Sociologia economica del welfare Piera Rella e Mattia Vitiello corso di laurea in Programmazione Gestione e Valutazione dei Servizi Sociali PROSS- I anno 12 crediti formativi (6 Rella + 6 Vitiello su welfare locale e migrazioni) – gruppo disciplinare SPS/09 Dal 1 marzo al 25 maggio Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche E-mail: piera.rella@uniroma1.it Ricevimento Rella nella stanza B12 dopo la lezione di mercoledì 1 1
ieri Programma e Definizioni disciplinari Processo di modernizzazione / industrializzazione Le onde lunghe dello sviluppo capitalistico Taylorismo,fordismo, post-fordismo SE GLI STUDENTI HANNO Già CONOSCENZE SI Può SALTARE O COMPLRIMERE
3 FASI dell’economia e del welfare 1° Dalla manifattura alla macchinofattura (dal 1760 al 1850- → sostituzione del lavoro muscolare con le macchine- prime forme di welfare dal basso mutue e leghe operaie 2°Organizzazione Taylorista del lavoro e fordismo - dal 1930 welfare dall’alto: assicurazioni e/o servizi pubblici- apice nei “30 gloriosi”(1945-70) 3°Accumulazione allargata territoriale : riconquista del controllo sul lavoro e abbondante esercito internazionale di riserva postfordismo welfare mix (dal basso e dall’alto) 3
Definizioni di welfare e di regime di protezione sociale + politiche del lavoro e servizi per l’impiego
XX secolo è il secolo del welfare = benessere e progresso sociale che si affianca alla crescita economica con le politiche Keynesiane dopo la crisi del 1929 «l’obiettivo dello Stato è il benessere dei cittadini. Il progresso materiale e la prosperità della nazione sono desiderabili nella misura in cui conducono al benessere morale e materiale di tutti i cittadini » (T. D. Roosevelt,‘Portland Speech’, 21 settembre 1932) Roosevelt con il Social Security Act (1935) introduce un sistema previdenziale per tutti i lavoratori statunitensi; tra il 1945 e 1949, il Regno Unito istituisce il Welfare State, traducendo in legge le proposte del Beveridge Report. Prima di presentare Ascoli
I precedenti del welfare Poor lows tra ‘500 e ‘600 di Elisabetta I d’ Inghilterra Stati illuminati del ‘700 che sostituiscono all’intervento della Chiesa quello dello Stato Per rispondere a nuove povertà create dal capitalismo Rivoluzione francese- riconoscimento diritti del cittadino (per le cittadine solo diritti patrimoniali- De Gouge che afferma quelli della cittadina viene ghigliottinata) Fine’800 cancelliere prussiano von Bismarck prime misure di stato sociale di tipo assicurativo, più consistenti dal 1920 (pensioni e assegni familiari) Dopo la crisi del 1929 applicazioni teorie keynesiane per la ripresa economica e lancio del welfare con Roosevelt e lord Beveridge
La protezione dalla culla alla tomba di Beveridge Piano del 1942 attuato nel dopo-guerra che prevede il diritto del cittadino ad avere buone condizioni di vita→ riforma sanitaria nel 1948, pagata con la fiscalità generale oltre che con i contributi Il piano Beveridge, che voleva eliminare l’emarginazione si diffonde per 40 anni in particolare nei paesi scandinavi
Si basa su 3 assicurazioni obbligatorie Il welfare oscilla tra Modello universalistico Paesi anglo scandinavi – protezione per tutti i cittadini indipendentemente dalla loro posizione lavorativa Modello occupazionale Paesi continentali – protezione per i lavoratori con differenze specifiche determinate dalle differenti Occupazioni Si basa su 3 assicurazioni obbligatorie ↙ ↓ ↘ Malattia e maternità- vecchiaia e invalidità disoccupazione
3.MODELLO ISTITUZIONALE-REDISTRIBUTIVO Primo tentativo di classificazione del Welfare State TITMUSS (1974) 3 modelli o funzioni della politica sociale: 1. MODELLO RESIDUALE lo Stato si impegna al minimo, limitandosi a fornire interventi di tipo temporaneo in risposta a bisogni individuali e solo quando gli altri canali di intervento (famiglia e mercato) non riescono ad attivarsi → assistenza 2.MODELLO REMUNERATIVO Lo stato fornisce protezione “completando” quella fornita dal sistema economico generale e che deriva all’individuo dalla sua posizione occupazionale → assicurazione 3.MODELLO ISTITUZIONALE-REDISTRIBUTIVO La protezione sociale pubblica costituisce il cardine di questo modello. Lo stato fornisce prestazioni di tipo universale → sicurezza sociale
Secondo Esping Andersen (1990) durante il lungo periodo espansivo del capitalismo keynesiano si sono consolidati 3 specifici regimi di welfare: Regime liberale Regime conservatore-corporativo Regime social democratico Con Regime di Welfare Esping-Andersen fa riferimento non solo alle politiche sociali dello Stato ma all’intero sistema in interconnessioni tra queste e il mercato del lavoro da un lato e la famiglia dall’altro.
Le funzioni dei regimi di welfare Gli esiti (outcomes) di un regime di welfare si possono valutare in base a tre dimensioni: DEMERCIFICAZIONE: grado in cui la conformazione delle prestazioni sociali riesce ad attenuare la dipendenza dal mercato,consentendo agli individui di disporre di risorse e opportunità anche senza avere un reddito da lavoro (in quanto soggetti inattivi come casalinghe, bambini, anziani, malati, disoccupati); DESTRATIFICAZIONE: grado in cui la conformazione delle prestazioni sociali riesce a contrastare e ridurre le disuguaglianze basate sullo status occupazionale o sulla classe sociale; DEFAMILIZAZIONE: indica il grado in cui la conformazione delle prestazioni sociali riesce ad attenuare la dipendenza dalla famiglia,consentendo agli individui di disporre di risorse e opportunità anche a prescindere dalla solidarietà e dagli obblighi familiari e parentali.
Regime Liberale – caratteristiche secondo Esping Andersen Predominanza di misure di assistenza basate sulla prova dei mezzi (means test). Riconoscimento ai cittadini di diritti minimi in termini di protezione sociale, prestazioni sociali limitate e poco generose. Individuazione ristretta dei destinatari (bisognosi, poveri, individui ad alto rischio di esclusione). Riduzione minima dei compiti dello Stato (promozione e incoraggiamento del ricorso al mercato, individualizzazione dei rischi).
Regime Liberale - esiti Demercificazione bassa: forte dipendenza degli individui dal mercato (redditi, retribuzioni, rendite). Destratificazione bassa: dualismo tra il “welfare dei poveri” (pubblico) e il “welfare dei ricchi” (privato). Defamilizzazione media: dipendenza dal sostegno e dall’aiuto familiare per le fasce sociali deboli.
Regime Socialdemocratico- caratteristiche Predominanza di misure a carattere universalistico basate sulla cittadinanza Riconoscimento del diritto alle prestazioni dello stato a tutti i cittadini; prestazioni sociali ampie, diffuse e generose (prevalentemente uguali per tutti) Individuazione particolarmente ampia dei destinatari: tutti i cittadini a prescindere dal bisogno, dalla prova dei mezzi, dalla posizione lavorativa Massima estensione del ruolo dello Stato, massima socializzazione dei rischi Politica sociale e occupazionale inclusiva e “produttivista”, cioè volta a massimizzare le capacità produttive dei cittadini
Regime socialdemocratico - esiti Demercificazione alta: la dipendenza degli individui dal mercato è molto attenuata Destratificazione alta: eguaglianza di trattamento per tutti i cittadini, “tutti beneficiano, tutti si sentono in dovere di contribuire” Defamilizzazione alta: la dipendenza dal sostegno e dall’aiuto familiare è minima
Regime conservatore/corporativo - caratteristiche Predominanza di schemi assicurativi pubblici collegati alla posizione occupazionale. Formule di computo delle prestazioni legate ai contributi e/o alle retribuzioni. Individuazione dei destinatari in base alla posizione occupazionale (destinazione prioritaria degli interventi ai “capofamiglia”); riconoscimento di prestazioni differenziate su base corporativa. Ampia estensione del ruolo dello Stato, enfasi sulla “sussidiarietà” dell’intervento pubblico in alcuni ambiti: lo Stato interviene solo se i bisogni non trovano risposta a livello individuale, familiare e di associazioni intermedie. Politica sociale e occupazionale che tende a scoraggiare ridurre la partecipazione al mercato del lavoro.
La quarta Europa sociale (Ferrera): Spagna, Portogallo, Grecia e Italia I paesi dell’Europa meridionale rappresentano una variante del modello conservatore-corporativo che fa caso a sé in ragione di alcune marcate peculiarità Sulla base delle specificità territoriali sociali ed economiche si può ipotizzare anche l’esistenza di una quinta Europa sociale formata dai paesi neo comunitari dell’Europa dell’est.
La Costituzione italiana alla base del welfare Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
La distorsione funzionale del modello italiano La principale peculiarità italiana sta nella composizione interna della spesa pubblica: fortemente squilibrata a vantaggio della funzione di protezione sociale rivolta a “vecchiaia e superstiti” (assorbe circa il 62% delle spesa totale contro il 46% della media europea), cioè del sistema pensionistico. Si tratta dunque di una distorsione di tipo funzionale, che non si riscontra in nessun altro paese europeo Va detto però che nel sistema pensionistico finiscono funzioni di assistenza come le integrazioni delle pensioni al minimo e la CIG straordinaria
La distorsione distributiva Un’altra peculiarità italiana è che all’interno delle varie funzioni di spesa, compresa quella pensionistica,vi è un netto divario di protezione fra diverse categorie occupazionali (accesso alle prestazioni e loro entità): gruppi sociali garantiti (lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione e delle grandi imprese) gruppi sociali semi-garantiti (lavoratori autonomi, lavoratori dipendenti delle piccole imprese e dei settori tradizionali) gruppi sociali non garantiti (lavoratori instabili e irregolari)
Stefano Sacchi e Patrik Vesan Le politiche del lavoro Politiche del lavoro in italia: Fino agli anni ’90 Dalla metà anni ’90: passaggio al lavoro flessibile Attive e passive regolative
Di che tratta il capitolo Attenzione al mercato del lavoro (mdl) regolare e non alle politiche di emersione dell’occupazione irregolare e sommersa Politiche proattive: volte alla promozione dell’occupazione in particolare servizi per l’impiego Politiche passive: sostegno al reddito Regolazione dei rapporti di lavoro Già presentata
I cambiamenti della legge 223/1991 Eliminazione della chiamata numerica del collocamento (sistema introdotto nel dopoguerra per un‘equa ripartizione del poco lavoro - di fatto non qualificato- disponibile, a cui ormai le imprese derogavano con trasferimenti dalle piccole imprese che assumevano per chiamata nominativa ) Cig straordinaria anche per accompagnare la mobilità lunga verso la pensione per chi è stato espulso dal processo produttivo→ col perdurare della crisi proroghe e deroghe alla durata dei trattamenti per singole categorie Già presentata
Il progressivo passaggio al lavoro flessibile L. 79/ 1983 Possibilità di introdurre il tempo determinato (ammesso in pochi casi e settori dalla legge 230 del 1962) per punte stagionali in tutti i settori e non solo commercio e turismo previa autorizzazione del Ministero L.863/ 1984 introduce contratti a tempo parziale, di formazione lavoro e di solidarietà→ tentativi di rispondere alla disoccupazione e alla richiesta di flessibilità Già vista
Il cambiamento delle politiche del lavoro dalla metà degli anni ‘90 3 dimensioni del cambiamento ↓ ↓ ↓ Strategica distributiva organizzativa Per ogni dimensione vanno definiti gli obiettivi I cambiamenti nei livelli di protezione Cambiamenti della governance: ripartizione delle competenze tra una pluralità di attori pubblici e privati Già vista
La dimensione strategica aumento politiche proattive, attente alla crescita dell’occupazione attraverso politiche di condizionalità ↓ Chi prende l’indennità di disoccupazione non deve essersi dimesso da solo e fare la DID (Dichiarazione di Immediata Disponibilità) ed accettare offerte di lavoro congrue o partecipare a corsi di formazione scelti dal Centro per l’impiego Di fatto i CpI hanno difficoltà ad attuare tali politiche specie al Sud (59% contro 85% al Nord fanno verifiche periodiche della DID e solo il 23% procedono alla revoca dello stato di disoccupazione) Non più promozione uscite ( in progressivo calo dal 2000 al 2008 cfr. graf. p.154) ma invecchiamento attivo→ nel 2012 eliminazione accompagnamento alla pensione e creazione esodati con la Riforma Fornero Già vista
La dimensione distributiva A metà anni ’90 gli ammortizzatori sociali sono su base assicurativa, ma si raddoppia l’indennità di disoccupazione avvicinamento a chi può usufruire della Cig le carriere frammentate rendono difficile avere i requisiti assicurativi sarebbe necessario il Rmi Crisi economica affrontata dal governo di Centro-destra non riformando le regole d’accesso, ma aumentando Cig e mobilità in deroga + attenzione ai disoccupati settentrionali che a quelli meridionali nuova
La dimensione organizzativa: i Servizi per l’impiego 1997 fine del monopolio pubblico Devoluzione competenze a livello regionale rafforzata dalla Riforma del Titolo V della Costituzione 2003 ampliamento possibilità interventi privati con la legge 30/2003 nascono più sistemi locali, al Ministero compiti di monitoraggio tendenza al riaccentramento con Renzi: Programma Garanzia Giovani e DL 150/2015 che assegna le politiche attive allo stato attraverso l’Agenzia Nazionale Politiche del Lavoro- ANPAL Ma la non approvazione della riforma costituzionale richiede accordo con le Regioni Scarsa integrazione con l’Inps che eroga sussidi di disoccupazione Al Nord mancano gli impiegati, al Sud le infrastrutture e difficoltà perché i CPI sono progettati per mercati del lavoro dinamici Già messa
Le politiche del governo Renzi in seguito alla proposta di riforma costituzionale risultante dal disegno di legge AC 2613-A, spetterebbe allo Stato la competenza esclusiva in materia di politiche attive del lavoro; alle Regioni la potestà legislativa in materia di “promozione dello sviluppo economico locale” Nel frattempo a Costituzione invariata Gestione operativa delle politiche attive e responsabilità dei Cpi riconosciute alle Regioni con l’Accordo quadro del 30 luglio 2015. Il D.L. 14/9/ 2015 n. 150 ridisegna anche il ruolo dei Cpi nuova governance dei servizi per l’impiego, con sistema misto pubblico/ privato (Cpi+Apl accreditate),già in atto nella Regione Lazio attivare le persone beneficiarie di ammortizzatori sociali per immetterle in tempi rapidi nel mercato del lavoro attraverso l’assegno di ricollocazione.
Un sistema multilivello di politiche Attive del Lavoro ANPAL (Agenzie Nazionale politiche attive del lavoro), Regioni (Cpi) e soggetti privati accreditati (Apl) debbono garantire a tutti gli utenti i servizi minimi essenziali stabiliti per legge. Il Governo, (Ministero del lavoro e delle politiche sociali) previa intesa con le Regioni, definisce i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) in materia di politiche attive del lavoro validi su tutto il territorio nazionale. l’ANPAL coordina su scala nazionale (la rete degli enti attuatori delle politiche attive: Cpi e Apl), il monitoraggio delle stesse, (la sostituzione in caso di malfunzionamento) e lo sviluppo del sistema informativo (unitario) delle politiche attive. Le Regioni assumono la gestione operativa delle politiche attive (incluse quelle che spettano alle Province) e la responsabilità dei CpI. Perché il personale dei Cpi possa continuare a lavorare senza soluzione di continuità con le Regioni, Governo e Regioni s’impegnano a reperirne le risorse nella proporzione 2/3 a carico del Governo e 1/3 a carico delle Regioni resta in piedi solo ciò che è evidenziato in grassetto (tra parentesi ciò che non viene attuato senza riforma costituzionale)
Da I centri per l’impiego dopo il Jobs Act,Lucia Valente Prof Da I centri per l’impiego dopo il Jobs Act,Lucia Valente Prof. Diritto del Lavoro, Nuovi lavori Resta da capire se tutto il processo messo in atto sia in grado di garantire l’erogazione dei servizi per il lavoro ai cittadini in modo davvero uniforme su tutto il territorio nazionale Dato che le competenze in materia di politica attiva per il lavoro non sono passate effettivamente allo Stato, ma restano in capo alle Regioni. Dipende se passa la riforma costituzionale e successivi referendum
La situazione attuale secondo l’Isfol Attualmente le regioni hanno 2 modelli: lombardo con equiparazione e concorrenza pubblico e privato prevalenza del pubblico, ma accreditamento agenzie private e alcune operazioni insieme fino ad un unico data base in comune con gli enti accreditati Il Lazio ha un modello intermedio che utilizza l'assegno di ricollocazione regionale per l'avvio al lavoro. Il monitoraggio del sistema è stato tolto per 1 anno all'Isfol e dato ad Agenzia lavoro (ora riunificate). Il monitoraggio in corso ha prodotto una lista degli enti accreditati, con alcune informazioni. E' prevista una rilevazione sui centri privati del Lavoro (Apl) con un questionario ancora non definito La rilevazione sulle Apl non è stata fatta?
Proposta di una piccola ricerca sulle agenzie per l’impiego Vi siete mai rivolti a un’agenzia per l’impiego pubblica o privata?Conoscete qualcuno che le ha utilizzate? Nel 2015 è uscito un rapporto di monitoraggio Isfol soprattutto sui CpI, che mostra una situazione difficile Conoscere ciò che fanno i Cpi e le Apl è utile anche per il vostro futuro lavoro, dato che le persone con cui avrete a che fare, hanno frequentemente un problema di disoccupazione Obiettivo una didattica più partecipata.. E una migliore valutazione