Margaret Bourke-White
“In quel momento cominciai a considerare come in fotografia le persone debbano essere avvicinate con il massimo rispetto e solidarietà, riprese con ogni possibile cura e all’interno di un habitat vasto e complesso. Negli anni in cui ad ossessionarmi era stata la bellezza delle architetture industriali, nelle mie foto le persone erano state presenze puramente casuali. Anzi, potevo affermare come non avessi mai avuto la sensibilità necessaria per fotografarle. Ora invece, mi interessavano le persone.” “Dal mio punto di vista, l’inondazione era solo l’ennesimo atto del tragico sfruttamento del territorio americano. Qualcosa che avevo iniziato a documentare fin dall’epoca della siccità. L’ultimo atto della lotta tra tempeste di polvere e piogge, campagne erose e città inondate: un’unica lunga e triste storia”.
“War correspondents see a great deal of the world “War correspondents see a great deal of the world. Our obligation is to pass it on to the others””.
“In quei giorni la macchina fotografica era quasi un sollievo, inseriva una sottile barriera tra me e l’orrore che avevo di fronte.”
“Cominciai a prestare maggiore attenzione a come i diversi avvenimenti potevano agire sulla vita delle persone. A capire l’importanza di studiare, imparare, scoprire e interpretare. Mi resi conto che chiunque desideri fotografare un altro essere umano deve metterci più cuore e più impegno di quanto non faccia per qualsiasi altra fotografia.”
“Avevo foto che mi piacevano e raccontavano molte cose, ma non avevo trovato il “Soggetto forte”, quello in grado di tenere insieme la struttura della storia, quello che visivamente potesse dare il senso esatto di ciò che avevo visto: il dramma di un paese spaccato dalla guerrra”.
“Dopo una vita passata a fare questo mestiere, un fotografo sa che prima o poi arriverà il momento in cui potrà scattare “La” foto, quella più importante. Si deve solo sperare che tutto andrà bene, che in quel momento ci sia abbastanza luce, che lo sfondo sia significativo, che a guardare nell’obiettivo ci sia solo chi vuoi tu, e soprattutto, che l’emozione che stai cercando di catturare sia vera e si rifletta sui volti delle persone che vuoi riprendere”. In lontananza, proprio di fronte a noi, una donna vestita di bianco avanzava lungo uno stretto sentiero. Gettò il bastone e cominciò a correre. Quando li raggiunsi erano uno nelle braccia dell’altra e lei gli teneva la testa tra le mani. “E’ un sogno, non può essere vero. Mio figlio è morto. E’ morto ormai da due anni. E’ un sogno”, diceva la madre. “No, mamma, non è un sogno. Sono proprio io, Churl-Jin”, rispondeva lui. Caddero sull’erba e lei prese a cullarlo tra le braccia. Suo figlio era tornato.
Bibliografia: Siti: Chiara Bonaccorsi “Il mio ritratto” Margaret Bourke-White, Contrasto “American Modern: Documentary Photography by Abbott,Evans and Bourke-White” Sharon Corwin, 2010 Siti: International Centre of Photography: https://www.icp.org/ Museum of Modern Art: https://www.moma.org/ Chiara Bonaccorsi