Giovanni Duns Scoto.

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Transcript della presentazione:

Giovanni Duns Scoto

Tratti generali Tommaso: Dio è l’Ipsum Esse subsistens, e le creature partecipano dell’essere, secondo la misura e il grado che è loro proprio, con tutte le proprietà trascendentali che vi corrispondono (unità, verità, bontà, ecc.): per cui c’è una vera analogia che consente di concepire in qualche misura il rapporto tra le creature e Dio. Ogni cosa è dotata da Dio di una specifica natura e di corrispondenti inclinazioni naturali: così il Creatore conduce ogni cosa al suo fine secondo il suo pensiero, legge eterna dell’universo. La creatura razionale partecipa della legge eterna grazie alla legge naturale, i cui precetti corrispondono all’ordine delle inclinazioni naturali. Duns Scoto: Dio non è l’Essere sussistente, bensì “il cuore conoscibile di una metafisica che si articola in conformità a criteri eminentemente logico-formali, che sono riconosciuti applicabili a Dio e all’uomo, pur nella diversità della loro ripetitività che non ha nulla in comune” (G. Cotta). La natura è necessità, la volontà è libertà. L’inclinazione naturale è soggetta all’attrazione del piacevole (affectio commodi), la bontà morale, invece, richiede l’attrazione della giustizia (affectio iustitiae), la quale si costituisce nella libertà, indipendentemente dall’ordine della natura.

Volontà divina Averroè: la creazione nel tempo presupporrebbe che qualcosa di non ancora esistente avrebbe indotto Dio a prendere la decisione di creare, come se la volontà di Dio ricevesse bontà dall’oggetto voluto. Non c’è alcun motivo in forza del quale l’essere infinito possa necessariamente volere qualcosa di diverso da sé. Dio non è condizionato, salvo il principio di non-contraddizione e il rispetto delle leggi da egli stesso decretate. La volontà divina non è sottomessa alla regola del bene: è la regola del bene ad esserle sottomessa.

Potentia absoluta e potentia ordinata De potentia absoluta Dio avrebbe potuto volere tutto ciò che non implica contraddizione (i «possibili»). De potentia ordinata egli di fatto vuole ciò che concorda con la sua sapienza e la sua giustizia: dunque il bene e il male sono radicati nell’ordine voluto da Dio. Se Dio avesse creato delle nature differenti, il bene e il male sarebbero stati diversi – ma comunque espressione di un ordine d’amore, giusto e saggio. Il principio formale della legge non è dato dalla ragione ma dalla volontà divina: legge naturale senza riferimento alla legge eterna.

Volontà umana Aristotele: l’appetibile conosciuto è un motore immobile, l’appetito è un motore mosso; Duns Scoto, la volontà ha solo in se stessa il motivo del suo atto L’appetito intellettivo è un agente naturale: segue deterministicamente la conoscenza: la volontà libera deve essere altro, perché può determinarsi liberamente ad atti opposti. Per necessità naturale ogni cosa – uomo compreso – tende alla sua perfezione; ma la moralità consiste appunto nella libertà di porsi al di sopra di questa necessità, al di sopra e al di là delle inclinazioni naturali. La tendenza al proprio fine naturale affectio commodi: l’intelletto è in grado di orientare il soggetto soltanto quanto ad essa. Il ruolo della volontà è di liberare all’attitudine ad agire secondo l’inclinazione naturale: trascendere ciò che è naturale per orientarlo verso il bene morale, mediante una affectio iustitiae. Il criterio della giustizia è una “legge”, la quale “obbliga” in quanto rappresenta un’espressione della volontà di Dio riguardo l’uomo.

Legge morale C’è una legge naturale, ma non può essere conosciuta seguendo Aristotele: chi lo fa si illude di stare nella natura instituta (dove le inclinazioni tendevano al bene) mentre sta nella natura lapsa (ove le inclinazioni naturali sono affectiones commodi). La legge naturale non del tutto cancellata dal peccato, risiede nei principii primi dell’ordine pratico, conosciuti dall’intelletto. Non è naturale in senso cosmologico né antropologico, bensì puramente epistemologico: conosciuta in forza di una ratio naturalis, ossia di un argomento necessario e logicamente valido in cui la conclusione necessaria è derivata da premesse che sono necessarie ed auto-evidenti (e, pertanto, indimostrabili). Il primo principio: volere il bene e rifiutare il male. Il bene ed il male nelle cose umane dipende dalla natura dell’uomo e dalle nature degli oggetti del volere umano, che sono tali perché così sono state volute da Dio.

I comandamenti della legge naturale In senso stretto, la legge naturale è circoscritta ai comandamenti che prescrivono un bene indispensabile per il conseguimento del fine ultimo dell’uomo: il sommo Bene, che va amato in forza del principio secondo il quale bisogna fare il bene ed evitare il male: Il primo di tutti i comandamenti: “Amerai il Signore Dio tuo” (prima tavola). Il secondo comandamento: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (seconda tavola), è una conseguenza del primo, ma solo in quanto prescrive di volere o non volere il prossimo quelle cose che Dio ha decretato che noi dobbiamo volere o non volere: è di legge divina rivelata e non di legge naturale: “Pertanto non è contradditorio che qualcuno abbia la carità e odii il prossimo; tutavia è necessiario per la potenza ordinata di Dio, che nel precetto sia proibito quell’atto cattivo, ossia odiare il prossimo; infatti non odiare è necessario soltanto per la potenza ordinata e la conoscenza del precetto”. Questo perché nessun uomo è in rapporto necessario come mezzo per amare Dio, giacché nessuna creatura è necessaria. Ma in senso lato tutti i comandamenti sono di diritto naturale e costituiscono una legge divina, conoscibile con la ragione naturale, non capricciosamente arbitraria bensì conforme alla volontà amante e alla sapienza infinita di Dio, che – almeno fino ad un certo grado – può essere compresa dalla ragione umana.

Quel che resta del diritto naturale La razionalità è ridotta ad una funzione di controllo puramente formale sul grado di evidenza dei precetti, la biologicità è resa ambigua a causa del disordine introdotto dal peccato; rimane praticamente solo la teologicità. Scoto : la vita politica non è radicata nella natura (Aristotele), ma nella storia. Nello stato della natura instituta gli uomini sono tutti uguali e liberi, l’unica autorità legittima è quella paterna e la proprietà dei beni terreni è comune; ma col peccato originale quell’ordinamento viene revocato e sostituito con istituti di diritto positivo, comprendenti la schiavitù, il governo dei principi, la proprietà privata. Ora, essi possono anche essere ingiusti, e pur tuttavia, nella prospettiva di Scoto, risultano pienamente legittimi e vincolanti.

La schiavitù Una volta reso schiavo dal diritto positivo, l’uomo non ha la possibilità di ricorrere al diritto naturale per tutelare i suoi interessi, neppure quello di contrarre matrimonio, qualora il padrone fosse contrario. L’obbligazione positiva contratta con la schiavitù, ha maggior forza rispetto all’esercizio di un diritto naturale. Tuttavia la stessa forza dell’obbligazione positiva richiede un fondamento non semplicemente positivo ma naturale: la prevalenza dell’obbligazione positiva sul diritto di libertà naturale dipende dalla stessa legge naturale intesa in senso primario, la quale impone di dare a ciascuno il suo; mentre la libertà di contrarre matrimonio è solo secondariamente prescritta dalla legge naturale. Il diritto positivo prevale sul diritto naturale in forza di un principio primo del diritto naturale.

L’educazione dei figli Un principe cristiano avrebbe non il dovere di sottrarre i bambini alla tutela dei genitori, qualora costoro volessero educarli contro il culto di Dio. “Un diritto naturale, quello che i genitori hanno di decidere liberamente dell’educazione dei figli, viene superato da un vincolo positivo, quello che li sottopone alla giurisdizione del principe” (Tabarroni). Ma questo avviene in forza di un diritto naturale ancora più forte: quello di rendere culto a Dio e di fare in modo che nessuno gli manchi di rispetto; nello stato di natura instituta a questo provvedeva semplicemente l’autorità paterna, nello stato di natura lapsa deve subentrare l’autorità del principe.

La proprietà privata Nello stato di natura instituta tutti i beni erano comuni e, prima del peccato, ciascuno ne avrebbe usato liberamente senza arrecare danno agli altri; ma nello stato di natura lapsa si è resa necessaria la proprietà privata, per evitare che l’arroganza dei forti sottragga le risorse necessarie alla vita dei deboli. Storicamente, la distribuzione dei beni si sarebbe realizzata in forza del principio: quod nullius est, occupanti conceditur; ma esso è di natura positiva.