THE NARRATIVE OF ARTHUR GORDON PYM OF NANTUCKET

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THE NARRATIVE OF ARTHUR GORDON PYM OF NANTUCKET

IL PRIMO ROMANZO DELLA FANTASCIENZA AMERICANA The Narrative of Arthur Gordon Pym viene comunemente considerato il primo romanzo della fantscienza americana. Ma Poe sarebbe anche l’autore del primissimo testo fantasceintifico americano, il racconto “The Unparalleled Adventures of One Hans Phaall” (1835), che narra un viaggio in pallone aerostatico fino alla luna – l’implausibilità della vicenda è parzialmente riscattata dalle discettazioni di carattere “scientifico” sulla possiiblità di unsimile viaggio, ma il tono è forzatamente comico-grottesco, e quindi parlare di fantascienza è sostanzialmente improprio – si tratta piuttosto della parodia di un genere che ancora non esiste, di una parodia “virtuale”.

THE NARRATIVE OF ARTHUR GORDON PYM: SCIENCE VS FICTION, RAGIONE VS IMMAGINAZIONE In The Narrative of Arthur Pym assistiamo al dialogo/scontro (centrale per la nascita della moderna science fiction) tra ragione e immaginazione, identificabile, al livello della mente umana, con i due emisferi del cervello. EMISFERO SINISTRO • VERBALE: utilizza parole,vocaboli, per nominare per definire • ANALITICO: analizza cose e realtà nelle loro parti • SIMBOLICO: usa stimoli e segni • ASTRATTO: da un dettaglio rappresenta la realtà nella sua completezza • TEMPORALE: dispone cose ed eventi in sequenza temporale • RAZIONALE: arriva a conclusioni fondate sulla ragione • DIGITALE: usa il metodo numerico • LOGICO: trae conclusioni su principi logici • LINEARE: pensa in termini sequenziali EMISFERO DESTRO • NON VERBALE: conscio della realtà ma incapace di descriverla verbalmente • SINTETICO: unisce le parti formando un tutto • CONCRETO: rappresenta le cose come sono nel momento presente • ANALOGICO: vede le somiglianze, non comprende relazioni metaforiche • ATEMPORALE: senza senso del tempo • NON RAZIONALE: non richiede fondamenti razionali dei fatti • SPAZIALE: percepisce le cose in relazione spaziale con altre, come parti di un tutto • OLISTICO: vede le cose nel loro insieme, talora in contrasto col sinistro

UN RACCONTO DI VIAGGIO Fonti Jeremiah N. Reynolds, Address on the Subject of a Surveying and Exploring Expedition to the Pacific Ocean and the South Seas (recensito positivamente da Poe nel gennaio 1837) La circumnavigazione del globo da parte di James Cook negli anni ’70 del Settecento Beniamin Morrell, A Narrative of Four Voyages (1832) Samuel Taylor Coleridge, The Rime of the Anciento Mariner Daniel Defoe, Robinson Crusoe La leggenda dell’Olandese Volante Le teorie di John Cleves Symmes sulla “Terra cava” (Symmes’s Theory of the Concentric Spheres, 1826)

UNA CONFUSIONE DI GENERI Scott Peeples: “at once a mock nonfictional exploration narrative, adventure saga, Bildungsroman, largely plagiarized travelogue, and spiritual allegory,” and “one of the most elusive major texts of American literature”.

UN VIAGGIO ALLA RICERCA DELL’IDENTITÀ Il viaggio di Arthur Gordon Pym serve a stabilire un’identità sia nazionale sia personale Questa identità deve essere raggiunta attraverso una serie di prove in cui si confrontano le forze del caos e quelle dell’ordine Nel primo viaggio si alternano momenti di razionalità e momenti di irrazionalità indotta dall’alcol

ELEMENTI AUTOBIOGRAFICI Il romanzo inizia con Arthur Gordon Pym (evidente la somiglianza con il nome dell’autore) che parte da Edgartown Il protagonista (evidente doppio dell’autore) parte quindi per abbandonare sé stesso “Gordon” rimanda a George Gordon Byron, poeta ammirato da Poe Pym arriva a Tsalal il 19 gennaio (il compleanno di Poe) Augustus è basato sullìamico Ebenezer Burling o sul fratello William Henry Leonard Poe (Augustus muore nello stesso giorno dela morte del fratrello di Poe) La scialuppa Ariel prende il nome dal personaggio shakespeariano che la madre di Poe, Eliza, aveva interpretato

UNA STORIA EDITORIALE COMPLICATA La prima puntata del romanzo fu pubblicata nel Southern Literary Messenger nel gennaio del 1837, ma Poe fu poi licenziato dalla rivista e decise di pubblicare il romanzo in forma di libro, presentandolo non più come un’opera di fiction ma come il resoconto autentico di una serie di eventi realmente avvenuti per mano del loro protagonista, Arthur Gordon Pym. L’autore si riservò il ruolo (ovviamente fittizio) di mero editor del volume ed estensore della prefazione. Per cui, la “vera” natura del romanzo è quella dichiarata quando le prime puntate iniziano a essere pubblicate in rivista come fiction, mentre quando esce in volume il testo si presenta come falsamente autentico, e rimbalza l’accusa di “falsità” sull’edizione serializzata,falsa” proprio perché invece sarebbe “vera” (cosa che ovviamente non è).

UN ROMANZO RAZZISTA? Il carattere specificamente “fantascientifico” del romanzo viene di norma assegnato alla sua dimensione di racconto di un viaggio di scoperta di nuovi mondi. Ma un altro aspetto importante è quello di “fantasia” parascientifica sulle differenze tra le “razze” (e sulla loro gerarchia). Il testo sembra infatti voler promuovere una visione binaria dell’umanità, basata sull’opposizione tra “bianchi” (razionali ed “etici”) e “neri “ (irrazionali e “immorali”), molto diffusa dal cosiddetto “razzismo scientifico” ottocentesco. La prima descrizione del principale co-protagonista del romanzo, Dirk Peters, rispetta infatti i classici pregiudizi sugli indiani e sui neri (sui non-bianchi, cioé), e anche sui mulatti (Peters è un mixed blood, bianco e nativo): This man was the son of an Indian squaw of the tribe of Upsarokas, who live among the fastnesses of the Black Hills, near the source of the Missouri. […] Peters himself was one of the most ferocious-looking men I ever beheld. He was short in stature, not more than four feet eight inches high, but his limbs were of Herculean mould. His hands, especially, were so enormously thick and broad as hardly to retain a human shape. His arms, as well as legs, were bowed in the most singular manner, and appeared to possess no flexibility whatever. His head was equally deformed, being of immense size, with an indentation on the crown (like that on the head of most negroes), and entirely bald. […] The mouth extended nearly from ear to ear, the lips were thin, and seemed, like some other portions of his frame, to be devoid of natural pliancy, so that the ruling expression never varied under the influence of any emotion whatever. . . . To assess this man with a casual glance, one might imagine him to be convulsed with laughter, but a second look would induce a shuddering acknowledgment, that if such an expression were indicative of merriment, the merriment must be that of a demon. In Playing in the Dark: Whiteness and the Literary Imagination, Toni Morrison sostiene che il romanzo usa i neri come immagine dell’ “Altro” nei confronti del quale si costituisce il soggetto autenticamente “umano”, “bianco,” “libero,” e “individualista”.”

HAAWTHORNE, I BIANCHI, I NERI Un quarto di secolo dopo la pubblicazione del romanzo di Poe, Nathaniel Hawthorne scrive alcune riflessioni sul legame inscindibile che lega bianchi e neri, e ne rintraccia le origini nelle origini stesse della civiltà angloamericana: There is an historical circumstance, known to few, that connects the children of the Puritans with these Africans of Virginia in a very singular way. They are our brethren, as being lineal descendants from the Mayflower, the fated womb of which, in her first voyage, sent forth a brood of Pilgrims on Plymouth Rock, and, in a subsequent one, spawned slaves upon the Southern soil, – a monstrous birth, but with which we have an instinctive sense of kindred, and so are stirred by an irresistible impulse to attempt their rescue, even at the cost of blood and ruin. The character of our sacred ship, I fear, may suffer a little by this revelation; but we must let her white progeny offset her dark one, – and two such portents never sprang from an identical source before. (Hawthorne, “Chiefly About War Matters”, 1862)

UN FINALE AMBIGUO Il romanzo finisce di colpo con l’improvvisa apparizione di una enorme figura avvolta in un mantello, la cui pelle è “of the perfect whiteness of the snow”. Nel corso di quasi due secoli il finale è stat0 sottoposto alle più svariate interpretazioni: c’è chi sostiene che questa conclusione ha il valore simbolico di segnare la fine del viaggio spirituale di Pym, che dopo la morte discende nell’oltretomba ma ascende a un livello superiore di purezza (bianca), sicché il racconto è in qualche modo postumo, e chi invece ritiene che la morte di Pym, avvenuta secondo l’editor Poe dopo il ritorno di Pym in America, sia la conclusione di un cerchio che doveva verificarsi all’interno dell’intreccio, con la morte del protagonista al Polo Sud. In ogni caso, della misteriosa figura che appare alla fine non viene offerta alcuna spiegazione, e può essere interpretata come simbolo di protezione e/o distruzione, in alternativa o simultaneamente.

IL NOVUM IN ARTHUR GORDON PYM Prima di coniare il termine “science fiction”, Hugo Gernsback aveva spiegato il significato del termine precedentemente esistente, scientifiction: By “scientifiction” I mean the Jules Verne, H.G. Wells and Edgar Allan Poe type of story – a charming romance intermingled with scientific fact and prophetic vision […] Not only do these amazing tales make tremendously interesting reading – they are always instructive […] They supply knowledge […] in a very palatable form […] New inventions pictured for us in the scientifiction of today are not at all impossible of realisation tomorrow. Gernsback sottolineava proprio (anche in Poe) quell’aspetto dell’innovazione/invenzione/ scoperta che per Suvin è il novum. Nel romanzo di Poe, oltre attraverso le scoperte “geografiche” e la fantasia sui rapporti interrazziali, l’elemento del novum si presenta anche (in termini ovviamente non-fantascientifici) come (re-) invenzione dell’Io del soggetto: l’apertura al “possibile” prodotta dal novum fantascientifico si riflette sul soggetto stesso, che rigenera sé stesso in forme nuove (o meglio cerca di farlo…).

UN NUOVO SÉ Fin dalle prime pagine del romanzo Pym dichiara di volersi “separare” dalla sua classe sociale e dalla sua famiglia. Invece di accettare il suomposto nella società, sceglie di “decomporre” la sua identità, sottraendola a ogni sorta di vincolo precostitutito, per forgiare un sé completamente nuovo (riattualizzazione del mito americano del Nuovo inizio). Ma la rappresentazione di questa nuova identità attraverso le immagini del naufragio, che potrebbero simboleggiare la necessaria morte prima della rinascita, non trovano eco in analoghe immagini di rigenerazione alla fine del romanzo (per quanto, come detto, alcuni critici abbiano voluto interpretare la conclusione in questo senso – ma il fatto che, nella finzione della storia editoriale del romanzo, al momento della sua pubblicazione Pym è morto smantella questa ipotesi).