Strategie in opzioni ad altissima probabilità di successo

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Transcript della presentazione:

Strategie in opzioni ad altissima probabilità di successo Web: www.eztrade.com/tradeport Informazioni e assistenza per i clienti italiani: www.quantoptions.it info@quantoptions.it

Il mondo senza le opzioni Short (azioni, futures) Long (azioni, futures) Reddito fisso

Il mondo con le opzioni E tanto altro ancora…

Vantaggi delle opzioni Le opzioni offrono alcuni grandi vantaggi operativi rispetto a tutti gli altri strumenti finanziari. Infatti, permettono di: svincolarsi dalla necessità di fare previsioni di direzione del prezzo; guadagnare anche sbagliando (non troppo) l’analisi; gestire (a volte) anche gli errori di una certa rilevanza; costruire scenari di profitto molto versatili; aggiustare le posizioni in corsa per renderle prive di rischio, pur mantenendo un profilo di profitto positivo.

Call e put, long e short Grazie a due tipologie di contratti di opzione, le call e le put, e a due comportamenti possibili su di esse, long e short, è possibile ottenere quattro posizioni di base, risposte ad altrettante ipotesi di comportamento dello strumento a cui sono legate, definito sottostante. Combinando tra loro in vari modi questi quattro mattoni di base è possibile poi creare un ventaglio quasi illimitato di strategie. Le strategie in opzioni possono dare risposta a qualsiasi scenario atteso futuro sul sottostante, con profili di rendimento atteso e rischio atteso che devono essere compresi a fondo per poter essere padroneggiati con sicurezza di sé e con efficacia.

Un mondo di opportunità Diverse tipologie di strategie perseguibili: direzionali (rialzo o ribasso) bi-direzionali (sia rialzo che ribasso) non-direzionali, o neutrali (né rialzo né ribasso) combinate con il sottostante (protective put, covered call, delta hedging)

La call Chi compra una call assume il diritto di comprare una certa quantità di sottostante ad un certo prezzo, detto strike, entro una certa data futura (stile americano) o proprio a tale data (stile europeo). Per avere tale diritto paga un premio che non gli verrà mai restituito, qualsiasi cosa succeda (una precisazione, però, in questo senso è doverosa, vedi slide 9). Ma esso rappresenta la massima perdita possibile in ogni caso, quindi l’operazione ha un rischio massimo perfettamente noto in partenza.

La call: specifiche contrattuali Le opzioni sono contratti regolamentati, quindi presentano caratteristiche standardizzate, valide sempre. Queste specifiche sono stabilite dalla Borsa che le emette, quindi variano da Paese a Paese e da sottostante a sottostante. Per le opzioni su azioni americane sono generalmente stabiliti questi criteri: lotto pari a 100 unità di sottostante: se compro una call ho il diritto di acquistare 100 azioni del titolo sottostante; stile americano: il diritto può essere esercitato in qualsiasi momento; regolamento a seguito di esercizio (in qualsiasi momento esso avvenga): consegna fisica del sottostante.

La call: obiettivi La call comprata permette o di prefissare il prezzo a cui verrà acquistato un titolo, o di speculare al rialzo sul prezzo del titolo stesso, limitando il rischio massimo dell’operazione ad una cifra nota a priori. Se il prezzo del sottostante sale oltre lo strike il detentore della call può esercitare il diritto di farsi consegnare 100 azioni ad un prezzo pari allo strike stesso, oppure rivendere la stessa call ad un prezzo aumentato, lucrando sulla differenza (anche qui ci sarebbero alcune precisazioni da fare, ma le faremo a tempo debito). Se il prezzo si mantiene sotto lo strike per tutta la durata del contratto, il detentore della call può semplicemente non fare nulla. A scadenza, al massimo avrà una perdita integrale pari al premio pagato all’acquisto. Se invece decide di non aspettare la scadenza, può rivendere la call ad un prezzo diminuito, perdendo la differenza (ma almeno non l’intera cifra).

Cosa determina il valore della call Il valore di una opzione call, in qualsiasi momento lo si misuri, è strettamente legato alla capacità di tale opzione di apportare un qualche beneficio al suo detentore. Esempio: una call strike 10$ sul titolo XYZ apporta un vantaggio a chi la possiede soltanto se il prezzo del titolo supera i 10$. In tal caso, infatti, chi detiene la call può esercitare il diritto in essa incorporato e farsi consegnare 100 azioni di XYZ a 10$ ciascuna. Se durante la vita del contratto il prezzo del titolo si mantiene sotto i 10$ la call non incorpora alcun valore tangibile, poiché non c’è alcun vantaggio nel farsi consegnare a 10$ qualcosa che si può avere ad un prezzo inferiore sul mercato.

Prezzo Vs valore Il prezzo di una call è a sua volta strettamente legato al suo valore; ne deriva che quando essa porta con sé un vantaggio tangibile ha un prezzo maggiore rispetto a quanto non apporta alcun vantaggio. Ma c’è anche un altro fattore da considerare: il tempo, che qui gioca un ruolo fondamentale. “Finché c’è vita, c’è speranza”, recita un famoso adagio. Lo stesso vale per le opzioni: se a fronte di una call strike 10$ il prezzo del sottostante si trova a 9$ ma c’è ancora abbastanza tempo perché possa risalire e raggiungere lo strike, l’opzione porta con sé un valore che rappresenta anche la aspettativa che le cose possano andare meglio in tempo utile per non perdere il premio pagato.

La call: il tempo è cruciale Il prezzo dipende quindi sostanzialmente da due componenti: una è legata al suo valore “vero”, ossia alla quantificazione del vantaggio che deriva dal detenerla. Questo viene chiamato valore intrinseco. L’altra componente è legata al tempo (anche ad altri fattori, a dire il vero, ma ne parliamo un po’ più avanti). Questa viene chiamata valore temporale. In poche parole si tratta di una quantificazione matematica della possibilità che il prezzo del sottostante possa salire oltre lo strike entro la scadenza del contratto. Questa possibilità dipende dalle probabilità dei singoli eventi, concetto sul quale torneremo presto.

Come sono quotate le opzioni? Le opzioni vengono quotate mediante tabelle elettroniche definite chain. Per ogni sottostante e per ogni scadenza si ha una tabella che riporta nella colonna centrale gli strike (decisi dalla Borsa emittente secondo regole codificate), nella parte sinistra le call, nella destra le put.

Come sono quotate le opzioni? Qui sotto è riportata la chain delle call scritte sul titolo McDonald’s con scadenza 15/12/2017 prelevata 30 giorni prima della scadenza, pochi minuti dopo l’apertura del mercato. Il titolo quotava circa 167.5$ per azione nello stesso momento.

Come si legge la chain? Osserviamo i valori di denaro e lettera (bid/ask) rispetto ai vari strike price. Le opzioni call con strike inferiori a 167.5$, parte bassa della tabella, a fondo blu, vengono definite in the money: il loro strike è stato raggiunto e superato. Queste opzioni hanno un valore intrinseco pari alla quantità di valore concreto che portano con sé, a sua volta pari a quanto lo strike è stato superato. La call 165, ad esempio, ha valore intrinseco pari a 2.5$.

Come si legge la chain? Il suo prezzo di mercato, però, è da qualche parte in mezzo allo spread denaro-lettera (prime due colonne a sinistra), quindi intorno ai 4$. Questo è dovuto al fatto che oltre a portare con sé un valore effettivo di 2.5$ porta con sé anche una aspettativa che tale valore intrinseco possa aumentare ancora, per effetto di una ulteriore salita del prezzo del titolo entro la scadenza. Questa aspettativa viene valutata dal mercato circa 1.5$. Perché tale valore? Non è facile dare una risposta a questa domanda, ma più avanti vedremo quali sono i parametri e le dinamiche che influenzano i prezzi delle opzioni durante la loro vita, e così potremo farci una idea

Come si legge la chain? La call 160$ è a sua volta in the money e ha un prezzo pari a circa 8$, e siccome il suo valore intrinseco è pari a 7.5$ il suo valore temporale è di soli 0.5$. Osserviamo ora la call 170$: si definisce out of the money, cioè priva di qualsiasi valore concreto, dal momento che il suo obiettivo non è ancora stato raggiunto. Il valore intrinseco è quindi pari a zero. Il suo prezzo allora, pari a circa 1.48$, è dato da solo valore temporale. Esso riflette l’aspettativa che il titolo possa salire sopra 170$ entro i prossimi 30 giorni di calendario.

Come si legge la chain? Se esistesse una call strike 167.5$ la definiremmo at the money, dal momento che il prezzo del sottostante sarebbe esattamente pari allo strike. Se il prezzo di quella call fosse circa pari a 2.75$ sarebbe ancora tutto e solo valore temporale, dal momento che non ci sarebbe una quantità di superamento dello strike a fare da valore intrinseco. Questo concetto ha una implicazione importantissima, di cui parleremo nuovamente tra poco (vedi slide 20): per guadagnare con le opzioni non bisogna individuare un obiettivo che verrà raggiunto, bensì un obiettivo che verrà superato!

Come si muovono i prezzi? Tutto è legato a come si muovono i prezzi, ovviamente, e qui si entra in un’area piuttosto tecnica. Innanzitutto dobbiamo distinguere due casi: a scadenza e in qualsiasi altro momento. Alla scadenza la valutazione del prezzo è molto semplice: non essendoci più tempo, non ci sono più aspettative da valutare, quindi ciò che rimane è il solo valore intrinseco. Se oggi fosse il giorno di scadenza, dunque, la call strike 165$ varrebbe esattamente 2.5$, la call 160$ varrebbe esattamente 7.5$, la call 170 varrebbe 0, come qualsiasi altra call il cui strike non è stato superato.

Come si muovono i prezzi? Attenzione: la stessa call strike 167.5$, se esistesse, se oggi fosse giorno di scadenza e il prezzo del sottostante fosse proprio pari a 167.5$ varrebbe esattamente zero! Oltre a non avere più valore temporale, infatti avrebbe valore intrinseco esattamente pari a 0. Questo concetto è di fondamentale importanza, se si pensa alla sua più diretta implicazione: non è sufficiente che il prezzo del sottostante raggiunga lo strike alla scadenza per restituire un utile al compratore della call: deve andare oltre. E siccome c’è un premio pagato, il superamento dello strike deve essere tale almeno da coprire il premio pagato, altrimenti l’utile netto è ancora negativo o al limite nullo. Ne riparleremo.

Come si muovono i prezzi? Vi è dunque un rapporto diretto tra quanto l’opzione è in the money a scadenza e il suo valore alla scadenza stessa: se è in the money di 1$ vale 1$, se è in the money di 10$ vale 10$, e così via. Se è at the money o out of the money vale esattamente 0$. Qual è dunque il profitto a scadenza dell’operazione? Anche qui è necessario fare una distinzione importante, ma la facciamo più tardi (vedi slide 23). Per ora possiamo dire che il valore intrinseco dell’opzione alla scadenza rappresenta il profitto lordo. Da esso dobbiamo detrarre il premio pagato, perché non ci verrà comunque mai restituito.

Come si muovono i prezzi? Vediamo quindi un esempio pratico. Abbiamo visto che la call 170$ ha un prezzo corrente di circa 1.48$. Se il prezzo di McDonald’s al giorno di scadenza è pari a 180$ per azione la call vale 10$: il suo valore intrinseco. Il profitto per noi invece è pari a 8.52$, ottenuto togliendo al valore intrinseco il premio pagato. Questo profitto è per azione, quindi in tutto sono 852$. Se invece il prezzo del titolo a scadenza è pari a 170$ o a qualsiasi altro valore inferiore a tale livello noi perdiamo definitivamente il premio pagato, cioè 1.48$, o 148$. A 171.48$ siamo in parità: recuperiamo il premio pagato ma non guadagniamo.

Il settlement è fondamentale! Alla slide 21 abbiamo lasciato in sospeso una questione che ora è opportuno affrontare. Le opzioni su azioni sono di stile americano, il che implica, oltre alla possibilità di esercitarle in qualsiasi momento, che esse si traducono in un esercizio sul sottostante a scadenza in caso si trovino in the money. Esempio: se compriamo la call 170$ su Mc Donald’s e il prezzo del titolo a scadenza - il cosiddetto prezzo di settlement - è superiore allo strike l’esercizio è automatico e si traduce in una operazione di acquisto di 100 azioni a 170$ ciascuna.

Il settlement è fondamentale! Da ciò discende che se vogliamo metterci in tasca il profitto maturato sulla call dobbiamo chiudere tale call prima che scada. Se la scadenza è vicina, l’opzione call replica praticamente in modo perfetto la salita del sottostante oltre lo strike. Se quindi il prezzo del titolo è 180$ pochi minuti prima della scadenza la call 170$ varrà circa 10$. Non è detto che si riesca a liquidare la posizione al miglior prezzo possibile, ma comunque si otterrà un risultato abbastanza in linea con il valore vero dell’opzione. Prima di procedere con l’analisi delle dinamiche dei prezzi delle opzioni durante la loro vita parliamo anche delle put.

La put Chi compra una put assume il diritto di vendere una certa quantità di sottostante ad un certo prezzo, detto strike, entro una certa data futura (stile americano) o proprio a tale data (stile europeo). Per avere tale diritto paga un premio che non gli verrà mai restituito, qualsiasi cosa succeda, come nel caso della call e con le stesse ulteriori specifiche viste alla slide 9. Ma esso rappresenta la massima perdita possibile in ogni caso, quindi l’operazione ha un rischio massimo perfettamente noto in partenza.

La put: obiettivi La put comprata permette o di prefissare il prezzo a cui verrà venduto uno certo sottostante, o di speculare al ribasso sullo stesso sottostante, limitando il rischio massimo dell’operazione ad una cifra nota a priori. Si consideri una put su azioni USA: se il prezzo del sottostante scende sotto lo strike il detentore della put può esercitare il diritto di vendere 100 azioni ad un prezzo pari allo strike stesso, oppure rivendere la stessa put ad un prezzo aumentato, lucrando sulla differenza (anche qui valgono le precisazioni che abbiamo lasciato in sospeso sulle call e ne parleremo a tempo debito). Se il prezzo si mantiene sopra lo strike per tutta la durata del contratto, il detentore della put può semplicemente non fare nulla. A scadenza, al massimo avrà una perdita integrale pari al premio pagato all’acquisto. Se invece decide di non aspettare la scadenza, può rivendere la put ad un prezzo diminuito, perdendo la differenza (ma almeno non l’intera cifra).

Cosa determina il valore della put Il valore di una opzione put segue le stesse logiche di quello delle call, ma invertendo la direzione del ragionamento: la put apporta un valore tangibile al suo detentore soltanto se il prezzo del titolo sottostante scende. Esempio: una put strike 10$ sul titolo XYZ apporta un vantaggio a chi la possiede soltanto se il prezzo del titolo scende sotto i 10$. In tal caso, infatti, chi detiene la put può esercitare il diritto in essa incorporato e vendere 100 azioni di XYZ a 10$ ciascuna. Se durante la vita del contratto il prezzo del titolo si mantiene sopra i 10$ la put non incorpora alcun valore tangibile, poiché non c’è alcun vantaggio nel vendere a 10$ qualcosa che si può vendere ad un prezzo superiore sul mercato.

Prezzo Vs valore La put è tipicamente un contratto assicurativo, che permette a chi associa tali strumenti a titoli sottostanti di fissare i prezzi di vendita dei titoli stessi in caso di crolli. Tutte le considerazioni fatte sul valore e il prezzo delle call, il tempo e il suo impatto, il valore intrinseco e il valore temporale valgono anche per le put, ma anche qui dobbiamo invertire la direzione di tutti i ragionamenti. Vediamo la chain delle opzioni put su Mc Donald’s scadenza dicembre 2017 prelevata il giorno 21 novembre a fronte di un prezzo di 169$ circa.

La chain delle put

Come si legge la chain? La chain dal lato delle put si legge esattamente nello stesso modo del lato delle call, ribaltando i ragionamenti. Se il titolo quota 169$ circa, tutte le put con strike maggiori di 169$, parte alta della chain, a fondo blu, sono in the money: il loro obiettivo, vedere il prezzo del titolo scendere sotto lo strike, è stato raggiunto e superato. Se fosse quotata una put strike 169 essa sarebbe esattamente at the money. Tutte le altre opzioni put sono out of the money: perché esse possano diventare in the money bisogna che il prezzo del titolo scenda e si porti sotto i rispettivi strike price.

Quanto vale la put? Anche i prezzi delle put sono costituiti da valore intrinseco e valore temporale, ma il valore intrinseco in questo caso è dato da quanto il prezzo del sottostante è sceso al di sotto dello strike. Essendo il prezzo di Mc Donald’s 169$, dunque, la put 175$ che ha prezzo pari a 7.25$ come baricentro tra denaro e lettera è in the money e ha 6$ di valore intrinseco, contro 1.25$ di valore temporale. La put 165, invece, è out of the money, quindi il suo prezzo, pari a circa 1.15$ è dato da solo valore temporale. Aspettative che il prezzo del titolo Mc Donald’s possa scendere sotto 165$ entro i prossimi 24 giorni di calendario.

Quanto vale la put? Anche nel caso delle put il raggiungimento dell’obiettivo non è condizione sufficiente per ricavarne un utile: dal momento che il premio pagato non viene restituito in nessun caso, il punto di pareggio si ottiene scendendo al di sotto dello strike in misura esattamente pari al premio stesso. A scadenza non c’è più valore tempo e quindi resta soltanto il valore intrinseco. In qualsiasi momento precedente la scadenza subentrano altre dinamiche, di cui ora ci occuperemo.

Dinamiche dei prezzi Nel corso di una qualsiasi giornata precedente la scadenza la questione è assai più complessa di quanto non avvenga alla scadenza, e per cominciare è opportuno capire quali sono i sei parametri che influenzano il comportamento dei prezzi delle opzioni: Prezzo del sottostante (S), strike (K), vita residua (T), tasso di interesse privo di rischio (r), volatilità (s), dividendi (D). Liquidiamo subito dividendi, strike e tassi di interesse, così poi potremo focalizzarci sulle tre variabili che importano davvero: sottostante, tempo e volatilità.

Dinamiche dei prezzi I dividendi fanno scendere il prezzo dei titoli nel momento in cui vengono pagati, perciò producono effetti che in qualche modo devono essere incorporati nei prezzi delle opzioni così da inibire eventuali arbitraggi. Posto infatti – se rifacciamo mente locale alle dinamiche del valore intrinseco viste in precedenza - che i prezzi delle opzioni dipendono dalla posizione relativa del prezzo del sottostante rispetto al loro strike, se il dividendo fa scendere il prezzo del titolo allora fa scendere anche i prezzi delle call (non tutti nello stesso modo, ma comunque tutti) e salire quelli delle put (idem).

Dinamiche dei prezzi Ciò può creare occasioni di arbitraggio o comunque di profitti a rischio molto controllato: sapendo che ad una certa data il prezzo del titolo scenderà di una certa misura per effetto del dividendo equivale a sapere che le call e le put risentiranno di tale evento. Perché allora non aspettare il pagamento del dividendo e solo dopo di esso comprare eventualmente opzioni call? E perché non comprare opzioni put il giorno precedente il pagamento del dividendo, sapendo che il loro prezzo aumenterà il giorno dopo? Sarebbe un modo praticamente “sicuro” di risparmiare o guadagnare. Questo vantaggio viene neutralizzato dai prezzi delle opzioni, che fin dalla loro immissione sul mercato scontano nei prezzi il pagamento futuro del dividendo: le call quotano di meno, le put quotano di più. Se il valore del dividendo è noto con precisione lo scontano con esattezza, altrimenti ne scontano una stima (poi possono subire aggiustamenti futuri, ma di piccola entità).

Dinamiche dei prezzi Per quanto riguarda lo strike, il discorso è sostanzialmente tutto riferito alla moneyness dell’opzione, ossia alla posizione relativa del sottostante rispetto allo strike stesso. Studiare l’impatto del sottostante sul prezzo dell’opzione implica cioè che si tenga conto della posizione relativa del sottostante e dello strike. Quest’ultimo dunque viene analizzato in modo indiretto, attraverso l’analisi dell’impatto dei movimenti di prezzo del sottostante.

Dinamiche dei prezzi I tassi di interesse ai giorni nostri hanno una incidenza pressoché nulla sui prezzi delle opzioni. Generalmente, comunque, tenendo conto delle leggi economiche e di alcuni ragionamenti in materia di arbitraggi, è possibile dimostrare che quando i tassi salgono i prezzi delle call salgono e i prezzi delle put scendono; e viceversa.

Dinamiche dei prezzi Come già anticipato, le tre variabili più importanti in materia di dinamiche dei prezzi delle opzioni sono S, T e s. Il modo in cui questi parametri agiscono sul prezzo delle opzioni durante la loro vita è espresso matematicamente attraverso le cosiddette greche delle opzioni: Delta, Theta e Vega. Si tratta fondamentalmente di derivate prime parziali della curva del prezzo dell’opzione, ossia di quantificazioni di variazioni del prezzo dell’opzione a fronte di una piccola variazione di una sola delle variabili libere, mantenendo ferme le altre.

Dinamiche dei prezzi Ce n’è anche una quarta, Gamma, che però è data dal Delta del Delta, dunque è una derivata seconda. Ne riparleremo presto. Questi parametri quantitativi sono riportati nelle due chain che abbiamo visto in precedenza. Non ci sono differenze concettuali tra le greche delle put e quelle delle call: cambia solo la direzione (e quindi anche il segno) del cambiamento del prezzo del sottostante nel loro calcolo. Si osservi la chain alla slide successiva.

Dinamiche dei prezzi Chain delle opzioni sul titolo Time Warner Inc., prezzo 90.06$, scadenza 15/12/2017 prelevata alle 18 del 22/11/2017.

Il delta: la velocità del prezzo Il delta quantifica la variazione di prezzo dell’opzione a fronte di una variazione di prezzo del sottostante. Nello specifico, esprime quanta parte del movimento del prezzo del sottostante viene riflessa dal prezzo dell’opzione. Osserviamo la call 90$, at the money: ha delta pari a 0.488. Ciò significa che se il prezzo del titolo sale di 0.1$ la call 90$ sale di 0.0488$: la call riflette il 49% circa del movimento del titolo. Seppure con un certo grado di approssimazione, dunque, il delta ci permette di stimare come cambia il prezzo di una call a fronte di un certo movimento nel prezzo del sottostante.

Il delta: la velocità del prezzo Una caratteristica importante: il delta non è costante. Se osserviamo tutti i valori del delta che appaiono nella chain, infatti, vedremo che esso è molto basso per le opzioni out of the money (strike alti per le call, bassi per le put), è via via crescente man mano che ci spostiamo verso la zona at the money (strike pari o vicini a 90$), e cresce poi progressivamente ancora di più entrando nella zona in the money (strike bassi per le call, alti per le put). Essendo valorizzazione di una frazione di cambiamento del prezzo della opzione rispetto al prezzo del titolo, il delta oscilla tra 0 e 1 (per le call).Sul fronte delle put valgono gli stessi ragionamenti invertendo il segno: il delta delle put è infatti negativo (tra -1 e 0), poiché se il sottostante sale il prezzo delle put scende e viceversa, quindi non c’è corrispondenza tra il segno del numeratore e quello del denominatore.

Il delta: la velocità del prezzo Il delta ha una chiave di lettura molto importante (che è alla base di una sofisticata strategia di copertura dei rischi, chiamata delta hedging): esso è misura della probabilità di una opzione di scadere in the money. Si tratta di un concetto importante ma anche fuorviante, se non si presta attenzione: la call 90$, per esempio, in questa chiave di lettura ha una probabilità del 49% di essere in the money al 15 di dicembre 2017. Ma cosa comporta tutto ciò? Si ha dunque una probabilità del 49% di guadagnare denaro comprando oggi quella call? In effetti la risposta è no: se il prezzo del titolo a scadenza è 90.01$ la call 90$ è in the money, ma se la compriamo oggi a 1.5$ a scadenza avremo perso 1.49$!

Il delta: la velocità del prezzo In effetti il delta non quantifica di quanto l’opzione potrà essere in the money alla scadenza, dunque non indica in alcun modo quanto possa essere profittevole l’acquisto di una opzione. Il problema qui è tra l’altro anche di un’altra natura: il modello di pricing delle opzioni da cui deriva il calcolo del delta si basa sulla assunzione che la distribuzione dei rendimenti logaritmici dei prezzi sia Normale (cioè gaussiana). Questa assunzione, che per molte applicazioni pratiche si traduce in una assunzione di normalità dei prezzi (vedi ad esempio le bande di Bollinger, indicatore assai popolare di volatilità), è una approssimazione della realtà, che può portare a stime drasticamente errate delle probabilità degli eventi.

Il gamma: l’accelerazione Il problema probabilistico applicato al trading in opzioni è di portata assai rilevante e quindi richiede una trattazione adeguata, che affronteremo al momento opportuno. Il gamma è il delta del delta, ossia indica di quando varia il delta a fronte di una variazione nel prezzo del sottostante. Si tratta di una misura di come i prezzi delle opzioni accelerino o decelerino in funzione del prezzo del sottostante. Senza entrare troppo nel merito, le opzioni at the money sono quelle dotate di maggior gamma, mentre tutte le altre opzioni hanno valori via via trascurabili quanto più ci si allontana dallo strike at the money.

Il vega: la paura fa 90! Il vega misura l’impatto sui prezzi delle opzioni di una variazione di 1 punto percentuale di volatilità. Ma una distinzione fondamentale va fatta: la volatilità di cui si parla qui non è quella osservabile su dati pregressi, bensì quella stimabile sui dati futuri. Si tratta cioè di una aspettativa di volatilità futura, riflessa dai prezzi delle opzioni. Viene infatti chiamata volatilità implicita. La volatilità implicita viene definita indice della paura, essendo essa espressione del rischio atteso di uno strumento finanziario.

Il vega: la paura fa 90! Maggiore volatilità attesa riflette l’attesa, da parte del mercato, di ampie fluttuazioni del prezzo in un senso e nell’altro, dunque una maggiore probabilità di raggiungere sia valori elevati che valori ridotti. Tutto ciò apporta maggiori probabilità a tutte le opzioni quotate di diventare in the money durante la loro vita, dunque conduce a maggiori prezzi sia per le call che per le put. Il vega è infatti positivo per tutte le opzioni, anche se non varia in modo uniforme insieme alle diverse moneyness. Anche qui non entriamo troppo nel merito.

Il vega: la paura fa 90! La volatilità implicita ha due caratteristiche fondamentali: seppure con alcune eccezioni, è mean reverting; generalmente sovrastima la volatilità realizzata. In altre parole, quando il mercato riflette nei prezzi delle opzioni una elevata paura per gli eventi futuri attesi… generalmente sbaglia! Tutto ciò ha implicazioni fondamentali per il trading in opzioni, e ne riparleremo a tempo debito.

Il theta, o time-decay Il theta misura la diminuzione del prezzo di una opzione al passare di 1 giorno di calendario. È negativo per tutte le opzioni, poiché il tempo può solo ridursi, ma non è costante, né uguale per tutte le opzioni. In particolare, il time-decay è massimo quando ci si avvicina alla scadenza (può essere infatti rappresentato alla stessa stregua del moto di un proiettile); inoltre, in termini relativi è più marcato per le opzioni out of the money, mentre in termini assoluti è più drammatico per le at the money.

Il theta, o time-decay Più tempo si ha a disposizione di fronte a sé, maggiore è la possibilità che il prezzo di un sottostante possa raggiungere un determinato obiettivo. I prezzi dunque sono alti. Viceversa, man mano che il tempo passa se il mercato non va nella giusta direzione le probabilità di successo si riducono man mano. I prezzi dunque calano. Il passaggio del tempo, dunque, gioca contro i compratori di opzioni. Anche questo è un concetto fondamentale, su cui torneremo tra poco.

Mettiamo tutto assieme Ora abbiamo tutti gli elementi per poter cominciare a ragionare in merito al trading in opzioni e alle sue implicazioni. Pensiamo, ad esempio, a cosa significhi comprare una call: stiamo ipotizzando che il prezzo del sottostante sia destinato a salire sopra un certo livello entro una certa data futura. Stiamo dunque facendo due ipotesi allo stesso tempo: direzione del prezzo e tempo sufficiente perché ciò si verifichi. Dal momento in cui compriamo la call abbiamo il tempo che rema contro di noi: ogni giorno che passa si erode il valore temporale dell’opzione, riflesso del fatto che le probabilità degli eventi si riducono.

Mettiamo tutto assieme Queste probabilità dipendono anche dal livello di paura che permea il mercato: se il mercato si aspetta forti movimenti di prezzo da parte del sottostante rifletterà tale aspettativa in prezzi maggiori per tutte le opzioni. Comprare una opzione allora significherà spendere di più. Si dice che comprare opzioni significhi comprare volatilità. In effetti è proprio così. E sappiamo che la volatilità incorporata nei prezzi tende a scemare nel tempo e a rivelarsi una stima errata di ciò che effettivamente accadrà. La volatilità, dunque, specialmente quando è alta, gioca contro i compratori di opzioni. Le probabilità sono a sfavore.

Mettiamo tutto assieme Ovviamente queste probabilità dipendono anche dalla moneyness dell’opzione, ossia da dove si trova lo strike in relazione al prezzo del sottostante. Si potrebbe pensare che comprare opzioni con strike lontani esponga a rischi bassi, poiché i prezzi sono bassi. Ma in effetti sono basse anche le probabilità di vittoria. Allora si potrebbe optare per opzioni con strike vicini, perché così le probabilità di vittoria sono maggiori. Ma in effetti anche i prezzi sono maggiori. Come si esce da questa impasse?

Mettiamo tutto assieme La prima cosa da fare è guardare al mercato in chiave puramente matematica, probabilistica. Bisogna capire in ogni momento quale comportamento operativo apporti le maggiori probabilità di successo: su quale titolo, su quale strike, su quale scadenza. E qui si innesta il primo problema fondamentale: come misuriamo queste probabilità? Riformuliamo la domanda in un altro modo: come fanno tutti gli altri trader sul mercato?