BREXIT
COS’E’ ‘’BREXIT’’? Il significato della parola Brexit fa riferimento all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e deriva dall’unione di due parole inglesi: “Britain” (Regno Unito) ed “exit” Brexit è un termine creato dai media sulla scia della parola Grexit, in voga nell’estate del 2015, vocabolo coniato per indicare la possibile uscita della Grecia dall’UE. L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è stata sancita dal referendum del 23 giugno 2016.
COME E’ NATA LA BREXIT ? Durante la campagna elettorale del 2015 che gli è valsa la rielezione, l'ex premier britannico David Cameron inserì nel suo programma la possibilità di indire un referendum con cui gli inglesi potessero esprimersi sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. Il progetto del referendum incontrò molto favore tra i cittadini di Sua Maestà e fu portato avanti, guadagnandosi un vocabolo tutto suo: Brexit. La Brexit ha messo la parola fine ai rapporti – non proprio idilliaci – tra i sudditi di sua maestà e Bruxelles. Sin dalla nascita dell'Ue Londra ha deciso di partecipare ma a condizioni particolari. Il Regno Unito, infatti, non figura tra i firmatari del Trattato di Roma, che ha creato la Comunità Economica Europea (CEE) nel 1957. È entrato ufficialmente, insieme a Irlanda e Danimarca, nel 1973. E anche questa decisione è stata oggetto di referendum nel 1975: all'epoca il 62 per cento degli inglesi votò a favore del “remain”. La Gran Bretagna, poi, ha sempre mantenuto la sua moneta – la sterlina – anche con l'entrata in vigore del trattato di Maastricht, nel novembre 1993.
LA VITTORIA DEI ‘’LEAVE’’ Il referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea si è svolto il 23 giugno 2016 nel Regno Unito e a Gibilterra e ha visto un risultato a sorpresa, con i favorevoli all'uscita dall'UE attestati sul 51,9%, contro il 48,1% degli elettori che ha votato per la permanenza. La chiamata alle urne degli elettori britannici aveva la natura di un referendum consultivo e non vincolante: per l'espressione effettiva della volontà politica di uscire dall'Unione è stato necessario un passaggio parlamentare per l'approvazione di una specifica legge con cui avviare l'applicazione dell'articolo 50 e il conseguente negoziato. La notifica dell'attivazione della procedura di uscita è avvenuta, pertanto, il 29 marzo 2017, a seguito dell'approvazione da parte del Parlamento del Regno Unito di una legge nota come European Union (Notification of Withdrawal) Act 2017 che ha ricevuto il royal assent il 16 marzo precedente. L'atto del parlamento ha autorizzato il primo ministro Theresa May a presentare la lettera di notifica al presidente del Consiglio europeo. I negoziati per i termini di uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea hanno avuto inizio a Bruxelles. il Regno Unito uscirà ufficialmente dalla Ue entro il 29 marzo 2019, a meno che entrambe le parti, Londra e Bruxelles non decidano congiuntamente di prolungare la trattativa.
SITUAZIONE BREXIT AD OGGI Le trattative fra Bruxelles e Londra sono a un punto morto, ha informato il capo negoziatore dell’Ue sul Brexit Michel Barnier. Particolarmente spinosa la questione dei “conti da pagare” per il Regno Unito (stimati dall’Ue sui 100 milioni di euro) per onorare gli impegni di medio periodo presi dai britannici nei programmi comunitari. Non soddisfano i membri dell’Unione nemmeno le posizioni della controparte sui diritti dei cittadini europei residente Oltremanica e sulla questione del confine fra Irlanda e Ulster. Il risultato più immediato di questo impasse è che le parti escludono di iniziare a breve, come ventilato, a trattare su un accordo commerciale post-Brexit, uno dei punti cruciali attorno cui ruotano i negoziati. Benché entrambi i lati della barricata stiano bluffando una possibile uscita dalle trattative per acquisire una posizione di forza, si restringe la finestra temporale non solo per arrivare a un’intesa, ma anche per inaugurare quella fase di transizione dopo marzo 2019 (quando Londra prevede di uscire dall’Ue) cui faceva riferimento Theresa May nel recente discorso di Firenze. Il negoziato non si deciderà sulle questioni tecniche. L’impressione è che i britannici vogliano coinvolgere maggiormente il baricentro decisionale dell’Ue, ossia i leader dei principali paesi del blocco
SCOZIA E GALLES Scozia e Galles non sono d'accordo con l'approccio duro di Theresa May e vorrebbero che il passaggio di consegne tra Bruxelles e Londra fosse più soft o addirittura che non ci fosse affatto. Il tutto avviene mentre le istituzioni Ue fanno la voce grossa con Londra. la Scozia, contrariata per la vittoria dei “leave”, iniziato il cammino per uscire dalla Gran Bretagna. Sembra un paradosso, una ripicca, una vendetta, invece è solo la politica: la scossa di assestamento del terremoto provocato mesi fa dal referendum britannico sulla Ue. Con 69 voti a 59, il parlamento di Edimburgo ha approvato la richiesta del proprio governo di indire un nuovo referendum per l’indipendenza dal Regno Unito. Nicola Sturgeon, premier del governo di Edimburgo, ha annunciato che il referendum si terrà probabilmente nell’autunno 2018. Il Regno Unito teme che anche il Galles e l’Irlanda del nord, dove serpeggia il malcontento, possano decidere di unirsi alla Scozia nella richiesta di indipendenza.
IRLANDA Uno dei problemi maggiori riguardanti la Brexit riguarda L’Irlanda, divisa in Irlanda del Sud, stato indipendente facente parte dell’Unione Europea ,e l’Irlanda del Nord, che invece fa parte del Regno Unito e con esso uscirà dall’Unione Europea. Dopo i primi timori, il Governo britannico ha annunciato ieri che ha pubblicato un documento che propone una soluzione «innovativa e flessibile» a uno dei problemi più spinosi posti dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea nel 2019 e che non ci saranno controlli alla frontiera, blocchi stradali o sorveglianza elettronica: il confine tra la Repubblica Irlandese e l’Irlanda del Nord continuerà a essere «aperto» anche dopo Brexit. La frontiera irlandese, lunga 500 chilometri, sarà l’unico confine di terra che collegherà la Gran Bretagna a un Paese Ue. La situazione attuale, che non prevede controlli doganali per le tonnellate di merci o controlli di passaporti per le 30mila persone che ogni giorno attraversano il confine, dovrà continuare invariata, secondo Londra. L’obiettivo è non creare tensioni che potrebbero destabilizzare la zona e mettere a rischio l’accordo di pace del 1998 tra cattolici e protestanti in Irlanda del Nord.
LE PRIME SCHERMAGLIE… La tensione in vista della brexit ha provocato battibecchi al limite dell’assurdo anche tra politici di spicco. In un incontro tra il ministro dello Sviluppo economico italiano, Carlo Calenda, e Boris Johnson, l'incendiario ex sindaco di Londra catapultato alla guida del Foreign Office dopo il sostegno al 'Leave', è nato un dialogo ai limiti dell’assurdo. "Di fatto Johnson mi ha detto: 'Non voglio la libera circolazione delle persone, ma voglio il mercato unico", ha raccontato il ministro italiano a Bloomberg Tv. "Gli ho risposto 'non se ne parla'. E la sua risposta è stata: 'Ok, ma tu vendi un sacco di Prosecco in Gran Bretagna....e ce lo permetterai perché non vuoi perdere l'export di Prosecco". E Calenda: "Ok, ma tu venderai meno 'fish and chips'. E io venderò meno Prosecco in un solo Paese, tu ne venderai meno in 27. Ma mettere le cose su questo piano", ha aggiunto, "è un po' offensivo". Più in generale Calenda ha contestato l'approccio dell'intero governo di Londra al negoziato sulla Brexit: " Non si può dire che è ragionevole sostenere che vogliamo l'accesso al mercato unico ma non la libera circolazione delle persone. E' evidente che non ha senso in alcun modo". Un pesante attacco a Londra è arrivato anche da parte del ministro delle Finanze olandese e presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, il quale ha escluso che Londra possa uscire dall'unione doganale e cambiare le regole sugli immigrati, mantenendo però l'accesso al mercato unico.