cui la banca centrale può decidere variazioni di BC ) Ma come sappiamo (vedi diapositiva 11 gruppo precedente) gli aumenti di Bc saranno completamente controbilanciati da una pari riduzione di EF*C (poiché la tendenza alla riduzione di i interno provoca una tendenza al deprezzamento che la b.c. deve contrastare vendendo valuta estera). _ EF*C0= M0-BC0 Nel tempo Bc continua ad aumentare e F*c continua a diminuire. Al tempo t* lo stock di riserve ufficiali sarà esaurito, e la banca centrale non sarà più in grado di supportare il prezzo della valuta nazionale : il tasso di cambio fisso dovrà essere abbandonato. M, Bc _ EF*C1= M-BC1 M Gli attacchi speculativi possono aggravare il problema, in quanto accorciano t* e anticipano la crisi. BC1 BC0 tempo t1 t*
Crisi valutarie negli anni ‘70 e ‘80 Molte crisi valutarie sperimentate dai paesi dell’America Latina nel corso degli anni ‘70 e ‘80 sono ben descritte con gli elementi dei modelli di prima generazione. La decisione di adottare un regime di cambi fissi da parte di questi paesi fu spesso dettata dalla necessità di stabilizzare alti tassi di inflazione Tuttavia, la lenta stabilizzazione dell’inflazione in molti casi detrminò un inevitabile apprezzamento del tasso di cambio reale, con conseguente deterioramento della competitività e della produttività Ulteriori ingredienti erano: squilibri fiscali ( deficit fiscali protratti nel tempo), monetizzazione del debito e costante pressione sui tassi di interesse, con conseguente erosione delle riserve ufficiali.
Esempio: Crisi valutaria in Messico, 1982: Gli squilibri fiscali costituivano in questo caso il principale ingrediente della crisi. Il Messico mantenne un cambio fisso con il dollaro dal 1978 al 1982. La crisi fu alimentata da un massiccio incremento del tasso di crescita del credito interno, per coprire i continui deficit fiscali. La crisi culminò con una svalutazione del 60% nel febbraio 1982 Nella prima metà del 1982, il Messico dovette abbandonare il regime di cambio fisso, avendo subito una perdita dei 2/3 delle proprie riserve di valuta estera.
Durante gli anni ‘90 ci sono stati molti episodi di crisi le cui caratteristiche non potevano essere interpretate alla luce dei modelli di prima generazione. Questi fenomeni non sono sempre stati associati con un chiaro deterioramento dei fondamentali (problemi di deficit fiscale etc. …) Tali crisi sembravano essere emerse dal nulla. Questo è stato il caso, ad esempio, di alcuni paesi all’interno del Sistema monetario Europeo tra il 1992 e il 1993. Questo ha portato allo sviluppo di modelli di seconda generazione.
Modelli di crisi: seconda generazione Immaginate un’economia in regime di cambi aggiustabili, con perfetta mobilità dei capitali che si trovi in una recessione. Quali sono le alternative di politica economica? Stimolo fiscale (che tutta via non sempre è uno strumento di stabilizzazione molto flessibile) Svalutazione del tasso di cambio Pertanto, l’obiettivo sul tasso di cambio è in conflitto con l’obiettivo di stabilizzare il PIL, e potrebbe essere ottimale per la banca centrale optare per l’obiettivo interno rinunciando all’obiettivo sul tasso di cambio. Ma la semplice aspettativa di future svalutazioni del tasso di cambio potrebbe dar origine ad attacchi speculativi e grossi deflussi di capitali …(forte aumento del tasso di interesse, che peggiora la recessione, oppure emorragia di riserve ufficiali, che rende l’obiettivo sul tasso di cambio via via meno credibile…
Crisi valutarie che si auto-avverano L’esempio precedente suggerisce che una crisi valutaria potrebbe avvenire in presenza di scelte della banca centrale che massimizzano il benessere quando l’economia cade in recessione . Ma il problema potrebbe anche essere peggiore… Supponiamo che l’economia sia in equilibrio di pieno impiego, ma che per nessuna ragione apparente i mercati comincino ad aspettarsi una futura svalutazione … Tale aspettativa potrebbe di per se causare una recessione, e se la banca centrale cerca di contrastare la recessione con una svalutazione, l’aspettativa apparentemente arbitraria di una svalutazione si rivela corretta! L’esempio delinea una crisi valutaria che si auto-avvera Se obiettivo della banca centrale comprende la stabilizzazione dell’economia reale, e se la banca centrale vuole e può usare il tasso di cambio come strumento di politica economica (il che avviene con cambi aggiustabili), un risultato di questo tipo non può essere escluso. In conclusione: i cambi aggiustabili sono potenzialmente vulnerabili a crisi valutarie quando la mobilità dei capitali è elevata.
Integrazione finanziaria internazionale e crisi Se la mobilità dei capitali è imperfetta, il cambio fisso è più facile da sostenere, in quanto ciascuno dei meccanismi che sottendono una crisi valutaria tende ad operare più debolmente. Nelle condizioni descritte dai modelli di prima generazione: al crescere di BC nel tempo, F*C si riduce meno che proporzionalmente, e questo prolunga la vita del tasso di cambio. Nelle condizioni descritte dai modelli di seconda generazione: la banca centrale mantiene spazi di autonomia della politica monetaria, e dispone quindi di uno strumento aggiuntivo (in aggiunta alla politica fiscale e di cambio) per contrastare la recessione. Pertanto gli agenti economici hanno meno ragioni per anticipare una svalutazione in condizioni di recessione (ci si può aspettare una svalutazione quando un’espansione monetaria è da escludere per altre ragioni, ad esempio quando lo stock di riserve ufficiali è inadeguato e potrebbe essere depauperato dai flussi di capitale associati con un’espansione monetaria). Quanto al potenziale di attacchi speculativi e crisi che si autoavverano: con imperfetta mobilità dei capitali la curva BB rimpiazza la CPTI , e quando Set+1↑ la curva BB trasla verso l’alto, ma meno rispetto all’aumento atteso del rendimento delle attività estere in valuta nazionale. Il tasso di interesse interno aumenta, ma non tanto quanto l’entità della traslazione verso l’alto della curva BB. Pertanto le aspettative di una futura svalutazione sono meno dannose per l’economia interna, e le autorità monetarie possono contrastarle, ed evitare una svalutazione effettiva. I cambi aggiustabili tendono ad essere più robusti ad attacchi speculativi se la mobilità dei capitali è imperfetta: quanto minore è il grado di integrazione con i mercati finanziari mondiali tanto minore è la probabilità di attacchi speculativi e crisi valutarie che si autoavverano.
La Crisi del meccanismo dei tassi di cambio Europeo Il meccanismo dei tassi di cambio Europeo fu introdotto nel marzo 1979, come parte del Sistema Monetario Europeo (SME), per ridurre la variabilità dei tassi di cambio e promuovere la stabilità monetaria in Europa, in preparazione per l’Unione Economia e Monetaria e l’introduzione di una moneta unica. Ogni paese partecipante fissava il valore della propria valuta nei confronti di un paniere artificiale di valute, l’ECU (European Currency Unit). L’ECU era un’unità monetaria composta da una media ponderata di valute europee. Sulla base di queste parità espresse in ECU, veniva calcolata una griglia (la Griglia di Parità), e le fluttuazioni delle valute dovevano essere contenute entro un margine del 2,25% al di sopra o al di sotto dei tassi bilaterali (con l’eccezione della Lira Italiana e della Peseta Spagnola, che potevano fluttuare entro un margine maggiore (+ o - 6%). Interventi sul mercato dei cambi e accordi di prestito evitavano fluttuazioni dei tassi di cambio maggiori di quelle stabilite. L’ECU fluttuava nei confronti delle altre maggiori valute nel mondo.
La crisi del 1992 - 1 La stabilità del Meccanismo dei tassi di cambio Europeo fu disturbata da due eventi che ebbero luogo alla fine degli anni ‘80 : L’abolizione dei controlli ai movimenti di capitali che creò una situazione di fatto equivalente a una perfetta mobilità dei capitali tra i paesi aderenti. La riunificazione tedesca Per combattere le pressioni inflazionistiche scatenate dai massicci investimenti pubblici mirati a stimolare la convergenza della Germania dell’Est alla Germania Occidentale, la Bundesbank aumentò i tassi di interesse, causando un apprezzamento del Marco Tedesco rispetto al Dollaro USA e allo Yen.
La del 1992 – 2 I paesi europei che ancoravano le proprie valute al Marco Tedesco, ed erano finanziariamente integrate con la Germania furono forzate non solo a seguire l’apprezzamento del Marco rispetto a $ e ¥, ma anche ad “importare” gli alti tassi di interesse tedeschi, per mantenere le parità di cambio stabilite. Ciò era in conflitto con gli obiettivi interni di alcuni paesi all’interno dello SME (la Gran Bretagna e l’Italia, ma anche la Francia), che all’epoca stavano sperimentando dinamiche recessive. Il loro obiettivo esterno (mantenere la parità di cambio rispetto al Marco Tedesco) era in conflitto con l’obiettivo interno (sostenere produzione e occupazione interne). In Italia inoltre (a differenza che in GB o in FR), i “fondamentali” non erano buoni: il tasso di cambio sopravvalutato e alti deficit pubblici contribuivano a generare ulteriori preoccupazioni circa la sostenibilità del conto corrente e della parità del cambio (si tenga conto inoltre che in un paese con alto debito pubblico il costo di un aumento dei tassi di interesse è maggiore che in altri paesi). Nel giugno 1992 la Danimarca rigettò il Trattato di Maastricht con un referendum. Un analogo referendum doveva tenersi in Francia in settembre. La situazione sollevava dei dubbi circa il futuro dell’unione monetaria, e indeboliva i benefici percepiti dai singoli paesi di rimanere all’interno del sistema dei tassi di cambio…
La crisi del 1992 - 3 I mercati iniziarono a speculare su una svalutazione attesa in Italia. Anche la Gran Bretagna e la Francia furono soggette ad attacchi speculativi, nonostante i loro fondamentali economici fossero solidi, diversamente da quelli italiani. Gli attacchi speculativi determinarono massicci deflussi di capitali da questi paesi verso la Germania. Per sostenere la Lira i tassi di interesse interni aumentarono enormemente, e furono necessari massicci interventi sul mercato dei cambi da parte della Banca d’Italia, ma ciò nonostante il 13 settembre 1992 la Lira fu svalutata. La Germania ridusse i tassi di interesse, ma le riduzioni erano percepite come insufficienti dai mercati finanziari. Anche in Gran Bretagna l’aumento dei tassi di interesse non riuscì a fermare i deflussi di capitali e il 16 settembre anche la GB uscì dal sistema (il costo di rimanerci era evidentemente considerato troppo elevato) In Francia, invece, le aspettative di una svalutazione non furono corrette: I francesi difesero il tasso di cambio con successo nonostante I ripetuti attacchi speculativi. La Francia non era un paese altamente indebitato: questo aspetto ridusse in modo significativo il costo del rialzo dei tassi di interesse in seguito agli attacchi speculativi. Inoltre il governo francese era impegnato nella costruzione del Sistema Monetario Europeo (mentre la Gran Bretagna non lo era)
Qual è l’entità della svalutazione dopo una crisi Qual è l’entità della svalutazione dopo una crisi ? L’esempio della crisi Europea del 1992
Crisi valutarie nei mercati emergenti negli anni ‘90 La combinazione di tassi di cambio fisso e alta mobilità dei capitali è implicata in molte crisi valutarie avvenute nei mercati emergenti nel corso degli anni ‘90, che possono essere interpretate con gli ingredienti dei modelli di seconda generazione (in alcuni di questi paesi): - Messico, 1994 - Crisi dei paesi Asiatici, 1997 - Russia, 1998 - Brasile, 1999 - Argentina, 2001
Qual è l’entità della svalutazione dopo una crisi valutaria Qual è l’entità della svalutazione dopo una crisi valutaria? L’esempio dei mercati emergenti negli anni ‘90
Le slide precedenti suggeriscono che: 1. Le crisi valutarie avvengono sia nei paesi avanzati che nei paesi emergenti e in via di sviluppo. 2. L’entità della crisi, come misurata dal deprezzamento del cambio dopo la crisi, tende ad essere molto maggiore nei paesi emergenti e in via di sviluppo che nei paesi avanzati E le conseguenze sul PIL e sulle altre altre variabili reali?
I costi reali delle crisi valutarie Poco prima delle crisi, in tutti i paesi la crescita del PIL è inferiore al normale dello 0,5-1% … … ma dopo una crisi paesi avanzati e paesi emergenti e in via di sviluppo reagiscono in modo diverso. Nei paesi avanzati la crescita accelera, ed è al di sopra del normale entro il secondo o terzo anno dopo la crisi. Invece nei paesi emergenti e in via di sviluppo la crescita precipita: 3% al di sotto del normale nell’anno della crisi, circa 2.5% al di sotto del normale nel 1° e 2° anno dopo la crisi, e ancora al di sotto del normale dell’ 1% nel 3° anno dopo la crisi. Nei paesi emergenti e in via di sviluppo dopo 3 anni dalla crisi la riduzione cumulata della crescita del PIL rispetto a periodi normali è del 10% : una recessione grave, con serie ripercussioni economiche e sociali!
Perché le crisi valutarie sono state così dannose per i paesi emergenti e in via di sviluppo? L’esperienza degli anni ‘90 ha insegnato che le crisi valutarie in questi paesi sono state associate con altri tipi di crisi finanziarie, molto dannose per l’economia: le crisi bancarie e le crisi del debito. Le crisi bancarie e le crisi del debito hanno effetti perversi sull’economia perché arrestano i flussi di credito all’interno dei paesi e tra paesi. Crisi valutarie, crisi bancarie e crisi del debito spesso avvengono simultaneamente, il che amplifica i costi di ciascuna crisi.
Crisi Valutarie, bancarie e del debito sovrano Crisi valutaria Crisi bancaria Crisi sovrana Messico 1994 si no Thailandia 1997 Russia 1998 Brasile 1998 Ecuador 1998 Ucraina 1998 Argentina 2001 Fonte; Roubini e Setser (2004)
Le relazioni tra crisi valutarie e crisi bancarie In occasione di attacchi speculativi, la difesa del tasso di cambio richiede cospicui aumenti dei tasso di interesse, che possono determinare il deterioramento della qualità dell’attivo bancario e fenomeni di razionamento del credito (con effetti negativi sul livello di attività economica). In termini più precisi, gli interventi condotti sui mercati valutari a sostegno del cambio producono una riduzione delle riserve ufficiali, che si traduce di fatto in una riduzione delle riserve bancarie. Ne deriva una riduzione del credito e della quantità di moneta, che produce un deterioramento del grado di solvenza delle banche stesse. Inoltre non è da escludere la possibilità che lo stesso attacco speculativo sia condotto utilizzando i depositi bancari. In questo caso, l’aspettativa di una svalutazione del tasso di cambio induce gli operatori a convertire i depositi denominati in valuta nazionale in depositi denominati in valuta estera, con conseguente pressione sul tasso di cambio. L’eventuale difesa del cambio utilizzando riserve ufficiali provoca un calo delle riserve a disposizione delle banche, il che aggrava ulteriormente i problemi, forzando ulteriori deflussi di capitale. Nel caso in cui la svalutazione si realizzi vi sarà un drastico aumento delle passività bancarie (tra cui i nuovi depositi in valuta estera), con rischi di illiquidità e insolvenza tanto maggiori quanto maggiore è il mismatch valutario tra attività e passività bancarie e quanto minore il grado di copertura contro il rischio di cambio.
Le relazioni tra crisi valutarie e crisi bancarie Inoltre, se accanto al tradizionale canale di raccolta costituito dai depositi nazionali le banche utilizzano un ulteriore canale di raccolta rappresentato da prestiti bancari esteri (indebitamento verso l’estero il cui sviluppo consente l’erogazione di una maggiore quantità di credito), un arresto e un cambiamento di direzione dei flussi internazionali di capitali genera una duplice condizione di illiquidità, sia bancaria che internazionale che può velocemente degenerare. Anche in questo caso, nell’eventualità che la svalutazione si realizzi, il valore delle passività bancarie aumenta (tanto di più quanto minore il grado di copertura dal rischio di cambio), aumentando la fragilità del sistema e la probabilità di crisi bancaria. Più in generale, in seguito al processo di liberalizzazione finanziaria, è pratica comune per le banche dei paesi emergenti (ma anche per le famiglie e per il settore pubblico) avere una quota consistente delle attività e passività denominate in valuta estera (dollarizzazione finanziaria). Ciò espone i soggetti interessati al rischio di cambio, tanto più rilevante quanto maggiore è il grado di mismatch valutario tra poste attive e passive di bilancio. Un’eventuale svalutazione della valuta nazionale provoca un’immediata riduzione del capitale proprio, dovuta al maggior valore delle passività rispetto a quello registrato dalle attività. Anche laddove il sistema bancario eviti un eccessivo currency mismatch, esso può essere esposto indirettamente al rischio di cambio attraverso il currency mismatch dei soggetti a cui le banche hanno erogato il credito (settore privato e settore pubblico se non adeguatamente coperti dal rischio di cambio).
Le relazioni tra crisi valutarie e crisi bancarie Dall’altro lato vi sono casi in cui il tentativo di preservare la stabilità bancaria/finanziaria è in conflitto con il mantenimento di un tasso di cambio stabile. Pensiamo al caso in cui il sistema bancario abbia sviluppato nel tempo elementi di fragilità (es. caduta del valore delle attività, prestiti in sofferenza etc. che determinano perdite vicine al valore del capitale netto). In tal caso eventuali operazioni di salvataggio realizzate dalla banca centrale (mediante immissione di liquidità a vantaggio del sistema bancario) confliggono con l’obiettivo della stabilità valutaria. Se gli operatori anticipano che, per sostenere il sistema bancario, la banca centrale attuerà una politica monetaria espansiva, si possono formare aspettative di deprezzamento che rendono più probabile un attacco speculativo e una crisi valutaria
Costi stimati delle crisi bancarie (attraverso il salvataggio o la ricapitalizzazione)
Le relazioni tra crisi valutarie e crisi bancarie Riassumendo: Esiste una relazione causale bidirezionale tra crisi valutarie e crisi bancarie. La probabilità di una crisi bancaria aumenta significativamente quando un paese sperimenta una crisi valutaria. e viceversa La probabilità di una crisi valutaria aumenta significativamente quando un paese sperimenta una crisi bancaria.
Le relazioni tra crisi valutarie e crisi sovrane Nei mercati emergenti spesso si osservano crisi valutarie associate a crisi del debito sovrano (che sono peraltro concentrate in questi paesi, al contrario delle crisi valutarie e bancarie) Perché un episodio di crisi valutaria potrebbe aumentare la probabilità di una crisi del debito, in particolare nelle economie emergenti e in via di sviluppo? Perché la struttura del debito nei paesi emergenti li rende particolarmente vulnerabili a tutte le forme di volatilità dei mercati finanziari. Rispetto ai paesi avanzati , i paesi emergenti e in via di sviluppo : Sono più indebitati - Sono gravati di una quota del debito estero sul debito totale maggiore (in particolare in America Latina) - Hanno un debito estero di durata più breve e, soprattutto Sono indebitati in valuta estera (dollarizzazione delle passività). Con la dollarizzazione del debito, la svalutazione associata a una crisi valutaria aumenta sia il valore del debito che il costo del servizio del debito. La svalutazione riduce il potere d’acquisto della produzione interna nei confronti dei beni esteri, il che aumenta considerevolmente le difficoltà a servire il debito. Questo può aumentare il peso del debito a livelli intollerabili e indurre i creditori a ridurre la loro disponibilità a prestare…
Le relazioni tra crisi valutarie e crisi sovrane Dall’altro lato una crisi del debito potrebbe aumentare le probabilità di una crisi valutaria… Se un paese sperimenta una crisi del debito, il governo perde accesso a prestiti interni ed esteri, e può far pressioni per ottenere un finanziamento diretto dalla banca centrale. L’estensione del credito da parte della banca centrale, analogamente al caso di crisi bancarie, può minacciare la tenuta del tasso di cambio …
Triple crisi Quali possono essere i meccanismi che provocano lo scoppio di una crisi che è al contempo crisi del debito, crisi bancaria e crisi valutaria? Sulla base dell’esperienza storica (Bordo e Meissner, 2005) è possibile ricostruire una sequenza di eventi di questo tipo: L’aumento dei tassi di interesse sui mercati internazionali comporta il deterioramento dei bilanci sia delle banche che delle imprese non finanziarie La riduzione della ricchezza netta delle impese e l’aumento dei crediti inesigibili delle banche comporta una sostanziale contrazione del credito erogato, che provoca una contrazione del livello di attività economica. Gli investitori esteri, data la situazione di crisi, possono uscire dalle loro posizioni anche in tempi brevi (tanto di più quanto il debito estero è a breve termine). Si genera un arresto e un cambio di direzione nei flussi di capitali finanziari Il ridotto finanziamento erogato dal resto del mondo determina difficoltà sia per le imprese, che per le banche che per lo Stato. Se il capital reversal produce una crisi di bilancia dei pagamenti e una drastica correzione del tasso di cambio, le difficoltà di cui sopra sono aggravate dagli effetti negativi sui bilanci indotti dalla dollarizzazione delle passività e dal mismatch valutario. A questo punto una crisi non solo valutaria, ma anche bancaria e del debito sovrano diventa probabile, per effetto di elementi non solo di natura interna, ma anche di carattere internazionale ….
Contagio Gli attacchi speculativi alle valute di diversi paesi tendono ad essere temporalmente correlati. Ciò a dato origine alla letteratura sul «contagio», secondo cui gli attacchi speculativi sarebbero come malattie infettive, che si diffondono per contagio. Tuttavia, le malattie infettive non contagiano solo le persone già deboli ma anche persone sane. E’ possibile estendere la similitudine alle valute e affermare che gli attacchi speculativi su una valuta disallineata possono diffondersi a valute apparentemente solide? La domanda ha ovviamente importanti implicazioni di politica economica internazionale: una risposta affermativa giustificherebbe il salvataggio del paese sotto attacco speculativo (da parte di organizzazioni internazionali, altri governi o gruppi di altri governi (tipo i G-7)), per evitare il contagio ad altri paesi «sani».
Contagio In uno dei primi studi empirici sul contagio, condotto su dati per 20 paesi industrializzati su un periodo di 30 anni, Eichengreen e al. (1996) trovano evidenza di contagio, e trovano che il contagio si diffonde più velocemente tra economie legate tra loro da legami commerciali internazionali che tra economie con fondamentali macroeconomici simili. I risultati sono in linea con il modello teorico di Gerlach e Smets (1995), che mostra come il contagio possa colpire non solo paesi con fondamentali deboli, ma anche pasi con fondamentali solidi: un tasso di cambio fisso perfettamente sostenibile in assenza di un attacco su un’altra valuta può essere attaccato e collassare nel caso in cui l’altra valuta venga attaccata con successo. Ciò è accaduto, ad esempio durante la crisi del Sistema Monetario Europeo nel ‘92-’93: - l’attacco al Regno Unito e il deprezzamento della sterlina a settembre ‘92 hanno danneggiato la competitività dell’Irlanda (per cui il R.U.è il maggior mercato di esportazione), provocando l’attacco alla sterlina irlandese all’inizio del ’93. - La svalutazione in Finlandia nell’agosto ‘92 ha avuto ripercussioni negative i Svezia (in questo caso gli esportatori finlandesi e svedesi concorrevano sugli stessi mercati terzi) -l’attacco alla Spagna e la svalutazione della peseta hanno danneggiato la competitività internazionale del Portogallo (per cui la Spagna è un grosso mercato di esportazione), e provocato un attacco allo scudo portoghese nonostante l’assenza di problemi nei fondamentali. Intuizione: Il collasso di una valuta provoca l’apprezzamento dell’altra (ancora ancorata), una riduzione della sua competitività e una caduta della sua produzione prezzi. La domanda di moneta nella seconda economia si riduce, il tasso di interesse si riduce, e ciò provoca una perdita di riserve ufficiali, che riduce la capacità del paese di fronteggiare un eventuale attacco speculativo …
Contagio I legami commerciali internazionali non sono, tuttavia, l’unico possibile canale di trasmissione del contagio. Ad esempio è difficile argomentare che la pressione causata dal collasso del Peso Messicano nel 1994 non solo sulle economie Latino Americane ma anche sulle economie del Sudest Asiatico sia dipesa unicamente da legami commerciali internazionali. Argentina e Brasile avevano forti rapporti commerciali con il Messico, ma lo stesso non può dirsi per Hong Kong, Malesia e Tailandia. Analogamente, il contagio della crisi in Russia a paesi come Argentina, Brasile, Pakistan, Venezuela e Sud Africa (paesi in cui a seguito della crisi russa si sono avuti cospicui fenomeni di capital reversal) non può essere imputato a canali commerciali : si devono considerare anche le interrelazioni finanziarie. Uno dei canali finanziari evidenziati in letteratura che può spiegare i casi di contagio sopra citati ad es. è quello del common bank lender effect (effetto del finanziatore bancario comune) Si consideri il caso di due paesi A e B con cambi fissi ed entrambi fortemente dipendenti dal credito erogato dal sistema bancario del paese C. Una crisi valutaria in A comporta perdite per le banche del paese finanziatore (C): con grosse esposizioni teli perdite possono essere particolarmente elevate. Le banche di C dovranno riassestare il loro rapporto capitale su attività, riaggiustare la loro esposizione al rischio etc. e cercheranno di rientrare dalle loro esposizioni verso il paese B. Questo provocherà un capital reversal in B che potrebbe dare avvio a un contagio. Nel caso del contagio dalla crisi Messicana il creditore comune erano gli USA. Nel caso della crisi dei paesi asiatici il creditore comune era il Giappone. Nel caso della crisi Russa il creditore comune era la Germania. … Si noti che qualsiasi altro tipo sofferenza finanziaria nelle banche di C potrebbe avere effetti simili su A e B. Si noti inoltre che, anche in assenza di un effetto creditore comune, se tra A e B vi sono intensi scambi finanziari una crisi valutaria in A potrebbe contagiare B tramite meccanismi simili a quelli sopra evidenziati …
Canali di trasmissione del contagio Un’utile classificazione dei possibili canali di contagio (proposta da Masson 1999) è la seguente: i) Effetti monsonici shock comuni derivanti dall’ambiente globale (in particolare dalle politiche dei paesi avanzati) che si estendono in misura maggiore o minore a tutti i paesi emergenti e in via di sviluppo. Ad esempio: aumenti dei tassi di interesse internazionali, variazioni dei prezzi delle materie prime, apprezzamenti del tasso di cambio della valuta dei paese centro…. ii) Effetti di “spillover” derivanti dalle interdipendenze economiche di tipo commerciale e/o finanziario tra le economie. iii) Salti tra equilibri multipli Se i primi due tipi di effetti non spiegano la coincidenza di una crisi, possono entrare in gioco aspettative che si auto-realizzano: l’opinione degli operatori su un dato paese può cambiare unicamente a causa del manifestarsi di una crisi in un altro paese. I diversi tipi di effetti potrebbero anche interagire tra loro …
Regimi di cambio: una visione bipolare Con alta mobilità dei capitali i regimi di tasso di cambio aggiustabile, sono potenzialmente molto vulnerabili a crisi valutarie. Questo ha portato a una visione bipolare circa il regime del tasso di cambio, secondo la quale in condizioni di alta mobilità dei capitali gli unici regimi del tasso di cambio sostenibili sono i tassi di cambio flessibili o i tassi di cambio fissi di tipo rigido (“hard pegs”), le cui forme moderne sono: currency board, dollarizzazione e unione monetaria
Currency boards Una currency board è una banca centrale ridefinita, con poteri molto limitati (il suo unico obiettivo è il mantenimento del tasso di cambio prefissato). In un regime di currency board un paese si impegna a un tasso di cambio fisso adottando una cornice istituzionale che: i) rende molto difficile cambiare il tasso di cambio (ad es. viene richiesta una maggioranza parlamentare qualificata per poterlo variare, oppure l’impegno a mantenere la parità di cambio è introdotto nella costituzione del Paese…) ii) obbliga la banca centrale ad agganciare strettamente le variazioni dell’offerta di moneta a variazioni delle riserve di valuta estera. In altre parole la banca centrale deve mantenere uno stock di riserve di valuta estera proporzionale al valore della base monetaria interna. Fonte: IMF Annual Report on exchange rate arrangements and exchange rate restrictions, 2014)
Crescita delle riserve ufficiali e crescita monetaria in regime di currency board. Lituania, 1993-2002.
Dollarizzazione E’ una versione più estrema di cambio fisso, che implica l’abbandono della valuta nazionale e l’adozione di una valuta estera come valuta legale (la valuta estera può essere il dollaro USA, o un’altra valuta). Con la dollarizzazione l’offerta di moneta è esattamente pari alle riserve di valuta estera. Perché un paese dovrebbe optare per la dollarizzazione? - una currency board rende le variazioni del tasso di cambio difficili, ma non impossibili. Pertanto le currency boards non sono invulnerabili alle aspettative di variazioni del tasso di cambio ( si veda ad esempio il caso dell’Argentina). Con la dollarizzazione questa eventualità diventa impossibile (ciò può essere necessario, ad esempio, per ristabilire la credibilità dopo un default sul debito internazionale… - L’adozione di una valuta estera potrebbe essere desiderabile se il commercio estero di un paese è dominato dal paese che emette tale valuta, se il paese vuole ridurre i costi di transazione derivanti dal cambio, ridurre il rischio di cambio etc. Dall’altro lato però la dollarizzazione (relativamente a una currency board) implica la perdita di signoraggio che un paese riceve dal potere di stampare la propria moneta. In alcuni casi questo può essere non irrilevante(durante gli anni ‘90 le stime sono 0,4% del PIL per l’Argentina, 0,9% per il messico, 1,3% per il Brasile). Fonte: IMF Annual Report on exchange rate arrangements and exchange rate restrictions, 2014)
Unioni monetarie Adozione di una valuta comune da parte di un insieme di paesi (è in pratica l’adozione multilaterale di un tasso di cambio fisso di tipo “hard peg”) Ha grosse implicazioni non solo per le politiche del tasso di cambio, ma anche per la condotta sia della politica monetaria che della politica fiscale per i singoli paesi partecipanti. Rispetto ai casi di adozione unilaterale di un “hard peg”, impone dei vincoli più forti alla formulazione delle politiche economiche nazionali. … Ne parlerete diffusamente nella seconda parte del corso, con riferimento al caso dell’Unione Monetaria Europea (altri esempi di unioni monetarie: Unione Monetaria dell’Africa Occidentale, Unione Monetaria dei Caraibi Orientali)
Cambi fissi rigidi e aggiustabili: benefici e costi . Benefici dei cambi rigidi (“hard pegs”): credibilità e disciplina monetaria, che aiutano a preservare la stabilità macroeconomica. La ridotta fragilità ha però un costo. Costi: il tasso di cambio non è più uno strumento di politica economica. Aggiustamenti del tasso di cambio reale (necessari per recuperare competitività) possono essere ottenuti solo nel medio periodo, con variazioni del livello dei prezzi. Non sorprende, dunque, che nonostante i vantaggi nel promuovere credibilità e disciplina, solo il 13% dei paesi membri del FMI hanno optato per un cambio rigido!
Fonte: IMF Annual Report on exchange rate arrangements and exchange rate restrictions, 2014)