MESTER DE CLERECÍA Questione della designazione:

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MESTER DE CLERECÍA Questione della designazione: scuola poetica (Deyermond, Willis, López Estrada, Gómez Moreno) genere letterario (Salvador Miguel) Isabel Uría sostiene che si tratti di una scuola che sul piano formale si caratterizza per un singolare sistema di versificazione. Però bisogna distinguere fra poemi del XIII e poemi del XIV secolo quanto a versificazione e norme adottate.

Il manifesto letterario del mester de clerecía coincide con la copla 2 del Libro de Alexandre: Mester traigo fermoso: non es de joglaría, mester es sen pecado, ca es de clerecía fablar curso rimado por la cuaderna vía a síllavas cuntadas ca es grant maestría.

2a’ [un] mester traigo fermoso, 2a’’: [este mester] non es de joglaría, 2b’: [este] mester es sen pecado, 2b’’: ca es [mester] de clerecía, 2c’: [es mester de clerecía] fablar curso rimado 2c’’: por la cuaderna vía, 2d’: [y hacerlo] a sylabas contadas, 2d’’: que es grant maestría.

1) Fablar significa ‘esprimere’, ‘dire’, ‘comporre’. 2) Curso è stato intepretato talora come cursus latino, talora come ‘curso, historia’ o più precisamente come ‘discurso’ o ‘decurso lingüístico’ (Uría). 3) Per quanto riguarda l’aggettivo rimado, vuol dire ‘con ritmo’ e non ‘con rima’ perché tale termine nel Medioevo faceva riferimento non alla consonanza ma al verso di tipo romanzo, ritmico-sillabico, basato sugli accenti di intensità e il numero di sillabe, in contrapposizione al metrus latino, basato sulla durata o quantità sillabica (rhytmus). 4) Curso rimado significa dunque ‘serie di parole disposte ritmicamente’. Rico conferma questa lettura citando un passo del Roncesvalles latino dove il sintagma rimi series equivale a curso rimado. E in effetti il Roncesvalles latino è in tetrastici monorimi e presenta molte somiglianze con il mester de clerecía.

1) Cuaderna è aggettivo e vía sostantivo 1) Cuaderna è aggettivo e vía sostantivo. Vía è ‘cammino’, ‘percorso’ o anche ‘modo’. Riferito a una strofa indica la uguaglianza formale dei quattro versi che la compongono. 2) Cuaderna significa ‘quadrupla’ ed è applicabile a tutto quanto si compone di 4 elementi. Questo modo quaternario si può riferire non solo ai 4 versi della strofa ma anche alla divisione di questi in 4 membri poiché la cesura divide ogni verso in due emistichi e questi, a loro volta, si dividono ancora in due unità e figure ritmiche. Pertanto, la somma delle unità metrico-ritmiche della strofa è un multiplo di 4.

A sílabas contadas allude principalmente alla conta delle sillabe e all’uso della dialefe come un principio obbligato della versificazione, fenomeno che ha ripercurssioni a livello di sintassi, prosodia e ritmo, dando luogo a una struttura lingüística estremamente segmentata e pertanto a una dizione pausata, sillabata eun ritmo spezzato. Questo sintagma può anche alludere alla scansione sillabica colta, alla maniera latina. Per esempio sono frequenti le sineresi all’interno di parole di origine latina: aflictïón, devocïón, discrecïón, pacïencia, sapïencia, glorïosa. Si tratta dunque di latinismi prosodici, voci colte che i chierici introducono nei loro poemi, anche se non sempre si dà questa scansione.

La dialefe è una norma cultista e latineggiante che fu imposta dai trattatisti latini del XII secolo. Essi condannarono la sinalefe in quanto tratto rustico e vile, proprio del mester de juglaría. Un sillabismo soggetto a principi latinisti doveva essere celebrato come ‘gran maestría’.

Mester, fuori contesto, significa ‘ministero’, ‘ufficio’, ‘attività’ e clerecía ‘insieme di chierici’ o ‘insieme di saperi, cultura dotta’. Fu Milá i Fontanals il primo che utilizzò la formula mester de clerecía per designare questi poemi e parlò per la prima volta di scuola poetica.

Isabel Uría include nel novero del mester de clerecía tutti i poemi che si adeguano alle norme descritte nel Libro de Alexandre:   Libro de Alexandre Libro de Apolonio Opere di Gonzalo de Berceo e i suoi Himnos litúrgicos Poema de Fernán González 1) Unità stilistica e formale, poetica e retorica dei poemi del XIII secolo. 2) I loro autori condividono anche il medesimo atteggiamento nei confronti della materia che trattano e nei loro poemi rivelano il medesimo spirito didattico e moraleggiante.

Bisogna ipotizzare l’esistenza di un centro di formazione, di un ambito culturale comune a questi testi. Potrebbe essere stato l’Università di Palencia, fondata da Alfonso VIII fra il 1208 e il 1212 e governata dal vescovo Tello Tellez de Meneses. A partire dal 1225 questa Università cominciò a decadere fino a scomparire. Importanti contatti con l’area francese (Pierre de Blois). Nello Studium palentino circolò l’Alexandreis e venne composto un trattato di grammatica sui verbi latini intitolato Verbiginale. Probabilmente anche il Libro de Apolonio venne scritto a Palencia. Presenta le tecniche della parafrasi, abbreviatio e amplificatio. Historia Apollonii regis Tyrii è la fonte.  

Carattere latineggiante della lingua di questi poemi (iperbati, costruzioni assolute, frasi nominali, zeugmi ed ellissi di vario genere). L’unità semantico-sintattica quasi sempre coincide con quella del verso o dell’emistichio. Nella costruzione delle frasi predominano la giustapposizione e l’asindeto. La tecnica del mester ha una solida base grammaticale.

GONZALO DE BERCEO   Il nome di Gonzalo de Berceo figura in vari documenti notarili di San Millán de la Cogolla in qualità di testimone. Nacque intorno al 1196. Lo stesso autore dichiara nei suoi testi di essere nato a Berceo, di essere stato educato nell’antico cenobio di Suso, di essere sacerdote e maestro. Prima fu chierico secolare, poi divenne preste, ovvero fu ordinato sacerdote. Sappiamo che era in vita dopo il 1252, anno in cui morì Fernando III, personaggio a cui egli allude come già morto. Fu direttamente coinvolto nella riforma ecclesiastica che cominciò a partire dal Concilio Laterano IV (1215). Le sue opere hanno una netta impronta catechistica, rivolta più al clero che al popolo.

Fino alla metà del XX secolo era invalso il giudizio su Berceo come poeta ingenuo e umile, incline a un certo popolarismo e poco colto. Dopo gli studi di Dutton, Gariano, Ruffinatto è emersa l’immagine di un Berceo ben più scaltrito nell’uso del mezzo letterario e giudicato persino come abile propagandista. Berceo aveva una cultura scolastica e si era formato all’università palentina. Aveva anche una notevole cultura musicologica, che emerge dal lessico tecnico inerente alla musica e presente in alcuni suoi testi (organar, canto, descanto, ecc.).

Opere Poemi agiografici: Vida de san Millán de la Cogolla Vida de Santo Domingo de Silos Poema de Santa Oria Martirio de San Lorenzo

Opere mariane: Milagros de Nuestra Señora El duelo que fizo la Virgen el día de la Pasión de su Fijo Loores de la Virgen (poema simbolico e dottrinale in cui manifesta l’importanza della Vergine Maria come strumento di redenzione per gli uomini)   Poemi dottrinali (la fonte è Bernardo di Chiaravalle): Sacrificio de la Misa Los signos que aparecerán antes del Juicio Le opere di Berceo ci sono pervenute quasi tutte in collezione, copiate insieme in un codice del XIV secolo e in due del XVIII.

Milagros de Nuestra Señora   Milagros de Nuestra Señora Trattato mariologico in cui si esalta il potere mediatore di Maria nell’economia della Salvezza. Nella prima parte, la Introducción, il poeta-romero entra in un allegorico locus amoenus e ne descrive l’aspetto paradisiaco attraverso simboli che rappresentano la vergine e il suo potere di intercessione. La seconda parte comprende 25 miracoli che ripetono sempre lo stesso schema: un peccatore devoto della Vergine è salvato da lei o è resuscitato nel caso sia morto. I miracoli sono piccoli racconti con introduzione, sviluppo e epilogo. Tutti hanno fonti latine, mentre l’introduzione è originale di Gonzalo de Berceo.

Libro de buen amor Poema didattico eterometrico: la strofa principale è la quartina monorima di alessandrini ma il poema contiene anche altri componimenti intercalati in metri differenti (esasillabi, ottosillabi) e con strutture strofiche diverse (zéjeles, canciones, ecc.). L’opera è trasmessa da tre codici: G (Gayoso, fine XIV secolo), T (Toledo, fine XIV secolo), imparentati fra di loro, e S (Salamanca, XV secolo), che corrisponde a una redazione successiva. Nelle coplas 19 e 575, l’autore protagonista si presenta come “Juan Ruiz, Arcipreste de Hita”. Nella copla 1634 si dà la data in cui terminò il Libro: nel ms. di Toledo (T) era de 1368 (1330) e nel ms. di Salamanca (S), era de 1381 (1343). Le differenti date che appaiono nei mss. possono essere dovute a errori dei copisti o forse al fatto che l’autore avesse scritto due redazioni della sua opera e che S rappresenti la seconda. L’identificazione sicura di un chierico di nome Juan Ruiz, tuttavia, non è affatto facile.

Il poeta visse alla fine del regno di Alfonso XI, quando cominciarono lotte politiche molto aspre fra il potere reale, la nobiltà e gli ordini militari. Crisi dell’agricoltura e sviluppo dell’attività laniera, in mano alla aristocrazia possidente. Dal punto di vista intellettuale i centri castigliani erano certamente meno attivi di quelli francesi e italiani. Le misure accordate contro l’ignoranza del clero nel IV Concilio Laterano del 1215 a favore della preparazione del clero avevano determinato la creazione delle università di Palencia e Salamanca. Oltre alla preparazione culturale dei chierici si discusse molto anche dei loro costumi (De vita et honestate clericorum).

Il mondo del Lba è essenzialmente letterario Il mondo del Lba è essenzialmente letterario. Non c’è alcun riferimento alla vita coeva. La letteratura presente nel Lba comprende le Sacre scritture, la Patristica, le opere filosofiche e giuridiche della Chiesa medievale (Decretum Gratiani), oltre alla letteratura profana in latino e in lingua volgare e la tradizione paremiologica. Un settore importante della critica sul Lba è lo studio delle fonti. Una fonte particolarmente esibita è il Pamphilus, commedia elegiaca latina del XII secolo, basata sui modelli latini di Ovidio, Terenzio e Plauto. In particolare, Juan Ruiz traduce e adatta il Pamphilus nelle cc. 580-891, ovvero nell’episodio di Don Melón e Doña Endrina. L’aspetto saliente dell’opera è la sua forma autobiografica. Si tratta di una autobiografia letteraria, in cui c’è un io che parla, con parti allegoriche (come la lotta fra Carnal e Cuaresma seguita dai trionfi di Carnal e Amore). Questione delle serranas e rapporto con la pastorella provenzale. Inserzione di testi lirici.

Influenza della letteratura ovidiana con la figura della medianera (mezzana). Influsso di altre commedie elegiache latine del XII secolo come il De nuncio sagaci e il De tribus puellis. De Vetula presenta inoltre la forma autobiografica (ripresa dagli Amores di Ovidio) che Juan Ruiz ripropone in Lba. Il concetto della storia fittizia che serve da cornice per una collezione di racconti o refranes è di origine orientale (Panchatantra, Calila e Dimna, Sendebar).

M. Rosa Lida suggerì un modello del Lba e lo trovò nelle maqamat ispanoebree, specialmente nel Libro de las delicias. Ma è abbastanza improbabile che Juan Ruiz conoscesse bene un genere espresso in un’altra lingua due secoli prima. Modelli più sicuri sono il Roman du Chastelain de Couci (fine XIII secolo) ispirato al Roman de la Rose o Guillaume de Dole di Jean Renart. Il Libro non appartenne mai ad un genere specifico. Spicca l’eclettismo di Juan Ruiz che tratta lo stesso tema amoroso come lo trattano i sermoni e il catechismo, la letteratura ovidiana, la pastorella, la scuola francese di poesia didattico-narrativa, la tradizione favolistica e paremiologica orientale.

Il Lba, a differenza di altri generi come l’epica o la prosa narrativa, non riflette solo i gusti e gli interessi della nobiltà, per la quale la comprensione del libro doveva essere pressoché impossibile. Il destinatario del Lba è lo stesso clero a cui apparteneva Juan Ruiz. Questo si evince soprattutto dalla quantità di citazioni parziali di salmi e di testi della patristica in latino che potevano essere noti solo al clero. La modalità di fruizione del testo doveva essere la lettura pubblica, probabilmente da parte dello stesso autore.

Il poema presenta una struttura flessibile, molte delle composizioni intercalate nella cornice dovettero nascere in momenti diversi e poi essere incorporate. La questione dell’unità strutturale e tematica è un concetto molto problematico. Studio di Felix Lecoy sulle fonti del Lba. Il concetto di linguaggio che Juan Ruiz espone è quello espresso da S. Agostino nel De magistro: ogni segno è ambiguo, perché si presta a interpretazioni diverse, secondo il carattere di chi lo riceve. Le parole del maestro non istruiscono, evocano soltanto possibilità: l’alunno stimolato dal maestro trova la verità dentro di sé e può scoprirla o meno a seconda della sua capacità innata. Michael Gerli trova in San Agostino commenti che illustrano il senso del buen amor: il peccato viene dall’amor inordinatus o dall’amor mali. Di qui la affermazione che l’amore è la radice di tutti i peccati. Nel De civitate dei, S. Agostino afferma “recta itaque voluntas est bonus amor, et voluntas perversa malus amor”.

La fonte di ispirazione per il trattamento della materia amorosa è Ovidio (Amores libri e Ars amatoria, Remedia amoris). Ovidio descrive una società libera, in cui l’amore è praticato senza restrizioni o impedimenti di alcun genere. Influsso anche della letteratura cortese (fin’amors). Ambiguità come sistema. Vezzo letterario e compositivo, l’autore vuole fare sfoggio della sua abilità versificatoria. Giochi linguistici, retorici, profusione di eufemismi sessuali (pan, conejo, pera, rosa, luchar y lucha, gualardón). Juan Ruiz impiega con ironia gli stessi espedienti didattici propri della letteratura clericale.  

Rappresentazione dell’amore Juan Ruiz non distingue fra l’amor cortese (buen amor) e l’amore disordinato (loco amor ) ma cancella le distinzioni fra le varie fasi dell’amore sessuale impiegando termini dell’amore cortese in contesti molto poco cortesi. L’amore è un tema prediletto della scuola goliardica, che impiega forme metriche della lingua volgare in poemi scritti in lingua latina. Juan Ruiz moralista serio che scrive contro l’amor loco oppure edonista il cui unico scopo era quello di celebrare l’amore sessuale?

La chiave per rispondere a queste domanda sta nell’ambiguità dell’opera. Lo stesso aggettivo “buen” è usato in modo ambiguo, con significati diversi e applicato a contesti differenti: 1) Nel prologo per indicare la caritas (amore per Dio) 2) In vari episodi dell’autobiografia amorosa viene associato alla alcahueta. 3) Infine figura come sinonimo di fin’amors provenzale per intendere un amore raffinato.

La cuaderna vía di Juan Ruiz è molto meno regolare di quella di Berceo. Vi sono versi ibridi (con emistichi di 7 e 8 sillabe) e quartine ibride che combinano versi di 14 e 16 sillabe. Molti editori hanno emendato i versi che consideravano irregolari rispetto allo schema del mester de clerecía (Juan Corominas in particolare).