Tratto da: Anna Labella (a cura), E questo tutti chiamano Informatica, Manuali Scienze e Tecnologie – Formazione, La Sapienza Roma.

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A cura dell’Ing. Buttolo Marco
Transcript della presentazione:

Tratto da: Anna Labella (a cura), E questo tutti chiamano Informatica, Manuali Scienze e Tecnologie – Formazione, La Sapienza Roma

informatica Nell’accezione italiana il termine viene associato sia alla pratica di utilizzo di dispositivi automatici di elaborazione dati (computer, in senso lato: PC, tablet, smartphone, etc.), sia alla ben più profonda attività legata alla loro programmazione, vero e proprio connubio di ingegno e tecnica, l’educazione alla quale richiede un approccio pedagogico sistematico e di carattere scientifico. Quindi informatica come : Information and Communication Technology (ICT), quando ci si riferisce ai dispositivi tecnologici e al loro utilizzo pratico; Computer Science (CS), quando ci si riferisce allo studio sistematico dei processi di programmazione di un elaboratore (processi computazionali).

La prima declinazione rimanda alla “pratica” La prima declinazione rimanda alla “pratica”. È questo l’aspetto che è stato privilegiato (lo è ancora in gran parte) nei corsi di formazione continua e in quelli scolastici primari di alfabetizzazione informatica in Italia: il discente viene istruito al mero uso di alcune delle applicazioni digitali di largo consumo. Tale approccio ha diverse implicazioni negative, tra le quali: l’incapacità di utilizzo consapevole dei mezzi di calcolo, ovvero mancanza di una vera cultura (o educazione) digitale; la rapida obsolescenza delle informazioni acquisite, stante il livello di continua innovazione (hardware e software) in ambito tecnologico.

Esiste, invece ampio consenso riguardo al fatto che l’obiettivo principale dell’informatica sia quello di definire degli strumenti metodologici atti a sviluppare le abilità necessarie a risolvere efficientemente problemi per i quali non si possiede a priori una procedura risolutiva. Questo approccio conduce allo sviluppo nel discente del cosiddetto pensiero computazionale, che completa e complementa il classico sviluppo del pensiero logicomatematico.

Perché computazionale Il pensiero computazionale è un “modo di pensare” finalizzato ad automatizzare la risoluzione di un dato problema mediante la definizione di una soluzione algoritmica, ovvero una sequenza accuratamente descritta di passi, ognuno dei quali appartenente ad un catalogo ben definito di operazioni di base ammissibili. L’algoritmo diventa quindi, a tutti gli effetti, il concetto centrale attorno al quale ruotano tutti gli aspetti fondanti dell’informatica intesa come computer science.

Facciamo riferimento a due ricercatori nel campo dell’informatica: “Il ragionamento matematico può essere considerato piuttosto schematicamente come l'esercizio di una combinazione di due capacità, che possiamo chiamare intuizione e ingegnosità.” (Alan Turing; The purpose of ordinal logics, di Systems of Logic Based on Ordinals, 1938; pubblicato in Proceedings of the London Mathematical Society, serie 2, vol. 45, 1939) “Se è vero che un problema non si capisce a fondo finché non lo si deve insegnare a qualcun altro, a maggior ragione nulla deve essere compreso in modo più approfondito di ciò che si deve insegnare ad una macchina, ovvero di ciò che va espresso tramite un algoritmo.” (Donald Knuth).

Per risolvere un problema computazionale, bisogna quindi coltivare e sviluppare l’intuito e l’ingegno del discente attraverso la comprensione iniziale della natura del problema stesso, seguita poi dalla progettazione di una appropriata procedura di risoluzione algoritmica (laddove possibile!), ovvero una sequenza di istruzioni formali che potranno poi essere tradotte in un linguaggio intellegibile al computer (programma), il tutto concluso da una meticolosa verifica della correttezza del risultato.