Romanticismo/3 prof. Claudio Puccetti Il Romanticismo in Inghilterra /Germania/Spagna John Constanble (1776-1837) William Turner (1775-1851) William Blake (1757-1827). Caspar David Friedrich (1774-1840) Johann Heinrich Füssli (1741- 1821) Francisco Goya (1746 –1828) prof. Claudio Puccetti
JOHN CONSTANBLE (1776 -1837) John Constable è un pittore inglese del ‘700 esponente del Romanticismo, famoso per i suoi paesaggi di Dedham Vale pervasi di un'intensa passione. Pacatamente si oppone agli artisti che privilegiano l'immaginazione piuttosto dell’osservazione della natura stessa. Di qui il suo rivoluzionario uso dello ‘schizzo’ e degli studi dal vero della natura, specialmente del cielo e della forma delle nuvole. Dipinge studiando la natura direttamente sul posto, con schizzi ad olio a grandezza naturale dalle vigorose pennellate, che destano l’interesse di artisti, di allievi e di pubblico. L’artista dimostra che la pittura di paesaggio può prendere una direzione totalmente nuova. Per trasmettere gli effetti di luce e movimento, dà “colpi di pennello” sparsi, con piccoli tocchi sfumati sopra i luminosi paesaggi e, creando l’impressione di una luce scintillante che avviluppa tutto il dipinto, riesce a dare la violenza di un acquazzone marino come di un improvviso arcobaleno. Constable ispirerà non solo i contemporanei come Géricault e Delacroix, ma anche la scuola di Barbizon, e gli impressionisti francesi del XIX secolo. John Constable La produzione artistica di John Constable (1776-1837) è quasi tutta incentrata sul tema del paesaggio. La natura, nella cultura romantica, svolge sempre un ruolo fondamentale. Ma alla natura gli artisti romantici si accostano con animo diverso: per scoprirvi la potenza imperiosa che spaventa ed atterrisce, e ciò lo si trova soprattutto nel romanticismo tedesco, o per ritrovarvi angoli piacevoli ed accoglienti, ed è ciò che caratterizza il romanticismo inglese. I paesaggi di Constable sono sempre gradevoli. Ritraggono una natura in cui c’è un felice equilibrio tra gli elementi naturali (alberi, fiumi, colline) e gli elementi artificiali (case, stradine, ponticelli). I paesaggi di Constable esprimono il sentimento di armonia tra luomo e la natura. Per la loro casuale ed irregolare disposizione i paesaggi di Constable rientrano pienamente in quella categoria estetica del pittoresco. Ciò che manca, in questi quadri, sono le false rovine che davano al pittoresco precedente un carattere eccessivamente artificioso e letterario.
Constable John – Flatford Mill 1817 Tate Gallery, Londra Flatford Mill è una delle prime grandi realizzazioni di Constable realizzate in gran parte en plain air. Benché sia stato preceduto da numerosi studi e schizzi, il quadro cerca una visione quasi casuale del luogo raffigurato. Nella scena, ambientata nei suoi luoghi d’infanzia, vediamo sullo sfondo a sinistra il mulino ad acqua proprietà del padre con un attracco per le barche che venivano trainate da cavalli su e giù lungo il fiume. L’immagine è una ricerca di quella spontaneità della natura, al quale l’uomo adatta le sue necessità e non viceversa. Il gusto per il pittoresco è qui una dimensione non solo estetica, ma di grande partecipazione emotiva, come ci attesta la scelta di raffigurare i proprio luoghi d’infanzia. E qui si coglie la maggior differenza tra il pittoresco rococò e preromantico, che era una scelta fondamentalmente estetica, ed il pittoresco romantico che è dimensione propriamente poetica. Ciò che caratterizza formalmente la pittura di Constable è la capacità di indagare gli elementi visivi che formano un paesaggio. Del tutto assente un disegno compositivo, anche se si avverte la grande progettualità degli elementi che compongono i suoi quadri, lo stile pittorico è tutto affidato al colore. Il suo tocco è filamentoso e sporco. Le forme non hanno un contorno definito ma si riconoscono solo dai passaggi di tono e di colore. La superficie del quadro viene così a presentarsi, ad una visione molto ravvicinata, come un impasto formato da mille tonalità differenti. Questa tecnica fa sì che, ad una certa distanza, le immagini percepite sul quadro sembrano vibrare di una autonoma luce, rendendole più vive e dinamiche delle usuali rappresentazioni pittoriche. L’effetto è decisamente gradevole ed è ciò che suggestionò un pittore come Delacroix che, guardando quadri come questo, trasse le sue ricerche sulla scomposizione del colore.
Constable John – Il carro di fieno, 1821 National Gallery, Londra In questo quadro il soggetto è solo un pretesto per consentire la rappresentazione di un paesaggio tipicamente inglese. Il carro sta guadando un piccolo ruscelletto che forma una duplice curva ad esse. In una delle due anse del ruscello, a sinistra, c’è una casa che sembra quasi confondersi con il paesaggio circostante. La casa viene protetta da una cortina di alberi che creano una nicchia accogliente in cui si inserisce l’edificio. Sulla destra si apre una pianura che viene chiusa da una fila di alberi che si vede in lontananza. La parte superiore del quadro è occupata da un cielo percorso da nuvole. Anche qui è possibile vedere la sua grande capacità di controllare un elemento così poco definito come forma ma che realizzano un'immagine molto varia nei suoi tonalismi atmosferici. Tutto il quadro tende ad un naturalismo molto accentuato. La forma non sono le cose, ma la percezione delle cose. Il sentimento che ispira è quella sottile vena di piacere che apre gli occhi per far loro godere l’atmosfera ampia che circola nella scena inquadrata. Ciò che caratterizza formalmente la pittura di Constable è la capacità di indagare gli elementi visivi che formano un paesaggio. Del tutto assente un disegno compositivo, anche se si avverte la grande progettualità degli elementi che compongono i suoi quadri, lo stile pittorico è tutto affidato al colore. Il suo tocco è filamentoso e sporco. Le forme non hanno un contorno definito ma si riconoscono solo dai passaggi di tono e di colore. La superficie del quadro viene così a presentarsi, ad una visione molto ravvicinata, come un impasto formato da mille tonalità differenti. Questa tecnica fa sì che, ad una certa distanza, le immagini percepite sul quadro sembrano vibrare di una autonoma luce, rendendole più vive e dinamiche delle usuali rappresentazioni pittoriche. L’effetto è decisamente gradevole ed è ciò che suggestionò un pittore come Delacroix che, guardando quadri come questo, trasse le sue ricerche sulla scomposizione del colore.
Constable John – Studi di nuvole 1822 Influenzato dal lavoro pioneristico dei meteorologi, Constable osserva la mutevolezza del cielo e sul retro degli schizzi aggiunge precisazioni e note (condizioni atmosferiche, direzione della luce, ora del giorno, forma delle nuvole), convinto che il cielo in un dipinto paesaggistico è ‘... la chiave, la misura e il principale organo del sentimento’. Il suo disegno veloce e tratteggiato permette un'espressività e un rigore unici, assenti nelle opere finite, e restituisce la straordinaria potenza degli eventi naturali. Il potere dell'effetto fisico dei suoi studi di nuvole porta un critico dell’epoca a scrivere: ‘l'atmosfera del quadro possiede una caratteristica umidità, che quasi fa venire il desiderio di prendere l'ombrello’. Studio di nuvole, 1822. L’interesse per lo studio analitico del paesaggio in Constable è attestato da centinaia di tele che egli ha dedicato alle nuvole. Chi conosce l’Inghilterra sa che le nuvole costituiscono, qui più che altrove, un elemento determinante del paesaggio. L’interesse di Constable non si sofferma solo sulla diversa forma che i banchi di nuvole possono assumere, ma ne indaga soprattutto la qualità luminosa e cromatica in riferimento alle diverse ore del giorno. Questi esperimenti, che per certi versi anticipano l’Impressionismo francese, ci dimostrano l’intuizione di Constable che la luce è la grande protagonista del paesaggio. Da ricordare che Constable ha condotto centinaia di studi sulla forma e il colore delle nuvole che egli fece oggetto di quadri autonomi. Anche qui è possibile vedere la sua grande capacità di controllare un elemento, le nuvole, così poco definito come forma ma che realizza un’immagine molto varia nei suoi tonalismi atmosferici.
William Turner (1775-1851) William Turner è un pittore e incisore inglese del ‘700 esponente del Romanticismo che getta le basi per la nascita dell'impressionismo (influenza soprattutto Monet). Viene chiamato ‘il pittore della luce’ e con i suoi famosi paesaggi eleva l'arte della pittura paesaggistica. Inizialmente resta nel solco della tradizione paesaggistica inglese ma presto se ne distacca evidenziando il potere distruttivo della natura. La sua pittura è caratterizzata da un'ampia varietà cromatica e da una suggestiva stesura del colore (tecnica dell'acquerello con i colori ad olio) molto adatta a rappresentare la luminosità e il carattere mutevole dei fenomeni atmosferici. Ruskin afferma che è l’unico capace di “rappresentare gli umori della natura in modo emozionante e sincero”. I suoi soggetti preferiti sono: naufragi, incendi, catastrofi naturali e fenomeni atmosferici (sole, tempesta, pioggia, nebbia). E’ affascinato dalla violenta forza del mare ma a volte dipinge anche figure umane per evidenziare la loro vulnerabilità di fronte alla suprema natura (‘suprema’ perché crea soggezione per la sua selvaggia grandiosità: l'uomo non può dominarla ed è un segno evidente del potere di Dio). Nei suoi ultimi quadri si concentra sulla luce (riflessa dall'acqua e dal cielo): per Turner rappresenta l'emanazione dello spirito divino e cerca di esprimerne la spiritualità piuttosto che limitarsi a interpretare artisticamente i fenomeni ottici. Si è ipotizzato che la grande quantità di cenere presente nell'atmosfera del 1816, abbia creato dei tramonti così spettacolari da essere fonte di ispirazione per Turner. Tra i pittori romantici inglesi, Turner è senza dubbio l’interprete più appassionato e sensibile della poetica del “sublime”. Mentre Constable ama la bellezza e la freschezza della natura e si sente immerso serenamente in essa, Turner coglie piuttosto la grandiosità di essa e lo smarrimento dell’uomo di fronte alla maestosità dei suoi fenomeni. Inizialmente influenzato dalla ricerca luministica del paesaggista Claude Lorrain, l’approdo artistico di Turner è il colore, quasi svincolato da ogni riferimento naturalistico, che si fa pura luce. Questa è appunto rappresentata, non come riflesso sugli oggetti, ma come autonoma entità atmosferica. Per far ciò, usa il colore in totale libertà con pennellate curve ed avvolgenti. Il paesaggio tradizionale si dissolve in Turner in vortici di linee e di luci che annullano la consistenza degli oggetti rappresentati immergendo lo spettatore all’interno del quadro e facendolo protagonista. Ciò che viene rappresentato è soprattutto la reazione soggettiva dell’uomo, la vita interiore che questi proietta nella natura circostante.
Joseph Mallord William Turner, Regolo, 1828 Il quadro appartiene alla serie di opere che Turner dedicò ad episodi storici. In esso è un episodio di storia romana ad essere rappresentato, ma basta confrontare il quadro con una qualsiasi altra opera di un artista accademico dedicata a questo periodo, per capire la profonda distanza che separa il romanticismo di Turner dal precedente stile neoclassico. Non vi è alcuna ricerca di bellezza in forme pure e tornite, nessuna visione di atmosfere chiare e arcadiche, ma la ricerca di un'emozione che sollecita inquietudine e stupore. Nel quadro è rappresentato il porto di Cartagine, la città nemica di Roma. I cartaginesi fatto prigioniero Attilio Regolo, lo rimandarono in patria per convincere i romani a desistere dalla guerra. Attilio Regolo incitò invece i romani a continuare, e, per l'onore della parola data, fece lo stesso ritorno a Cartagine dove i cartaginesi lo sottoposero a crudeli torture, quali il taglio delle palpebre, e poi lo uccisero. Il vero protagonista dell'immagine è la grande luce che proviene dal fondo, punto di fuga ideale nel quale convergono le quinte degli edifici che si affacciano sul canale del porto. Qui, più che altrove, appare evidente la ricerca di Turner di rappresentare direttamente la luce, senza utilizzarla come mezzo strumentale per la visione di altro. Nel quadro è rappresentato l’imbarco per il viaggio di ritorno a Roma delle truppe di Attilio Regolo nel porto di Cartagine, porto in cui l’eroe romano tornerà anche se sarà torturato e ucciso dai nemici. Turner nell'opera dedicata a Regolo (al quale i cartaginesi tagliarono le palpebre) non lo ritrae: lo mette ipoteticamente al posto dello spettatore, accecandolo con la potenza della luce del sole che sembra irradiare dall'interno del quadro. Nella tragica morte di Regolo e nel suo crudele destino, Turner vede una ulteriore conferma al suo pessimismo e alla ‘falsità della speranza’. Il punto di fuga è al centro dove partono i raggi del sole e dove convergono le quinte degli edifici classici.
William Turner, Il Canal Grande, 1835 Il quadro appartiene alla serie di opere che Turner dedicò ad episodi storici. In esso è un episodio di storia romana ad essere rappresentato, ma basta confrontare il quadro con una qualsiasi altra opera di un artista accademico dedicata a questo periodo, per capire la profonda distanza che separa il romanticismo di Turner dal precedente stile neoclassico. Non vi è alcuna ricerca di bellezza in forme pure e tornite, nessuna visione di atmosfere chiare e arcadiche, ma la ricerca di un'emozione che sollecita inquietudine e stupore. Nel quadro è rappresentato il porto di Cartagine, la città nemica di Roma. I cartaginesi fatto prigioniero Attilio Regolo, lo rimandarono in patria per convincere i romani a desistere dalla guerra. Attilio Regolo incitò invece i romani a continuare, e, per l'onore della parola data, fece lo stesso ritorno a Cartagine dove i cartaginesi lo sottoposero a crudeli torture, quali il taglio delle palpebre, e poi lo uccisero. Il vero protagonista dell'immagine è la grande luce che proviene dal fondo, punto di fuga ideale nel quale convergono le quinte degli edifici che si affacciano sul canale del porto. Qui, più che altrove, appare evidente la ricerca di Turner di rappresentare direttamente la luce, senza utilizzarla come mezzo strumentale per la visione di altro. William Turner è stato un artista molto presente in Italia, e nei suoi numerosi viaggi ha toccato molti luoghi caratteristici della penisola, quali Roma, Tivoli, Napoli ed altri, di cui ci ha lasciato testimonianza in numerosi quadri e disegni. Uno dei luoghi a lui più congeniali fu comunque Venezia, in un periodo in cui tutta la cultura inglese romantica, anche grazie a John Ruskin, amò molto la città lagunare. Questo quadro raffigurante il Canal Grande è solo una delle numerosissime tele che Turner realizzò a Venezia. Le sue caratteristiche stilistiche sono ben evidenti soprattutto nel dissolversi della forma nella luce, che dà all'immagine un aspetto evanescente e un po' sfocato
William Turner, Tempesta di neve, 1842 Tate Gallery di Londra Il quadro è uno degli esempi più noti della ricerca di Turner legata alla percezione della forza della natura. Lo scatenarsi di una tempesta di neve avviene in mare, travolgendo una nave che appena si intravede nel gran turbinio d'acqua. Il mare è un soggetto molto amato dall'artista inglese che qui lo rappresenta come il luogo del "sublime dinamico" abbandonando ogni preoccupazione di rappresentazione figurativa per darsi ad una pittura di gesto che sfiora quasi l'astratto. Il quadro, troppo in anticipo sui gusti del tempo, non ricevette critiche entusiastiche. Per esso, come per altre tele di Turner, i critici inglesi parlarono di "pasticceria", in quanto un quadro così fatto sembrava loro più un tavolo sporco di latte, farina, uova, cioccolato, ecc. che non la tela di un pittore.
William Turner, Mattino dopo il diluvio 1843 Tate Gallery Londra William Turner La sera del diluvio, 1843 nata sotto l’influsso del libro “Teoria dei colori” - nel quale Goethe sostiene la positività delle tonalità calde - quest’opera è nettamente diversa dalle altre dello stesso periodo: il tono è sempre più visionario, le forme si dissolvono, i colori accentuano il loro significato emotivo conducendo lo spettatore verso spazi luminosi e infiniti. Turner rappresenta il rinnovato espandersi della luce dopo le lunghe tenebre del diluvio universale e apre la strada ad una pittura nuova dove non c'è la ricerca della perfezione paesaggistica né della bellezza figurativa, bensì la ricerca di un'emozione che sollecita inquietudine e stupore. Quest’opera è nettamente diversa dalle altre dello stesso periodo: il tono è sempre più visionario, le forme si dissolvono, i colori accentuano il loro significato emotivo conducendo lo spettatore verso spazi luminosi e infiniti. Turner rappresenta il rinnovato espandersi della luce dopo le lunghe tenebre del diluvio universale e apre la strada ad una pittura nuova dove non c'è la ricerca della perfezione paesaggistica né della bellezza figurativa, bensì la ricerca di un'emozione che sollecita inquietudine e stupore. La sera del diluvio: rappresenta l’arrivo del diluvio evidenziato da tonalità cupe con le quali avanza la scura manifestazione che si preannuncia di una devastante violenza, mentre la nuova alba è accompagnata da un vortice di speranza dorata. In questo quadro c'è il tentativo di ristabilire l'equilibrio fra luce e oscurità: lo splendore della luce continua a confrontarsi con l'imminente tempesta proprio come le forze dell'oscurità minacciano ancora l'alba nascente. Per Turner lo spazio è un’estensione infinita, animata dall'agitarsi di grandi forze cosmiche.
William Turner Pioggia vapore e velocità (1844). National Gallery di Londra La tela è un impasto di colori indefiniti che non danno una immagine molto riconoscibile. Tutto si riduce ad una linea di orizzonte e a due diagonali trasversali, una a sinistra, poco evidente, che rappresenta un ponte ad arcate, una a destra, più evidente, che rappresenta un altro ponte su cui sta correndo un treno. Il resto è solo luce, còlta nelle sue differenti colorazioni, nel momento che attraversa una atmosfera densa e dinamica. L’aria, infatti, è pregna di pioggia e di vapore ed è una presenza che diventa immagine che sovrasta il resto della visione. PIOGGIA, VAPORE E VELOCITA’ 1844, olio su tela, 91x122 cm, National Gallery, Londra La tela è un impasto di colori indefiniti che non danno una immagine molto riconoscibile. Tutto si riduce ad una linea di orizzonte e a due diagonali trasversali, una a sinistra che rappresenta un ponte ad arcate, una a destra, più evidente, che rappresenta un altro ponte su cui sta correndo un treno. Il resto è solo luce, colta nelle sue differenti colorazioni, nel momento che attraversa una atmosfera densa e pregna di pioggia e di vapore. In questo quadro compare un elemento decisamente nuovo per la pittura: il treno. E l’artista lo riporta simbolicamente nella stessa categoria del sublime. La categoria della potenza sovraumana ma che, in questo caso, non si curva come la tempesta ma procede per linee rette come è nelle cose fatte dall’uomo. Tra i soggetti preferiti ci sono le tempeste di neve o di mare, in cui in cui l’energia impetuosa della natura travolge tutto, rendendo irriconoscibile lo spazio e gli oggetti. È questo il senso del sublime di Turner. Il taglio decisamente inusuale dato dalla diagonale del ponte, il dinamismo che suggerisce la velocità del treno, ma soprattutto la tecnica fatta di macchie di luce che rendono vaghi gli oggetti, pongono quest’opera come uno dei precedenti più diretti della pittura della seconda metà dell’Ottocento che, dagli impressionisti in poi, abbandonerà sempre più la realistica rappresentazione di forme statiche e definite Nei quadri di Turner tra i soggetti più usuali ci sono le tempeste di neve o le tempeste marine. In questo quadro compare invece un elemento decisamente nuovo: il treno. L’artista riporta simbolicamente il treno nella stessa categoria del sublime. La categoria della potenza sovraumana ma che, in questo caso, non si curva come la tempesta ma procede per linee rette come è nelle cose fatte dall’uomo. Il taglio decisamente inusuale, il dinamismo che suggerisce la velocità del treno, ma soprattutto la tecnica fatta di macchie di luce che rendono vaghi gli oggetti, rendono questo quadro uno degli esiti più sintomatici delle ricerche formali di Turner. E lo pongono come uno dei precedenti più diretti di tanta pittura della seconda metà dell’Ottocento che, dagli impressionisti in poi, abbandonerà sempre più la realistica rappresentazione di forme statiche e definite
William Blake (Londra 1757 - 1827). Poeta, incisore, pittore, Blake si dedicò giovanissimo all'arte e alla letteratura, studiò incisione e frequentò per breve tempo la Royal Academy (1779). Spirito ribelle e visionario, considerò il mezzo verbale e quello visivo espressione unica del suo genio profetico. Istanze neoclassiche e fermenti preromantici pervadono la sua arte, carica di complessi simbolismi, cui contribuirono certamente la poetica del sublime, la mistica di Swedenborg e, nell'ambito più propriamente visivo, l'arte gotica inglese, Michelangelo, Dürer e, tra i suoi contemporanei, Fuseli e Flaxman. L'esigenza di una unità espressiva lo portò anche a sperimentare un sistema di stampa a colori, incidendo testo e illustrazioni che poi colorava a mano (illuminated printing). Fece anche illustrazioni per Night Thoughts di E. Young (1796-97), per la Divina Commedia (1825), per il Libro di Giobbe (1821-26). Non compreso dai contemporanei, che vedevano in lui solo una vena di follia, Blake fu particolarmente apprezzato nell'ambito della corrente preraffaellita e considerato, in seguito, tra i precursori del simbolismo. WILIAM BLAKE (1757-1827) William Blake, incisore, pittore e poeta inglese nasce a Londra e si dedica fin da giovanissimo all'arte e alla letteratura. Studia incisione come apprendista poi frequenta per breve tempo la Royal Academy. Nonostante l’apprezzamento dei preraffaelliti e le sue molteplici pubblicazioni (per decenni è sostenuto da due mecenati) non viene compreso dai suoi contemporanei che vedono in lui solo una vena di follia, e solo dopo la sua morte sarà considerato un grande artista e il precursore dei simbolisti. Attratto dal misticismo e dalla fascinazione per il movimento romantico, sfugge a precise collocazioni artistiche pur svolgendo un ruolo cruciale per lo sviluppo del moderno concetto di ‘immaginazione’. Spirito ribelle e visionario, convinto sostenitore della capacità dell’uomo di superare la percezione sensoriale attraverso la sublimazione della propria dimensione spirituale, considera il mezzo verbale e quello visivo espressione unica del suo genio profetico. Attraverso la sua pittura e la sua poesia crea opere che sfidano le convenzioni sociali rifiutando sempre qualsiasi forma di autorità imposta (viene accusato perfino di lesa maestà). Si interessa anche agli avvenimenti politici e sociali ma è costretto a mascherare i suoi ideali e il suo pensiero politico dietro allegorie religiose. La sua aperta ostilità nei confronti della Chiesa inglese tuttavia non gli impedisce di confrontarsi coi principi religiosi e con le immagini sacre che per tutta la sua vita sono fonte d’ispirazione. Si cimenta con i profeti dell’AnticoTestamento e illustra la ‘Gerusalemme’ (1804-20), e la Bibbia con il ‘Libro di Giobbe’ (1821-26), il suo capolavoro. Istanze neoclassiche e fermenti preromantici pervadono la sua arte carica di complessi simbolismi, cui contribuirono la poetica del sublime, la mistica di Swedenborg e, nell'ambito più propriamente visivo, l'arte gotica inglese (tra i suoi primi disegni sono quelli delle tombe di Westminster per la Society of Antiquaries), Michelangelo, Dürer e i coevi Fuseli e Flaxman. Le sue visioni inquietanti, a tratti grottesche, sospese tra luminose rivelazioni e scenari infernali, immagini fantastiche e visionarie rievocazioni di miti e storie bibliche, appaiono cristalline a chi ha il coraggio di uscire dagli steccati mentali del pensiero comune. Stilisticamente si esprime con forme vigorose e colori energici che evocano l’intensità delle proprie visioni ispirate dalla sua fervida e tortuosa fantasia. L'esigenza di una unità espressiva lo porta a sperimentare un sistema di stampa a colori col quale incide testo e illustrazioni che poi colora a mano (illuminated printing), una sorta di libro miniato. Negli ultimi anni della sua vita lavora febbrilmente alla ‘Divina Commedia’ (1825-27) ma riesce a finire solo 102 acquerelli (vengono tratte 7 incisioni) che non sono semplice accompagnamento del testo ma una rilettura critica, un commentario agli aspetti spirituali e morali dell’opera. Nel XX secolo i suoi versi poetici sono fonte d’ispirazione per molti gruppi musicali.
William Blake Satana esulta su Eva (1795)
William Blake Isaac Newton 1795 Newton è la dimostrazione della sua opposizione alla "Visione singola" del Naturalismo: il grande filosofo e scienziato è da solo nelle profondità dell'oceano, i suoi occhi (solo uno dei quali è visibile) fissi sui compassi con cui disegna su un rotolo. Sembra quasi che sia tutt'uno con la roccia su cui siede.
William Blake Pietà per Adamo ed Eva 1795
William Blake Nabucodonosor 1795 Le sue visioni inquietanti, a tratti grottesche, sospese tra luminose rivelazioni e scenari infernali, immagini fantastiche e visionarie rievocazioni di miti e storie bibliche, appaiono cristalline a chi ha il coraggio di uscire dagli steccati mentali del pensiero comune. Stilisticamente si esprime con forme vigorose e colori energici che evocano l’intensità delle proprie visioni ispirate dalla sua fervida e tortuosa fantasia
L'esigenza di una unità espressiva lo porta a sperimentare un sistema di stampa a colori col quale incide testo e illustrazioni che poi colora a mano (illuminated printing), una sorta di libro miniato. Negli ultimi anni della sua vita lavora febbrilmente alla ‘Divina Commedia’ (1825-27) ma riesce a finire solo 102 acquerelli (vengono tratte 7 incisioni) che non sono semplice accompagnamento del testo ma una rilettura critica, un commentario agli aspetti spirituali e morali dell’opera.
William Blake - L'incisione Ancient of Days
Caspar David Friedrich (1774-1840) Friedrich è il più sensibile interprete del Romanticismo tedesco e in particolare di quello spirito romantico che tende verso l’Infinito, verso l’Assoluto che si manifesta in ogni aspetto del visibile. In Friedrich il Sublime si manifesta sia come capacità di proiettare il proprio sentimento e le proprie visioni più segrete all’interno di uno scenario naturale, sia come impulso a rivelare il vero volto della natura: essa appare infatti quale eterno processo della creazione divina. La pittura diventa strumento per comunicare con Dio e l’arte, preghiera e missione. Nelle sue opere morte e vita si fondono in un’unica immagine; il dipinto diventa allegoria della caducità della vita e della ciclicità degli eventi. ”Perché, mi son sovente domandato, scegli sì spesso a oggetto di pittura la morte, la caducità, la tomba? Ė perché, per vivere in eterno bisogna spesso abbandonarsi alla morte”. La transitorietà della vita è vista allora in una prospettiva di fiducia e di fede nella continuità tra la vita terrena e la vita eterna. Caspar David Friedrich Friedrich (1774-1840) è il pittore tedesco che per primo entrò nel clima del romanticismo tedesco. La Germania ebbe un ruolo fondamentale nella definizione delle teorie romantiche sia grazie ai movimenti letterari quali lo «Sturm and Drung» sia grazie allopera di alcuni pensatori e filosofi quali von Schlegel e Schelling. Ma larte romantica per eccellenza della Germania fu soprattutto la musica che ebbe come massimo interprete Ludwig van Beethoven. Friedrich è interessato, nella poetica del romanticismo, soprattutto al lato mistico della natura. La prima opera che lo rese noto fu la «Croce sulla montagna» o pala di Tetschen, del 1808. Questa pala daltare è composta unicamente da un paesaggio di montagne, su cui si staglia il segno nero di una croce. Che un paesaggio potesse essere un immagine religiosa è una grossa rivoluzione che non poco stupì i critici del tempo. In essa, tuttavia, è chiaramente avvertibile una suggestione religiosa data dallo spettacolo della natura, intesa come opera divina, in cui la presenza della croce serve principalmente ad elevare il nostro pensiero a Dio. Friedrich è il più sensibile interprete del Romanticismo tedesco e in particolare di quello spirito romantico che tende verso l’Infinito, verso l’Assoluto che si manifesta in ogni aspetto del visibile. In Friedrich il Sublime si manifesta sia come capacità di proiettare il proprio sentimento e le proprie visioni più segrete all’interno di uno scenario naturale, sia come impulso a rivelare il vero volto della natura: essa appare infatti quale eterno processo della creazione divina. La pittura diventa strumento per comunicare con Dio e l’arte, preghiera e missione. Nelle sue opere morte e vita si fondono in un’unica immagine; il dipinto diventa allegoria della caducità della vita e della ciclicità degli eventi. ”Perché, mi son sovente domandato, scegli sì spesso a oggetto di pittura la morte, la caducità, la tomba? Ė perché, per vivere in eterno bisogna spesso abbandonarsi alla morte”. La transitorietà della vita è vista allora in una prospettiva di fiducia e di fede nella continuità tra la vita terrena e la vita eterna. Caspar David Friedrich, ritratto di Carl Johann Baehr, 1836, New Masters Gallery, Dresden
Caspar David Friedrich La Croce Della Montagna (1808): detta anche Pala di Tetschen La croce sulla montagna è in realtà una pala d'altare realizzata per la cappella privata del Castello di Tetschen in Boemia. È l'opera che rivelò la personalità artistica di Friedrich. La pala non mancò di suscitare polemiche, in quanto nessuno aveva mai pensato di collocare un paesaggio su un altare. Tuttavia è innegabile che il quadro trasmette una carica mistica, e non solo per la croce raffigurata tra gli alberi, ma anche per il senso di maestosità silenziosa che questa cima di montagna comunica. L'idea di unire il tema della natura con quello del sacro è sicuramente uno dei segni più chiari del passaggio da un clima culturale di impronta neoclassica al nuovo clima romantico. Questa pala d’altare è composta unicamente da un paesaggio di montagne, su cui si staglia il segno nero di una croce. Che un paesaggio potesse essere un immagine religiosa è una grossa rivoluzione che non poco stupì i critici del tempo. In essa, tuttavia, è chiaramente avvertibile una suggestione religiosa data dallo spettacolo della natura, intesa come opera divina, in cui la presenza della croce serve principalmente ad elevare il nostro pensiero a Dio. La Croce Della Montagna (1808): detta anche Pala di Tetschen (la pala d’altare per la cappella del castello) L’arte figurativa nel ‘700, in Germania è fortemente condizionata dalla contemporanea produzione letteraria e filosofica romantica: più volte infatti i pittori tedeschi affrontano nei loro dipinti gli stessi temi esistenziali, come la meditazione sul trascorrere degli anni e sulla morte. Anche Friedrich esprime il desiderio d’infinito e riflette sulla vita attraverso la realizzazione di paesaggi surreali, nei quali non cerca di riprodurre il dato naturalistico, ma piuttosto di esprimere la propria interiorità. Le sue opere appaiono come la trasposizione figurativa del vagheggiamento del poeta tedesco Schiller, il quale afferma che la pittura e la poesia di paesaggio avrebbero potuto librarsi all’altezza delle arti maggiori, come nuove espressioni del sentimento. La ‘Pala di Tetschen’ pur non essendo un lavoro a carattere devozionale ha un’intensa religiosità: la struttura triangolare che contiene l’immagine, l'ampio spazio lasciato dal vuoto, il senso di solitudine che ne deriva e la luminosità accesa, rendono grandiosa e monumentale l’opera, ispirata a un sentimento religioso, romantico e malinconico. La Pala mostra la croce del Calvario issata in controluce sullo sfondo di un cielo infuocato. Il paesaggio diventa, al pari di Cristo, protagonista del quadro caricandosi di valenze simboliche: le conifere sempreverdi rappresentano la speranza, le rocce la fede cristiana, l’alba la nuova era apertasi con la morte del figlio di Dio. L'estrema sobrietà di mezzi espressivi conferisce il massimo potere suggestivo all’immagine. La croce e i raggi luminosi sono le uniche concessioni fatte da Friedrich al simbolismo tradizionale, mentre la suggestione mistica è fondata sugli effetti di luce, ai quali fa riscontro un punto di osservazione sospeso a lieve altezza dal suolo del tutto rivoluzionario rispetto alla tradizione settecentesca dei piani digradanti in lontananza. Questa pala d’altare è composta unicamente da un paesaggio di montagne, su cui si staglia il segno nero di una croce. Che un paesaggio potesse essere un immagine religiosa è una grossa rivoluzione che non poco stupì i critici del tempo. In essa, tuttavia, è chiaramente avvertibile una suggestione religiosa data dallo spettacolo della natura, intesa come opera divina, in cui la presenza della croce serve principalmente ad elevare il nostro pensiero a Dio. La croce sulla montagna, 1808 dipinto è in realtà una pala d'altare realizzata per la cappella privata del Castello di Tetschen in Boemia. È l'opera che rivelò la personalità artistica di Friedrich. La pala non mancò di suscitare polemiche, in quanto nessuno aveva mai pensato di collocare un paesaggio su un altare. Tuttavia è innegabile che il quadro trasmette una carica mistica, e non solo per la croce raffigurata tra gli alberi, ma anche per il senso di maestosità silenziosa che questa cima di montagna comunica. L'idea di unire il tema della natura con quello del sacro è sicuramente uno dei segni più chiari del passaggio da un clima culturale di impronta neoclassica al nuovo clima romantico
Caspar David Friedrich Abbazia nel querceto 1809-10 Alte Nationalgalerie, Berlino Friedrich ci suggerisce i temi della sua riflessione: le rovine dell'abbazia, gli scheletri degli alberi, le pietre tombali, il funerale rimandano alla morte. Le cose muoiono come muoiono gli uomini; l'abbazia forse un tempo poderosa, oggi è in rovina; i grandi alberi sono spogli. Eppure, i monaci e l'abbazia dovrebbero segnare la persistenza della fede, della vita oltre la morte; dovrebbero, perché la piccolezza degli esseri umani davanti alla Natura e il dissolversi delle loro opere rendono ancor più misterioso il nostro destino. Non è la luce pallida della luna a dare origine al fascio di luce fosforescente che irradia il paesaggio di una luce quasi divina e che, simboleggiando la vita oltre la morte, induce alla meditazione e alla preghiera. In questa ambiguità di fondo, Friedrich lascia allo spettatore la scelta tra pessimismo e speranza, confermando la modernità della sua concezione artistica. Al centro del quadro vi è la rovina, il brandello murario di una grande struttura gotica, che solo grazie al titolo del quadro identifichiamo come parte di un'abbazia; intorno al rudere, i profili scheletrici di alberi, disposti come una spettrale quinta di teatro; nella fascia inferiore, una congelata radura, un tempo sicuramente sede degli edifici sacri, aperta nel fitto bosco di querce. Piccoli, minuscoli, alcuni monaci stanno portando una bara al di là del portale; lapidi scure e una croce piegata spiegano che oggi quel campo è un cimitero (le rovine sono state identificate con una abbazia cistercense presso Greifswald, paese natio di Friedrich). Una luce livida, che uniforma in toni bruni o giallastri tanto la natura che le opere degli uomini, si riflette nella nebbia leggera dell'alba. Friedrich ci suggerisce i temi della sua riflessione: le rovine dell'abbazia, gli scheletri degli alberi, le pietre tombali, il funerale rimandano alla morte. Le cose muoiono come muoiono gli uomini; l'abbazia forse un tempo poderosa, oggi è in rovina; i grandi alberi sono spogli. Eppure, i monaci e l'abbazia dovrebbero segnare la persistenza della fede, della vita oltre la morte; dovrebbero, perché la piccolezza degli esseri umani davanti alla Natura e il dissolversi delle loro opere rendono ancor più misterioso il nostro destino. Non è la luce pallida della luna a dare origine al fascio di luce fosforescente che irradia il paesaggio di una luce quasi divina e che, simboleggiando la vita oltre la morte, induce alla meditazione e alla preghiera. In questa ambiguità di fondo, Friedrich lascia allo spettatore la scelta tra pessimismo e speranza, confermando la modernità della sua concezione artistica. Al centro del quadro vi è la rovina, il brandello murario di una grande struttura gotica, che solo grazie al titolo del quadro identifichiamo come parte di un'abbazia; intorno al rudere, i profili scheletrici di alberi, disposti come una spettrale quinta di teatro; nella fascia inferiore, una congelata radura, un tempo sicuramente sede degli edifici sacri, aperta nel fitto bosco di querce. Piccoli, minuscoli, alcuni monaci stanno portando una bara al di là del portale; lapidi scure e una croce piegata spiegano che oggi quel campo è un cimitero (le rovine sono state identificate con una abbazia cistercense presso Greifswald, paese natio di Friedrich). Una luce livida, che uniforma in toni bruni o giallastri tanto la natura che le opere degli uomini, si riflette nella nebbia leggera dell'alba.
Caspar David Friedrich Monaco in riva al mare (1809-10) Il dipinto emana il senso mistico dell’infinito e dell’assoluto: raffigura una singola figura voltata di lato, vestita con un lungo abito scuro, che si erge su una bassa duna di sabbia cosparsa d'erba. La figura ha un abito scuro che si confonde con la natura e appare estraniato dal mondo che lo circonda: il suo sguardo si perde nel mare mosso, sotto un cielo grigiastro che occupa circa i tre quarti del dipinto. Il monaco è l'unico elemento verticale e dà la misura del paesaggio, segnando il limite tra vita eterna e terrena. L'orizzonte non è delineabile e l'essere umano non può che perdersi nella sua immensità, solo e ridotto ad una figura infinitesimale. L'idea è quella tipicamente romantica dell'uomo di fronte alla natura, schiacciato dalla sua immensità, rapito di fronte alla sua divina imperscrutabilità.
Caspar David Friedrich Il viaggiatore sopra il mare di nebbia, 1818 Hamburger Kunsthalle Amburgo In questo quadro di Friedrich, forse tra i suoi il più famoso e anche quello più sfruttato, si avverte immediatamente la poetica del pittore. Il sublime, ossia il senso della natura possente e smisurata, viene qui presentato con una evidenza da teorema matematico. Su una roccia di origine vulcanica un uomo, raffigurato di spalle, ammira il panorama che gli si apre davanti. La nebbia che gli è innanzi è quasi come un mare da cui emergono come isole le cime delle montagne. Non vi è vegetazione che crea angoli accoglienti. Le rocce sono nere e inospitali. Emergono dai fumi di una nebbia che sembra quasi il vapore che sprigiona la terra dal suo interno. Il paesaggio ha qualcosa di così arcaico che sembra di ammirare la Terra subito dopo la Creazione. L’uomo è raffigurato di spalle così che lo spettatore del quadro deve condividere il suo punto di vista e compenetrarsi nel suo stato d’animo. Lo stato d’animo, cioè, di chi avverte dentro di sé il sentimento del sublime: meraviglia e quasi sgomento di fronte all’immensità dell’universo. L'uomo sta di fronte all'infinito e percepisce la sua fragilità, la sua finitezza ma, al tempo stesso, proprio perché cosciente di questo, si rende conto che l’anima possiede una facoltà superiore alla misura dei sensi e la sua eroica solitudine acquista grandezza e dignità. Per Friedrich l’esperienza della natura è la sola via per raggiungere Dio. In questo quadro si avverte immediatamente la poetica del sublime, ossia il senso della natura possente e smisurata, emblema del sentire romantico. Un uomo è ritratto di spalle ed è affacciato su di un mare di nebbia da cui emergono rocce scure e inospitali. I personaggi di Friedrich danno sempre le spalle all’osservatore e guardano, da dentro il quadro, quello che lui stesso vede dal di fuori: in questo modo è possibile condividerne il punto di vista e lo stato d’animo. L’uomo che ammira questo spettacolo ci dà il confronto tra la piccolezza della dimensione umana e la vastità dell’opera della natura in cui si rivela l’eterno processo della creazione divina. L’immensità della natura è affermata anche a livello cromatico dallo stacco tonale tra il primo piano e lo sfondo. Il moto di slancio del protagonista verso l'orizzonte è espresso attraverso la configurazione piramidale degli elementi del primo piano, ripresa sullo sfondo dalla sagoma della montagna La posizione di spalle del protagonista coinvolge immediatamente lo spettatore, proiettandolo nella sua stessa meditazione: l'uomo sta di fronte all'infinito e percepisce la sua fragilità, la sua finitezza ma, al tempo stesso, proprio perché cosciente di questo, si rende conto che l’anima possiede una facoltà superiore alla misura dei sensi e la sua eroica solitudine acquista grandezza e dignità. Per Friedrich l’esperienza della natura è la sola via per raggiungere Dio.
Caspar David Friedrich Le bianche scogliere di Rugen (1818): Friedrich conferisce valore simbolico a ciò che rappresenta, è profondamente religioso e concepisce la natura come manifestazione divina e l’arte come mediatrice tra l’uomo e Dio. Il mare che qui si estende a perdita d’occhio, è un’allegoria dell’eternità e le fragili barche che si allontanano sulle onde (esposte al pericolo delle tempeste) rimandano all’incerto viaggio dell’anima verso la vita eterna. Le tre figure all’ombra degli alberi simbolicamente rappresentano le tre virtù cardinali del cristianesimo: la donna vestita di rosso la Carità; l’uomo al centro col mantello blu la Fede; quello a destra (forse lo stesso Friedrich) la Speranza. Anche la pianta d’edera ai piedi della donna potrebbe alludere all’immortalità dell’anima, oppure all’amore che vince la morte. La figura carponi esprime lo sconforto dell’uomo di fronte all’infinito, ma il personaggio che guarda senza paura nel vuoto attesta l’anelito dell’anima ad esso. Solo l’amore (donna vestita di rosso) è in grado di aiutare l’uomo a superare la sua inadeguatezza. I personaggi sono estasiati dalla vastità dell’orizzonte marino, atterriti dalla profondità del burrone, soggiogati dalla potenza e dalla bellezza del tramonto o dal chiaro di luna, nella misura esatta in cui lo siamo noi stessi osservando il dipinto. La scena si ispira alla pittoresca località di Stubbenkammer ed è inquadrata da una quinta di altissime e aguzze rocce bianche inondate dal sole, a picco sul mare. Un vertiginoso burrone è incorniciato da faggi in controluce che con le loro fronde coprono la parte superiore del cielo luminoso. Nella zona in ombra alla base della tela una donna vestita di rosso, seduta sul bordo del precipizio e aggrappata ad un arbusto, guarda verso il basso e indica qualcosa. Accanto a lei, carponi sul ciglio dello strapiombo, un gentiluomo fruga tra l’erba come se avesse smarrito qualcosa: il suo bastone è abbandonato a terra insieme al suo cappello. A destra si trova un secondo uomo in piedi, appoggiato ad un tronco con le braccia conserte, sembra distaccato e assente, assorto in lontani pensieri mentre guarda diritto davanti a sé. Le figure sono quasi sagome in controluce, marginali rispetto alla vastità dell’orizzonte marino e alla bellezza della natura incontaminata. Le scogliere bianchissime si stagliano nette contro il velo blu cupo del mare sul quale s’intravedono due piccole vele. L’orizzonte si perde lontano e altissimo.
Caspar David Friedrich Un uomo e una donna che guardano la luna 1819 Alte Nationalgalerie Berlino Il dipinto rappresenta un paesaggio boscoso con due alberi (l'uno spoglio, l'altro verdeggiante), in mezzo ai quali compaiono due figure isolate di spalle, un uomo ed una donna. Il quadro vuole fare riflettere sul destino di solitudine dell'uomo. La funzione del dipinto è appunto quella di trasmettere il pessimismo del pittore e di far riflettere l'osservatore. La composizione è caratterizzata da linee di forza oblique, che ritroviamo nell'albero spoglio, lungo il sentiero e il pendio della montagna e il masso sulla sinistra. Il dipinto risulta comunque piuttosto statico e l'effetto di controluce crea un netto contrasto tra le aree scure e quelle illuminate, rendendo suggestiva l'atmosfera. Alcuni degli elementi presenti nel quadro hanno significati simbolici: l'imbrunire simboleggia la vecchiaia, l'albero spoglio la morte, quello rigoglioso raffigura la speranza e la fede della vita, mentre il sentiero è appunto il cammino dell'esistenza umana.
Caspar David Friedrich Donna alla finestra 1822 Alte Nationalgalerie Berlino Il dipinto rappresenta lo studio di Friedrich con la vista sul fiume Elba (si osservi gli alberi delle barche), ove iniziò a lavorare a Dresda dal 1820. La figura affacciata alla finestra è Caroline, moglie dell’artista. L’interno ha una valenza simbolica e quindi l’oscurità rappresenta l’imperfezione della vita terrena – non sempre brillante – che può essere illuminata soltanto tramite Cristo (si noti la croce sulla finestra alta e l’intelaiatura dell’anta di quella inferiore) e con lo sguardo rivolto alla vita eterna (la donna gira le spalle l’oscurità). Lo spazio esterno riquadrato dalla finestra allude alla vita dell’aldilà, desiderata dalla donna e che può essere raggiunta viaggiando in più tappe, rappresentate dalle due imbarcazioni nell’Elba. I pioppi in lontananza simboleggiano la morte.
Caspar David Friedrich Il mare di ghiaccio (il naufragio della speranza) 1823 Amburgo, kunsthalle Il tema della navigazione rappresenta l’immagine del viaggio umano attraverso le avversità della vita e della peregrinazione dell’anima nell’aldilà. Tale motivo, trasposto poi in quello del naufragio, diviene incarnazione della fragilità e della piccolezza dell’uomo in balia di una natura incontaminata e primordiale. Ad esprimere maggiormente tale contrasto a destra, adagiata su un fianco, travolta e schiacciata dalla forza inarrestabile dei ghiacci, simili a lastre tombali, si vede la sola poppa di una nave. L’opera si ispira ad un disastro realmente accaduto nel corso di una spedizione al Polo Nord. La composizione è basata su una impressionante struttura piramidale la cui base è costituita da lastre di ghiaccio la cui cuspide è rappresentata, invece, dalla punta acuminata di un’altra scheggia dell’iceberg, che lacera l’aria intessuta di gelido vapore. La tecnica pittorica arriva ad un altissimo grado di perfezione, inseguendo il vero sin nel minimo particolare. Il sublime Più intenso del sentimento del bello è quello del sublime, che va distinto dal bello. Mentre quest'ultimo è qualcosa che ha forma, quindi proporzione e armonia, il sublime invece è informe ed illimitato. Il sentimento del sublime matematico è quello per il quale tutti noi di fronte a fenomeni di smisurata grandezza (lo spazio cosmico) o di smisurata potenza naturale (sublime dinamico), proviamo, per i nostri stessi limiti, un senso d'insufficienza, di paura, timore. Ma in un secondo tempo, quando riemerge la nostra razionale volontà, questo sentimento della propria impotenza sensibile rivela per contrasto la coscienza di una potenza illimitata, di una nostra superiorità in quanto razionalità operante che trasforma in positivo il precedente sentimento negativo.
JOHANN HEINRICH FÜSSLI (Zurigo 1741-Londra 1821) Johann Heinrich Füssli (o Henry Fuseli, nella versione inglese del suo nome) nacque nel 1741 a Zurigo, in Svizzera. Compì la sua educazione in Svizzera e in Germania e in seguito visse a Berlino, Parigi, Londra, per passare poi a Roma e stabilirsi infine a Londra, dove diventò uno stimato professore alla Royal Academy e si affermò come pittore di storie antiche, medievali, shakespeariane e dantesche. La sua pittura fu una delle più significative nell’affrontare il tema dell’onirico: egli stesso si definiva volentieri “pittore ufficiale del diavolo” sentendo a sé congeniali i temi irrazionali e gli aspetti notturni della vita, con particolare predilezione per le immagini del sogno e dell’incubo, nel quale convivono presenze del mondo fisico e fantasmi della vita psichica. Morì nel 1825 a Londra. Ritratto di Füssli realizzato da James Northcote nel 1778.
Johann Heinrich Füssli, L'incubo. 1781. Olio su tela. cm. 101,6X127 Johann Heinrich Füssli, L'incubo. 1781. Olio su tela. cm. 101,6X127. Detroit, Insitute of Arts Si tratta della prima versione di un soggetto che dipingerà altre cinque volte, a testimoniare l’ossessione dell’incubo che ritorna identico nelle immagini e nei temi ma con lievi sfumature differenti Füssli include nello stesso spazio narrativo la donna sognante, l’incubo materializzato in un orribile nano accovacciato sul suo ventre e Il portatore dei sogni: la cavalla spettrale che appare da dietro una tenda e che visualizza il significato letterale del termine incubo in inglese, "nightmare", ovvero "cavalla della notte". È un’opera che contiene per la prima volta la materializzazione delle zone d’ombra inesplorate della psiche umana. Nelle varie versioni la fanciulla che dorme ha una posizione diversa, come diverse sono le posizioni che si assumono durante il sonno
Johann Heinrich Füssli, L'incubo. 1790/91 Johann Heinrich Füssli, L'incubo. 1790/91. olio su tela, 75x64 cm Goethe-Museum, Francoforte sul Meno L’incubo (dal latino incubare, giacere sopra; secondo i romani, Incubus era il nome di una creatura fantastica e malvagia tormentatrice del sonno) è sempre seduto su di lei, ma cambia posizione ed espressione Diversa risulta anche la collocazione della testa della cavalla, animale spettrale che secondo la tradizione popolare inglese viene cavalcata dall’incubo della notte per arrivare fino alla sua vittima. Per la figura dormiente Füssli ha potuto attingere ad un vasto repertorio iconografico formatosi a partire dalla pittura veneta del XVI secolo. Si tratta tuttavia di una ripresa puramente formale che l’artista inserisce in un contesto totalmente innovativo, gravido di conseguenze per l’arte dell’Ottocento e del Novecento, basti pensare a come il tema del sogno verrà elaborato dalla pittura simbolista.
Johann Heinrich Füssli, Il Silenzio, 1799-1801 olio su tela, 63,5x51,5 cm, Kunsthaus, Zurigo In uno spazio incombente e buio dai contorni indefiniti l’artista rappresenta una donna accovacciata con le gambe incrociate; non vi sono simboli, ma un solo raggio di luce fioca che modella questa donna. Anche i colori utilizzati sono di bassa tonalità ed aumentano un senso infinito di malinconico silenzio. Il silenzio incombe, rotti i freni inibitori della coscienza e la fanciulla si abbandona ad una posizione insolita, quasi al di fuori di ogni forza razionale. Füssli indaga i più segreti impulsi dell’animo umano riproponendoceli sotto forme di straordinaria suggestione. È una figura immobile adagiata in uno spazio irreale. Donna reale o che appare dai meandri dei sogni? Non vi è solo silenzio, come vuole il titolo dell’opera, ma tutta l’amara malinconia del silenzio che può aprirsi verso riflessioni salvifiche o portarci sul baratro della perdizione, della follia.
Francisco Goya (Fuendetodos 1746 – Bordeaux 1828) Francisco Goya rifiuta i modelli assoluti di bellezza, ha una grande passione per il colore e l’ombra. I suoi primi lavori importanti furono i cartoni per arazzi seguiti per le manifatture dei Reali di Santa Barbara, che rappresentano scene campestri, feste e costumi popolari Spagnoli. Nel 1792 vi è una svolta nella vita di Goya: colpito da una malattia che lo rende quasi sordo, isolato dal mondo esterno, c’è una riscoperta del mondo interiore; il linguaggio diventa più pessimistico, dovuto alla malattia e alle vicende politiche. La Spagna, arretrata e decadente, passò sotto il Governo di Giuseppe Bonaparte dal 1808 al 1814; ma lo stesso anno della conquista Napoleonica scoppiò con violenza la resistenza nazionale antifrancese: le atrocità di cui l’uomo è conquista Napoleonica capace vengono illustrate in una serie di opere, tra le quali spiccano le stampe della serie intitolata I disastri della guerra (1808). Il linguaggio è pessimista e cupo; gli ideali della ragione e della libertà sembrano ormai definitivamente irraggiungibili sul piano della storia. Nel 1814 la monarchia spagnola venne restaurata. Goya non fu oggetto della reazione borbonica, come molti suoi amici. Certo dovette ricredersi subito, se aveva nutrito qualche illusione riguardo le promesse illuminate del Sovrano Ferdinando VII. Questi infatti abolì la costituzione, ristabilì l’inquisizione, richiamò i gesuiti. Era la vittoria di quei ‘mostri’ contro i quali Goya aveva sempre combattuto attraverso la sua arte. L’artista dipinse per esprimere le sue meditazioni pessimistiche la “Quinta del sordo” con scene violente e allucinate tra le quali: Saturno che divora uno dei suoi figli (1821-23), dove allude al tiranno Ferdinando VII e che esprime in termini da incubo la cieca bestialità del potere che teme l’usurpazione. Quando Ferdinando VII soppresse la Costituzione, Goya abbandonò per sempre la Spagna e trascorse i suoi ultimi anni in Francia.
Francisco Goya Il sonno della ragione genera mostri (1797) Biblioteca Nacional de Espana, Madrid Rappresenta un uomo che dorme e nel momento del sonno; quando la ragione si assopisce, vengono generati dei mostri. E’ un invito a tenere desta la ragione. Secondo la visione illuministica quando l’intelletto perde il controllo della realtà non lascia il vuoto ma un coacervo di impulsi irrazionali e spaventosi, pronti a vanificare qualsiasi ordine costituito di valori. Mostri: =>ignoranza =>guerra.
Francisco Goya E non c’è rimedio (da i «Disastri della guerra» 1808) Un prigioniero spagnolo sta per morire fucilato dalle truppe napoleoniche; dietro di lui, un compagno muore per la raffica di un secondo plotone; ai piedi del protagonista, giace morto un altro patriota. Goya riesce così a trasmettere la sensazione della simultaneità della morte, nello spazio e nel tempo, continuazione del tema trattato nell'incisione precedente. La macchina per uccidere della guerra -anonima come le canne dei fucili che si vedono sulla sinistra della stampa- è costante, non si può fermare … e non c'è rimedio.
Francisco Goya Il Colosso (1810/12) Museo del Prado, Madrid
Francisco Goya Il 3 maggio 1808: fucilazione alla montagna del Principe Pio. 1814. Madrid, Prado Il dipinto rappresenta la resistenza delle truppe madrilene all' armata francese durante l'occupazione del 1808 della guerra d'indipendenza spagnola. Goya realizzò questo e un altro dipinto (Il 2 maggio 1808) su commissione del Consiglio della Reggenza. Questa opera raffigura la rappresaglia dei Francesi contro gli spagnoli sospettati di aver partecipato alla sommossa: tutti gli Spagnoli in possesso di armi, vengono prima fatti prigionieri e poi giustiziati. Goya esalta l’attaccamento alla patria e l’eroica resistenza. E’ ambientato di notte a Madrid, l’inquadratura è diagonale, Il fulcro dell’opera è il prigioniero inginocchiato con le braccia aperte, violentemente illuminato dalla luce della lanterna: la sua camicia bianca, in contrasto con il tono scuro degli altri colori, costituisce la nota più chiara e luminosa dell’intera composizione. Forte contrasto chiaroscurale: l’ombra contro la luce della lanterna che illumina la scena-simbolico: luce della libertà, ombra della guerra. Non ci sono margini ben definiti e quindi le pennellate sono approssimative. Goya mette in luce l’umanità di questi condannati a morte; sottolinea l’autenticità dell’uomo. Le mani alzate dell’uomo in bianco sono molto simili ad un’altra sua opera, ”Cristo in croce”. Un riferimento alla cristianità è evidente anche nella sagoma della chiesa che si staglia all’orizzonte e nella figura del frate che piega il capo per raccogliersi in un’ultima e inutile preghiera. Si tratta però di riferimenti che sottolineano l’impotenza della fede di fronte alla drammaticità degli eventi storici. Inoltre Goya invece di un eroe classico, raffigura un antieroe, un civile senza nome, ucciso con i suoi compatrioti da anonimi soldati. Goya ricorre a violenti contrasti di luce ed ombra per alludere alla vittoria delle forze della morte e dell’irrazionale su quelle della vita e della ragione
Francisco Goya Saturno che divora i suoi figli (1819/23) Museo del Prado, Madrid Il tema ripropone un mito greco: Saturno (Crono per i greci) fagocita i suoi figli nel momento della nascita, poiché gli è stato profetizzato che uno di loro lo avrebbe scalzato. Dunque, a costo di massacrare dei neonati, il dio dei cicli naturali custodisce avidamente il suo potente trono. Sono state avanzate varie interpretazioni del significato del dipinto: il conflitto tra vecchiaia e gioventù, il tempo come divoratore di ogni cosa, la Spagna che divorava i suoi figli migliori in guerre e rivoluzioni, o, più in generale, la condizione umana nei tempi moderni. Un'altra interpretazione identifica la figura di Crono con quella di Ferdinando VII, che dopo la restaurazione e il ritorno sul trono di Spagna attuò il ripristino dell'assolutismo e la repressione di qualsiasi fermento d'ispirazione liberale; forse, tuttavia, potrebbe riferirsi alla galoppante abdicazione della ragione in favore dell'irrazionalità, finalmente riconosciuta come vera forza motrice di ogni comportamento umano. A prescindere da queste difficoltà interpretative, comunque, il Saturno che divora i suoi figli è certamente il quadro più estremo e compiuto del ciclo delle cosiddette Pitture Negre, al quale è legato, oltre che per un'omologia dei toni cupi e minacciosi, anche per un fil rouge tematico legato proprio alla figura di Saturno, tradizionalmente associata alla disperazione e alla vecchiaia