Corso di Filosofia dell’educazione Lezione nro. 1 Prof. dr. sc. Fulvio Šuràn Anno Accademico ....
LE BASI DELLA CIVILTÀ CULTURALE OCCIDENTALE 8 Relatore: dr. sc LE BASI DELLA CIVILTÀ CULTURALE OCCIDENTALE 8 Relatore: dr. sc. Fulvio Šuran, red. prof. (Dormitantium Animorum Excubitor)
La filosofia chiede PERCHÈ la scienza COME.
Quanto alla parola philosophìa (“filosofia“), che però compare nella lingua greca insieme a ciò di cui essa è il nome, essa significa, appunto, alla lettera (philo-sophìa) “ aver cura del sapere”. Se si accetta l'ipotesi che in sophòs, “sapiente” (su cui si costruisce il termine astratto sophìa), risuona, come nell’aggettivo saphés (“chiaro”, “manifesto”, “evidente", “vero“), il senso di phaòs, la “luce”, allora “filosofia" significa aver cura per ciò che, stando nella "luce" (al di fuori cioè dell'oscurità in cui stanno invece le cose nascoste – e alétheia, “verità”, significa appunto, alla lettera, "il non esser nascosto ”) non può essere in alcun modo negato. “ Filosofia ” significa “l'aver cura della verità", dunque - dando anche a quest’ultimo termine il significato inaudito dell' "assolutamente innegabile"
IL THAUMAZEIN Da che cosa è dato in noi e negli antichi filosofi greci il desiderio di sapere? Dalla meraviglia e dallo stupore per tutto ciò che ci circonda. “Chi è nell’incertezza e nella meraviglia pensa di essere nell’ignoranza” (Aristotele, Metafisica, I, 2, 982 b, 13). Ed è per fuggire all’ignoranza che cerca di sapere di più. Per questo, come dice lo stesso Aristotele, uno dei più grandi filosofi dell’antichità: “Gli uomini, sia ora, sia in principio, cominciarono a filosofare a causa della meraviglia”(Aristotele, Metafisica, I, 980 a, 13)
Le domande che la filosofia pone riguardano tutti. E non solo Le domande che la filosofia pone riguardano tutti. E non solo. Non siamo semplici osservatori dell'eterno gioco della vita fatto di di domande e risposte, ma noi stessi abbiamo dei giochi di ruolo. L'uomo è stato condannato alla filosofia sin dalla sua nascita. La filosofia ha origine infatti dalle sue più recondite emozioni, in particolare dalla: paura, terrore, gioia e curiosità.
Sottoforma di thaumazein ovvero sorprendente meraviglia davanti l’incognito e il desiderio di superare i limiti della realtà. .
ARISTOTELE dirà che la filosofia nasce dal ‘thauma’ ARISTOTELE dirà che la filosofia nasce dal ‘thauma’. Comunemente si traduce questa antica parola greca con “meraviglia”. E si va completamente fuori strada, perché ‘thauma’, nel suo significato originario significa “terrore”, “angosciante stupore”. Per che cosa? Per questa nostra esistenza, per la vita in cui ci troviamo e la cui durezza raggiunge tutti e tutti fa soffrire e tutti angoscia. Poi, sì, ci potrà essere anche quella forma di ‘Thauma’ che è il fenomeno derivato per il quale il filosofo, magari protetto da una fittizia tranquillità, “si meraviglia” di ciò che per l’uomo comune è qualcosa di ovvio. (E non diremo certo che questa “meraviglia” sia qualcosa di superfluo).
Quando Nietzsche afferma che la scienza nasce dalla paura non fa che ripetere Platone e Aristotele. E per secoli la scienza moderna concepisce la “verità” delle proprie leggi secondo il senso che alla verità è stato assegnato dalla tradizione filosofica. La filosofia nasce perché il modo in cui il mito tenta di proteggere l’uomo fallisce. Tenta di proteggerlo dicendogli che nonostante il dolore e la morte egli vive all’interno di un senso unitario e divino – e dunque protettivo, se ci si pone nel giusto rapporto con esso. Ma ad un certo momento il mito non basta più. C’è di mezzo quel che più preme, Che cosa ci preme di più di noi stessi, della nostra esistenza sofferente, inevitabilmente sofferente? E allora, poiché della nostra esistenza si tratta, ecco che il dio del mito non basta più: occorre un ‘vero’ dio, un dio che la verità mostra alla ragione dell’uomo, il dio della filosofia, che nonostante tutto sta più avanti e non più indietro di quel dio di Abramo, Isacco, Giacobbe che si è voluto contrapporre al dio dei filosofi ma che è pur sempre un dio del mito, cioè un dio inaffidabile.
Ma questo grande passato dell’Occidente – questo senso grandioso dell’esistenza, dove la verità del dio protegge l’uomo dominando e unificando tutte le cose, producendole e raccogliendole in sé – è tramontato, o se ne vedono soltanto le ultime luci.Gli ultimi duecento anni dell’Occidente sono il dispiegarsi del tramonto. [ … ] Il grande passato dell’Occidente tramonta ad opera, innanzitutto, della punta di diamante della ragione moderna: è la stessa filosofia del nostro tempo a mostrare l’impossibilità di un “vero” dio – e dunque l’impossibilità di quel dio cristiano che è stato innestato sul dio della filosofia. (da E. Severino, Scuola e tecnica, Università degli Studi di Parma, Facoltà di Architettura, 2005, pp. 30-32).
Ma sono i pensatori greci del VI sec. p. e. v Ma sono i pensatori greci del VI sec. p.e.v., che per la prima volta nella storia dell’uomo, escono dall’esistenza guidata dal mito e la guardano in faccia e nel loro sguardo c’è qualcosa di assolutamente nuovo. Perché il mito nasceva sì dalla fantasia degli uomini che non riuscivano a spiegarsi eventi naturali molto semplici ma la sua funzione era di narrare storie di divinità che dovevano riflettersi sul mondo circostante. La maggior parte dei popoli politeisti, infatti, possedeva dei miti che servivano all’uomo per difendersi dalla minaccia della vita come da quella della morte. La vita diventa una minaccia quando non si riesce a trovare dei punti di riferimento.
Il significato più antico del termine greco mythòs è “parola”, “sentenza”, “annunzio ”; a volte mythòs significa persino “la cosa stessa”, “la realtà”. Solo in modo derivato e più tardo, nella lingua greca mythòs indicherà la “leggenda”, la “favola”, la “fola”, il “mito”. Anche se già all’inizio di questo cammino la filosofia vede che il mito non è verità innegabile (non è qualcosa di saphés, come dice Senofane, uno dei primi pensatori greci), ma è soltanto una leggenda in cui si crede. Poiché, d’altra parte, la fede nel mito è la regola secondo la quale sono vissute tutte le civiltà precedenti (e la società stessa in cui la filosofia nasce), la critica filosofica del mito diventa inevitabilmente una critica della società.
In realtà per decine e decine di millenni l'esistenza dell’uomo - globalmente e in ogni suo singolo aspetto - è guidata dal mito. Il mito non intende essere una invenzione fantastica, bensì la rivelazione del senso essenziale e complessivo del mondo. Ma il mito arcaico è sempre collegato al sacrificio, cioè all’atto col quale l'uomo si conquista il favore degli dèi e delle forze supreme che, secondo la rivelazione del mito, regnano nell’universo. Il sacrificio può essere cruento, oppure del tutto incruento come nelle pratiche ascetiche dello Yoga. In ogni caso il suo intento è di identificarsi e di dominare ciò che nel mito appare come la potenza suprema.
Per scoprire quindi cos'è la filosofia Per scoprire quindi cos'è la filosofia? Si deve prima rispondere alla domanda: perché la filosofia? E, come si è visto: per di liberare l’uomo dalla paura della morte. Per capirlo meglio qui faro riccorso all’antico mito greco di Mida, re della Frigia, figlio del re Gordio e della dea Cibele. “L’antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine tra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo. Rigido e immobile, il demone tace; finchè, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in queste parole: “Stirpe miserabile e effimera, figlio del caso e della pena, perchè mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggioso non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. ma la cosa in secondo luogo migliore per te è – morire presto.””
Ogni tipo di cultura ha origine dallo shock esistenziale e dal conseguente, primario bisogno umano di esorcizzare la morte e di difendersi dall'ansia dovuta Dalla paura del nulla, comparso alla nascita della coscienza. Visione peraltro terribile, verità che è meglio non sentire e non sapere. Tale che, se qualcuno la ritenesse davvero vera, il suicidio sarebbe per Sileno da porsi come massimamente razionale. Visione che peraltro, anche qualora ritenuta vera, nessuno forse vorrebbe davvero rivelare a persone cui vuol bene. Men che meno a un figlio che si apre alla vita, ad esempio.
Anche i primi filosofi si sono soffermati sul tema della morte come fenomeno che non deve essere esorcizzato ma compreso. Questo ha fatto si che il loro approcio al problema fosse significativamente diverso dalla rivelazione religiosa e dall'illuminazione, in quanto principalmente racchiuso in strutture riconoscibili. Così, ad esempio, anche il primo testo filosofico - noto come frammento di Anassimandro - riguarda la morte: "principio delle cose che sono è l’illimitato… donde le cose che sono hanno la generazione, e là hanno anche il dissolvimento secondo la necessità. Infatti esse pagano l’una all’altra la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo" . Loro, quindi non cercavano la salvezza da una divinità in cambio di un determinato sacrificio più o meno cruentopersonale o straniero, ma la verità..
È, quindi, quanto mai evidente come strettamente connessa alla morte è la filosofia stessa intesa come «un immenso sforzo per risolvere il problema della morte e del destino»[3] La riflessione sulla morte è stata infatti il principale stimolo allo sviluppo della filosofia: « Ad eccezione dell'uomo, nessun essere si meraviglia della propria esistenza… La meraviglia filosofica ... è viceversa condizionata da un più elevato sviluppo dell'intelligenza individuale: tale condizione però non è certamente l'unica, ma è invece la cognizione della morte, insieme con la vista del dolore e della miseria della vita, che ha senza dubbio dato l'impulso più forte alla riflessione filosofica e alle spiegazioni metafisiche del mondo. Se la nostra vita fosse senza fine e senza dolore, a nessuno forse verrebbe in mente di domandarsi perché il mondo esista e perché sia fatto proprio così, ma tutto ciò sarebbe ovvio». (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, I §1, trad. it. Milano, Mondadori, 1992)